2. Il ruolo dei partiti
2.1. Il contributo dei partiti alla realizzazione della vita
Per quanto riguarda la funzione svolta dai partiti in ordine alla realizzazione di un assetto democratico l’art. 49 Cost. significativamente afferma: «per concorrere con metodo democratico a
18 A questa finalità delle formazioni sociali si è aggiunta anche quella di consentire l’affermazione di una democrazia matura grazie alla considerazione della “volontà generale” quale frutto non della volontà di individui isolati, bensì di volontà politiche già mediate da livelli intermedi di sintesi e di rappresentanza. Questa funzione delle formazioni sociali (e in particolare di quelle aventi finalità politiche) può essere letta come «antidoto alla democrazia plebescitaria, nella quale la contrapposizione al “potere” è realizzata dalla massa indifferenziata e l’esercizio della politica è svolto dai cittadini esclusivamente attraverso il momento elettorale». E. ROSSI, L’art. 2 della Costituzione italiana, in Problemi attuali delle libertà
43
determinare la politica nazionale».
L’uso del verbo “concorrere” fu dettato dalla necessaria esistenza di una pluralità di partiti, affinché la determinazione della politica nazionale costituisse il risultato di un confronto (attuato con “metodo democratico”) tra più soggetti politici19
. Tuttavia il termine “concorso” è stato interprato anche nel senso da considerare il partito solo come una delle tante forme di partecipazione alla vita politica nell’ambito del circuito democratico, essendo possibile sia l’azione dei singoli ex art. 21 Cost., sia di altre formazioni sociali ex artt. 17 e 18 Cost. (associazioni politiche, comitati elettorali, comitati referendari, comitati per promuovere l’esercizio del diritto di petizione o dell’iniziativa legislativa popolare)20
. Infine la dottrina ha sottolineato che «il concorso delle attività presuppone (per la sua stessa effettività) la loro eguaglianza». Ai partiti deve essere quindi garantita un’uguaglianza “potenziale” rispetto all’esercizio delle loro attività e lo Stato non deve alterare tale uguaglianza 21. In base a tale interpretazione si pone perciò il problema di definire che cosa si deve intendere per neutralità dello Stato rispetto all’uguaglianza dei partiti22. Il diverso modo di intendere la neutralità dello Stato rispetto all’uguaglianza dei partiti ha infatti degli importanti riflessi sul modo di disciplinare importantissimi istituti che a loro volta hanno la
19 Nel rapporto partiti-istituzioni un elemento fondamentale attiene all’assetto pluralistico del nostro ordinamento e all’indefettibile pluralità dei partiti politici. Tale elemento, che nella concezione dei costituzionalisti intendeva segnare una cesura rispetto all’ideologia fascista, può farsi discendere in linea generale dall’assetto democratico. Uno degli “universali procedurali” caratterizzanti i Paesi a struttura liberal-democratica è infatti costituito dalla possibilità offerta ai cittadini di poter scegliere tra alternative reali. E. ROSSI, I partiti politici, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 13-14.
20
«Il metodo del “concorso” (…) sta a indicare che la determinazione della politica nazionale non è appannaggio esclusivo dei partiti, ma è il frutto di un “concorso” tra più soggetti, tra i quali (ma non solo) i partiti». E. ROSSI, op. cit., pp. 14-15.
21 V. S
ICA,Il “concorso” dei partiti politici, in Studi sulla Costituzione, vol.
II, Milano, 1958, p. 293; G. FERRARA, Alcune osservazioni sul popolo, Stato e
sovranità nella Costituzione italiana, in Rassegna di diritto pubblico, 1965, p.285.
22 La neutralità dello Stato rispetto all’uguaglianza dei partiti può essere infatti letta in due modi differenti. Seguendo una prima lettura lo Stato, in quanto neutrale rispetto ai rapporti di forza che possono crearsi tra i partiti, dovrebbe tenere conto del diverso peso elettorale di ciascun partito (al fine di non creare un livellamento sul piano della parità). Secondo una seconda lettura invece lo Stato dovrebbe trattare i partiti secondo un criterio di assoluta uguaglianza, in quanto la prima lettura (che determina una modo “statico” di concepire il concorso) rischia di ostacolare la formazione di forze politiche nuove e il ricambio tra i partiti. Sulla distinzione tra i due modi di intendere la Chancengleichheit dei partiti: P. RIDOLA, voce Partiti
44
capacità di influire sul sistema partitico. Si pensi al sistema elettorale23, ai regolamenti parlamentari relativi alla formazione dei gruppi24 e ai
23 In passato il “concorso” dei partiti di cui all’art. 49 Cost. è stato un argomento usato a favore del sistema proporzionale e contro il principio maggioritario come principio di rappresentanza (G. AMATO, Il dilemma del principio
“maggioritario”, in Quaderni costituzionali, 1994, fasc. 2, pp. 171 ss.) in quanto
esso implicherebbe la possibilità di tutti i partiti di essere in Parlamento (C. LAVAGNA,Il sistema elettorale nella Costituzione italiana, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1952, fasc. 4, pp. 858 ss.). Tale tesi rimane tuttavia minoritaria in
quanto il principio di parità di concorrenza riguarda la necessaria parità dei punti di partenza, dovendosi semmai individuare i limiti costituzionali ai correttivi introdotti dalla legge elettorale. Sul principio di “neutralità” della legislazione elettorale, vedi ad esempio: F. LANCHESTER, Sistema elettorale e forma di governo, Il Mulino, Bologna, 1981, pp. 238-243 e S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e
la politica nazionale, in Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, Jovene, Napoli, 2009, p. 61.
Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale esclude che il principio del pluralismo partitico, desumibile dall’art. 49 Cost., imponga nel nostro ordinamento il sistema proporzionale (salvi i casi tutela di minoranze costituzionalmente garantite, come quelle linguistiche). La Corte ha infatti affermato che eventuali correttivi al modello proporzionale (o, evidentemente, anche scelte in senso maggioritario) «non incidono sulla parità di condizioni dei cittadini e sull’eguaglianza del voto, che non si estende al risultato concreto della manifestazione di volontà dell’elettore, rimessa ai meccanismi del sistema elettorale determinati dal legislatore»: Corte costituzionale, sentenza n. 356 del 1998, che richiama le sentenze n. 43 del 1961, n. 429 del 1995 e n. 107 del 1996.
24 Il diverso modo di concepire l’uguaglianza tra i partiti potrebbe influire, da una parte, sulla possibilità per ciascuna forza politica rappresentata in Parlamento di formare il proprio gruppo parlamentare anche in deroga rispetto al numero minimo dei suoi componenti; dall’altra, attraverso disposizioni che consentono di formare un proprio gruppo solo alle forze politiche che abbiano ottenuto un certo numero di eletti (P. RIDOLA, voce Partiti politici, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXII, Giuffrè, Milano, 1982, p. 86). Fin dai primi regolamenti parlamentari del 1920 si prevedeva che i gruppi dovessero essere costituiti da almeno venti deputati e dieci senatori. Tuttavia, dal 1971 alla Camera e dal 1977 anche al Senato fu possibile chiedere la costituzione di gruppi in deroga al numero minimo previsto, a condizione che questi fossero espressione di un partito stabilmente organizzato, che avesse ottenuto un determinato risultato elettorale (art. 14, comma 2, reg. Camera e art. 14, comma 5 reg. Senato). Con l’introduzione del sistema elettorale maggioritario nel 1993 gli Uffici di Presidenza ritennero inapplicabili tali norme e non si consentì più di costituire gruppi “in deroga” (con la sola contestata eccezione del gruppo di Rifondazione comunista alla Camera nella XIV legislatura). Ciò determinerà l’aumento numerico del gruppo misto, non più gruppo “residuale” bensì componente maggioritaria, nonché una nuova modifica ai regolamenti che consentirà di costituire le “componenti politiche” all’interno del gruppo misto. Con la successiva modifica alla legge elettorale per la Camera e il Senato ad opera della legge n. 270 del 2005 la costituzione di gruppi in deroga, all’inizio e durante la legislatura, è stata nuovamente autorizzata. A. CIANCIO, I gruppi parlamentari. Studio intorno a una
manifestazione del pluralismo politico, Giuffrè, Milano, 2008, pp. 40-51; N. LUPO, I
gruppi parlamentari nel Parlamento maggioritario, in Democrazia e diritto, fasc. 3-
4/2009, pp. 83 ss.
Occorre inoltre sottolineare che l’ambiguità che circonda la natura dei gruppi parlamentari pone molti dubbi in merito alla possibilità di invocare l’art. 49 Cost. con riferimento alla loro composizione. Va infatti notato che non esiste oggi una norma
45
criteri di accesso al finanziamento pubblico25.
giuridica nella legislazione elettorale di contorno o nei regolamenti parlamentari che metta formalmente in relazione il partito e il gruppo parlamentare e che possa supportare la tesi (minoritaria) che vede il gruppo parlamentare come “organo” dei partiti, anche se ovviamente questi ultimi possono esercitare una notevole influenza politica sui propri componenti. D. PICCIONE, I gruppi parlamentari alla prove delle
(auto)riforme regolamentari, in Rivista AIC, n. 2/2012.
25 Al fine di valutare la compatibilità dei requisiti di accesso e di riparto del finanziamento pubblico rispetto all’uguaglianza delle chances tra i partiti occorre mettere in relazione la legislazione sul finanziamento pubblico diretto e il sistema elettorale in senso stretto, alla ricerca di un bilanciamento tra il principio di uguaglianza fra i partiti e l’esigenza costituzionalmente apprezzabile di non frammentare eccessivamente il sistema dei partiti (M. LUCIANI, Il voto e la democrazia. La questione delle riforme elettorali in Italia, Editori Riuniti, Roma,
1991, p. 45, sia pure con riferimento al solo sistema elettorale). È necessario tuttavia anche tenere conto del sistema di finanziamento pubblico nel suo complesso, ossia delle forme dirette e di quelle indirette, e del fatto che sia previsto per i partiti un determinato status giuridico ovvero sia lasciata la massima libertà organizzativa interna. F. BIONDI, Il finanziamento pubblico dei partiti politici. Profili
costituzionali, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 152-153.
Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza della seconda sezione del 10 maggio 2012, Özgürlük ve Dayanışma Partisi (ÖDP) c. Turquie, si è pronunciata su questo tema decidendo riguardo al presunto contrasto con l’art. 14 della Convenzione in relazione all’art. 3 del Protocollo n. 1 (ossia, il divieto di discriminazione in relazione al diritto di libere elezioni) della legislazione in tema di finanziamento statale dei partiti vigente in Turchia, che consente l’accesso al finanziamento pubblico diretto solo ai partiti che abbaiano ottenuto almeno il 7 per cento dei voti. La Corte europea ha premesso che il principio di non discriminazione politica viene in rilievo anche nelle regole di acceso al finanziamento, affermando che nell’individuazione della soglia minima di voti per accedere allo stesso occorre evitare di danneggiare i partiti più piccoli, comprimendo il pluralismo politico, ma anche di favorire il monopolio da parte dei due partiti maggiori. Il legislatore possiede ampia discrezionalità al fine di determinare tale bilanciamento. Generalmente la soglia oscilla tra lo 0,5 e il 5 per cento, ma la Corte ha affermato che non è contrastante con la Cedu neppure la legge turca che prevede un percentuale relativamente molto elevata. La valutazione della scelta legislativa deve infatti essere contestualizzata rispetto al sistema partitico, alla legge elettorale e al complesso delle forme di finanziamento pubblico previste. Per quanto riguarda l’ordinamento turco, oltre a quanti partiti hanno avuto accesso al finanziamento rispetto a quelli che hanno partecipato alle elezioni, occorre soprattutto considerare che la soglia del 7 per cento è comunque più bassa di quella richiesta dalla legge elettorale per l’accesso all’organo elettivo e che sono previste altre forme di finanziamento indiretto di cui tutti i partiti possono usufruire indipendentemente dal raggiungimento di una determinata percentuale di voti. Vedi le osservazioni di F. BIONDI, Corte europea e
finanziamento pubblico dei partiti politici: quando la soglia di accesso al contributo statale lede la parità di chances. Breve nota alla decisione del 10 maggio 2012, Özgürlük ve Dayanişma Partisi (Ödp) c. Turquie, in Rivista AIC, n. 4/2012.
Occorre aggiungere che in linea generale una distribuzione completamente paritaria delle sovvenzioni pubbliche ai partiti si riscontra solo nei paesi in cui i partiti si distinguono per una strutturale debolezza. Là dove invece il sistema politico è caratterizzato da partiti “forti” il criterio di accesso ai fondi pubblici (forse anche perché sono i partiti stessi a decidere) è tendenzialmente legato al peso elettorale di ciascun partito (E. MELCHIONDA, Il finanziamento della politica, Editori Riuniti, Roma, 1997, p. 110, il quale cita gli esempi di Stati Uniti e Giappone). Se si analizzano le scelte normative più in dettaglio, ci si accorge che esse possono
46
Relativamente all’espressione «metodo democratico» sono state proposte fondamentalmente tre possibili interpretazioni. Con la prima viene posto un vincolo legato agli scopi perseguibili dal partito, che sono liberi purché rientrino nell’ambito dei principi fondamentali posti a base dell’assetto costituzionale. In tal senso il partito è dunque libero di perseguire qualsiasi finalità che non comprometta l’assetto democratico dello Stato inteso come insieme di valori su cui esso si fonda.
La seconda interpretazione riporta invece la disposizione costituzionale nell’ambito del principio della parità delle chances, che richiede il rispetto da parte dei partiti delle regole che disciplinano la competizione politica in un sistema democratico. Ciò si traduce nel divieto di perseguire le proprie finalità con mezzi violenti o che comunque si pongano in contrasto con le regole proprie del sistema rappresentativo26. Con riguardo alla parità di chances occorre ricordare che la cosiddetta legislazione di contorno (ad esempio quella relativa al finanziamento pubblico o quella che disciplina la campagna elettorale) è ispirata a tale obiettivo, mirando a favorire parità di condizioni di appartenenza tra i partiti nella competizione elettorale.
Secondo un ulteriore orientamento, infine, il metodo non è legato né alle finalità perseguite né agli strumenti utilizzati, quanto piuttosto alla c.d. democrazia interna, cioè alla necessità di adottare un’organizzazione del partito secondo modalità che consentano forme di partecipazione e di controllo degli iscritti relativamente alla designazione degli organi di vertice ed alla loro successiva azione. Tale principio, esplicitamente escluso in sede di disciplina costituzionale dall’Assemblea costituente, è inoltre rifiutato dalla dottrina maggioritaria in quanto si scontra con la libertà riconosciuta ai partiti di auto-organizzarsi nel modo da essi ritenuto più opportuno al fine di raggiungere l’obiettivo perseguito.
differenziarsi notevolmente e come sia assai complesso garantire il principio di uguaglianza in tutte le sua accezioni. Vedi Cap. I, nota 21.
26 La regola base della competizione-concorso è il “metodo democratico” che va inteso in un significato “esterno”, come osservanza dei principi di una leale competizione che rispetti i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino ed escluda l’uso della violenza, praticato o istigato, in quanto la sopraffazione violenta dell’avversario fa venir meno una condizione di pensabilità stessa della democrazia. A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, II ed., Cedam, Padova, 1992, p. 360; S. BARTOLE, voce Partiti politici, in Digesto delle discipline
pubbicistiche, vol. X, Utet, Torino, 1995, pp. 712 ss.; E. ROSSI, voce Partiti politici,
in Dizionario di diritto pubblico, a cura di S. Cassese, vol. V, Giuffrè, Milano, 2006, p. 4151.
47
La dottrina pubblicistica sembra orientata nel senso che nessuna delle tre interpretazioni possa essere considerata l’unica vera27. La soluzione potrebbe essere quella di ritenere che tutte e tre mantengano un ambito di validità, anche se ciò si è tradotto, nell’esperienza repubblicana, in un’indicazione rimessa allo stesso sistema dei partiti28.
Riguardo alle modalità con cui i partiti politici possono contribuire alla determinazione della politica nazionale occorre subito precisare che l’aggettivo “nazionale” deve essere considerato in relazione a quella che l’art. 114 Cost. chiama “Repubblica” (insieme
27
In particolare, per quanto riguarda il problema relativo dell’osservanza dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale (che si pone nella logica della prima delle tre interpretazioni proposte) un’interpretazione sistematica dell’art. 49 Cost. porta ad escludere un che essa si sostanzi nell’obbligo di “fedeltà” a tali principi. La Costituzione infatti non dà una definizione precostituita di partito, né indica le ideologie compatibili con l’ordinamento democratico.
L’ambito di azione partitica sul piano delle ideologie propugnabili appare quindi delimitato in negativo solo da alcuni paletti consistenti nei limiti generali discendenti dall’art. 18 Cost. e dalla XII disposizione transitoria e finale. Alla stregua di tali disposizioni i partiti dunque, in primo luogo, non possono includere tra i loro fini quelli «vietati al singolo dalla legge penale» (art. 18, comma 1, Cost.) e adottare organizzazioni di tipo militare o segreto; in secondo luogo, non possono porre in essere attività intese alla «riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista» (XII disposizione transitoria e finale). La “riorganizzazione” inoltre si può intendere in due significati diversi: in un senso letterale, come intesa ai fini ed all’organizzazione tipici del soggetto politico-istituzionale “individuato ed individuabile” nel ben noto periodo storico anteriore all’avvento dell’ordinamento repubblicano (C. ROSSANO, voce Partiti politici, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol. XXII, Roma, 1990, Agg. 2002, p. 4) ed in un senso estensivo, riferito a strutture associative che propugnino qualsiasi ideologia antidemocratica e totalitaria o esaltino la violenza.
Il legislatore ordinario, nel dettare norme attuative del principio costituzionale, ha seguito sostanzialmente tale seconda strada, pur affermando di voler individuare alcune caratteristiche tipiche del partito fascista estrapolate da una analisi storico-retrospettiva (legge 20 giugno 1952 n. 645, come modificata dalla legge 22 maggio 1975 n. 152). Su tale base tali scelte sono state oggetto di critiche e di dubbi di costituzionalità in sede dottrinaria, nella misura in cui esse sembrano andare oltre la ratio della deroga che la XII disp. determina agli artt. 18, 21 e 49 Cost., consentendo potenzialmente la punibilità di visioni antidemocratiche non proprie specificamente del partito fascista e che non determinano un pericolo imminente di ricostituzione del partito stesso. A. PACE, Problematica delle libertà
costituzionali. Parte generale, II ed., Cedam, Padova, 1992, pp. 371 ss. La
normativa, salvata in varie occasioni dalla Corte costituzionale con interpretazioni di tipo restrittivo-adeguativo (sentenze n. 1 del 1957, n. 74 del 1958, n. 4 del 1972, n. 15 del 1973 e n. 254 del 1974), ha tuttavia ricevuto rare applicazioni sia in sede giurisprudenziale, sia in sede di esercizio del potere ministeriale di scioglimento, potendosi parlare di compromesso politico-giudiziario che ha tagliato alla radice la presunta portata eversiva della disciplina de qua. Solo nel 1973 e nel 1976 fu usato il potere di scioglimento ad opera del Ministero degli interni, rispettivamente nei confronti di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale.
28
48
costituito, oltre che dallo Stato, dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane e dalle Regioni). Se il ruolo dei partiti è stato infatti concepito come strumento indispensabile per la realizzazione del principio democratico in sé considerato, è evidente che esso debba riferirsi a tutti gli ambiti di governo in cui si esercitano funzioni pubbliche.
Due sono i principali modi con cui i partiti contribuiscono alla determinazione della politica: la selezione delle candidature e la determinazione delle linee programmatiche attraverso le quali i rappresentanti svolgono le loro attività all’interno delle istituzioni rappresentative.
Per quanto riguarda il primo aspetto, l’esperienza italiana è caratterizzata da un ruolo assai marcato dei partiti nella selezione della classe politica, facendo addirittura parlare di un “potere di diritto pubblico” del partito in tale ambito. Anche se con le riforme del 1993 è stato infatti introdotto l’obbligo di sottoscrizione delle candidature da parte di un certo numero di elettori (calcolato in relazione alla dimensione demografica del collegio di riferimento), ciò non ha mutato sostanzialmente il potere dei partiti, che in forza della loro capacità organizzativa mantengono il reale dominio di tali operazioni.
In ordine a tale funzione i partiti incontrano pochi limiti formali indicati dalla Costituzione (e in particolare dall’art. 98, comma 3) e dalla legislazione che regola le cause di ineleggibilità. Tuttavia rilevano soprattutto limiti sostanziali connessi al fatto che, se le persone selezionate non appaiono all’elettorato capaci o idonee di svolgere il compito per il quale sono state indicate l’elettore può scegliere un candidato o un partito diverso con esiti negativi per il partito stesso29.
La funzione di selezione del personale politico è stata poi
29
Questo possibile effetto, che era stato enfatizzato per giustificare il superamento del sistema elettorale proporzionale nel 1993, si è in realtà realizzato molto poco e in circostanze del tutto eccezionali. La particolare conformazione dell’elettorato italiano ha infatti impedito che la scelta fosse determinata dalla persona candidata, in quanto l’elettore sceglieva il candidato del “suo” schieramento indipendentemente da chi questo fosse. Sotto questo aspetto, quindi, il passaggio ad un sistema prevalentemente maggioritario e il superamento del sistema delle preferenze ha rafforzato anziché diminuito il potere dei partiti a scapito della possibilità di scelta degli elettori.
Con la successiva riforma elettorale del 2005, che ha segnato il ritorno ad un sistema proporzionale ma fortemente corretto mediante un complesso sistema di premi di maggioranza e di clausole di sbarramento, il potere dei partiti si è ulteriormente rafforzato, specie considerando che l’eliminazione delle preferenze ha rimesso sostanzialmente ai singoli partiti la scelta dei parlamentari. Vedi nota 73.