• Non ci sono risultati.

IO, ARCHILOCO, SOLDATO E POETA

Nel documento MIMESIS / CLASSICI CONTRO (pagine 49-69)

Ti ricordi, per esempio, Lola, di uno dei soldati ammazza-ti nella guerra dei Cent’anni? … Hai mai cercato di cono-scere uno solo di questi nomi? ... No, vero? […] Non c’è che la vita che conta.

L.F. Céline, Viaggio al termine della notte In un celebre distico elegiaco Archiloco afferma (fr. 1 West):

Io sono scudiero del signore Enialio e conosco l’amabile dono delle Muse.

Archiloco rivendica per sé due ruoli: scudiero (attendente, si direbbe nel linguaggio militare corrente) del dio della guerra Ares e conoscitore dell’arte che viene dalle Muse: soldato e poeta. I versi fanno emergere, com’è noto, una novità nella storia della cultura occidentale. L’io del po-eta è il protagonista. Nell’epica omerica l’io del cantore non è assente, ma è impersonale ed esterno ai fatti narrati1. Nell’opera di Esiodo emer-gono alcune indicazioni sulla vita dell’autore2. Ma è nei versi di Archi-loco e degli altri ‘lirici’ che il poeta, con il suo vissuto e le sue idee, le sue esperienze e le sue aspirazioni, le sue emozioni e i suoi pensieri, oc-cupa il centro di gravità del fare versi.

In realtà, la questione dell’io poetico è complessa e controversa, e non è possibile affrontarla in questa sede. Dei rapporti con l’epica ci occupe-remo più avanti. Quanto al resto, possiamo certamente dire che, come insegnano gli studi degli ultimi decenni, è semplicistico e

potenzialmen-1 Basti pensare alla protasi del Catalogo delle navi (Il. 2.484) o al primo verso dell’Odissea («Cantami, o Musa, …») o anche al dialogo immaginario del can-tore con Patroclo (Il. 16.692ss.). Vd. anche infra.

2 Hes. op. 634ss., oltre alla celebre contesa con il fratello Perse (vv. 27ss.) e

all’incontro con le Muse (Theog. 1ss.), sempre che ad essi si accordi valore biografico.

te fuorviante identificare l’io della poesia arcaica (e della poesia di ogni tempo) sempre e comunque con la figura storica dell’autore: la natura comunitaria e l’esecuzione pubblica della lirica greca, oltre che la possi-bilità di convenzioni espressive come per esempio la persona loquens (ovvero l’introduzione di un soggetto che parla in prima persona), fanno sì che l’io possa assumere vari ruoli e veicolare diversi messaggi, non necessariamente autobiografici3. In ogni caso, per chiudere questa indi-spensabile premessa ed entrare nel vivo della nostra trattazione, dichia-ro di schierarmi dalla parte di chi, pur con le dovute cautele e attenzioni, ritiene che i testi di Archiloco possano contenere indicazioni sulla sua vita4. Proprio la dimensione extra-individuale della poesia arcaica e il suo radicamento nella comunità determinano un rapporto, tanto com-plesso e stratificato quanto ineludibile, con la realtà. Nella maggior par-te dei casi i documenti storici e archeologici, là dove è possibile, confer-mano i dati ricavabili dalla poesia.

Ci limiteremo qui a una stringata selezione di notizie su Archiloco, che torneranno utili al nostro discorso. Archiloco nacque intorno al 700 a.C. a Paro da famiglia notabile. Il nonno Tellis aveva partecipato alla colonizzazione dell’isola di Taso e qui, insieme con la sacerdotessa Cle-obea, aveva introdotto i misteri di Demetra, come ricordava il grande pittore Polignoto in un dipinto del V secolo a Delfi (Paus. 10.25ss.). Te-lesicle, padre di Archiloco, fu scelto tra i cittadini di Paro per interroga-re a Delfi la Pizia, la quale, secondo la tradizione, gli pinterroga-reconizzò la glo-ria del figlio5. L’oracolo pronunciò a Telesicle anche un responso sulla colonizzazione di Taso6. Ma la mamma di Archiloco, informano le testi-monianze antiche sulla scorta dei versi del poeta stesso, era una schiava

3 Da diverse prospettive (e con riferimento soprattutto ad Archiloco) si veda-no K.J. Dover, The Poetry of Archilochos, in Archiloque, Vandoeuvres-Genève 1964 (Entretiens Hardt 10), pp. 181-222; M.G. Bonanno, Nomi e

so-prannomi archilochei, «MH» 37, 1980, pp. 65-88; B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Milano 20064, pp. 267ss.; L. Kurke, Archaic

Greek Poetry, in H.A. Shapiro (ed.), The Cambridge Companion to Archaic Greece, Cambridge 2007, pp. 141-168; C. Carey, Iambos, in F. Budelmann

(ed.), The Cambridge Companion to Greek Lyric, Cambridge 2009, pp. 149-167 (pp. 152ss.).

4 Un’incisiva e convincente presentazione della questione in A. Aloni, Poesia e

biografia: Archiloco, la colonizzazione e la storia, «Annali Online di Ferrara -

Lettere» 1, 2009, pp. 64-103.

5 Iscrizione di Mnesiepes, SEG 15. 517, E1 col II 43ss.

6 Oenom. fr. 16.37-38 Hammerstaedt apud Eus. praep. Ev. 6.7.8; Steph. Byz.

tracia di nome Enipò7. Un’informazione sospetta. ̓Ενιπή in greco signi-fica «ingiuria», «biasimo». Un nome che è sembrato fin troppo parlante per il poeta che si vantava di saper fare bene «una sola grande cosa: ri-cambiare chi mi fa del male con malefici insulti»8. Non è da escludere che le fonti e Crizia in particolare, come vedremo, abbiano preso un po’ troppo alla lettera qualche ironica autodefinizione genealogica dell’io poetico in Archiloco, orgogliosamente e sfacciatamente proclamatosi fi-glio della maldicenza. Un’altra vicenda clamorosa e scabrosa, che lasciò il segno nell’opera del poeta e nelle tradizioni sulla sua persona, è il mancato matrimonio con Neobule. Licambe aveva promesso la figlia Neobule in sposa ad Archiloco, ma poi rifiutò di mantenere il patto. Di qui i versi ingiuriosi che, stando alla leggenda, spinsero addirittura al suicidio Licambe e le figlie9.

A un certo punto Archiloco dovette lasciare Paro e migrare a Taso (250 miglia a nord nell’Egeo) per un altro tentativo di colonizzazione. Nelle sue descrizioni la nuova patria è tutt’altro che una terra promessa: «Sta come una schiena d’asino, coronata di boschi selvatici» (fr. 21 West), «né bella, né desiderabile, né amabile» (fr. 22 West), su di essa «si è data convegno la miseria di tutta la Grecia» (fr. 102 West). In veri-tà Taso è un’importante testa di ponte verso la Tracia e occupa una posi-zione di rilievo sulle rotte commerciali dell’Egeo settentrionale; poteva vantare una certa quantità di terre da coltivare e soprattutto ricche minie-re. L’occupazione di zone di Taso avvenne mediante una serie di tratta-tive, ma anche e soprattutto di conflitti, con le genti dell’isola. Archilo-co Archilo-combatté Archilo-contro popolazioni locali, Archilo-contro le tribù dei Traci che muovevano dalle prospicienti coste del continente e contro i Nassi che cercavano anch’essi di occupare spazi sull’isola10. Paro e Nasso, due isole contigue delle Cicladi, visibili l’una dall’altra a occhio nudo, sorel-le e nemiche tra loro come solo sorel-le posorel-leis greche – e i Comuni italiani nel Medioevo – seppero fare, portarono fino a Taso la loro sanguinosa

riva-7 Crit. 88 B 44 D.-K (= test. 32 Gent.-Pr.) apud Ael. var. hist. 10.13.

8 Archil. fr. 126 West: ἓν δ᾿ ἐπίσταμαι μέγα, / τὸν κακῶς ‹μ᾿› ἔρδοντα δεννοῖς (Herzog; δεινοῖς codd., West) ἀνταμείβεσθαι κακοῖς.

9 Tra le numerose riprese della vicenda nell’antichità vd. per esempio Dioscori-de (anth. Pal. 7.351) e Orazio (ep. 6.11 ss. con gli scolî al passo); altre testimo-nianze in D.E. Gerber (ed.), Greek Iambic Poetry, Cambridge (Mass.)-London 1999, pp. 46ss.

10 Alle vicende belliche di Taso e alla partecipazione di Archiloco ad esse, anche mediante la citazione di versi del poeta, si fa spesso riferimento nella cosiddet-ta Iscrizione di Sostene (IG XII 5.1 nr. 445), risalente al 100 a.C. circa e rinve-nuta a Paro, che si fonda sull’opera di uno storico locale di nome Demea.

lità. Proprio in uno scontro armato con un uomo di Nasso, Calonda det-to Corace («Corvo»), Archiloco morì, quindi in età non avanzata. In se-guito, quando Calonda si recò a Delfi, la Pizia, in linea coi rapporti che legavano il santuario pitico e la famiglia di Archiloco, lo cacciò senza esitare: «Esci dal tempio: hai ucciso il servo delle Muse»11.

Uno degli aggettivi a più alta densità di occorrenza in qualunque scritto su Archiloco è ‘primo’. Egli fu ritenuto il πρῶτος εὑρετής, cioè l’inventore, della poesia giambica (oltre che della parakatalogé, l’ese-cuzione in recitativo), e come tale è ricordato fino ad oggi (anche se nel-le edizioni moderne il primo posto è occupato quasi immancabilmente dall’elegia del poeta soldato)12. La sua opera fu apprezzata nell’antichi-tà. Sappiamo, tra le altre cose, che i suoi versi erano eseguiti dai rapsodi e anche messi in musica in pubbliche performance, accanto a quelli di autorità quali Omero ed Esiodo13. La sua popolarità fu tale che nel V e nel IV sec. a.C. egli è oggetto di parodia sulla scena teatrale ad Atene e diventa l’eponimo di due commedie: gli Archilochi di Cratino e

l’Archi-loco di Alessi. I più raffinati critici dell’antichità ammirarono la sua

for-midabile vis poetica14.

Ma, in parallelo con gli apprezzamenti e ancora prima, tra VI e V se-colo, in maniera ancora più virulenta, corre la tradizione degli attacchi da parte di personalità di primo piano. Eraclito (fr. 22 B 42 D.-K.) affer-mava che Archiloco, insieme con Omero, meritava di essere cacciato da-gli agoni rapsodici a bastonate. Pindaro formula un icastico giudizio contro il poeta maldicente e povero per eccellenza, prendendone le di-stanze: «Pur di lontano ho veduto / il maledico Archiloco, / spesso in mi-seria, impinguarsi / nell’insulto e nell’odio»15. E il nobile Crizia, raffina-to intellettuale nonché uno degli efferati Trenta tiranni di Atene, accusa Archiloco di aver lasciato di sé una pessima fama, dicendo che era figlio della schiava Enipò, che emigrò a Taso per indigenza, che lì si inimicò gli abitanti del posto e che parlava male di tutti, amici e nemici, e che inoltre era adultero, lascivo e violento e, cosa peggiore di tutte, che

get-11 Vd., tra gli altri, Plut. ser. num. vind. 560e; Galen. protrept. 9.22; Ael. Aristid.

or. 46.293 s.

12 Anche qui solo alcuni esempi: Ov. Ib. 519s.; Ps. Plut. mus. 1140s.; Clem. Alex.

strom. 1.16.79.

13 Plat. Ion 531a-532a; Clearch. fr. 92 Wehrli; Chamail. fr. 28 Wehrli.

14 Quint. inst. 10.1.59 s.; subl. 33.4; Longin. fr. 48 Patillon-Brisson; Dio Chrys. or. 33.11s. etc.

15 Pind. Pyth. 2.53 ss. (trad. it. B. Gentili); lo stesso Pindaro in Ol. 9.1ss. ricorda

tò via lo scudo16. Un ritratto edificante, non c’è che dire, che non manca di pennellate in tempi recenti. Nel 1974 l’insigne studioso tedesco Reinhold Merkelbach, nel commentare l’Epodo di Colonia (fr. 196a West) e le gesta erotiche ivi narrate, non si trattenne dal definire Archi-loco «ein schwerer Psychopath»17. Ma, per delineare un quadro comple-to e corretcomple-to, non va neppure taciucomple-to che egli fu eroizzacomple-to e divenne og-getto di un vero e proprio culto nelle sue due patrie, Paro e Taso18. Per lui, insomma, potremmo usare la formula con cui, 2600 anni più tardi, Gabriele d’Annunzio si autodefinì nel finale del Proemio alla Vita di

Cola di Rienzo: «Compreso e incompreso, amato e abominato,

glorifica-to e vituperaglorifica-to».

Il confronto con d’Annunzio, pur nell’evidente anacronismo, fa veni-re in mente un altro aspetto. Se vogliamo aggiungeveni-re l’ennesimo prima-to ai tanti che già può vantare, Archiloco è il capostipite di una figura che avrà grande fortuna nella storia e nell’immaginario: il poeta soldato. Egli inaugura e guida il manipolo dei soldati poeti della letteratura occi-dentale. Il pensiero corre, per fare solo qualche nome tra i tanti degli ul-timi duecento anni, a Theodor Körner, George Byron e Ugo Foscolo sino a Gabriele d’Annunzio, appunto, a Giuseppe Ungaretti, al «poeta-filosofo-soldato-matematico» Carlo Emilio Gadda19 e ai tanti giovani letterati, soprattutto dell’ambiente de La voce, che nella prima guerra mondiale versarono l’inquietudine e il sangue di un’intera generazione, ma anche per esempio, sul fronte inglese dello stesso conflitto, a Wilfred Owen.

Un rapporto tra guerra e poesia che trova numerose conferme ed ela-borazioni in altre personalità e in altri generi della comunicazione d’ar-te. Penso, per esempio, al cinema e a due casi tra loro distanti, ma sinto-matici. In Apocalypse now di Francis Ford Coppola, che ambienta il racconto Cuore di tenebra di Joseph Conrad nella guerra del Vietnam, in una memorabile scena il Colonnello Kurtz (Marlon Brando) pronuncia l’ode The Hollow Men (Gli uomini vuoti) di Thomas Stearns Eliot. In

Mediterraneo di Gabriele Salvatores, invece, un carme di Saffo è

ricor-dato prima dall’ufficiale di comando e poi da un solricor-dato dell’esercito

16 Crit. 88 B 44 D.-K. (= test. 32 Gent.-Pr.) apud Ael. var. hist. 10.13.

17 R. Merkelbach, Ein Archilochos-Papyrus. Epilog des einen der Herausgeber, «ZPE» 14, 1974, p. 113.

18 Materiali raccolti e discussi da D. Clay, Archilochos Heros: The Cult of Poets

in the Greek Polis, Washington, D.C. 2004; vd. anche M. Ornaghi, La lira, la vacca e le donne insolenti, Torino 2009.

italiano della seconda guerra mondiale in un’isola greca. Si tratta, ovvia-mente, di due casi non storici, nei quali, oltretutto, i militari in questio-ne non sono autori dei brani recitati. Eppure, entrambi i casi testimonia-no come poesia e guerra si incrocitestimonia-no, siatestimonia-no assimilabili e associati nell’immaginario, ma anche nella realtà.

Come mai, viene da chiedersi, due fenomeni a prima vista tanto di-versi e contrastanti, persino agli antipodi secondo il senso comune, pos-sono essere così in relazione? È evidente che le risposte pos-sono tante e storicamente varie, ma tra di esse ve ne è una di lunga durata: entram-be, la poesia quanto la guerra, mettono a nudo gli aspetti più profondi dell’essere umano e del vivere sociale senza ipocrisie e mediazioni. La poesia e la guerra sono una potente lente d’ingrandimento per guardare in faccia l’amore e l’odio, la ferocia e la pietà, l’amicizia e la vendetta, il bene e il male. C’è un confine pericoloso e vertiginoso dei comporta-menti umani. A volte è necessario accostarvisi e sporgersi da esso. An-che se in modi diversi, il poeta e il soldato si spingono sul limite di que-sto confine.

Tuttavia, bisogna immediatamente segnalare una profondissima dif-ferenza tra il poeta antico e gli emuli moderni. Come notava Ateneo (14.627c) citando il distico del soldato poeta, Archiloco antepone la par-tecipazione alle vicende cittadine, quindi l’attività militare, a quella po-etica. Per lui la guerra non è, come per i suoi colleghi romantici e post-romantici, completamento esistenziale né tanto meno si vena di compiacimenti estetizzanti. Per Archiloco la guerra appartiene all’oriz-zonte quotidiano della sua esistenza. Già nel suo nome pare inscritto questo destino con cui convivere giorno per giorno. Archiloco significa «colui che guida un agguato (o un manipolo di soldati)». Su un’analoga dimensione di realismo e di attualità sembra disporsi anche l’attività di poeta. L’immortalità, che ci consente oggi di parlare di Archiloco, gli è venuta dalla poesia. Tuttavia, nella sua opera non vi è cenno, almeno per quanto ne sappiamo, al potere della poesia di dare la fama. Certo, egli compone grazie alla conoscenza del «dono delle Muse» (così come nel-la mansione di soldato è attendente di Ares)20, ma la poesia eternatrice, che pure trova diverse formulazioni nella Grecia arcaica, è ben altra cosa21.

20 E sa intonare «il bel canto di Dioniso signore, il ditirambo, quando folgorato dal vino nella mente» (fr. 120 West).

21 A proposito del rapporto con le Muse, non si può non ricordare il vivace rac-conto di iniziazione poetica di Archiloco ad opera delle Muse, che è conserva-to nell’Iscrizione di Mnesiepes (SEG 15.517, E1 col II 22ss.).

A essere precisi, il primo guerriero e cantore che noi conosciamo è Achille. Nel nono libro dell’Iliade (vv. 185ss.), quando Odisseo, Aiace e Fenice giungono per l’ambasceria presso la tenda di Achille, trovano l’eroe che si diletta a cantare le imprese gloriose degli uomini, accompa-gnandosi con la cetra, «davanti a un pubblico costituito da un unico astante, Patroklos»22. Ma Achille è un personaggio dell’epica, e chissà quali gesta e di chi il Pelide cantava nella sua tenda, chissà se i compo-nimenti erano suoi o di altri. «Achille non è in grado di cantare la pro-pria ira di fronte a Patroclo; sa solo imitare l’aedo… Essere guerriero e poeta è un privilegio in cui il mondo storico supera quello dell’epica e del mito»23.

Ma perché Archiloco combatte? Un luogo comune, piuttosto duro a morire, vuole che Archiloco fosse un mercenario. Nonostante alcuni giusti richiami alla prudenza24, è facile imbattersi ancora in perentorie affermazioni su Archiloco soldato di ventura. In effetti, nei suoi versi è attestato per due volte il termine epikouros, la sola parola del lessico gre-co arcaigre-co che, in taluni gre-contesti, si avvicina al significato moderno di mercenario. Ma la lettura puntuale di questi passi non dimostra, anzi piuttosto muove contro l’ipotesi di Archiloco mercenario. Nel primo caso il poeta dice al suo amico Glauco che «un epikouros è amico solo finché combatte» (fr. 15 West): un commento realistico (e certamente non un complimento) sull’inaffidabilità del mercenario, quasi a prende-re le distanze da questa tipologia di combattente, che comunque non coinvolge direttamente l’io parlante. Nella seconda occorrenza si legge: «e certo sarò chiamato epikouros come uno della Caria» (fr. 216 West). Stando alle fonti antiche, i Carii furono i primi a combattere per altri die-tro compenso. Si è discusso se l’enunciato archilocheo implichi l’ap-prezzamento del valore bellico degli epikouroi25 o presupponga, al con-trario, un giudizio negativo nei loro confronti26, sino persino a paventare il rischio di essere accomunato a essi27. In ogni caso, a me sembra

evi-22 A. Camerotto, Le storie e i canti degli eroi, «QUCC» 74, 2003, pp. 9-31 (p. 12).

23 M. Vetta, Symposion, Napoli 1999, p. 15.

24 Vd. M. Bettalli, Mercenari. Il mestiere delle armi nel mondo greco antico: età

arcaica e classica, Roma 2013, pp. 47ss.

25 Cfr. B.M. Lavelle, The Apollodoran Date for Archilochus, «CJ» 97, 2002, p. 344-351.

26 Cfr. F. Lasserre, A. Bonnard (edd.), Archiloque. Fragments, Paris 1958, p. 9. 27 Cfr. A.J. Podlecki, Three Greek Soldier-poets: Archilochus, Alcaeus, Solon,

dente che l’uso del tempo futuro indichi una possibilità diversa rispetto alla realtà di chi parla: proprio perché egli non è mercenario, quando ac-cadrà un dato evento nel futuro, sarà chiamato in quel modo (positivo o negativo che sia).

Ma c’è un brano che più di altri, a prescindere dal termine epikouros, ha scatenato l’immaginazione a favore dell’Archiloco mercenario (fr. 2 West):

ἐν δορὶ μέν μοι μᾶζα μεμαγμένη, ἐν δορὶ δ᾿ οἶνος Ἰσμαρικός· πίνω δ᾿ ἐν δορὶ κεκλιμένος.

Il distico è interpretato sostanzialmente in due differenti maniere. La parola chiave è dory. Se la si intende col significato di «lancia», si può tradurre:

Alla lancia io devo la mia focaccia impastata, alla lancia il vino di Ismaro, io bevo appoggiato alla lancia.

Dalla lancia Archiloco trarrebbe il proprio sostentamento e quindi la sua vita si risolverebbe in quella di professionista della guerra28. Ma a questa ricostruzione si può innanzitutto obiettare che procurarsi cibo grazie alle armi non equivale a essere un soldato di mestiere né tanto meno un mercenario; più semplicemente, può essere il risultato di scor-rerie e saccheggi da parte di chi è impegnato a combattere pur senza es-sere un professionista delle armi.

Ma, soprattutto, è possibile e, anzi, senz’altro preferibile un’interpre-tazione radicalmente diversa, che fu proposta per la prima volta cin-quanta anni fa da Bruno Gentili29. Non entro nei dettagli della questione, i cui termini sono noti. Mi limito a ricordare che, secondo Gentili, dory «legno» starebbe qui a significare metonimicamente la nave, con proce-dimento che ha paralleli in poeti antichi (e non solo: «ché dalla nuova terra un turbo nacque / e percosse del legno il primo canto» dice Ulisse nella Commedia di Dante a proposito del celebre naufragio). Dovremo dunque tradurre:

28 Per una rassegna delle diverse esegesi si rinvia a D.E. Gerber, Early Greek

Elegy and Iambus 1921-1989, «Lustrum» 33, 1991, pp. 7-225, 401-409 (pp. 51

ss.), cui si aggiunga A. Nicolosi, Archiloco. Elegie, Bologna 2013, p. 61ss. per un aggiornamento della bibliografia e per una rilettura sulla base di δόρυ = «lancia».

29 Per una sintesi vd. G. Perrotta, B. Gentili, C. Catenacci (edd.), Polinnia.

Sul legno (della nave) è per me la focaccia impastata, sul legno è il vino d’Ismaro; bevo disteso sul legno.

Così intesi, i nostri versi potrebbero appartenere alla stessa elegia di un altro frammento (4 West):

Su, gira con la tazza tra i banchi della nave veloce e stappa gli orci panciuti;

attingi vino rosso depurato della feccia: non potremo stare sobri in questa veglia.

L’invito è a bere vino tra i banchi della nave, durante una veglia in mare, attingendo fino al fondo degli orci col kothon, una grossa coppa in dotazione alle milizie spartane, che con la sua speciale conformazione consentiva di trattenere le impurità sul bordo. In questo caso si tratta non di impurità dell’acqua, ma di depurare della feccia il vino, di cui lo sbal-lottamento sul mare non consente la decantazione30.

Se il fr. 4 e il fr. 2 appartengono allo stesso componimento, il carme descrive un simposio che Archiloco e i suoi compagni d’armi celebrano durante una veglia militare sul mare. Ma anche se provengono da due di-verse elegie, essi concorrono a illustrare la vita militare di Archiloco. In

Nel documento MIMESIS / CLASSICI CONTRO (pagine 49-69)