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I difetti e i pregi dei sistemi dualistici

Si potrebbe schematicamente affermare che i difetti e i pregi dei sistemi dualistici sono simmetricamente opposti a quelli, sopra menzionati, dei sistemi monistici.

Infatti, le principali critiche alla maggior parte degli ordinamenti a diritto amministrativo e a giurisdizione speciale si sono appuntate verso la non pienezza ed effettività della tutela, conseguenza dell’originaria concezione oggettiva della funzione del sindacato giurisdizionale, verso una certa limitatezza dei mezzi istruttori del giudizio amministrativo e verso una non completa indipendenza del giudice speciale. Mentre, i principali apprezzamenti si sono indirizzati all’elaborazione, giurisprudenziale o legislativa, di norme processuali apposite per le controversie di diritto pubblico e all’affinamento di tecniche di controllo giurisdizionale della discrezionalità amministrativa sempre più penetranti ed incisive, tali da garantire, attraverso un’azione di “interferenza” sulle manifestazioni dell’esercizio del potere pubblico, un rispetto della libertà dei singoli nei confronti della pubblica autorità, con una forza di gran lunga superiore a quella espressa dall’esperienza giuridica di ordinamenti monistici a tradizione “liberale”, come il britannico e lo statunitense. Così come, un altro rilevante elemento di pregio dei sistemi dualistici è considerata la precoce e raffinata costruzione del diritto amministrativo come disciplina autonoma ed equiordinata al diritto civile, che è senz’altro una conseguenza anche dell’esistenza di un foro amministrativo per le controversie afferenti l’esercizio del potere autoritativo.

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4.1. I difetti.

Il recours pour excès de pouvoir, archetipo del giudizio amministrativo di annullamento e del procedimento giurisdizionale per il sindacato di legittimità degli atti e dei provvedimenti amministrativi, tanto da aver ispirato il processo amministrativo non solo dei paesi dualistici europei ed extraeuropei, ma anche il ricorso d’annullamento del sistema di giustizia dell’Unione europea (si veda, per quanto riguarda i vizi di legittimità, l’art. 263, comma 2, TFUE), nasce, forgiato dalla giurisprudenza del Conseil d’État francese, con una chiara impostazione oggettiva, cioè nel presupposto che le norme di legge che disciplinano l’azione amministrativa non fondano in capo al privato diritti azionabili davanti al giudice, perché esse sono poste esclusivamente nell’interesse pubblico e quindi la verifica del loro rispetto si ritiene essere riservata alle autorità amministrative, che agiscono, quando pure su impulso del cittadino, a tutela di quell’interesse e per controllare il rispetto della legalità amministrativa.

È un ricorso d’ordre public perché ha come obiettivo la salvaguardia della legalità. N’est pas un procès fait à une partie - scriveva Laferrière27 – c’est un

procès fait à un acte. «L’oggetto del giudizio si condensa in una semplice

questione di légalité (noi diremmo: legittimità), di conformità, cioè, dell’atto impugnato (attaqué) alle regole giuridiche (non solo legislative) che lo riguardano»28. Non essendovi formalmente parti processuali, nel contentieux de

l’annulation il ricorrente è inteso come un “collaboratore ufficioso dell’interesse

pubblico” o anche, secondo l’impostazione dottrinale transalpina più risalente, come un “pubblico ministero”, che ricorre nell’interesse della legge.

Ebbene, questa (originaria) concezione obiettiva della giurisdizione amministrativa di legittimità, propria del modello francese e mutuata da altri sistemi dualistici, che non accoglie l’idea di un “processo alla parte”, ma solo quella di un “processo all’atto”, non può che limitare la decisione del giudice all’annullamento dell’atto impugnato, senza possibilità di alcun’altra pronuncia.

Dunque, non si ammettono, in questa prospettiva, sentenze di condanna dell’amministrazione all’adozione del provvedimento richiesto e illegittimamente non emanato, né sentenze produttive degli effetti del provvedimento agognato, né poteri di esecuzione forzata nei confronti della pubblica amministrazione inottemperante alle decisioni giudiziarie, non solo perché vi osta il principio di “riserva di amministrazione” di cui al principio di separazione dei poteri, ma anche perché il cittadino può ricorrere al giudice esclusivamente per contribuire alla repressione della violazione della legalità amministrativa e al ripristino dell’ordine giuridico e della corretta cura dell’interesse pubblico, ma non può agire per far valere un proprio interesse, se non indirettamente nella misura in cui esso venga a coincidere con l’interesse pubblico e alla legalità. La tutela giurisdizionale del privato è indiretta ed occasionale, non è piena ed effettiva.

27

E. LAFERRIÈRE, Traité de la juridiction administrative et des recours contentieux, Paris 1989 (ristampa della prima edizione del 1887-1888), tome 2e, 534.

28 F.G. SCOCA, Recours pour excès de pouvoir e ricorso al giudice amministrativo. Stesse radici, simili

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Un secondo punto debole dei sistemi dualistici, almeno nella loro impostazione originaria, può essere generalmente ravvisato nella limitata possibilità per il giudice amministrativo di accedere pienamente e direttamente agli elementi di fatto necessari per la decisione della controversia sottoposta al suo esame.

Infatti, come spiegheremo meglio tra poco, negli ordinamenti a contentieux

administratif il giudice amministrativo nasce e si specializza come un “giudice

nell’amministrazione”, cioè come un giudice che opera all’interno dello stesso meccanismo di protezione dell’interesse pubblico cui è preposta l’autorità pubblica. Suo compito è, almeno all’origine, quello di verificare se il provvedimento amministrativo è stato adottato conformemente alle norme di legge, nel contesto di una concezione del processo amministrativo inteso come una sorta di procedimento amministrativo - seppur con le maggiori garanzie giurisdizionali - di secondo grado, il che lo porta fondamentalmente a riesaminare i documenti amministrativi che sono alla base della decisione impugnata. L’istruzione probatoria è limitata ad alcuni mezzi di prova, è per lo più di tipo documentale e per di più sulla base dei documenti di una parte in causa, e dunque l’accertamento della veridicità dei fatti sui quali va ad incidere l’azione amministrativa viene espletato in via indiretta, non piena e un po’ “con gli occhi dell’amministrazione”, mentre sarebbe opportuno che la fondatezza delle pretese sostanziali del cittadino a fronte dell’esercizio del potere amministrativo venisse verificata dal giudice direttamente alla fonte, senza intermediazioni e senza le incrostazioni probatorie di parte, con quegli stessi ampi mezzi di prova del processo civile e penale che consentono a chi è chiamato a giudicare di accedere pienamente ai fatti.

Infine, l’altro accennato punto di criticità dei sistemi dualistici consiste nell’essere (o nell’essere considerato) il giudice amministrativo poco indipendente e terzo rispetto al potere esecutivo, di cui addirittura, come nei sistemi “a Consiglio di Stato”, può strutturalmente far parte. Questo per ragioni storiche e, al contempo, ideologiche che possiamo per cenni riassumere così.

In Francia, la giurisdizione del contenzioso amministrativo si forma come

justice retenue, cioè esercitata formalmente dal Sovrano, che decide dei ricorsi

amministrativi presentatigli dai cittadini, previo parere del Conseil d’État 29. Di fatto, però, la giustizia amministrativa è esercitata dall’organo consultivo, atteso che il vertice del potere esecutivo si limita a recepire, nel contenuto dei propri decreti decisori, senza quasi mai discostarsene, il parere del Conseil, espresso da quest’organo con l’imparzialità, l’indipendenza, l’alto tecnicismo giuridico e la saggezza di un “giudice”.

Una legge del 1872 formalizza la sostanza decisoria della funzione consultiva del Conseil d’État e attribuisce a quest’ultimo la potestà di decidere direttamente, in forza della sua autorità e sotto la sua completa responsabilità, i ricorsi del contenzioso amministrativo, segnando il passaggio al sistema di

justice déleguée.

29 Per gli atti emanati dalle autorità dipartimentali o provinciali, la giustizia amministrativa è esercitata dal Prefetto, previo parere del Consiglio di Prefettura.

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Ma il Conseil d’État è sia con Napoleone I, sia nella legge del 1872, sia ancora oggi, vigente la Costituzione della Quinta Repubblica, un organo formalmente amministrativo, tanto da essere formalmente presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri (o dal Ministro Guardasigilli)30.

Si è voluto, insomma, nella patria del sistema dualistico, attribuire ad organi amministrativi specializzati la giurisdizione del contenzioso amministrativo, per far salvo il principio della separazione tra amministrazione e giustizia, stabilito dalla legge del 16-24 agosto 1790 31 (perché, come si è già detto, citando Pansey, “giudicare l’amministrazione continua ad essere amministrare”), dogma rigidamente applicato nella legislazione dai rivoluzionari giacobini e da Napoleone32 e recepito dalla vigente Costituzione33.

Ancora oggi i Conseillers d’État sono considerati, in Francia, funzionari di Stato dipendenti dal Governo e non hanno lo status di magistrati. A differenza dei magistrati ordinari e dei magistrati delle giurisdizioni amministrative inferiori, nessun testo normativo garantisce loro l’inamovibilità.

In Italia, la legge di unificazione del 20 marzo 1865, n. 2248, all. E sopprime i tribunali del contenzioso amministrativo e attribuisce le controversie sui diritti politici e civili incisi dall’esercizio del potere amministrativo ai tribunali ordinari, resi titolari di un potere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi, instaurando un monismo giurisdizionale.

Ma le norme di questa legge sono interpretate prima dal Consiglio di Stato (1865-1877) e poi dalla Corte di Cassazione romana (dal 1877 in poi) in senso molto restrittivo e quasi “abrogativo”, ritenendo cioè che dove vi sia esercizio di potere autoritativo, quasi sempre non vi possano essere diritti e, dunque, non vi possa essere neppure giurisdizione. Ne risulta un vuoto di tutela per le situazioni in cui il cittadino si trovi a fronteggiare l’esercizio di un potere amministrativo, che si decide di colmare non già imponendo una revisione dell’interpretazione restrittivo-abrogativa della legge monistica esistente, ma attribuendo, con una legge dualistica del 1889, il potere giurisdizionale di annullare gli atti amministrativi illegittimi ad un organo amministrativo consultivo del Governo, il Consiglio di Stato, che già esercitava, nei fatti, questo potere nell’ambito del parere sui ricorsi straordinari al Re e cioè in sede di “giustizia ritenuta”. Ne nasce un sistema dualistico sulla base di un monismo non rimosso (la legge del 1889

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Nei fatti, la Presidenza è esercitata dal Vicepresidente, che ovviamente è un Conseiller d’État. Non è, però, neppure senza significato che quest’ultimo venga nominato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Giustizia.

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«Les fonctions judiciaires sont distinctes et demeureront toujours séparées des fonctions

administrative; les juges ne pourront, à peine de forfaiture, troubler, de quelque manière que ce soit, les opérations des corps administratifs, ni citer devant eux les administrateurs pour raison de leurs fonctions.» (tit. II, art. 13).

32 Per vero, più per motivi “pratici”, che ideologici: col pretesto di «portare a termine la Rivoluzione», si voleva impedire il “blocco giudiziale” dell’autoritarismo giacobino e poi napoleonico.

33 Con la storica decisione del 23 gennaio 1987, n. 86-224, il Conseil Constitutionnel ha, infatti, dichiarato che il principio di separazione tra amministrazione e tribunali, con la conseguente competenza di annullamento o riforma in via definitiva delle decisioni amministrative alla giurisdizione amministrativa, fa parte dei «principes fondamentaux réconnus par les lois de la République» che oggi si integrano nel bloc de constitutionnalité utilizzato dal Conseil Constitutionnel per il controllo di costituzionalità delle leggi.

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intendeva non già abrogare o modificare la legge monistica del 1865, ma solo “integrarla”), un “dualismo anomalo”, dunque, e la “giustizia amministrativa delegata” al Consiglio di Stato si aggiunge alla “giustizia amministrativa ritenuta” dal Capo dello Stato, e da allora in poi fino ai nostri giorni il Consiglio di Stato è un corpo amministrativo che esercita anche funzioni giurisdizionali, è cioè un organo amministrativo consultivo del Governo e, al contempo, un organo giurisdizionale.

Ancorché, a differenza che in Francia, i Consiglieri di Stato abbiano, nel nostro Paese, lo status di magistrati, o forse, si potrebbe anche dire, proprio a cagione di questo status, una parte della letteratura giuspubblicistica sottolinea l’intollerabilità della incompleta indipendenza del supremo giudice amministrativo dal potere esecutivo per almeno tre ragioni: la nomina governativa di un quarto dei suoi componenti, la coesistenza di funzioni giurisdizionali e di funzioni consultive con conseguente “incompatibilità da prevenzione”34 e il conferimento, da parte del Governo, di incarichi extragiudiziari ai Consiglieri di Stato.

Ma questa critica di “ibridismo” e di “bifrontismo”, e di conseguente non completa indipendenza e terzietà del giudice amministrativo rispetto al potere esecutivo, si addensa sugli altri sistemi dualistici “a Consiglio di Stato”, europei (Paesi Bassi, Belgio dal 1946, Grecia) e non europei (per es., Turchia, Egitto, etc.).

E anche in Germania, sistema giurisdizionale dualistico non “a Consiglio di Stato”, la piena equiparazione, quanto a indipendenza dal potere esecutivo, tra giudici amministrativi e giudici ordinari, è conquista non molto risalente nel tempo e avvenuta a seguito di un lungo percorso storico che ha conosciuto per molto tempo organi giurisdizionali-giustiziali del contenzioso amministrativo non completamente separati, dal punto di vista organizzativo e personale, dall’apparato amministrativo, e ciò non soltanto negli Stati tedeschi del sud, più influenzati dalle riforme napoleoniche e dal modello francese.

4.2. I pregi.

Ma, come spesso capita anche nella vita e nel carattere delle persone, spesso quelli che si manifestano come “difetti” sono poi anche, allo stesso tempo, delle “virtù” o, comunque, sono al fondamento delle stesse. E nei sistemi dualistici, la non completa indipendenza del giudice amministrativo rispetto all’amministrazione o, comunque, la sua diversità e “specialità” rispetto al giudice ordinario, che lo ha fatto sentire dai funzionari pubblici più “vicino”, per colleganza o per estrazione professionale o anche semplicemente per forma

mentis, alla loro “missione”, hanno decretato il successo della tutela

giurisdizionale assicurata, con strumenti e tecniche peculiari, dal giudice amministrativo negli ordinamenti à droit administratif e à contentieux

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Così A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia “non

amministrativa”. (Sonntagsgedanken), ed. Giuffrè, Milano 2005, 87 ss. Di mancanza della necessaria

«indifferenza istituzionale del giudice rispetto alle parti in causa» quando lo stesso organo svolge anche funzioni consultive, parla A. TRAVI in Per l’unità della giurisdizione, in Dir. pubbl., IV, 1998, 382.

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administratif. E questo successo è stato conseguito soprattutto sul terreno del

sindacato della discrezionalità amministrativa, che costituisce il punto di massima tensione tra le contrapposte esigenze, da un lato, di garantire che all’amministrazione non venga impedito di curare, con una certa elasticità e flessibilità di poteri, l’interesse generale, e, dall’altro, di tutelare il privato contro i pregiudizi che possano essere arrecati ai suoi interessi dall’azione amministrativa svolta con la libertà di scelta delle modalità e dei mezzi più idonei e opportuni al perseguimento dell’interesse generale.

Infatti, controllare la legalità formale di un atto amministrativo, e cioè verificare se siano state rispettate le regole “esteriori” di competenza o di procedura o se un provvedimento corrisponda o meno alla fattispecie normativa astratta, non è generalmente operazione complessa.

Ben più difficile risulta, invece, accertare la violazione della legalità sostanziale, che viene perpetrata allorquando un’amministrazione rispetta la lettera della legge, ma non il suo spirito, quando, cioè, un’amministrazione penalizza gli interessi privati sfruttando in modo scorretto gli spazi di azione che la normativa lascia aperti per consentirle di plasmare le sue decisioni in relazione all’interesse pubblico che, nel concreto, non è mai un’entità semplice e statica, ma un’entità dinamica, dialettica e variegata. Il rischio di quest’accertamento, infatti, è d’invadere la sfera riservata all’amministrazione, di sostituirsi ad essa nella cura dell’interesse pubblico e nelle valutazioni d’opportunità che questa cura presuppone; per parafrasare Pansey, di “amministrare” nel momento stesso in cui “si giudica l’amministrare”. Ed è per questo che un siffatto accertamento è maggiormente tollerato dal “sistema” se viene compiuto da un organo che l’amministrazione non sente a sé completamente estraneo o, peggio, “nemico”, se viene, insomma, svolto da un giudice «che si ponga per così dire all’interno del meccanismo di protezione e restaurazione dell’interesse obiettivo»35, da un giudice che, ab interno, sappia ricostruire quale sarebbe stato il corretto esercizio del potere per indirizzare o vincolare la futura azione amministrativa.

«Il carattere differenziato della tutela rileva in funzione della elaborazione di tecniche ad hoc per il sindacato sul potere: quanto prima un sistema matura la percezione della peculiarità della condizione dell’amministrazione e della necessità di rimedi speciali per il suo controllo, tanto prima mette a punto meccanismi diretti a limitare l’area del discrezionale e a sindacarla più incisivamente»36.

Gli straordinari approdi raggiunti dagli ordinamenti dualistici in punto di sindacato giurisdizionale della discrezionalità amministrativa, che negli stati moderni costituisce uno dei maggiori possibili argini agli abusi del potere pubblico, sono guardati con ammirazione in tutto il mondo, anche dai paesi anglosassoni a tradizione monistica. Francia, Germania e Italia, sia pure con categorie e tecniche diverse, sono all’avanguardia nel contenimento degli eccessi del potere amministrativo discrezionale, grazie ad una lunga e raffinatissima elaborazione giurisprudenziale. La Francia, col détournement de pouvoir, con

35 NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 29.

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l’erreur manifeste d’appréciation e col bilan coût-avantages37. La Germania col

Kontrolldichte (sindacato forte) dell’atto amministrativo sotto il profilo del

rispetto del Verhältnismäβigkeitprinzip (principio di proporzionalità) della soluzione prescelta rispetto all’obiettivo perseguito, declinato nel triplice senso di idoneità al perseguimento dello scopo, di necessarietà, per non esservi altri mezzi possibili meno pregiudizievoli per gli interessati, e di proporzionalità in senso stretto38. In Italia, con lo sviamento di potere e le figure sintomatiche dell’eccesso di potere39.

Un secondo accennato pregio, che mi pare degno di essere ricordato, è che la fisiologica attenzione che il “giudice nell’amministrazione” riserva all’interesse pubblico porta poi i sistemi dualistici a coniare taluni istituti e regole processuali “speciali” che, nel perseguirlo e nel tutelarlo, finiscono per giovare al cittadino assai più di quanto non facciano le regole processuali di diritto comune dei sistemi monistici che si assume essere maggiormente sensibili alle istanze del privato.

Per esempio, la necessità di verificare la legalité dell’azione amministrativa, nel contesto di un’impostazione oggettiva o, al contempo, oggettiva e soggettiva della tutela nei confronti della p.a., porta a riconoscere una legittimazione all’azione in termini più generosi che nel giudizio ordinario. E persino il termine breve di decadenza per ricorrere, posto a garanzia della stabilità delle situazioni, della certezza dei rapporti giuridici e del legittimo affidamento dei consociati, nella chiarezza della disposizione processuale che lo prescrive, finisce per tutelare il cittadino in modo più solido di certi sistemi monistici che, non prevedendo questo termine o prevedendolo in modo “ordinatorio”, lasciano al giudice ordinario di decidere discrezionalmente e cioè, in definitiva, arbitrariamente se ammettere il ricorso sotto il profilo della tempestività.

Infine, come sopra preannunciato, la sottrazione delle controversie di diritto pubblico alla giurisdizione ordinaria e la loro attribuzione ad una giurisdizione “speciale” è un fattore che, insieme alla centralizzazione e alla uniformizzazione dell’organizzazione amministrativa e al rafforzamento del ruolo dell’azione di quest’ultima nella società, contribuisce fortemente all’ulteriore utilità della precoce presa di coscienza che il diritto amministrativo è una disciplina autonoma rispetto al diritto civile, perché composta di «règles dérogatoires au

droit commun»40 che attribuiscono poteri speciali all’amministrazione.

I sistemi dualistici concorrono ad un’ordinata e avanzata costruzione del diritto amministrativo per almeno due ragioni.

La prima è che l’esigenza di distinguere tra controversie attribuite al giudice ordinario e controversie devolute al giudice amministrativo porta a sviluppare un criterio di riparto che distingue tra controversie di diritto privato e controversie di diritto amministrativo, e quindi a identificare, pur con tutte le difficoltà del caso, l’essenza e i confini di questa autonoma disciplina pubblicistica.

37 V. capitolo terzo. 38 V. capitolo quinto. 39 V. capitolo settimo.

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La seconda è che, sin dal momento della sua nascita e fin quasi ai giorni nostri, il diritto amministrativo è essenzialmente un diritto pretorio, frutto della giurisprudenza “creativa” del giudice speciale che, con la sua razionalité, sagesse

et sens d’équité, elabora le regole dei poteri “esorbitanti” della p.a., all’inizio per

mettere quest’ultima nelle condizioni di realizzare efficacemente le sue funzioni e successivamente, e sempre più, per limitarli a garanzia delle libertà dei cittadini.

5. La precoce “impurità” dei modelli ovvero il valore sommario e