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Il recours pour excès de pouvoir

4. Il contentieux administratif

4.2. Il recours pour excès de pouvoir

Il recours pour excès de pouvoir è un’invenzione del Conseil d’État. Un’invenzione geniale, se si pensa che esso ha consentito di dare attuazione al principio di legalità amministrativa e cioè di sottoposizione dell’organizzazione, dell’attività e dei fini dell’amministrazione pubblica alla legge.

Esso nasce tra le pieghe dell’art. 3 della legge del 7-14 ottobre 1790 che abilita il Re, in quanto «capo dell’amministrazione generale», a pronunciarsi sui «ricorsi per incompetenza» aventi ad oggetto gli atti delle autorità amministrative inferiori264. Questa norma giuridica non attribuisce alcun diritto soggettivo al cittadino, ma si limita a consentire all’amministrazione l’annullamento “in autotutela” dei provvedimenti affetti da oggettiva illegalità denunciata dai privati. La caducazione dell’atto amministrativo, effettuata dall’organo amministrativo supremo, persegue l’interesse pubblico al ripristino dell’ordine giuridico e non la realizzazione dell’interesse individuale del cittadino che presenta il ricorso.

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Per es., quello che distingue tra contentieux des recours e contentieux des poursuites.

263 Il pensiero va soprattutto al dibattito suscitato nelle Università francesi dal saggio di F. MELLERAY,

Essai sur la structure du contentieux administratif français. Pour un renouvellement de la classification des principales voies de droit ouvertes devant les juridictions à compétence générale, ed. L.G.D.J., Paris

2001.

264 LAFERRIÈRE, Traitè, cit., 397 ss; P. LANDON, Histoire abrégée du recours pour excès de pouvoir, ed. L.G.D.J., Paris 1962.

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Per comprendere questo carattere oggettivo che il recours pour excès de

povoir presenta al momento della sua nascita e conserva in tutta la sua storia,

occorre tenere presente almeno due profili.

Il primo è che in Francia (ma anche altrove: per esempio, in Italia265), per gran parte del XIX secolo, l’idea dello Stato di diritto e del primato della legge, che comporta che l’apparato pubblico sia sottoposto alle regole giuridiche e che tra Stato e cittadino, tra amministrazione e amministrato, esista un rapporto giuridico fatto di diritti e di obblighi reciproci, azionabile davanti a un giudice terzo, è ancora un concetto astratto, “primordiale”, portato poco alle sue molteplici conseguenze pratiche. In particolare, non si riesce ancora a concepire che il cittadino abbia un diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione, fatta eccezione - e neppure da subito - per i casi in cui questa accetta di usare i comuni strumenti civilistici.

Il fatto è che, nonostante la proclamazione del principio di separazione dei poteri, per molti decenni dell’Ottocento «la funzione amministrativa continua a confondersi con le funzioni più “enfaticamente” sovrane dello Stato e in particolare con quella legislativa, i cui caratteri tipici sono l’irresponsabilità e l’insindacabilità»266. Soltanto a seguito di una lunga evoluzione culturale, cui dà un forte impulso anche la giurisprudenza del Conseil d’État, l’attività amministrativa cessa di essere considerata “libera nei fini”, come l’attività legislativa, e si comincia a sindacarla sotto il profilo del rispetto prima della legge e poi del diritto. E però, nonostante questa evoluzione, per tanto tempo non si riesce a concepire che il cittadino vanti un “diritto soggettivo” alla legittimità dell’atto amministrativo da far valere davanti ad un giudice, ordinario o speciale che sia: egli ha soltanto un “interesse” alla legittimità. Del diritto e dell’obbligo alla legittimità dell’atto amministrativo è titolare soltanto la pubblica amministrazione.

La quale persegue un intérêt général nel quale deve considerarsi compresa la salvaguardia del rispetto della legalité da parte di tutti gli organi amministrativi. Ed è questa la seconda idea fortemente radicata nella cultura francese, che impone all’inizio una concezione “obiettiva” del contentieux de l’annullation, perché di fronte all’interesse pubblico, l’interesse individuale, anche quello all’annullamento del provvedimento amministrativo, arretra e non riesce ad assumere le fattezze di una vera e propria situazione giuridica soggettiva, rimanendo un mero “interesse di fatto”. Le regole che disciplinano l’esercizio del potere sono poste nell’interesse pubblico e la verifica del loro rispetto è riservata alle autorità amministrative.

265 Dove l’idea che non possa esistere un diritto soggettivo del privato (da far valere davanti ad un giudice) a fronte dell’esercizio di un potere amministrativo è talmente radicata, da determinare un’interpretazione “abrogatrice” della legge n. 2248/1865 all. E, che all’art. 4 afferma l’esatto opposto («quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa …»), interpretazione che lascia il cittadino privo di tutela giurisdizionale nei confronti dell’attività amministrativa, ciò che fa nascere il movimento per la “giustizia nell’amministrazione” che porterà nel 1889 all’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato.

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Ebbene, in questo contesto ideologico, si va sempre più affermando, nella prima metà dell’Ottocento, la prassi dei cittadini che denunciano al Re gravi irregolarità nell’azione amministrativa, proprio sulla base della citata norma della legge del 1790. Ma è il Conseil d’État, che dal 1799 è divenuto l’organo consultivo dell’Esecutivo, a decidere sostanzialmente di questi ricorsi, svolgendo, nell’ambito della “giustizia ritenuta”, il ruolo di guardiano della regolarità dell’azione amministrativa, in nome del Capo supremo dell’amministrazione il quale, con i suoi decreti, “sanziona” i pareri giuridici del “suo” Consiglio, motivati, in punto di fatto e di diritto, in forme che assomigliano sempre più alle sentenze.

La genialità del Conseil d’État consiste, da un lato, nella capacità di decidere di questi ricorsi mostrandosi formalmente come organo interno alla pubblica amministrazione, ma sostanzialmente ponendosi in una posizione di terzietà; e, dall’altro, nel riuscire a far “digerire” ai giuristi e agli amministratori contemporanei un’interpretazione oltremodo estensiva ed evolutiva, direi persino “manipolativa”, del concetto di vizio di “incompetenza” dell’atto amministrativo, l’unico contemplato dalla legge del 1790.

Apparendo come organo interno di consulenza legale del vertice dell’esecutivo, il Consiglio di Stato riesce a far “accettare” alla stessa amministrazione un sindacato di legittimità anche molto approfondito dei suoi atti e a farle “sentire” come non violato il principio di separazione tra potere esecutivo e potere giudiziario. In fondo, il binomio Re-Consiglio di Stato che annulla un atto amministrativo nell’interesse pubblico e al di fuori di ogni obbligo nei confronti del cittadino ricorrente, altro non è che la stessa pubblica amministrazione che “rivede in autotutela” il suo operato.

Ponendosi in una posizione di sostanziale terzietà rispetto all’amministrazione, a poco a poco il Conseil d’État cessa di essere il protettore delle sole prerogative dell’amministrazione, per diventare anche il garante dei “diritti” dei cittadini. Lo scrutinio di legittimità del provvedimento amministrativo viene spesso svolto con le modalità della valutazione comparativa dell’interesse pubblico e dell’interesse individuale, e sulla bilancia comincia a diventare sempre più rilevante l’interesse privato.

Il Conseil d’État rafforza il suo ruolo di custode della légalité administrative e di garante delle istanze dei cittadini estendendo il concetto di “incompetenza”, che nelle intenzioni del legislatore del 1790 avrebbe dovuto significare semplicemente un grave “straripamento di potere”.

In sede di istruzione e decisione dei ricorsi, si comincia a notare che non sempre l’attività amministrativa si presenta come discrezionale o, come si usa dire in quel periodo, “amministrazione pura” o “graziosa”, simile all’attività legislativa, perché a volte essa può configurarsi come vincolata o, nel linguaggio del tempo, “contenziosa”, come quando è astretta dalla legge o da un precedente atto amministrativo. Casi classici sono, all’inizio, il rilascio di una licenza edilizia conforme alle previsioni di un piano d’allineamento o l’avanzamento di grado per gli ufficiali dell’esercito, i primi tra i dipendenti pubblici a veder

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legalmente regolata la loro carriera267. L’atto amministrativo che non rispetta i vincoli di legge o di altri atti amministrativi dev’essere considerato come se fosse stato adottato in difetto di attribuzione e come tale dev’essere annullato.

Successivamente, il Conseil d’État rinviene l’incompetenza in ogni ipotesi di violazione della legge: per esempio, quando l’atto amministrativo è stato emanato al di fuori delle procedure o senza le forme sostanziali previste dalla legge.

Quindi, gradualmente ricava dal concetto di incompetenza una quantità di vizi ulteriori alla legalità estrinseca dell’atto: dall’errore nella motivazione, all’inesatta interpretazione dei presupposti di fatto, sino alla “ingegnosa invenzione” del détournement de pouvoir, che inizia ad accogliere tra le cause di annullamento dell’atto anche l’uso dell’autorità per un fine diverso da quello prescritto per legge, facendo breccia nella cittadella fortificata, fino ad allora ritenuta invalicabile, del sindacato della discrezionalità amministrativa.

Agli inizi degli anni Sessanta del XIX secolo, il sistema della giustizia amministrativa francese consta di un contenzioso di annullamento aperto ai titolari di un semplice interesse e proiettato verso un sindacato di legalità intrinseca268. I vizi di legittimità “creati” dalle raffinate motivazioni dei pareri del Consiglio di Stato per le decisioni dell’Imperatore sono ormai numerosi e variegati: lo straripamento di potere, il difetto relativo di competenza, la violazione manifesta delle norme di legge, la mancanza di motivazione, la violazione delle altre forme sostanziali, l’omesso rispetto delle procedure, lo sviamento di potere. Li si può racchiudere soltanto in una nuova più ampia nozione idonea a riassumere qualunque patologia dell’esercizio di puissance

publique: quella di excès de pouvoir.

È per questo che al ricorso che introduce il contentieux de l’annullation per vizio di «incompetenza» si comincia a dare convenzionalmente il nome di

recours pour excès de pouvoir, che, però, non compare ufficialmente in alcun

testo normativo fino al 1864, quando l’espressione fa il suo ingresso nel decreto del 2 novembre che ne liberalizza la procedura, dispensando dall’obbligo del patrocinio di un avvocato e da ogni spesa, salvo i diritti di bollo e di registrazione, «i ricorsi presentati al Conseil d’État in virtù della legge 7-14 ottobre 1790 contro gli atti di autorità amministrative per incompetenza ed eccesso di potere». Come ricorderà cinquant’anni dopo Léon Duguit269, con un modestissimo bollo di 60 centesimi di franco, qualunque cittadino interessato avrebbe potuto provocare «la censura giurisdizionale di ogni atto illegittimo dell’amministrazione». “Giurisdizionale”, perché nel frattempo il Conseil d’État ha assunto una posizione di più marcata indipendenza dall’esecutivo nel giudizio sull’attività amministrativa e, con i suoi pareri sui ricorsi presentati dai cittadini al Capo dello Stato, finisce per svolgere un’attività sostanzialmente giurisdizionale, che diventa tale anche formalmente quando l’art. 9 della legge 24

267

MANNORI – SORDI, op. ult. cit., 295. 268

MANNORI – SORDI, op. ult. cit., 357.

269 L. DUGUIT, Les transformations du droit public, Paris 1913, 191. Traggo questa citazione dal solito, quanto mai completo, MANNORI – SORDI, Storia del diritto amministrativo, cit., 358.

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maggio 1872 segna il passaggio dalla justice retenue alla justice déléguée, riconoscendo che «le Conseil d'Etat statue souverainement sur les recours en

matière contentieuse administrative et sur les demandes d'annulation pour excès de pouvoirs formées contre les actes des diverses autorités administratives»:

scompare il riferimento al vizio d’incompetenza previsto dalla legge del 1790, perché questo è ormai inglobato in quello più generale e ormai “ufficiale” di «excès de pouvoir».

Da allora sino ai nostri giorni, la giurisprudenza del Conseil d’État sul

recours pour excès de pouvoir percorre essenzialmente due strade che portano al

consolidamento della nuova raffinata ed evoluta concezione del diritto amministrativo francese come insieme di regole che disciplinano i poteri autoritativi ed esecutori dell’amministrazione e, al contempo, tutelano i diritti e gli interessi dei cittadini dall’abuso di questi poteri: il controllo del perseguimento del fine pubblico e la verifica dei motivi del provvedimento; due strade che finiscono per confluire nella direzione del sindacato approfondito della discrezionalità amministrativa.

Il Conseil d’État elabora sin dal caso Lesbats270 del 1864, affinandolo con la sentenza Pariset271 del 1875, il concetto di détournement de pouvoir come vizio di legalité che colpisce l’atto amministrativo che devia dalla sua destination

légale, essendo caratterizzato da incorrection du but. E con l’individuazione del

vizio della funzione, si modifica l’originario significato di acte discrétionnaire: questo non è più l’atto de pure administration, libero nei fini come quello legislativo, ma è un atto vincolato nel fine del perseguimento dell'intérêt général indicato dalla legge, di talché l’esercizio di potere amministrativo per uno scopo diverso rispetto a quello per il quale il potere è stato attribuito dal legislatore, costituisce una violazione della legalità sostanziale che determina l’annullamento delle relative manifestazioni.

Il sindacato sui motivi del provvedimento amministrativo si rafforza soprattutto dal secondo decennio del XX secolo. Con gli affaires Camino272 del 1916 e Trépont273 del 1922, il Conseil d’État si mostra investito del dovere di accertare la matérialité des faits posti a fondamento delle decisioni amministrative, sotto il profilo dell’esistenza e dell’esattezza; e a partire dalla sentenza Gomel274 del 1914 accerta pure la correttezza delle qualificazioni relative ai fatti (luoghi, vicende, strutture, etc.) effettuate dall’amministrazione sulla base di categorie previste da norme di legge.

Dunque, con l’erreur de fait e con l’erreur de qualification juridique des

faits, il giudice amministrativo può ricontrollare la valutazione dell’amministrazione sull’ “esistenza” e sul “valore” dei motivi dell’atto275

e può

270 Conseil d’État, 25 febbraio 1864, Lesbats. 271 Conseil d’État, 26 novembre, 1875, Pariset. 272

Conseil d’État, 14 gennaio 1916, Camino. 273

Conseil d’État, 20 gennaio 1922, Trépont. 274 Conseil d’État, 4 aprile 1914, Gomel.

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verificare la congruenza con i fatti dei motivi addotti a sostegno della decisione amministrativa276.

Nella seconda metà del Novecento, il Conseil d’État utilizza lo scrutinio dei motivi del provvedimento per estendere il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere amministrativo discrezionale ad una verifica di congruità e di ragionevolezza. Dall’arrêt Lagrange277 del 1961, il giudice amministrativo ritiene di dover accertare se vi sia stato un errore evidente nella valutazione discrezionale dei fatti da parte della pubblica amministrazione. E dall’arrêt Ville

Nouvelle278 del 1971, si addentra a controllare pure l’equilibrio tra costi e benefici arrecati da un’operazione amministrativa, annullando l’atto che persegue uno scopo di pubblico interesse con un sacrificio eccessivo dei diritti individuali e degli altri interessi pubblici.

In buona sostanza, con l’erreur manifeste d’appréciation e ancor più con il

bilan coût-avantages, il giudice amministrativo francese effettua un sindacato

profondo dell’esercizio della discrezionalità amministrativa, che giunge sino alle soglie del controllo dell’opportunità. Ma l’organo giurisdizionale può ripetere la ponderazione comparativa di interessi compiuta dall’amministrazione per verificarne la congruità e la ragionevolezza ai soli fini dell’annullamento del provvedimento, non anche della sostituzione, vigendo una riserva di “amministrazione attiva” a favore dell’autorità amministrativa. E ciò anche quando nell’ultimo decennio del secolo, il giudizio sul bilan coût-avantages diviene più rigoroso e stringente, essendo svolto sulla base del principio di proporzionalità importato dalla giurisprudenza comunitaria che, a sua volta, lo ha mutuato dal sistema giurisdizionale amministrativo tedesco.