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LA GUERRA NEI MONDI (DI LUCREZIO)

Nel documento MIMESIS / CLASSICI CONTRO (pagine 173-191)

Immaginiamo uno scenario di guerra. Collochiamo ora questo con-flitto nel contesto di una spirale di progresso tecnologico: per esempio, nel percorso che si apre con la scoperta dei metalli, passa per il perfezio-namento della metallurgia e giunge all’invenzione delle armi e allo svi-luppo dell’arte della guerra, che a sua volta alimenta la ricerca di nuove armi, via via più letali e spaventose. Ipotizziamo ora che proprio in que-sto scenario la paura degli uomini per la propria inadeguatezza di fronte al nemico provochi un’escalation incontrollabile, rovesciando nel teatro di guerra un’arma bestiale, un mostro prodotto da un’illusione irraziona-le di controllo sulirraziona-le forze primordiali della natura. Proseguire sul filo di quest’ipotesi porta inevitabilmente al bagno di sangue indiscriminato, assurdo, totale: in quale dei vari mondi, in vario modo creati nell’univer-so infinito, può prendere corpo un simile scenario?

Il quadro qui delineato si fonda su un nodo di fenomeni –progresso tecnologico, guerra, escalation del conflitto, arma risolutiva, terrore, ri-schio di catastrofe globale – che in ciascuno di noi evoca visioni e inter-rogativi di fatto molto presenti nella nostra sensibilità contemporanea. Posto di fronte a questa costellazione di temi, un lettore di oggi trovereb-be probabilmente abbastanza ovvio proiettarla nell’immaginario disto-pico che sta alla base di tanta letteratura e tanto cinema, anche fanta-scientifico, del Novecento: un immaginario nutrito del resto, secondo le più varie declinazioni tecnologiche, dalle angosce per la guerra che han-no coinvolto e continuahan-no a coinvolgere numerose generazioni, a con-fronto con ‘grandi’ guerre, corse agli armamenti, spettri di conflitti nu-cleari, globalizzazione del terrore.

Torniamo però allo specifico dell’ipotesi ‘distopica’ cui s’è alluso sopra: in realtà – come i lettori hanno riconosciuto – si tratta di una pa-gina celebre del De rerum natura (5. 1281-1349), in cui Lucrezio de-scrive una tappa cruciale di quel cammino dell’umanità che viene

deli-neato, nei suoi ambigui meandri di progresso e regresso, nel contesto dell’‘antropologia’ trattata nel V libro del poema. Partire da un testo an-tico, così lontano culturalmente dal nostro mondo, può forse offrirci un’occasione preziosa per aiutarci a pensare problemi ben più vicini a noi, inquadrandoli con sguardi ‘straniati’, come in una visione stereo-scopica, che ci permetta di percepire la profondità di campo, le propor-zioni, la complessità.

Partiamo quindi senz’altro da questa pagina lucreziana, avvolta da una fama perturbante: «la più famigerata» del poema (così almeno s’è scritto), in passato è parsa di volta in volta «stupefacente», «bizzarra», «fantastica», «esaltata», «ossessiva». È stata inoltre definita «escrescen-za fungosa» e «prodotto di una mente alienata» o di «un’intelligen«escrescen-za febbricitante, pervertita, cancerosa»1, con una serie di etichette certo ammiccanti alla notizia geronimiana sulla follia dell’autore, che un tem-po tanta fortuna ha avuto fra varie generazioni di lettori. Nel contesto dell’antropologia rappresentata nel V libro, questo brano illustra varie fasi del progresso tecnologico, procedendo dalla scoperta dei metalli (vv. 1241-1261), per passare attraverso il perfezionamento della metal-lurgia (vv. 1262-1281), l’invenzione ed evoluzione delle armi, nonché delle arti della guerra (vv. 1283-1301), e culminare infine nella descri-zione dell’utilizzo degli animali come strumenti bellici (vv. 1302-1349). Oggi chi legge questo passo violento ed espressionista sulla ‘guerra de-gli animali’ tende ad avvertirne piuttosto il profondo radicamento nella logica del poema, in rapporto alla denuncia lucreziana dei rischi scon-volgenti insiti nella rinuncia al controllo delle passioni2.

1 Una rassegna delle espressioni di perplessità o sconcerto sul passo in esame è ricorrente nei contributi ad esso dedicati: cfr. Bailey 1947, vol. III, pp. 1528-1531; Costa 1984, p. 142; Schiesaro 1990, pp. 159s.; La Penna 1995, p. 32; Se-gal 1998, p. 214s.; Salemme 2009, p. 168.

2 Una vigorosa e persuasiva reazione rispetto alle interpretazioni volte a sot-tolineare nel passo aporie o sintomi di allucinazione lucreziana è ad esempio in Paratore 1960, pp. 475s., ripreso da Kenney 1972 (cfr. de Grummond 1982 e Costa 1984, p. 143), che insiste sulla coerenza del passo rispetto agli intenti ar-tistici e comunicativi dell’autore, come rispetto all’impianto ideologico del contesto. Dal nostro punto di vista, val la pena sottolineare come Paratore e Kenney facciano leva proprio sulla sensibilità e sull’esperienza dei lettori con-temporanei per reclamare l’attendibilità e la razionalità del ragionamento lu-creziano. «For in the age of nuclear armaments and the competitive stockpil-ing of over-kill capacity, or Doomsday, Dr. Strangelove, and Fail-Safe, surely we can at least take this point? And surely we do not have to believe that only a madman could have made it? I am not saying that Lucretius is a sort of Nos-tradamus, but that he was a poet who knew how human beings behave»

(Ken-Com’è noto, Lucrezio delinea il cammino dell’umanità come un per-corso non lineare, non finalistico, dallo stadio ferino dell’uomo primi-tivo agli stadi più avanzati del progresso tecnico-scientifico. In altre pa-role, traccia una strada dominata dal caso, fatta di tentativi ed errori, sviluppi e involuzioni, ombre e contraddizioni: un percorso in cui evo-luzione tecnica e progresso morale non vanno di pari passo, perché nel perfezionare la ricerca del benessere, della ricchezza e del potere, l’uo-mo spesso perde di vista il l’uo-modello epicureo di una vita secondo natu-ra3. Ma quel che qui più ci interessa in questa riflessione sulla storia dell’umanità è che, per ricostruire le tappe di questo itinerario, in man-canza di riscontri concreti o testimonianze storico-archeologiche, Lu-crezio procede per ipotesi, immagina una serie di scenari possibili, nel nostro mondo o negli infiniti altri mondi che popolano l’universo, in modo da spiegare gli sviluppi noti della realtà congetturando le fasi ignote.

Appunto questa dimensione ipotetica che caratterizza la ricostruzione lucreziana dell’evoluzione umana fornisce spunti interessanti per la no-stra riflessione. Commentando lo scenario di guerra prefigurato, Lucre-zio vi ravvisa tratti talmente estremi, allucinati, irraLucre-zionali, da chiedersi (in versi dall’esegesi tormentatissima4) se un simile potenziale di orrore

ney 1972, p. 23). L’ampia bibliografia sulla ‘guerra degli animali’, spesso con-dizionata da un’esigenza apologetica, si è di volta in volta concentrata su linee interpretative differenti, ora in rapporto alla dimostrazione di una coerenza del passo rispetto alle istanze della dottrina epicurea (cfr. ad es. Bourne 1956; Ken-ney 1972), anche in relazione alla ricerca di fonti storiografiche e iconografi-che dell’immaginario degli animali in guerra (cfr. tra l’altro Onians 1930; McKay 1964, sul possibile influsso delle venationes; Courtney 2006), ora in direzione di una lettura simbolica dell’episodio (cfr. ad es. Schrijvers 1970; de Grummond 1982). Una più ampia rassegna bibliografica è in Costa 1984, pp. 142s. e in Salemme 2009.

3 Su questo tema in rapporto al passo in discussione, cfr. almeno Schiesaro 1990, pp. 159-168 (specialmente p. 168, ma cfr. in generale pp. 144s.); La Penna 1995, pp. 32-48 (specialmente pp. 33-35); Deufert 1996, p. 269. Per una pros-pettiva generale cfr. tra l’altro Sasso 1979, pp. 161-267.

4 Non è possibile entrare nel dibattito dei filologi su questo passo di commento conclusivo alla ‘guerra degli animali’, il più discusso dell’intero contesto, in rapporto a problemi di autenticità e tenuta logica di alcuni versi rispetto al complesso dell’argomentare lucreziano. Basti qui rinviare ad alcune efficaci messe a punto delle difficoltà inerenti al brano: cfr. in particolare La Penna 1995, pp. 44-48 e Salemme 2009, con ampia rassegna bibliografica. In estre-ma sintesi, si può ricordare che alcuni studiosi propongono l’espunzione dell’intero passo (vv. 1341-1349), interpretato come una postilla editoriale o una glossa a margine del racconto relativo alla ‘guerra degli animali’ (vv.

e distruzione sia davvero ipotizzabile nel nostro mondo, o se possa esse-re immaginabile in altri mondi possibili del cosmo infinito, e/o se non ri-sulti in fin dei conti credibile, ove si rifletta sulla possibilità che sia mo-tivato, più che dall’istinto di autoconservazione, da oscure pulsioni autodistruttive:

Si fuit ut facerent. Sed vix adducor ut ante non quierint animo praesentire atque videre, quam commune malum fieret foedumque, futurum; et magis id possis factum contendere in omni, in variis mundis varia ratione creatis, quam certo atque uno terrarum quolibet orbi. Sed facere id non tam vincendi spe voluerunt, quam dare quod gemerent hostes, ipsique perire, qui numero diffidebant armisque vacabant5. Se pure l’hanno mai fatto. Ma stento a persuadermi che non abbian potuto presagire in cuor loro e vedere incombente, prima che avvenisse, l’atroce male comune; potresti sostenere che questo è avvenuto nell’universo, nei vari mondi in vario modo creati,

piuttosto che su una certa e unica terra.

Ma l’han voluto fare non tanto nella speranza di vincere, quanto per dare ai nemici di che piangere, e morire essi stessi, non avendo fiducia nel proprio numero e privi d’armi.

1308-1340): cfr. fra i più recenti Deufert 1996, pp. 267-274; Courtney 2006. Altre ipotesi propendono per l’espunzione dei soli vv. 1344-1346 o dei vv. 1341-1346. Specialmente difficili nell’articolazione argomentativa sono parsi ad alcuni proprio i vv. 1344-1346, con la loro prospettiva cosmica che sembra interrompere e deviare il corso del ragionamento. Varie soluzioni sono state avanzate: l’ipotesi di guerre ‘extraterrestri’ potrebbe essere ad esempio un’al-ternativa scartata nel corso di un ragionamento finalizzato a mettere in rilievo la soluzione più probabile della pulsione autodistruttiva (Kenney 1972, p. 22), oppure può essere interpretata come una possibilità concomitante al cupio

dis-solvi prospettato ai vv. 1347-1349, in vista di un dilagare cosmico del

conflit-to (Salemme 2009, pp. 173-175). In ogni caso, molconflit-to fondaconflit-to appare il richia-mo di Salemme (2009, p. 172) alle ben note specificità dell’argomentazione in Lucrezio, in cui non è affatto inconsueto né che il pensiero sia a tratti sospeso, né che sia ripreso dopo deviazioni anche relativamente estese dalla linea essen-ziale del discorso: cfr. McKay 1964, pp. 126-127; Saylor 1972, pp. 311-312. 5 Lucr. 5. 1341-1349. Qui e altrove seguo l’edizione di C. Bailey per il testo, di

cui propongo mie traduzioni, con qualche lieve modifica rispetto a quelle edi-te in Schiesaro (ed.) 2003.

Questo procedere dell’argomentazione lucreziana per successione di ipotesi, sospensioni, deviazioni e riprese del pensiero, finisce per proiet-tare il percorso ‘evoluzionistico’ della guerra in una dimensione cosmi-ca, che sembra offrire come un immenso orizzonte di fuga rispetto a un’incerta dinamica di sviluppo del conflitto attraverso tentativi e tragi-ci errori. In questo senso l’ipotesi di guerra nei mondi del cosmo lucre-ziano si salda con altre immagini ‘apocalittiche’ del poema, che illustra-no il rischio di una crescita esponenziale della strage e dell’atrocità nella storia dell’uomo.

Agli albori dell’umanità l’orrore della morte era inscritto nella pro-spettiva individuale del singolo uomo indifeso e divorato dalle bestie fe-roci, ma almeno il potenziale di strage era infinitamente minore di quel-lo indotto dal progresso delle conoscenze e delle tecnoquel-logie che consentono di concentrare immensi eccidi in minimi intervalli di tempo:

at non multa virum sub signis milia ducta una dies dabat exitio nec turbida ponti aequora lidebant navis ad saxa virosque6.

ma un giorno solo non segnava la morte per molte migliaia di uomini in marcia sotto alle insegne, né agitate distese marine schiantavano uomini e navi contro gli scogli.

Se dunque all’inizio l’atrocità poteva essere misurata dall’inquadra-tura ‘soggettiva’ dell’uomo primitivo che nella sua solitudine vedeva il proprio corpo divorato progressivamente da una belva7, Lucrezio asso-cia invece la guerra ‘moderna’ alla morte di massa, che viene rappresen-tata come in una ripresa aerea sull’immane sterminio del campo di bat-taglia e sui cimiteri del mare. Qualche centinaio di versi dopo, sempre nel quadro dell’‘antropologia’ lucreziana, il passo che stiamo esaminan-do ripropone un rilancio su prospettive di un massacro totale dei conten-denti e forse addirittura su un’ipotesi ‘extraterrestre’ del conflitto. In-somma una guerra apocalittica nei mondi, che potrebbe aiutarci a ragionare su ben più prossime a noi guerre dei mondi.

Concediamoci allora un breve momento di divagazione, per focaliz-zare in estrema sintesi alcuni tratti familiari al nostro immaginario disto-pico, prima di rivolgere di nuovo il nostro sguardo ‘straniato’ alle

ipote-6 Lucr. 5. 999-1001.

si visionarie del testo lucreziano. Sarebbe ovviamente insensato aprire qui una rassegna, magari a partire dall’«occhialuto uomo» che nell’ulti-ma pagina delle memorie di Zeno Cosini inventa un «esplosivo incom-parabile» e lo pianta al centro della terra («ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cie-li priva di parassiti e di malattie»8). Perciò ci limiteremo ad accennare a un solo esempio, che però in qualche modo ha il vantaggio di porsi tra i fondamenti della narrativa distopica e fantascientifica di fine Ottocento e insieme di riproporsi alla vigilia del secondo conflitto mondiale, alla radice del dibattito sullo sfruttamento mediatico del panico: mi riferisco, come s’è capito, al romanzo La guerra dei mondi di Herbert George Wells (1897) e all’adattamento radiofonico che ne ricavò Orson Welles, mandandolo in onda alla CBS la vigilia di Halloween del 19389.

Come si ricorderà, la trasmissione puntava sull’attualizzazione del racconto e si proponeva in termini realistici come un notiziario radiofo-nico, volto a commentare in diretta l’invasione della terra da parte di alieni dotati di una tecnologia spaventosamente avanzata, incarnata in astronavi, raggi incandescenti, giganteschi tripodi meccanici. Il nodo centrale su cui s’incentra la narrazione è il rischio di annientamento del mondo a cui appartengono gli ascoltatori, da parte di entità aliene incon-trastabili, perché progredite fino al vertice dell’evoluzione tecnologica: un rischio che risulta poi sventato paradossalmente da un organismo ele-mentare, un batterio agli infimi stadi del percorso evolutivo, che distrug-ge gli alieni dopo che questi hanno annientato le resistenze più sofistica-te della sofistica-tecnologia umana. Il sofistica-tema, in altre parole, è quello dell’angoscia a fronte della perdita del controllo sullo sviluppo tecnologico, a fronte di un’escalation nel conflitto con un nemico totalmente ignoto e prove-niente da un mondo ‘altro’. In questo senso, certo il programma toccava dei nervi scoperti dell’uditorio: era passato un mese dal patto di

Mona-8 I. Svevo, La coscienza di Zeno, cap. 8.

9 Cfr. Welles 1990. Ma la lista delle riscritture o delle rivisitazioni letterarie, ra-diofoniche, fumettistiche, televisive e soprattutto cinematografiche della

Guer-ra dei mondi sarebbe in effetti molto lunga (per non parlare dei video games).

Per il cinema si possono almeno citare gli omonimi film di Byron Haskin (1953, in piena guerra fredda) e Steven Spielberg (2005, dopo l’attacco alle Twin Towers): il ‘mito’ della guerra dei mondi insomma sembra riemergere ci-clicamente nel Novecento e fino ai nostri tempi, quasi a fornire uno specchio metaforico su cui proiettare le contemporanee crisi reali di conflitti angoscio-samente percepiti dal pubblico come totalizzanti e catastrofici. Una riflessione stimolante sul gioco paradossale con la verità del falso nell’immaginario di Welles è ora in Borin 2016.

co, era caldo anche nel nuovo mondo il tema dell’invasione incombente nel vecchio mondo, era insomma diffusa l’aspettativa di una guerra e il timore del suo dilagare. Non conta qui più di tanto stabilire se davvero la trasmissione di Orson Welles scatenò effetti di panico collettivo tra la popolazione statunitense o se il racconto di una reazione incontrollata di allarme pubblico fu una montatura mediatica dei quotidiani nello sforzo di screditare la radio e di contenere l’aggressiva avanzata del nuovo mezzo di comunicazione di massa a scapito della stampa. Fatto sta che l’evento si prestò per raccontare la paura di una guerra totale e si fissò nell’immaginario tanto da diventare un caso paradigmatico, oggetto di famose ricerche di psicologia sociale sulla percezione della guerra e sul potere di manipolazione dei media10.

Dunque, teniamo sullo sfondo questi modi ‘vicini’ a noi di elaborare immagini collettive della guerra nell’evoluzione umana, con tutta la co-stellazione di temi relativi: psicosi della guerra, terrore dell’arma letale e corsa agli armamenti, paradossi del progresso tecnologico, il nemico e le sue incarnazioni nell’‘alieno’. Torniamo ora a Lucrezio e al suo rac-conto per così dire ‘evoluzionistico’ (5.1281-1349). Come si accennava, Lucrezio sta ricostruendo la storia della metallurgia e da qui alla storia della guerra il passo è breve:

Nunc tibi quo pacto ferri natura reperta sit facilest ipsi per te cognoscere, Memmi. Arma antiqua manus ungues dentesque fuerunt et lapides et item silvarum fragmina rami

et flamma atque ignes, postquam sunt cognita primum. Posterius ferri vis est aerisque reperta.

Et prior aeris erat quam ferri cognitus usus, quo facilis magis est natura et copia maior11. Ora ti è facile, Memmio, imparare da solo in che modo sia stata scoperta la natura del ferro. Armi antiche erano mani unghie denti

e pietre e anche rami, spuntoni di selve, e fiamme e fuoco, non appena divennero noti. Poi si scoprì la forza del ferro e del bronzo.

E l’uso del bronzo era noto prima di quello del ferro, perché più docile è la sua natura e maggiore l’abbondanza. 10 Cfr. Cantril 2014; cfr. anche Cantril 1940.

Gli uomini muovono dall’impiego del corpo stesso in funzione of-fensiva (mani unghie denti), poi acquisicono strumenti e utensili di uso non specifico (pietre, rami ecc.). Quindi, la scoperta dell’uso del bron-zo e del ferro dà l’occasione a Lucrezio di rilevare l’ambivalenza del progresso tecnico: i metalli servono per forgiare strumenti di pace e di vita (l’aratro, la falce) e strumenti di guerra e morte (la spada), con un’ambivalenza che può indurre effetti inquietanti di sovrapposizione dei margini:

Aere solum terrae tractabant, aereque belli miscebant fluctus et vulnera vasta serebant et pecus atque agros adimebant. Nam facile ollis omnia cedebant armatis nuda et inerma12.

Col bronzo lavoravano il suolo e col bronzo scatenavano flutti di guerra, seminavano orrende ferite,

depredavano greggi e campi. Docilmente infatti

cedeva a quegli uomini armati ogni inerme e nuda creatura.

L’idea di una deriva dall’uso pacifico del bronzo che lavora la terra a quello distruttivo del bronzo come strumento di morte è veicolata da un immaginario metaforico: col bronzo infatti gli uomini innescano la vio-lenza della guerra, incontrollabile come il montare delle onde in tempe-sta (belli miscebant fluctus) e, invece di solcare il corpo della terra per seminare, infliggono i solchi di ferite mortali ai nemici (vulnera vasta

serebant); infine occupano il mondo agreste, trasformando lo spazio

pa-cifico della produzione (campi, pascoli) nello spazio della razzia13. Ma l’invenzione delle armi di metallo segna anche una storia di squi-libri tecnologici fra gruppi umani, di armati che travolgono inermi. Ine-vitabile diventa allora la rincorsa degli uomini a colmare lo svantaggio, con strumenti di morte via via più raffinati, capaci di livellare (aequare) gli squilibri e le dubbie sorti della guerra. Sta ormai prendendo vita len-tamente (minutatim) la spirale del progresso tecnologico, in una primiti-va, embrionale, corsa agli armamenti:

Inde minutatim processit ferreus ensis

versaque in opprobrium species est falcis ahenae, et ferro coepere solum proscindere terrae exaequataque sunt creperi certamina belli. 12 Lucr. 5.1289-1292.

Et prius est armatum in equi conscendere costas et moderarier hunc frenis dextraque vigere quam biiugo curru belli temptare pericla. Et biiugo prius est quam bis coniungere binos et quam falciferos armatum escendere currus14. Poi venne avanti man mano la spada di ferro, si finì per schernire la foggia della bronzea falce, e col ferro cominciarono a solcare il suolo e vennero livellate le dubbie sorti della guerra. Montare armati a cavallo e condurlo

col morso, lottando con la destra, è primitivo più che affrontare i pericoli della guerra su una biga. Ed è più primitivo aggiogare una biga che una quadriga e montare armati su un carro falcato.

Così dal bronzo si passa al ferro, con nuove spade per la guerra e nuo-ve lame per gli aratri: un primo ciclo tecnologico si conclude, con un nuovo equilibrio. Ma un nuovo ciclo deve aprirsi, per andare oltre alle

Nel documento MIMESIS / CLASSICI CONTRO (pagine 173-191)