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I caratteri dei partiti italiani secondo la Costituzione

Lo Statuto del Regno d’Italia del 1848, oltre a non fare alcun accenno ai partiti, non riconosceva neppure implicitamente il diritto di associazione. Ciononostante l’allargamento del suffragio e l’introduzione della proporzionale favorirono lo sviluppo, l’organizzazione e l’accentuarsi del vincolo di gruppo negli stessi. In seguito, nel primo dopoguerra, soprattutto il Partito Socialista e il Partito Popolare ebbero una notevole organizzazione sparsa in ogni parte dell’Italia. Questi gruppi politici erano vere e proprie entità stabili, con una propria ideologia, un proprio programma, uno Statuto e organi deliberanti ed esecutivi 1.

L’avvento del Partito fascista al potere dello Stato instaurò il regime a partito unico2. Tuttavia, dopo la seconda guerra mondiale, con il ritorno della libertà e della democrazia, i partiti politici risorgono rigogliosi e accentuano sempre più la loro organizzazione e il loro carattere di entità stabili e nazionali. La dissoluzione di forme di Stato di tipo autoritario-totalitario infatti porta, nell’ambito delle nuove e più mature forme di espressione dello Stato di democrazia pluralista, ad una ripresa ed un’esaltazione del ruolo chiave del partito nel funzionamento delle istituzioni 3 . Esso diviene l’intermediario

1 Per un approfondimento: C. M

ORANDI,I partiti politici in Italia dal 1848 al 1924, Mondadori Education, 1997.

2 F. L

EONI , Storia dei partiti politici italiani, Guida, Napoli, 2001, pp. 420- 432.

3 Tale coessenzialità tra partito e forma di Stato di democrazia pluralista si ripercuote sul piano dell’attenzione che il diritto ha nei confronti del fenomeno. I testi costituzionali, adottati alla fine degli anni Quaranta del Novecento, nonché successivamente quelli scaturiti dalle ondate di democratizzazione degli anni Settanta (Spagna, Grecia e Portogallo) e degli anni Novanta (ex Stati URSS) trattano infatti esplicitamente del fenomeno partitico. Tuttavia tali disposizioni, a fronte dell’enfasi teorica sullo Stato di Partiti, appaiono più prudenti poiché, come ricorda P. AVRIL, «le Nazioni uscite dalla dittatura, sia dopo il 1945, sia dopo il 1970, hanno preferito la classicità rappresentativa alle trasformazioni radicali sostenute dai teorici della istituzionalizzazione, pur consacrando l’esistenza dei partiti, ormai indissociabili dalla democrazia» (Saggio sui partiti (1985), traduzione italiana,

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privilegiato e permanente dei rapporti tra società civile ed apparato pubblico, provvedendo alla selezione ed alla razionalizzazione delle istanze scaturenti dal pluralismo sociale attraverso la predisposizione di piattaforme programmatiche alternative e la selezione di candidature a cariche elettive. Inoltre il partito, anche dopo il momento elettorale, è in grado di esplicare la propria influenza all’interno degli organi costituzionali (in cui si adottano le decisioni fondamentali mediante la formazione e l’attuazione dell’indirizzo politico) attraverso il controllo sui propri eletti, nella logica di una nuova forma di mandato imperativo, non più intercorrente tra elettori ed eletti, ma appunto tra partiti ed eletti4.

Il fenomeno partitico si inscrive dunque nella struttura della forma di Stato democratico su due piani differenziati.

Su quello formale, il partito politico è considerato un’articolazione della società civile collocata a ridosso dell’apparato pubblico con una funzione preparatoria “esterna” rispetto alle decisioni fondamentali costituzionalmente qualificate. Al contempo, sul piano sostanziale, lo stesso non è un mero “filtro” della rappresentanza ma diviene dominus della rappresentanza5, che influenza direttamente l’attività degli organi formali, ridotti spesso al ruolo di mera sede di ratifica6.

La Costituzione della Repubblica italiana del 1948, rompendo la tradizione costituzionale precedente7 che (basandosi su una concezione individualistica della rappresentanza) ignorava i partiti politici relegandoli a fenomeni di mero fatto esterni all’apparato statale, richiama gli stessi in due disposizioni8: nell’art. 49, che rappresenta la

Giappichelli, Torino, 1990, p. 131). Si sono in tal modo adottate formulazioni che attribuiscono al partito stesso compiti di rilievo costituzionalistico di portata generale (vedi ad esempio l’art. 49 Cost. it., l’art. 21 GG di Bonn, o l’art. 6 della Cost. spagnola del 1978) o particolare (vedi ad esempio l’art. 4 della Cost. francese del 1958), senza tuttavia alcun inglobamento nello stato-apparato.

4 Vedi nota 36. 5 G. S

ARTOTORI, Rappresentanza, in Elementi di teoria politica, Il Mulino, Bologna, 1990, p. 234.

6 C. S

CHMITT, Legalità e legittimità (1932), in Le categorie del politico, traduzione italiana, Il Mulino, Bologna, 1972, pp. 234 ss. e Dottrina della

costituzione, traduzione italiana, Giuffrè, Milano, 1984, p. 420; C. MORTATI, Note

introduttive a uno studio dei partiti politici nell’’ordinamento italiano, in Scritti giuridici in onore di V. E. Orlando, vol. II, Cedam, Padova, 1957, pp. 12 ss..; G.

MARANINI, Miti e realtà della democrazia, Comunità, Milano, 1958, p. 212.

7 La novità è ben sottolineata da Merlin in Assemblea costituente, nella seduta del 22 maggio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori

dell’Assemblea costituente, III, Roma, 1970, p.1884.

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norma generale sui partiti («Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale») e nell’art 98, che stabilisce una riserva di legge per l’eventuale limitazione al diritto di iscrizione ai partiti («Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi a partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari e agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero»).

L’art. 49 Cost. costituisce il frutto di un dibattito svoltosi in Assemblea costituente che prese il via con la presentazione di due proposte alternative: una di iniziativa degli onorevoli Umberto Merlin (democristiano) e Pietro Mancini (socialista)9; l’altra presentata dall’onorevole Lelio Basso (socialista)10

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Il senso di tali proposte, e in particolare della seconda (poi sostanzialmente accolta dall’Assemblea) è illustrato molto bene dalle parole dello stesso presentatore Basso11 che esprime con lucidità la propria concezione del senso e del ruolo dei partiti politi nel futuro assetto costituzionale: essere il vero motore della dinamica politica, in quanto snodo fondamentale del rapporto tra elettore ed eletto da un lato e tra rappresentanti e assemblee elettive dall’altro12

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transitoria e finale, in forza della quale «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

9 «I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principi di dignità e uguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare».

10 «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e

democraticamente in partito politico allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese. Ai partiti politici che alle votazioni pubbliche hanno raccolto non meno di cinquecentomila voti sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre leggi».

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«È chiaro che oggi il parlamentarismo come lo si intendeva una volta non lo si potrà più riprodurre, poiché il deputato non è più legato ai suoi elettori, ma al suo partito. Ciò presuppone l’esistenza di una disciplina di partito»

12 L’art. 49 Cost., essendo inserito nella parte I (“diritti e doveri dei cittadini”) nell’ambito del titolo IV sui “Rapporti politici”, colloca la realtà partitica fuori dall’ambito dell’organizzazione dello Stato-persona, configurandola piuttosto come il riconoscimento di una forma importante di proiezione, dal sociale verso le istituzioni, della persona umana. Quest’ultima, nella parte I della Costituzione, viene infatti tutelata e garantita in sé (rapporti civili), nelle relazioni etico-culturali con gli altri (rapporti etico-sociali), nella vita economica (rapporti economici) e appunto nella sfera connessa all’esercizio diretto o indiretto della sovranità (rapporti politici). Il partito, dunque, non viene fotografato dalla norma come entità già formata, ma come prodotto della capacità della persona umana di dar luogo a fenomeni di tipo collettivo. L’art. 49 parla infatti di «diritto di associarsi liberamente in partiti», con

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L’Assemblea approvò la prima parte del progetto Basso con una sola modificazione di formula («riunirsi» al posto di «organizzarsi», mutato poi in «associarsi» in sede di coordinamento). Tuttavia i consensi non furono così unanimi nelle riunioni precedenti alla votazione e neppure nella seduta stessa dell’Assemblea costituente13.

Dal sommario esame delle discussioni e dei progetti attraverso cui si è giunti alla formulazione dell’art. 49 della Costituzione14

si possono individuare i caratteri dei partiti in Italia secondo la Costituzione: democraticità esterna, volontarietà dell’adesione, pluralità e autonomia.15

Il carattere della democrazia esterna emerge dall’espressione «con metodo democratico» che sancisce che i partiti dovranno, nella loro lotta politica, seguire il metodo della democrazia e osservare le

evidente collegamento con l’art. 18 Cost. (che garantisce la libertà di associazione in senso lato) e con l’art. 2 Cost. (che se, come sostenuto da autorevole dottrina, tutela anche le formazioni sociali in se e per sé, lo fa sempre in quanto prodotti dell’azione della persona umana che in esse “svolge la sua personalità”).

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Nella prima sottocommissione la seconda parte della formulazione proposta da Basso fu omessa, nonostante ad essa avessero aderito gli esponenti degli altri due principali partiti (Giorgio La Pira, Aldo Moro e Giuseppe Dosetti per la Democrazia Cristiana; Palmiro Togliatti per il PCI), in quanto, dopo aver approvato la prima parte il Presidente della sottocommissione, accertata l’assenza degli altri due relatori (Merlin e Mancini), dovette rinviare la discussione ad una seduta successiva che tuttavia non fu mai tenuta. Fu invece adottato un ordine del giorno proposto da Dosetti, così formulato «La prima sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio di riconoscimento giuridico dei partiti politici, e dell’attribuzione ad essi di compiti costituzionali. Rinvia ad un esame comune con la seconda sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità». Malgrado ciò, la presidenza della commissione dei 75 non prese in considerazione tale esigenza e il testo che giunse all’esame dell’Assemblea fu perciò solo quello della prima parte della proposta di Basso.

In sede assembleare una formulazione alternativa fu presentata da Costantino Mortati e Carlo Ruggero: «Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell’organizzazione interna e nell’azione diretta alla determinazione della politica nazionale». La discussione si concentrò così sull’esigenza di introdurre o meno la previsione di garanzie democraticità interna. Alla posizione nettamente contraria del relatore Umberto Merlin (che argomentava la sua posizione in regione di difficoltà politiche pratiche e alla loro sostanziale inutilità) replicò con fermezza Aldo Moro che affermò: «se non c’è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere indirizzo democratico nell’ambito della vita politica del Paese». Tuttavia prevalsero in Assemblea ragioni di preoccupazione in ordine a possibili interventi della maggioranza politica e parlamentare nei riguardi della libertà interna dei partiti stessi. A fronte della posizione in tal senso espressa da comunisti, azionisti e liberali, i due presentatori ritirarono quindi l’emendamento. Lo stesso fu poi ripreso da Girolamo Bellavista, ma l’Assemblea lo respinse e approvò il testo della Commissione. E. ROSSI, I partiti politici, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 6-8.

14 Vedi anche A. A

LBONETTI, Lo Stato e i partiti. Il finanziamento della

politica, 2013, Gruppo Albatros Il Filo, pp. 92-95.

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leggi su cui la democrazia stessa si sfonda16. Le caratteristica della volontarietà dell’adesione e della pluralità emergono dall’art. 49 Cost. ma anche dall’art. 18 Cost., che sancisce la libertà di associazione e il carattere democratico e liberale della Costituzione. Il carattere dell’autonomia, infine, deve essere inteso come assenza di ogni controllo e ingerenza governativa nella vita dei partiti. Essa deriva dall’interpretazione della formula «con metodo democratico», ma anche all’adesione al principio della pluralità degli ordinamenti giuridici della nostra Costituzione e dalla specialità di questi singolari ordinamenti giuridici.