• Non ci sono risultati.

I. Fase crepuscolare ed emersione della crisi: l’assetto normativo attuale

7. I doveri degli amministratori nel periodo di pre-insolvenza

La dottrina ha da tempo segnalato l’esistenza di istituti i quali, pur consolidati nel diritto societario e nel diritto concorsuale vigente per rispondere ad un’esigenza differente, garantirebbero il medesimo risultato che si otterrebbe dall’introduzione di una procedura di allerta preventiva. Sembra opportuno dare conto dello strumentario attualmente disponibile che, osservato sotto la lente degli istituti di rilevazione tempestiva della crisi, rivela senza dubbio interesse per la questione della prevenzione – passando attraverso la tutela dei principi di continuità e solvenza –, seppur sprovvista di un essenziale requisito di completezza. Trattasi, nella maggior parte dei casi, di istituti concernenti gli obblighi di gestione durante la fase di declino, una fase strutturalmente basata sull’intersezione del diritto societario e del diritto fallimentare85. Conseguentemente, istituti di diritto vigente che siano in grado di supplire ad un meccanismo di rilevazione tempestiva della crisi – nell’attesa di ottenere una consistenza di diritto positivo – si rintracciano sia all’interno delle disposizioni che regolano i rapporti tra gli organi della gestione e del controllo, sia all’interno della disciplina più attinente alla crisi.

Come è noto, vige nel diritto societario un fondamentale principio di corretta amministrazione nello svolgimento della funzione di controllo del consiglio di amministrazione (art. 2381 co. 3 c.c.). Quest’ultimo valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, nonché il generale andamento della gestione, sulla base delle informazioni ricevute nella relazione degli organi delegati. Come risulterà evidente anche dall’analisi delle ulteriori disposizioni in materia di diritto societario, nell’assetto vigente la nozione di prevenzione è assimilabile a quella di controllo: […] la nozione di controllo si

emancipa da una condizione in termini di verifica ex post per evolvere verso l’idea del controllo come funzione essenziale del corretto esercizio del potere gestorio”. “Il controllo si libera da connotati repressivi per assumere caratteri tipizzanti di

85 A definire la twilight zone come fase intermedia coperta sia dal diritto societario che dal

diritto fallimentare è BRIZZI in op. cit. pag. 77. Sulla base di tale ricostruzione, il diritto della crisi d’impresa sarebbe un diritto intermedio tra il primo – il quale stabilisce i directors duties verso i soci all’interno di società solvibili – ed il secondo, in cui le pretese dei creditori sono soddisfatte prima di quelle dei soci, entro complesse procedure di tipo concorsuale.

52

strumento di efficienza‖86. Per giunta, proprio in considerazione del rischio di condotte opportunistiche che si manifestano quando l’impresa attraversa una fase di declino, la dottrina87 ha poi parlato di un autonomo diritto societario della crisi, inteso quale complesso di regole volte a rispondere alla violazione dei doveri di condotta degli organi della gestione. All’interno di questo diritto possono senz’altro farsi rientrare in primo luogo le clausole generali88

enucleate per amministratori e sindaci, attraverso una loro lettura trasversale quali norme di diritto societario e norme a tutela della prevenzione della crisi. Accanto al già citato art. 2381 co. 3 c.c., l’art. 2403 c.c.89

conferisce al collegio sindacale il compito di vigilare sul principio di corretta amministrazione di cui all’art. 2392 co. 2, ponendo così le basi di un complesso ed articolato sistema di controllo interno, strumentale anche ai fini della prevenzione delle fasi di declino.

Il sistema rende finanche responsabili gli amministratori nei confronti dei creditori sociali per la violazione dell’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, allorché il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti (art. 2394 c.c.). La legge pone dunque un dovere di conservazione – oltre che di impiego per realizzare il fine perseguito con la stipula del contratto di società – del patrimonio sociale strumentale alla tutela del credito, funzionale dunque alla protezione dei soggetti che sovente per ultimi vengono a conoscenza dell’esistenza di una crisi celata all’esterno. Le norme specificanti il generale dovere di diligenza professionale nello svolgimento dell’incarico gestorio, valgono dunque anche e soprattutto in prossimità di una crisi; momento, per giunta, in cui risulta cruciale l’osservanza del dovere di agire in modo informato enunciato all’art. 2381 co. 6 c.c. L’amministratore può infatti chiedere agli organi delegati di fornire in consiglio informazioni relative alla gestione della società, ma sfrutta anche le informazioni colte di propria iniziativa. L’inadeguatezza dei flussi informativi è più accentuata in dipendenza di situazioni di declino e può facilmente comportare una responsabilità per violazione del generale principio di corretta amministrazione.

86 Cit. MONTALENTI in op. cit. 87 F. BRIZZI in op. cit. pag. 18 88

Del catalogo degli obblighi degli amministratori discorre M. IRRERA, in Gli obblighi

degli amministratori di società per azioni tra vecchie e nuove clausole generali, reperibile

all’indirizzo http://associazione.orizzontideldirittocommerciale.it/media/12008/irrera.pdf

89

Come si vedrà situato nell’ambito delle regole prescritte per il collegio sindacale, ma rivolto anche all’organo amministrativo.

53

Alla medesima conclusione si giunge dalla lettura del combinato disposto degli artt. 2380-bis co. 1 e delle norme in materia di riduzione del capitale per perdite o al di sotto del minimo legale. Affidando agli amministratori l’esclusiva gestione dell’impresa al fine di attuare l’oggetto sociale, il codice conferisce inevitabilmente anche il dovere di […] evitare l’insorgere dell’insolvenza e riconoscere

tempestivamente i sintomi della crisi incipiente90. Al fine di corroborare tale esito,

la dottrina ricollega al dovere di diligenza degli amministratori in fase ―crepuscolare‖ la presunzione per cui essi abbiano anche predisposto un sistema per intercettare e misurare tempestivamente le perdite di gestione (artt. 2446 e 2447 c.c. per le S.P.A., artt. 2482-bis e 2482-ter per le S.R.L.), di cui tuttavia una parte della dottrina ravvisa la limitatezza, rilevando come tale istituto possa […] rivelarsi

un campanello d’allarme non sufficientemente tempestivo91

.

90

Cit. F. BRIZZI in op. cit.

91 Di questo avviso G. STRAMPELLI in Capitale sociale e struttura finanziaria nelle

società in crisi, Riv. soc., fasc.4, 2012, discorre ampiamente delle disposizioni citate, in

particolare circa la loro idoneità a fungere da strumenti di segnalazione di situazioni di crisi in quanto in tale circostanza porrebbero un obbligo di condotta in capo agli amministratori. L’A. ravvisa la ―funzione segnaletica‖ della regola contenuta nelle disposizioni in analisi (cd. ricapitalizza o liquida nelle ipotesi di perdite eccedenti il terzo ovvero il minimo legale) in relazione all’obbligo di gestione conservativa sino alla convocazione dell’assemblea gravante sugli amministratori, pena la loro responsabilità solidale. La regola in analisi favorirebbe dunque una gestione di tipo conservativo, e contestualmente lascerebbe agli amministratori – anziché trasferirla ai creditori – la sopportazione del rischio. L’A. a questo punto ridimensiona il ruolo di intercettazione preventiva dell’art 2447 c.c. per confermarne un ruolo piuttosto di prevenzione indiretta. La regola è infatti applicabile allorché il patrimonio netto si riduca al di sotto del capitale sociale minimo, per evitare la traslazione del rischio in capo ai creditori. Non è dunque necessario che la società non sia più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, dovendo la regola ritenersi piuttosto applicabile in funzione di soddisfare l’esigenza che la società sia dotata di quella quota di capitale di rischio minima, a prescindere dal pregiudizio cagionato ai creditori. L’A. conclude pertanto la impossibilità di considerare tale regola come di per sé idonea a costituire una misura sostitutiva dell’allerta in senso stretto. Non di tale avviso invece P. BENAZZO, per il quale una prima ed essenziale funzione del capitale è quella informativo- segnaletica, un fattore atto a ricomporre l’asimmetria informativa che si annida in tutte le

società di capitali. Uno squilibrio emergente di oltre un terzo tra l’attivo e il passivo

patrimoniale avrebbe una funzione segnaletica del venire meno della continuità aziendale e

della sostenibilità dell’indebitamento, quindi che è divenuto reale il pericolo che l’investimento dell’impresa si sta traducendo in uno spreco di risorse e che è quindi venuta meno la capacità propulsivo-produttivistica assegnata al capitale sociale. L’A. oltretutto

fornisce una interessante definizione di insolvenza, intesa come irreversibile stato di crisi

54

Rispetto alla fase fisiologica e con riguardo al volto della funzione gestoria, la dottrina92 ha parlato di un fenomeno di shift in duties, cioè a dire di uno [...]

scivolamento degli obiettivi dell’azione amministrativa a favore dei creditori sociali, anziché a favore dei soci. La ricostruzione menzionata – per la quale si

rileva una espansione dei doveri fiduciari degli amministratori durante la fase di pre-insolvency –, seppur di recente elaborazione, è largamente condivisa93. L’espansione dei doveri fiduciari degli amministratori sia nei confronti dei creditori che nei confronti degli azionisti – in sostanza nei confronti di tutti gli attori del mercato verso cui l’amministrazione risponde –, si riassume con il dovere di rilevare – e denunciare – tempestivamente la presenza di segnali di crisi, così da ripristinare l’interrotta continuità aziendale.

Il dovere di verifica della permanenza della continuità aziendale è la via attraverso cui, in fase patologica, si riempie di contenuto il generale dovere di perseguimento dell’oggetto sociale di cui all’art. 2380bis co.1 c.c. Se infatti la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, in fase fisiologica essi compiranno le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. E’ pur vero, tuttavia, che gli amministratori che siano a conoscenza di fatti pregiudizievoli (art. 2392 co. 2) rispondono solidalmente nell’ipotesi in cui non abbiano fatto

quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. Dal combinato disposto delle disposizioni menzionate si

ricava un generale dovere di rilevazione ed attenuazione delle conseguenze

92 A. LUCIANO in op. cit. pag. 34 ma anche A. PACILEO in op. cit, nella quale l’A. rileva

una variazione in senso favorevole ai creditori dei doveri degli amministratori e degli interessi perseguiti all’approssimarsi dell’insolvenza.

93 La sua genesi deriva infatti da una decisione del 1991 della Court of Chansery del

Delaware, nella sentenza Credit Lyonnais Bank Nederland, N.V, in cui la corte diede una definizione di shift in duties: : "Where a corporation is operating in the vicinity of

insolvency, a board of directors is not merely the agent of the residue risk bearers [the shareholders], but owes its duty to the corporation enterprise. Directors [should] recognize that in managing the business affairs of a solvent corporation in the vicinity of insolvency, circumstances may arise when the right (both the efficient and fair) course to follow for the corporation may diverge from the choice that the stockholder ... would make if given the opportunity to act." Nonostante l’implicazione sui doveri degli amministratori durante la

fase di pre-insolvenza, la giurisprudenza non ha poi provveduto a dare ulteriori indicazioni circa la definizione di ―zone of insolvency‖, una nozione riferita al rischio di inadempimento di coloro che vantano pretese creditorie. Come si è avuto modo di riscontrare in precedenza, non sussiste tuttavia una definizione univoca per circoscrivere la zona di insolvenza. Essa può trovarvisi nonostante sia momentaneamente solvibile ma esiste anche solo un ragionevole e sufficientemente evidente rischio di futuri inadempimenti.

55

dannose di qualunque fatto pregiudizievole per la continuità aziendale, che una volta verificatosi impedisce la concreta attuazione dell’oggetto sociale.

Rimane l’ultima delle disposizioni in grado di suggerire il dovere di controllo sulla continuità aziendale, a dire il vero abbastanza eloquente sull’atteggiamento degli organi amministrativi in fase crepuscolare: l’art. 2381 co. 5 c.c94. Ponendo sugli organi delegati un dovere di riferire, almeno ogni sei mesi, sul generale andamento

della gestione e della sua prevedibile evoluzione, il legislatore sottintende che essi

siano in grado di fornire giudizi prognostici sull’evoluzione della società, in vista di una pianificazione aziendale più precisa ma anche in vista della immediata individuazione di fattori di rischio che ne interrompano il normale svolgimento. Come rileva la dottrina95, la continuità aziendale va misurata nell’arco temporale di un ―prevedibile futuro‖, calato nello specifico contesto della crisi in corso di svolgimento, anche tenendo conto delle caratteristiche dell’impresa. La valutazione sulla continuità aziendale coinvolge dunque l’analisi del rischio del verificarsi di eventi futuri ed incerti che implicano un’analisi di tipo prognostico attraverso assetti organizzativi adeguati allo scopo, ma anche attraverso l’applicazione di regole per la valutazione delle voci di bilancio. Si dà conto in questo senso della previsione dell’art. 2423bis co.1 n.1) c.c., nella quale compare espressamente la prospettiva della continuità aziendale quale parametro di valutazione nella redazione del bilancio. Una previsione che origina dall’adattamento del sistema ai principi contabili internazionali, in particolare il principio IAS 1 (par. 23-24), che a tal proposito parla di ―capacità dell’impresa di continuare ad operare quale entità in funzionamento‖96

. Sulla medesima falsariga si colloca il già esposto principio di revisione n. 570 del CNDCEC, di cui il tema della continuità aziendale rappresenta il punto focale.

In argomento, è opportuno dare anche conto delle novità che l’art. 17 del nuovo assetto elaborato dalla Commissione Rordorf (CCI) importa in materia di obblighi di segnalazione. Il nuovo codice affiderebbe agli organi di controllo societari, al revisore contabile e alla società di revisione, il compito di verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, nel caso assumendo idonee iniziative, il

94

Lo rilevano, in particolare, A. PACILEO in op. cit. pag. 77; A. LUCIANO in op. cit. pag. 106.

95 A. LUCIANO in op. cit. pag. 112 96

Accanto a tale rilievo, più approfonditamente sul tema della continuità aziendale in fase di pre-crisi discorre A. LUCIANO in op. cit. pag. 108 ss.

56

prevedibile andamento della gestione, nonché l’adeguatezza dell’assetto organizzativo. Sin qui, non vi sono particolari novità rispetto alla formulazione dell’art. 2381 co. 5. Diversamente per l’innovazione invece introdotta con l’obbligo di segnalazione affidato questa volta all’organo di controllo societario, il quale riferisce immediatamente all’organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi. L’organo di controllo è dunque il legittimato attivo del dovere di segnalazione; ma spetta ancora all’organo amministrativo il dovere di curare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo ed in questo senso, l’adeguatezza di esso a rilevare l’esistenza dei fondati inizi di crisi che l’organo di controllo sarà chiamato a segnalare. La rigida struttura voluta dal codice (art. 2380bis c.c.) per le società per azioni, che per questa via pone sugli amministratori il dovere conoscitivo- preliminare, non è in generale assimilabile alla disciplina più personalistica delle s.r.l., in cui i medesimi doveri appartengono invece principalmente ai soci97. Ancora più diretto in tal senso risulta anche l’art. 2381 co. 3 c.c.98

, il quale conferisce al consiglio di amministrazione il dovere – specialmente se trattasi di imprese di grandi dimensioni – di esaminare, quando elaborati, i piani strategici,

industriali e finanziari: un compito chiaramente strumentale all’analisi sulla

prevedibile evoluzione dell’andamento della gestione di cui all’art. 2381 co. 5 c.c. Ma dal momento che le procedure di allerta – naturalmente volte a facilitare e puntualizzare l’attuazione del summenzionato dovere di assicurare la continuità aziendale – non ricevono ancora conferma normativa, si sono consolidati altri strumenti di gestione della fase di declino, sia all’interno delle disposizioni espresse richiamate in questo paragrafo, sia per la via delle regole elaborate dalle organizzazioni internazionali99.

97 A. LUCIANO in La gestione della s.r.l. nella crisi pre-concorsuale, Rivista delle Societa',

fasc.02-03, 1 GIUGNO 2017, pag. 405.

98 Di questo avviso anche G. STRAMPELLI in op. cit. 99

SACCHI, in La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, Giurisprudenza commerciale, 2014, n. 2, GIUFFRÈ, parte I, p. 304, suddivide a tal proposito gli strumenti in: strumenti di rilevazione dei fattori di rischio che mettono in pericolo la continuità aziendale; soluzioni da adottare in vista del ripristino della continuità e strumenti di attuazione di tali soluzioni. L’A. ritiene censurabile la mancata adozione delle procedure di allerta e prevenzione, ma comunque rileva la presenza di un generale obbligo degli amministratori di pianificazione aziendale negli artt. 2447bis, 2447ter, 2447decies c.c., che presupporrebbe dunque una prospettiva di prosecuzione delle attività della società.

57

A tale riguardo, la Legislative Guide on Insolvency Law Part four: Director’s

obligations in the period approaching insolvency elaborata dall’UNCITRAL mira

a dare conto delle best practice attraverso le quali gli amministratori potranno agire in via sufficientemente anticipata. Il documento dà conto delle varie possibilità utili alla determinazione del momento a partire dal quale gli amministratori possono ritenersi interessati dei doveri di intraprendere azioni appropriate nella twilight

zone, nonché dei destinatari – non sempre di agevole individuazione100 – di tali regole di condotta. Le norme sugli obblighi dell’organo gestorio in prossimità dell’insolvenza valutano il loro operato rispetto agli standard di comportamento fissati per verificare se essi abbiano o meno integrato tali doveri. Il momento a partire dal quale effettuare la verifica è successivo alla dichiarazione di insolvenza, pertanto agisce retroattivamente ed in conseguenza della dichiarazione stessa. Ad ogni modo, debbono sussistere ragionevoli motivi per sospettare che la società sia insolvente o che sarebbe divenuta insolvente man mano che le pretese creditorie maturavano101. Non tutti gli ordinamenti però declinano tali oneri di condotta utilizzando il medesimo standard. A tale riguardo, alcuni sistemi utilizzano il parametro dell’amministratore di ordinaria competenza, in grado cioè di avere una conoscenza di tipo basilare circa lo stato finanziario della società. Altri ordinamenti adottano invece lo schermo della business judgement rule per proteggere gli amministratori dalla responsabilità, grazie all’introduzione di una presunzione ad essi favorevole. Per riprendere le parole di un documento recentemente elaborato dalla CONSOB102, la business judgement rule è anzitutto una regola procedurale

100 Il documento considera infatti che in molti Stati una serie di soggetti differenti è

destinataria di obblighi di gestione. Non solo gli amministratori designati, ma anche gli amministratori de facto e gli shadow directors. I primi sono definiti come soggetti who act

as a director, but is not formally appointed as such or there is a technical defect in their appointment, […]Typically, to be considered a de facto director would require more than simply involvement in the management of the company and may be determined by a combination of acts, such as the signing of cheques; signing of company correspondence as “director”; allowing customers, creditors, suppliers and employees to perceive a person as a director or “decision maker”; and making financial decisions about the company’s future with the company’s bankers and accountants. I secondi sono invece soggetti che, sebbene

non formalmente al vertice, esercitano un’influenza rilevante fornendo istruzioni agli amministratori, anche nel contesto del gruppo societario.

101 Cit. par. 19 Legislative Guide: ―Another approach requires there to be reasonable

grounds for suspecting the company was insolvent or would become insolvent at the time of incurring the debt or entering into the transaction leading to insolvency‖.

102 Business judgement rule e mercati finanziari. Efficienza economica e tutela degli

investitori - S. Alvaro, E. Cappariello, V. Gentile, E.R. Iannaccone, G. Mollo, S. Nocella,

M. Ventoruzzo; con prefazione a cura di P. Marchetti., che in particolare riprende la sentenza Smith vs Van Gorkom, 488, A.2d 858, Delaware, 1985.

58

che impedisce ai giudici di fare ingresso nel merito delle decisioni degli amministratori, se queste sono state adottate ―on an informed basis, in good faith

and in the honest belief that the action taken was in the best interests of the company”. La regola andrà pertanto coordinata con la disciplina della

responsabilità degli amministratori (art. 2476 c.c.), di tipo colposo, tra l’altro non sempre applicata nel contesto delle dinamiche d’impresa103

. Per dichiarare la responsabilità degli amministratori sarà dunque necessario vincere la presunzione dell’aver agito in modo informato ed in buona fede, posta a loro favore. Qualora sia dichiarata, tale responsabilità rivela la propria natura contrattuale, la quale promana direttamente dal rapporto contrattuale che lega lo stesso amministratore alla società. Per questa via, la società dovrà provare l’inadempimento dell’obbligazione (di mezzi) dell’amministratore (art. 2697 c.c.) sul parametro di un modello di comportamento che richiama alla diligenza professionale (art. 2392 c.c.), e il danno cagionato. La responsabilità degli amministratori non si prefigura nell’ipotesi in cui le conseguenze dannose di una determinata scelta gestoria rientrino all’interno di un ―margine di errore‖ ad essi concesso, in vista della discrezionalità connaturata al