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nella Grecia antica

Nel documento MIMESIS / CLASSICI CONTRO (pagine 145-157)

I cimiteri di guerra sono da sempre il luogo in cui si consumano i riti di una religione civile, il culto dei soldati caduti in guerra per la propria patria: «una religione laica, volta a sacralizzare le idee di patria e di nazione»1.

In particolare, i cimiteri di guerra di Redipuglia, di Cima Grappa, di Caporetto, di Colle Isarco, di Pian di Salesei, di Timau sono altrettante «manifestazioni artistiche e architettoniche, volte a sacralizzare l’imma-ne carl’imma-neficina della Prima guerra mondiale». Infatti, mai come dopo la Prima guerra mondiale fu impellente l’«esigenza di sublimazione della morte», la «necessità di ricondurre ad una buona morte una morte che non era mai stata tanto anonima e seriale»2. Al punto che quella dei sa-crari diventa un’«architettura necessaria»3.

Ma se è vero che la Prima guerra mondiale rappresenta il trionfo dell’industrializzazione, è altrettanto vero che «dalle trincee riemerge prepotentemente il mito e, a fronte dell’orrore indicibile di un evento tanto terribile quanto indescrivibile, l’irrazionalità tende a riaffiorare come via di fuga all’eccesso di razionalità»4. Ed è proprio questa irrazio-nalità che finisce per rendere una guerra tecnologicamente rivolta al fu-turo così vertiginosamente antica: tanto che nelle lapidi che ricordano i suoi caduti intravvediamo accenti e luci di oltre due millenni prima, quelli degli epitafi per i caduti della Grecia antica.

1 S. Zagnoni, Retoriche del silenzio: i sacrari militari della “Grande Guerra”, in All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne… I cimiteri urbani in Europa a

due-cento anni dall’editto di Saint Cloud. Bologna, 24-26 novembre 2004, Bologna

2007, p. 167. 2 Ibidem, pp. 165 e 167.

3 C. Loverre, L’architettura necessaria. Culto del caduto ed estetica della

poli-tica, «Parametro» 213, 1996, pp. 18-32.

Nella Grecia antica i cimiteri di guerra hanno il nome solenne ed epi-co di polyandria, un nome che basta ad evocare Achille e Aiace, Ettore ed Agamennone: sono tombe comuni e monumenti ad un tempo, che raccolgono per l’appunto «molti eroi» (πολλοὶ ἄνδρες), la cui ‘fama gloriosa’ (κλέος) è affidata ad una lapide.

Quella che racchiudono i polyandria è una parte della polis, la sua parte migliore: è la polis degli eroi-morti. Morti perché eroi, o eroi per-ché morti? Questa ed altre domande si insinuano tra le righe degli epita-fi, affiorano nella tensione verbale, si celano tra le cadenze di un formu-lario rituale.

Le parole che percorrono i cimiteri di guerra della Grecia antica, che danno loro una voce muta sono versi celebrativi e commemorativi da un lato5, e liste di nomi dall’altro.

Ad Atene era consuetudine celebrare i caduti nei combattimenti di ciascun anno, e in quella circostanza venivano compilate le liste dei ca-duti, ovvero lunghi elenchi di quanti avevano sacrificato la propria vita, suddivisi per tribù e raggruppati per battaglie. A celebrarne le imprese eroiche veniva di norma composto e inciso anche un epigramma6. Ciò vale a maggior ragione, naturalmente, per le grandi battaglie che hanno segnato la storia della Grecia. Nessuno di questi scontri mancò del pro-prio sacrario.

Atene aveva riservato un luogo ben preciso e di grande visibilità alle tombe dei caduti per la salvezza della polis. Pausania, nel suo diario di viaggio ad Atene, ci presenta il luogo in questi termini:

c’è anche un monumento funebre dedicato a tutti gli Ateniesi che per mare e per terra incontrarono la morte in battaglia. Non vi sono onorati, però, i combattenti di Maratona, i quali, per il valore da essi dimostrato, hanno avuto sul posto le loro tombe. Tutti gli altri, invece, sono sepolti lun-go la strada che porta all’Accademia. Sulle loro tombe sono innalzate del-le stedel-le che recano di ciascuno il nome e l’indicazione del demo di prove-nienza7.

5 Luigi Bravi (Gli epigrammi di Simonide e le vie della tradizione, Roma 2006, p. 38) li chiama «epigrammi storici legati a fatti e a persone di rilevanza poli-tico-militare, di committenza pubblica o privata, all’interno dei quali si ricono-scono epigrammi votivi, sepolcrali ed onorari»: ci raccontano infatti una storia e mille storie.

6 Cfr. Bravi, Gli epigrammi di Simonide, cit., p. 38.

7 Paus. 1.29.4; trad. it. S. Rizzo, Pausania. Viaggio in Grecia. Attica e

Ma, oltre alle parole scritte sulla pietra dei monumenti, altre parole percorrevano il cimitero di guerra ateniese: quelle dell’ἐπιτάφιος λόγος, il discorso funebre ufficiale pronunciato al Ceramico da un uomo politico scelto dai cittadini per commemorare i propri eroi.

Parole scritte, da un lato, e parole pronunciate, dall’altro.

Sono entrambe parole pubbliche, quella pronunciata da un uomo po-litico presso il δημόσιον σῆμα, il cimitero di stato, e quella incisa sui

polyandria, e sono entrambe legate alla circostanza dei funerali

pubbli-ci per i caduti: l’elogio dei caduti, l’omaggio della polis ai suoi eroi, ne è l’obiettivo dominante8. Tuttavia, mentre la retorica politica e la propa-ganda della democrazia al potere sostanziano completamente l’ἐπιτάφιος λόγος 9, la poesia incisa sulla pietra del monumento ne sembra condizionata in misura meno massiccia. In altre parole, l’ἐπιτάφιος λόγος condivide con i versi iscritti l’obiettivo di esorcizza-re la morte e l’orroesorcizza-re della guerra10, ma non dice la verità, o meglio pro-pone una verità orientata, manipolata, funzionale.

8 L’orazione funebre ruota intorno a temi simili, ma alcuni le sono peculiari: l’e-saltazione del ricordo eterno del valore, la contrapposizione tra una vita preca-ria e un coraggio immortale, il rifiuto di ammettere che gli Ateniesi possano es-sere stati vinti, il tema degli antenati, la rappresentazione del tempo in cui il mito diventa storia, la volontà democratica di anonimato che esclude menzio-ni speciali per gli strateghi.

9 «Entre ces deux paroles civiques, l’une dite au démosion sèma, l’autre écrite sur les polyandria, et qui toutes deux se rattachent étroitement aux funérailles officielles, la solidarité est évidente; et cependant c’est encore l’oraison fu-nèbre qui porta la marque la plus nette d’une cassure entre le passé et le présent de la cité démocratique» (N. Loraux, L’invention d’Athènes, Paris 1981, p. 54). Invece – continua la Loraux, pp. 55s. – «dédiée à des combattants, l’épitaphe collective reste sous l’emprise de l’épopée. Emprise purement formelle, dira-t-on, et qui se réduit à quelques suggestions linguistiques; mais ce serait oublier qu’il n’est pas d’emprunt innocent: sourdes au prosaïsme politique qui, dès le VIème siècle, renouvelait la langue de l’épigramme funéraire, les épitaphes du

démosion sèma, cédant au prestige du verbe épique, semblent parfois renouer,

jusque dans leur pensée, avec un passé aristocratique où l’éclat du guerrier tombé dans la fleur de l’âge passe avant la gloire de la cité, où la louange s’ef-face devant la plainte. Subordonnant étroitement les hommes à la polis, l’orai-son funèbre n’en accorde pas tant aux morts et, dans l’orai-son refus des modes ar-chaïques de la célébration, elle se révèle résolument démocratique».

10 «Une très ancienne tradition de louange tente d’exorciser la mort au moyen de la parole de gloire, et sans doute n’est-il pas indifférent que la collectivité athé-nienne se rassemble au Céramique pour conjurer la mort par un discours» (Lo-raux, L’invention d’Athènes, cit., p. 3).

È certamente inevitabile che anche gli epigrammi, in quanto testi pubblici esposti in uno spazio pubblico, esprimano la verità in cui si ri-conosce la comunità, o meglio il gruppo al potere11. «Un tempo questi giovani coraggiosi diedero la vita per la salvezza della patria, etc.». I ca-duti sono spesso rappresentati come giovani, παῖδες o κοῦροι: dei gio-vani che persero la vita per la libertà della loro patria sono proposti au-torevolmente come modello alle future generazioni, ad altri giovani che leggeranno quegli epitafi. Così la polis garantisce la propria sopravvi-venza politica e militare12.

Ma, mentre il discorso funebre evita programmaticamente i toni del

threnos, del pianto, i versi incisi sulla pietra lasciano spazio anche alla

tensione emotiva. Una tensione quanto mai viva, coinvolgente, assoluta-mente provocatoria, generata dalla dialettica tra la sacralizzazione dell’orrore e il ricordo, vivo, dello strazio. La polis e le sue ragioni, da un lato, e i volti di padri, fratelli, figli strappati alla rete di affetti quoti-diana e familiare, e precipitati nel vortice violento e distruttivo della guerra, dall’altro.

Una dialettica che tradisce domande che non hanno trovato una vera risposta collettiva, e alle quali forse non può esserci un’unica, unanime, risposta.

I versi composti per essere incisi sui polyandria ci sono pervenuti in gran parte attraverso il ricordo e la citazione di autori antichi o all’inter-no di raccolte antologiche, e dunque per via indiretta, ma all’inter-non mancaall’inter-no neppure esempi di iscrizioni tuttora conservate, né casi di epitafi pubbli-ci le cui parole sono serbate da qualche autore nella sua opera e che – in

11 Cfr. in proposito A. Petrovic, True lies of Athenian public epigrams, in M. Baumbach, A. Petrovic, I. Petrović (edd.), Archaic and Classical Greek

Epi-gram, Cambridge 2010, pp. 202-215.

12 Anche in Italia i morti della Prima guerra mondiale hanno conosciuto una strumentalizzazione politica: il culto del soldato caduto è comune a tutte le potenze che hanno preso parte al conflitto, ma in Italia esso viene ben presto a intersecarsi con il disegno politico del fascismo. Nel contesto del fascismo, infatti, «la glorificazione del soldato caduto […] viene decisamente convo-gliata verso la celebrazione della vocazione eroica e della guerra» (Zagnoni,

Retoriche del silenzio, cit., p. 184). Un esempio interessante di

strumentaliz-zazione politica della celebrazione dei caduti è offerto per la Grecia antica dall’epitafio per i caduti a Tanagra: la patina linguistica stessa del testo, che presenta tratti dorizzanti ben riconoscibili, sembra doversi leggere come l’e-spressione di un preciso orientamento politico dell’Atene di quegli anni (cfr.

infra p. 151 e V. Garulli, Byblos lainee. Epigrafia, letteratura, epitafio,

forma più o meno frammentaria – sono giunti anche su supporto lapi-deo13.

Alcuni di questi testi scandiscono snodi decisivi della storia greca14. I versi incisi sul monumento dedicato ai caduti della battaglia di Ma-ratona (490 a.C.) nell’agorà di Atene sono ricostruibili grazie ad una co-pia di IV secolo a.C. (IG3 I/2 503/504)15:

[ἀνδρῶν τῶνδ’ ἀρετὴ δόξει κλέ]ος ἄφθι[τον αἰεί], [οἷς ἂν ὑπὲρ ξυνῶν σκληρὰ] νέμωσι θεοί· [ἔσχον γὰρ πεζοί τε καὶ ] ὠκυπόρων ἐπὶ νηῶν [Ἑλλάδα μ]ὴ πᾶσαν δούλι]ον ἦμαρ ἰδεῖν. La virtù di questi uomini sarà gloria imperitura sempre

ai quali gli dèi assegnino una dura sorte per la salvezza dei beni comuni: infatti come fanti e sulle navi veloci impedirono

che l’Ellade tutta vedesse un giorno di schiavitù.

13 Un repertorio di epitafi per polyandria databili tra VI e I sec. a.C. si trova in W. Peek, Griechische Vers-Inschriften, I. Grab-Epigramme [d’ora in avanti GVI], Berlin 1957, pp. 1-15 nrr. 1-37. Sono tramandati da autori antichi nelle loro opere i testi nrr. 1, 3-6, 8, 10-13, 16, 21, 23, 28s., 31s., 35s.; ci sono noti solo in forma di epigrafi i nrr. 2, 9, 15, 17-20, 22, 24-26, 30, 33s., 37; casi di doppia trasmissione sono i nrr. 7, 14, 27. La sezione del VII libro dell’Anthologia

Pa-latina che raccoglie gli epitafi collettivi comprende gli epigrammi 242-259.

Sui casi di doppia trasmissione o di coincidenza strutturale tra epitafi trasmes-si per via epigrafica e quelli conservati per via letteraria mi permetto di rinvia-re a Garulli, Byblos lainee, cit., pp. 37-219.

14 Come ricorda ancora Zagnoni (Retoriche del silenzio, cit., p. 169), «la Prima guerra mondiale coinvolge drammaticamente tutta la popolazione italiana, ma contrariamente alla Seconda, è geograficamente limitata ai margini nord-orientali del paese, che sono chiamati a sperimentare e sopportare l’inusitata violenza della guerra moderna in nome del ‘supremo interesse’ della ‘grande patria’ nazionale. In conseguenza di ciò, località fino ad allora note solo all’in-terno delle ristrette comunità – delle ‘piccole patrie’ – che costellano tali terri-tori, divengono assolutamente centrali, non tanto e non solo per la retorica na-zionalista, bensì anche nella memoria dei combattenti e dei congiunti delle vittime». Qualcosa di analogo è successo anche per certe battaglie che hanno segnato la storia della Grecia antica.

15 Un’edizione dell’iscrizione che integra i dati dell’iscrizione originale e di quel-li della copia si deve a B.D. Meritt, Epigrams from the battle of Marathon, in S.S. Weinberg (ed.), The Aegean and the Near East. Studies Presented to

Het-ty Goldman on the Occasion of Her SevenHet-ty-fifth Birthday, New York 1956,

Di quanti persero la vita a Salamina (480 a.C.) i Corinzi furono sepol-ti e celebrasepol-ti sul luogo stesso della battaglia con un monumento le cui parole risuonano ancora nelle pagine di Plutarco (Malign. Herod. 870e) e di Favorino (Corinth. or. 18s.), e si intravvedono in un frammento di stele rinvenuto nel 1895 a Salamina e conservato nel Museo Nazionale di Atene16:

˻ξ<εῖ>νε, εὔhυδρ]όν ποκ’ ἐναίομες ἄστυ Ϙορίνθο,˼ ˻νῦν δὲ hα<μὲ> Αἴα]ν̣τος [νᾶσος ἔχει Σαλαμίς˼. | ˻ἐνθάδε Φοινίσσας ν<ᾶ>ας καὶ Πέρσας hελόντες˼ | ˻καὶ Μέδος hι<α>ρὰν hελλάδα ῥυ<σά>μεθα˼.

Straniero, un tempo abitavamo la città di Corinto ricca di acque, ora invece insieme ad Aiace ci tiene l’isola di Salamina. Qui prendemmo le navi fenicie e persiane,

e i Medi, e salvammo l’Ellade sacra.

Fortuna maggiore di ogni altra parola incisa su un monumento ai ca-duti ha conosciuto già in antico il celebre epitafio per gli Spartani morti alle Termopili nel 480 a.C., quasi prototipo del genere, ripetutamente ci-tato anche in forme variate e attribuito a Simonide, l’auctor greco di pubblici epitafi consacrato da una tradizione secolare17:

ὦ ξεῖν’, ἀγγέλλειν Λακεδαιμονίοις, ὅτι τῇδε κείμεθα, τοῖς κείνων πειθόμενοι νομίμοις.

16 Il testo è quello di P.A. Hansen, Carmina epigraphica Graeca, I (saeculorum

VIII-V a.Chr.n.) [d’ora in avanti CEG], Berolini-Novi Ebo raci 1983, p. 71 nr.

131. Per un apparato critico che fornisca un quadro della complessa trasmis-sione del testo cfr. Garulli, Byblos lainee, cit., p. 67. L’iscrizione fu pubblica-ta per la prima volpubblica-ta da S.N. Dragoumis, Σιμωνίδου ἐπίγραμμα καὶ ὁ ἐν

Σαλαμῖνι τάφος τῶν Κορινθίων, «MDAI(A)» 22, 1897, pp. 52-58 (con tav.

9): sul testo vd. il saggio di M. Manfredini, Gli epigrammi del De Herodoti malignitate, «ASNP» s. 3, 21, 1991, pp. 559-590, oltre a Garulli, Byblos

lai-nee, cit., pp. 63-72.

17 Per il testo vd. Further Greek Epigrams. Epigrams before A.D. 50 from the

Greek Anthology and Other Sources, not Included in ‘Hellenistic Epi grams’ or ‘The Garland of Philip’, ed. by D.L. Page, rev. and prep. for publication by

R.D. Dawe, J. Diggle, Cambridge 1981, p. 234 (‘Simon.’ XXIIb). Sul caratte-re divenuto proverbiale del testo, cfr. R. Tosi, Dictionnaicaratte-re des sentences

lati-nes et grecques, Grenoble 20102, p. 644 nr. 846. A proposito di Simonide scri-ve Bravi (Gli epigrammi di Simonide, cit., p. 46): «il ruolo di Simonide fu quasi di ‘voce ufficiale’ poetica a celebrazione del successo della guerra».

Straniero, annuncia ai Lacedemoni che qui riposiamo, per aver obbedito alle loro leggi.

Ugualmente come ‘simonideo’ è trasmesso l’epitafio per i caduti nel-la battaglia dell’Eurimedonte (468 a.C.) dall’Anthologia Panel-latina (7.258)18:

Οἵδε παρ’ Εὐρυμέδοντά ποτ’ ἀγλαὸν ὤλεσαν ἥβην μαρνάμενοι Μήδων τοξοφόρων προμάχοις αἰχμηταί, πεζοί τε καὶ ὠκυπόρων ἐπὶ νηῶν· κάλλιστον δ’ ἀρετῆς μνῆμ’ ἔλιπον φθίμενοι.

Costoro sull’Eurimedonte un tempo persero la luminosa giovinezza combattendo contro quelli che stanno nelle prime file degli arcieri persiani, armati di lance, fanti e sulle navi veloci;

un bellissimo monumento di virtù hanno lasciato morendo.

Dell’epitafio collettivo per i caduti a Tanagra (457 a.C.) si legge l’in-tero testo nelle antologie epigrammatiche19 e alcune lettere centrali di tutti e quattro i versi in un frammento di lastra marmorea ateniese20:

Χαίρετ’, ἀριστῆες πολέμου μέγα κῦδος ἔχοντες, κοῦροι Ἀθηναίων ἔξοχοι ἱπποσύνᾳ,

οἵ ποτε καλλιχόρου περὶ πατρίδος ὠλέσαθ’ ἥβην πλείστοις Ἑλλάνων ἀντία μαρνάμενοι.

Salve, nobili guerrieri che detenete una grande gloria di guerra, giovani eccellenti tra gli Ateniesi nella cavalleria,

voi che un tempo per la bella patria avete perduto la vostra giovinezza resistendo di fronte alla moltitudine dei Greci.

La stessa felice coincidenza fra la tradizione letteraria, e in particola-re antologica, e un documento epigrafico – il frammento di una lapide marmorea trovato nei pressi dell’Olympieion di Atene – che ne

confer-18 Il testo è trasmesso anche dall’Anthologia Planudea (IIIa 5.27 f. 31r) e si trova da ultimo in Page, Further Greek Epigrams, cit., pp. 271s. Cfr. anche Bravi,

Gli epigrammi di Simonide, cit., pp. 83s. nr. 46 e Garulli, Byblos lainee, cit.,

pp. 110-116 nr. 2.2.1.a. 19 AP 7.254 e APl IIIa 5.24 f. 31r.

20 Il frammento è stato edito prima in IG II/3 1677, poi in IG2 I 946, infine in IG3

I/2 1181. Per un’edizione del testo cfr. Page, Further Greek Epigrams, cit., pp. 274-276 ‘Simon.’ XLIX. Si veda da ultimo Garulli, Byblos lainee, cit., pp. 56-63 nr. 2.1.2.

ma l’attendibilità interessa anche l’epitafio per i caduti ateniesi nella battaglia di Cheronea (338 a.C.)21:

Ὦ Χρόνε, παντοίων θνητοῖς πανεπίσκοπε δαῖμον, ἄγγελος ἡμετέρων πᾶσι γενοῦ παθέων· ὡς ἱερὰν σῴζειν πειρώμενοι Ἑλλάδα χώραν Βοιωτῶν κλεινοῖς θνῄσκομεν ἐν δαπέδοις. O Tempo, dio che vigili su ogni impresa mortale, sii messaggero delle nostre disgrazie a tutti:

riferisci che, nel tentativo di salvare la sacra terra dell’Ellade, perdiamo la vita nei celebri campi di Beozia.

Non sono questi che alcuni esempi di poesia per i caduti in guerra del-la Grecia antica, che riguardano eventi bellici carichi di conseguenze cruciali sulla storia politica e di risonanze drammatiche nella storia let-teraria greca. Si tratta di testi brevi, che nel caso degli esempi sopra ci-tati non superano mai i due distici, verosimilmente perché la circostan-za in cui i caduti trovarono la morte era ben nota nei dettagli alla comunità, in quanto oggetto di commemorazione ufficiale e pubblica.

Tali brevi carmi ricercano nella grandiosità delle immagini e in un linguaggio specifico, codificato e consacrato da una tradizione secolare e quindi condiviso e riconoscibile, quella solennità ispirata capace di conferire all’orrore il respiro ideologico dell’immortalità eroica. La con-tinuità e la coerenza di questo codice, evidente nelle riprese puntuali e strutturali22, è funzionale alla creazione di un vero e proprio vocabolario e immaginario eroico: il ricorrere di stilemi e di strutture associate nella

21 Cfr. AP 7.245 e APl IIIa 5.16 f. 31r, che fanno il nome di Getulico, un’attribu-zione tuttavia inconciliabile con la cronologia di un epitafio ufficiale risalente all’epoca dei fatti. Per il frammento lapideo cfr. e.g. IG II/3 1680; IG2 II/III/3,2 5226; CEG 467. La documentazione epigrafica relativa al sacrario ateniese per la battaglia di Cheronea potrebbe includere un altro frammento di stele mar-morea, che permette di leggere solamente alcune lettere su tre linee di scrittu-ra, compatibili con l’ipotesi che si trattasse di una lista di caduti. Sul caso di doppia trasmissione e sull’intero quadro documentario relativo al δημόσιον σῆμα per i caduti a Cheronea, cfr. Garulli, Byblos lainee, cit., pp. 39-56 nr. 2.1.1.

22 Per limitarsi ai testi citati sopra, si noti la ripresa del sintagma ὠκυπόρων ἐπὶ νηῶν nella medesima posizione metrica (v. 3) nell’epitafio per i caduti a Ma-ratona e in quello per la battaglia dell’Eurimedonte. In generale, le coinciden-ze puntuali o strutturali che si rilevano negli epitafi sono una spia importante dei meccanismi di composizione e di circolazione dei testi epigrafici (cfr. Ga-rulli, Byblos lainee, cit., pp. 216-219).

memoria collettiva ad un evento storico già consacrato dall’unanime ri-conoscimento come impresa eroica contribuisce a collocare il nuovo evento celebrato su di un piano altrettanto solenne e sacro.

Ed è così che le imprese compiute e i loro protagonisti si ammantano delle parole e delle metafore che evocano l’epica eroica: anche in quel-le paroquel-le e in quelquel-le immagini, tuttavia, vibrano tensioni estranee alquel-le ideologie della polis e della guerra, e le ombre di una terribile e quotidia-na realtà si insinuano tra i fulgori della gloria, del κλέος.

La tensione emotiva e concettuale che percorre i testi si sviluppa tra due poli, uno positivo e l’altro negativo: da un lato, ci sono i valori po-sitivi e consolatorî della religione civile, del sacrificio per la libertà del-la patria e deldel-la gloria eterna; dall’altro, il gelo vuoto deldel-la morte, deldel-la perdita assoluta e traumatica. Intorno a questi due estremi si polarizza il lessico tradizionale e formulare dei polyandria.

I valori positivi della patria e della gloria prendono corpo lessicale non solo nei verbi che trasfigurano l’evento bellico in termini eroici, come ῥύομαι ‘difendere’, ‘salvare’, μάρναμαι ‘lottare’, ‘resistere’, ἵεμαι ‘slanciarsi’, ma naturalmente anche nei sostantivi che verbalizza-no esattamente quei valori presentati come patrimonio comune e come più preziosi della vita stessa, quali πατρίς ‘patria’, ἐλευθερία ‘libertà’, come pure la virtù individuale (ἀρετή) e il personale destino di gloria (κῦδος). A completare il lessico dell’ideologia della guerra sono le pa-role della sopravvivenza nel ricordo: in primis μνῆμα, ‘monumento’, che rappresenta una vera e propria parola-chiave del lessico funerario greco, le cui risonanze si estendono e si prolungano all’infinito.

Ciascuno degli elementi lessicali individuati trova il suo ‘negativo’ al polo opposto, che corrisponde allo sguardo nudo e diretto su una realtà di morte e di perdita irreparabile: ai verbi che descrivono una lotta eroi-ca fanno da contrappunto quelli che svelano tutta la traumaticità stra-ziante e sanguinosa dei fatti (i verbi di morte, ὄλλυμι, φθίμενοι, θνῄσκω); ai valori comuni rispondono i termini che descrivono un male collettivo (Ἄρης ‘Ares’, πόλεμος ‘guerra’, ἐχθρός e δυσμενής ‘nemi-co’); al destino glorioso si mescola il ricordo struggente della vita indi-viduale perduta per sempre nella sua quotidianità (ἀγλαός ‘splendido’,

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