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I partiti e l’evoluzione della forma di governo

Con l’espressione “forma di Governo” si intende il modo con cui si articolano i rapporti tra gli organi supremi o costituzionali di uno Stato, cioè il tipo di relazioni che si instaurano tra i soggetti che esercitano la sovranità. Si usa perciò distinguere ad esempio tra forma di governo parlamentare, presidenziale, semipresidenziale, dittatoriale, assembleare e così via.

Al di là delle modalità strutturali con cui si definiscono e caratterizzano le diverse forme di governo, un peso determinante in esse è svolto dal sistema politico in generale e dalla configurazione dei sistemi partitici in particolare. È possibile perciò verificare come sistemi istituzionali di Paesi diversi, magari classificati nello stesso modello della forma di governo, risultino in realtà molto diversificati nel loro effettivo funzionamento. Ciò vale soprattutto per la forma di governo parlamentare, caratterizzata dall’elezione diretta del Parlamento e dal rapporto di fiducia tra questo e il Governo64. Essa funziona in modo differenziato a seconda che si sia in presenza di: un bipartitismo rigido, un multipartitismo temperato o un multipartitismo esasperato o estremo65.

Relativamente all’esperienza italiana, in seguito delle inchieste

63 E. R

OSSI, op. cit., pp. 31-32.

64 Per un approfondimento del rapporto tra forme di Governo e partiti: P. CARROZZA - A. DI GIOVINE - G. F. FERRARI, Diritto costituzionale comparato, Laterza, Roma-Bari, 2009, pp. 705-762.

65 Nel bipartitismo rigido il Primo Ministro è individuato immediatamente con il leader del partito vincitore alle elezioni politiche e il Governo assume le caratteristiche di un comitato direttivo del Parlamento (es. Regno Unito). Nel multipartitismo temperato occorre creare alleanze per formare un Governo, ma tale obiettivo è conseguito con il coinvolgimento di pochi partiti tra loro omogenei, con conseguenti esecutivi stabili e l’autorità del premier (es. Germania e Austria). Infine nel multipartitismo esasperato o estremo nessun partito ha un peso determinante per trovare maggioranze parlamentari da solo o con alleati affidabili, per cui occorre costituire ampie coalizioni, con esecutivi instabili e funzioni di mediatore del premier (es. Italia, dal secondo dopoguerra fino al 1994 e Francia della III e IV Repubblica). Per un approfondimento: L. ELIA, voce Governo (forme di), in Enciclopedia del

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giudiziarie degli anni Novanta66 emerge un atteggiamento complessivo di profonda sfiducia popolare in generale nei confronti del sistema dei partiti messo a dura prova anche da fattori esterni al nostro Paese (il crollo dei Paesi socialisti e la fine della guerra fredda). Tali vicende portano alla fine dell’esperienza dei partiti del “pentapartito”67

, che scompaiono o si frantumano in varie e mutevoli formazioni politiche, determinando profonde trasformazioni nelle altre forze sopravvissute a tali vicende.

Il passaggio dalla fase precedente a quella successiva (erroneamente indicato come il superamento della “prima Repubblica” a vantaggio della “seconda Repubblica”)68 è caratterizzato da una

66 Il 17 febbraio 1992 inizia ufficialmente l’inchiesta giudiziaria denominata Mani pulite, in seguito alla quale verrà coniato il termine “Tangentopoli” per indicare la situazione di un Paese in cui risultano generalizzati quei «modi criminali, o quanto meno illegali, di impiegare il denaro per conseguire scopi privati con mezzi politici, inducendo individui che ricoprono incarichi pubblici a trasgredire i propri doveri e abusare delle funzioni loro assegnate» (J. BRYCE). In questa data è infatti arrestato, colto in flagranza di reato nell’atto di intascare una tangente, il presidente del Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa. Da quel momento le indagini coinvolgono oltre cinquecento parlamentari della XI legislatura, decine di ex Ministri ed ex Presidenti del Consiglio, nonché migliaia di amministratori pubblici.

Una delle imputazioni più frequenti è il reato di illecito finanziamento ai partiti, in quanto dalle indagini svolte soprattutto dalla procura di Milano emerge che gran parte della corruzione si alimentava attraverso una rete di tangenti intascate da personaggi politici e reinvestite nell’attività politica. L’impatto delle indagini è fortissimo, sia sulla società civile, che sugli equilibri di potere. Lo scenario politico, fino ad allora caratterizzato da una grande stabilità, esce rivoluzionato dalle elezioni del 5-6 aprile 1992 e porta il leader socialista Bettino Craxi a tentare di arginare la crisi dichiarando, con un discorso alla Camera, che il finanziamento illecito ai partiti era ormai generalizzato. Il primo partito ad essere coinvolto dalle inchieste è proprio il Partito Socialista Italiano, ma sono coinvolti tutti i partiti di governo (Democrazia Cristiana, Partito Liberale Italiano, Partito Socialista Democratico Italiano, Partito Repubblicano Italiano). G. BARBACETTO - P. GOMEZ - M. TRAVAGLIO, Mani pulite.

La vera storia. Da Mario Chiesa a Silvio Berlusconi, Editori Riuniti, Roma, 2002.

67 Con l’espressione “pentapartito” si intende quella formula politica che, a partire dal 1981, caratterizza le maggioranze di governo fino al crollo dei partiti che l’avevano realizzata. La stessa infatti indica l’accordo tra la Democrazia Cristiana e i partiti laici (Partito Socialista Italiano, Partito Repubblicano Italiano, Partito Liberale Italiano e Partito Socialista Democratico Italiano) con cui si intende sancire il principio della “pari dignità” tra il partito di maggioranza relativa e l’insieme degli altri quattro, con conseguente alternanza nella direzione del Governo tra esponenti democristiani e non democristiani. Nella realtà tale formula politica ha però lo scopo di superare lo schema tradizionale che vede nella DC la guida sostanziale della coalizione e di escludere la possibilità di accordi tra questa e il Partito Comunista Italiano, garantendo soprattutto al PSI un ruolo stabile e decisivo negli assetti di governo. L’accordo politico che è alla base di tale stagione è siglato dai segretari dei due partiti principali della coalizione, Arnaldo Forlani per la DC e Bettino Craxi per il PSI, con la benedizione di Giulio Andreotti, da cui il termine CAF. E. ROSSI, I

partiti politici, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 143-144.

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breve fase di sostanziale neutralizzazione dei partiti politici nel segno di governi “tecnici”, composti da Ministri espressione perlopiù della società civile e comunque non appartenenti alla classe politica tradizionale, e sorretti da una maggioranza parlamentare che non condiziona, se non nei termini istituzionali, l’esercizio dell’attività di governo69.

Con la realizzazione delle leggi elettorali del 199370, l’avvento di un sistema elettorale di tipo misto ma con prevalente connotazione

di Stato preceduta da aggettivi numerali indica i regimi dello stesso tipo che si sono succeduti discontinuamente in un Paese con assetti costituzionali e istituzionali differenti (quali le Repubbliche francesi e i Reich tedeschi). Nel caso italiano la distinzione tra “prima e seconda Repubblica”, introdotta in ambito giornalistico e divenuta poi di uso comune, è quindi formalmente scorretta poiché si riferisce alla trasformazione politica avvenuta durante il biennio 1992-94, che non si risolve in un cambiamento di regime, bensì in un profondo mutamento del sistema partitico e nel ricambio di parte dei suoi esponenti nazionali. I fattori di innesco del cambiamento sono sostanzialmente: lo scandalo di “Tangentopoli” e l’indagine di Mani Pulite; la crescita della Lega Nord e il suo ingresso in parlamento; l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi con la fondazione del partito Forza Italia; la nuova legge elettorale approvata a seguito dei referendum del 1991 e del 1993. G. GALLI, I partiti politici

italiani (1943-2004), Rizzoli, Milano, 2004.

69 Tale stagione è resa evidente dall’attribuzione, nel 1993, dell’incarico di formare un governo al Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azelio Ciampi, come scelta autonoma del Presidente della Repubblica. A tale governo sono chiamati a partecipare anche tre Ministri del PDS. Anche se gli stessi si dimettono lo stesso giorno della nomina (a causa della mancata autorizzazione a procedere votata dalla Camera nei confronti di Bettino Craxi), questo fatto viene considerato come la fine della conventio ad excludendum nei confronti del Partito comunista.

70 Fino al 1993 in Italia le due Camere del Parlamento sono elette con un sistema proporzionale. Le trasformazioni della società italiana, con il superamento delle iniziali contrapposizioni ideologiche, la crisi dei partiti e le crescenti difficoltà di funzionamento del parlamento compromissorio, producono tuttavia una spinta verso una democrazia maggioritaria, che ha il momento di più alta tensione politica con il referendum del 1993, riguardante l’abrogazione di alcune norme della legge elettorale del Senato della Repubblica. La legislazione per l’elezione del Senato consentiva infatti che, attraverso l’abrogazione di alcune sue norme, il sistema si trasformasse in senso prevalentemente maggioritario-uninominale. Con il referendum il corpo elettorale, oltre a determinare una profonda modificazione della disciplina elettorale del Senato, esprime un chiaro indirizzo politico a favore di una trasformazione maggioritaria del sistema elettorale. I dissidi interni ai partiti tradizionali della democrazia italiana non permettono però al Parlamento di approvare una riforma elettorale. Si preferisce così “fotografare” il risultato del

referendum elettorale con due leggi del 4 agosto 1993 (nn. 276 e 277, identificate

con il nome di “Legge Mattarella” dal suo relatore), che prevedono per l’elezione del Parlamento un sistema misto, in cui il 75 per cento del totale dei seggi è attribuito in collegi uninominali, mentre il restante 25 per cento è ripartito con un metodo proporzionale. R. BIN – G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 2004. Per quanto riguarda il referendum del 18 aprile 1993 e in particolare il quesito riguardante il sistema elettorale: L. PERFETTI, I referendum del 18 aprile. Tra riforme istituzionali e dell’amministrazione, in Aggiornamenti sociali, 1993, fasc. 4,

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maggioritaria decreta l’avvio di una stagione di “transizione”, caratterizzata dalla volontà di superare il multipartitismo estremo e di realizzare un’effettiva democrazia dell’alternanza.

Sul piano dei partiti politici tale fase vede il sorgere di forme organizzative diverse dai partiti precedenti. Queste formazioni politiche risultano essere costruite ed “inventate” da un leader che raccoglie intorno a sé propri collaboratori fidati e che “detta la linea” senza forme effettive di un dibattito politico interno. Tali partiti rivendicano un approccio meno ideologico e più pragmatico, che favorisce anche una loro mobilità all’interno del sistema politico e ne consente la collocazione a seconda delle esigenze ritenute più efficaci71.

L’assetto politico tendenzialmente bipolare che si è realizzato fa sì che i partiti presenti (non diminuiti nel loro numero complessivo, bensì aumentati) si collochino in due schieramenti principali, uno di centro-destra e l’altro di centro-sinistra72. Ciò non diminuisce la litigiosità dei partiti stessi, ma in qualche modo ne limita le conseguenze. Infatti, la particolare conformazione assunta dal sistema politico determina che gli schieramenti in campo presentino alle elezioni un’alleanza in certa misura definita e con l’indicazione di un candidato alla guida del Governo. Gli accordi tra i partiti per l’assetto

71 M. C

ALISE, Il partito personale, Laterza, Roma-Bari, 2000.

72 Un risultato senza precedenti si verifica tuttavia alle elezioni politiche del febbraio 2013, regolamentate dalla legge elettorale 21 dicembre 2005, n. 270 (vedi nota 73), quattro mesi prima della conclusione naturale della XVI legislatura. I risultati elettorali infatti consegnano alle aule parlamentari una composizione di eletti che non vede nessuna delle coalizioni ottenere una vittoria netta. Partecipa per la prima volta alle elezioni il Movimento 5 Stelle, che nel giugno 2012 annuncia la candidatura senza appartenenti alle elezioni politiche. Alla Camera la coalizione di centro-sinistra guidata da Pier Luigi Bersani ottiene il premio di maggioranza, assegnato grazie ad uno scarto di poco più dello 0,3 per cento del totale dei voti rispetto alla coalizione di centro-destra, guidata da Silvio Berlusconi. Al Senato invece nessuna delle coalizioni raggiunge la maggioranza assoluta dei 158 seggi: la coalizione di centro-sinistra ottiene 128 seggi; quella di centro-destra 117; il Movimento 5 Stelle 54; e la coalizione di centro guidata dall’ex Presidente del Consiglio Mario Monti, 19. Nei giorni e nelle settimane successive alle elezioni si crea una situazione perdurante di stallo politico risolta solamente due mesi dopo, con la formazione del Governo Letta. Questo si configura come il primo esecutivo di grande coalizione della storia della Repubblica Italiana, in quanto comprende esponenti di entrambe le principali coalizioni che si contrapponevano prima delle elezioni.

Lo scenario politico formatosi è quindi ben diverso dalla consultazione del 2008, in cui il bipolarismo sembra rafforzarsi con i due principali partiti che corrono alleati con una sola lista minore in tutte le circoscrizioni. Le elezioni del 2013 vedono infatti tre poli quasi alla pari, creando sostanzialmente un tripolarismo con un quarto polo centrista.

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dell’eventuale futura maggioranza si realizzano così prima delle elezioni e, una volta che queste si sono svolte, le trattative si spostano sulla composizione di Governo e sul programma da realizzare. Ciò contribuisce al passaggio verso una “democrazia immediata”, che attribuisce direttamente al corpo elettorale la possibilità di eleggere il Governo eleggendo i rappresentanti in Parlamento.

Tuttavia la realtà dimostra che non è venuta meno la centralità dei partiti negli assetti istituzionali, rimanendo gli stessi il luogo in cui sono assunte decisioni e stipulati accordi poi “ratificati” nelle sedi istituzionali. Inoltre la particolarità del sistema politico fa sì che la scelta delle candidature (fino al 2005 nei collegi maggioritari e nelle liste proporzionali, dal 2006 solo in quest’ultime) si traduca in una sostanziale delega ai partiti della scelta del personale politico, per cui un aumento del loro potere73. Ciononostante il mantenimento della

73 La legge 21 dicembre 2005, n. 270 (“Legge Calderoli”) modifica

ulteriormente il sistema elettorale con la reintroduzione di un sistema proporzionale corretto, sia con la presenza di soglie di sbarramento diversificate, sia mediante l’introduzione di un premio di maggioranza spettante alla coalizione che ottiene più voti. Mentre alla Camera tale premio è calcolato su base nazionale, al Senato è assegnato su scala regionale. Tuttavia lo stesso Calderoli (allora Ministro per le riforme) pochi mesi dopo la sua approvazione definisce la legge come una “porcata” (fornendo uno spunto polemico al politologo Giovanni Sartori, che definisce il meccanismo elettorale con l'appellativo di “Porcellum”). Nel giugno 2009 si tengono a tal proposito referendum abrogativi distinti in tre quesiti, ma a causa del mancato raggiungimento del quorum sono dichiarati non validi. Negli anni successivi, nonostante tutte le forze politiche siano concordi sulla necessità di modificare la legge elettorale, le stesse non riescono a trovare un accordo in tal senso.

Solo con la sentenza del 4 dicembre 2013 (pubblicata il 13 gennaio 2014) la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità di due fondamentali articoli della legge n. 270 del 2005 e del voto di lista ex art. 4 del d.P.R. n. 361 del 1957. Il ricorso incidentale alla Corte costituzionale, rimesso con ordinanza dalla Corte di Cassazione e relativo all’azione di accertamento della pienezza del proprio diritto di voto proposta da un cittadino elettore dinanzi al Tribunale di Milano, ha infatti riconosciuto l’incostituzionalità di tre fondamenti caratterizzanti la legge elettorale: il premio di maggioranza su base nazionale e su base regionale e il voto di lista.

Relativamente al premio di maggioranza riguardante la composizione della Camera dei deputati, premettendo che spetta alla discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritiene più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico, la Corte ha statuito che il meccanismo premiale attuale, anche se è stato introdotto allo scopo di garantire la stabilità del governo del Paese, non è giustificabile in un giudizio di bilanciamento con altri principi costituzionali. Il premio di maggioranza infatti esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi. Anche su base regionale, quindi, il premio di maggioranza, oltre a non consentire al legislatore di raggiungere lo scopo della garanzia di governabilità del Paese, è illegittimo per gli stessi motivi del premio di maggioranza nazionale.

In ordine al voto di lista la Corte ha statuito che la disciplina della formazione delle liste totalmente rimessa ai partiti «priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti (…). La circostanza

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centralità del partito e l’aumento dei suoi poteri si combinano con una netta caduta della capacità di dibattito e di dinamiche interne di tipo democratico. Spesso i partiti sono ridotti a macchine organizzative prive di reali capacità di elaborazioni di idee, di confronto critico tra soluzioni diverse, di mediazione tra interessi contrapposti. Chi decide è in sostanza il leader del momento o la cerchia ristretta della classe dirigente e il partito è sempre più luogo di conferma e di trasmissione delle idee dello stesso74.

Si è mantenuto quindi uno “Stato dei partiti” ma con partiti che spesso non sono più tali in quanto hanno perso la loro capacità di “protezione sociale” e di essere luoghi effettivi di elaborazione di linee

che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione». http://www.cortecostituzionale.it/actionScheda

Pronuncia.do?anno=2014&numero=1

74 Nell’idea originaria la principale funzione assegnata ai partiti politici era quella di elaborare proposte politiche da rappresentare nelle sedi istituzionali, per ricercare in esse sintesi capaci di proporsi come realizzazione dell’interesse generale. Ciò potrebbe attuarsi attraverso due modi complementari: da un lato mediante la costruzione dell’identità di un partito intorno ad un’ideologia, capace di costruire il quadro di riferimento valoriale in cui collocare l’azione concerta; dall’altro mediante la predisposizione di programmi contenenti (nell’ambito dell’assetto ideologico dato) le linee di carattere più operativo e contingente che il partito intende realizzare e sulle quali viene richiesto il consenso agli elettori. Relativamente al primo aspetto l’esperienza italiana è segnata da una significativa frattura prodottasi a seguito delle vicende verificatesi intorno agli anni 1992-94. In precedenza i principali partiti politici del dopoguerra si costituivano e operavano su presupposti ideologici assai caratterizzati, avendo come obiettivo complessivo la realizzazione di ideologie in sé definite e “chiuse”. La Democrazia Cristiana mediante il riferimento alla “dottrina sociale” elaborata all’interno della Chiesa cattolica a partire dall’enciclica “Rerum

novarum” di Papa Leone XIII del 1891; il Partito Socialista attraverso la confluenza

delle posizioni del movimento socialista, guidato da Filippo Turati, con quelle di ispirazione marxista e con le tradizioni proprie dell’anarchismo bukuniniano e dell’associazionismo mazziniano; il Partito Comunista attraverso il riferimento all’ideologia marxista-leninista.

Nei primi anni Novanta alla “caduta delle ideologie”, in certo modo determinata da eventi di natura internazionale, ha fatto riscontro una radicale trasformazione dei partiti precedenti, ma anche la loro diversa configurazione. Si è parlato al riguardo di partiti “flessibili” meno ideologicamente caratterizzati e più improntati ad una logica di programma. Ciò ha prodotto la nascita di partiti in continuo movimento, con frequenti processi di aggregazione e frammentazione. Tale trasformazione ha determinato il fatto che la ricerca del consenso sia diventata il primo e vero fattore di validità della linea politica seguita. Mentre prima il partito misurava la bontà della sua azione attraverso la coerenza e la fedeltà dell’impostazione ideologica che ne caratterizzava l’essenza; successivamente è il programma politico che muta in ragione dell’orientamento dell’elettorato e del relativo consenso. Pressoché ogni partito continua ad avere alle spalle un certo sistema di idee e valori complessivi sulla cui base costruire la propria linea politica. Tuttavia questo legame si è fortemente allentato e talvolta i riferimenti ideologici rimangono solo sullo sfondo, condizionando in modo assai debole scelte e strategie. E. ROSSI, op. cit., pp. 11-12.

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politiche condivise75.