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La gestione della crisi in fase "crepuscolare": l’allerta preventiva nella legge delega n. 155/2017 e nell'ordinamento francese

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NIVERSITÀ DI

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ISA

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IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

C

ORSO DI

L

AUREA

M

AGISTRALE IN

G

IURISPRUDENZA

La gestione della crisi in fase “crepuscolare”:

l’allerta preventiva nella legge delega n.

155/2017 e nell’ordinamento francese

Relatore:

Chiar.mo Prof. Francesco Barachini

Candidata:

Maria Polimeni

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Abstract

Il presente elaborato affronta la tematica della gestione della crisi di impresa, osservando in particolare le peculiarità che connotano l’area economico -temporale che precede l’insolvenza. Accanto ai tradizionali strumenti di gestione negoziale della crisi contenute nel R.D. 267/1942, la scienza giuridica ha maturato l’elaborazione delle procedure di allerta preventiva, in funzione anticipatoria della crisi. L’analisi di queste ultime è svolta prendendo a modello la disciplina prevista nell’ordinamento francese, pioniere della «cultura della prevenzione», oltre che gli orientamenti espressi sul punto dal legislatore comunitario, in particolare con la Proposta di Direttiva del 22.11.2016. Da ultimo, sono state puntualmente esaminate le disposizioni del CCI (Codice della crisi e dell’insolvenza), in attuazione della l. 19 ottobre 2017 n. 155,

(

Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza), risultante dal disegno di legge elaborato dalla cd. Commissione

Rordorf e concernenti il progetto di introdurre le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi nell’ordinamento nazionale.

* * *

This work deals with the issue of company crisis management, observing in particular the peculiarities that characterize the area preceding insolvency. Apart from the traditional crisis resolution tools, contained in the R.D. 267/1942, the legal science developed the early warning procedures, with the aim of crisis effects anticipation. The analysis of these instrument is carried out taking the French legal system as a model, a pioneer of "culture of prevention": the European Union expressed its vision on that point, particularly with the Proposal for a Directive of 22.11.2016. Finally, the CCI provisions (Code of Crisis and Insolvency), in implementation of law 19 October 2017 n. 155, (Delegation to the Government for the reform of the disciplines of the company crisis and insolvency) have been examined. They represent a result of the scheme elaborated by the so-called Rordorf Commission and aiming to introduce alarm systems and assisted settlement of the crisis in the national system.

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Indice

Abstract ... 1

Indice ... 2

Introduzione ... 4

I. Fase crepuscolare ed emersione della crisi: l’assetto normativo attuale. ... 6

1. La cd. ―fase crepuscolare‖- un problema definitorio. ... 6

2. La necessità di un sistema di allerta precoce. Definizioni di rischio, continuità e solvenza. ... 12

3. Diverse accezioni di crisi ... 16

4. La necessità di un doppio livello di allerta ... 22

5. Early warning e indicatori della crisi... 25

5.1. Early warning nei codici di comportamento ... 27

5.2. Early warning nel principio contabile ISA 570 ... 33

5.3. Early warning nelle Norme di comportamento del Collegio sindacale elaborate dal CNDCEC ... 35

5.4. Early warning e debt restructuring nel quadro europeo ... 36

6. Cenni di ordine economico sulla crisi di impresa ... 40

6.1. Considerazioni sull’azione revocatoria fallimentare... 49

7. I doveri degli amministratori nel periodo di pre-insolvenza. ... 51

8. Oneri di segnalazione e doveri del Collegio sindacale ... 61

9. Strumenti di gestione negoziale della crisi nella fase di preinsolvenza – Il piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett.d) L.F. ... 66

10. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis L.F. ... 71

11. Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182septies e le ―convenzioni di moratoria‖ ... 74

12. Il concordato preventivo ex art 160 L.F... 79

13. Conclusioni ... 83

II. Armonizzazione degli ordinamenti europei in materia di gestione della crisi. Prévention et procédure d’alerte nel modello francese. ... 85

1. La prevenzione nel modello francese. ... 85

2. La procédure d’alerte ... 91

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4. L’alerte interne - par les associés et par le comité d’entreprise ... 97 5. L’alerte externe –La convocation par le President du Tribunal de

Commerce ... 101 6. L’alerte externe – par le groupements de prevention agréés ... 104

7. Disposizioni legislative e regolamentari in materia di prevenzione. Le NEP-570. ... 105 8. La responsabilità dei revisori contabili. ... 112 9. Le procedure di composizione amichevole: il mandato ad hoc e la

conciliazione – osservazioni introduttive. ... 115 10. Il mandato ad hoc ... 117 11. La conciliazione ... 120 12. Il quadro europeo: Le ragioni dell’armonizzazione in materia di insolvenza.

La proposta di direttiva del 22.11.2016 (2016/0359 COM 723 final) ... 124 III. Allerta precoce e composizione assistita nel progetto di riforma disegnato dalla cd. Commissione Rordorf ... 147

1. Definizioni e principi generali nel progetto di riforma elaborato dalla cd.

Commissione Rordorf (cenni). ... 147 2. Le procedure di allerta: osservazioni sugli artt. 15 e 16 CCI ... 154 3. L’allerta ―interna‖: l’obbligo di segnalazione degli organi di controllo

societario (art. 17 CCI) ... 160 4. L’allerta ―esterna‖: l’obbligo di segnalazione dei creditori pubblici

qualificati (art. 18 CCI) ... 163 5. Allerta e composizione assistita: il ruolo dell’Organismo di composizione

della crisi d’impresa. ... 167 6. La procedura di composizione assistita ex art. 22 CCI ... 172 6.1. Composizione assistita, misure premiali e misure protettive ... 175 7. Gli strumenti di regolazione della crisi nel contesto della riforma: una

lettura sistematica ... 178 7.1. I piani di risanamento attestati ex art. 60 CCI. ... 184 7.2. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 61 CCI e la convenzione di

moratoria ex art. 66 CCI ... 186 7.3. Il presupposto oggettivo di accesso al concordato preventivo: alcuni rilievi

critici ... 189 8. Conclusioni ... 191 Bibliografia ... 193

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Introduzione

Il presente lavoro intende approfondire il fenomeno della crisi d’impresa con particolare riguardo al periodo contiguo ed antecedente all’insolvenza. Esso si sostanzia nel protrarsi di una zona grigia in cui, a seguito di una frattura nella continuità aziendale, le sorti dell’impresa risultano ancora incerte. Prendendo le mosse dai problemi definitori relativi ai concetti di rischio, continuità e solvenza, vengono forniti spunti di ordine economico-aziendalistico plausibilmente utili al giurista che intenda individuare gli indizi di una crisi incipiente. Nel primo capitolo verrà descritto il rimedio dell’allerta preventiva, un meccanismo che pone in capo a determinati soggetti una serie di doveri di segnalazione dei fattori di crisi, entro un’ottica di prevenzione (cd. early

warning). La trattazione di tale rimedio verrà svolta attraverso una digressione

interpretativa dello strumentario attualmente disponibile nell’assetto normativo vigente, considerando, in particolare, gli istituti codicistici di diritto societario e la normativa deontologica elaborata dagli esponenti degli ordini professionali di riferimento. In particolare, verrà dato conto delle potenzialità anticipatorie degli strumenti di gestione negoziale della crisi, i cui tratti essenziali verranno esposti secondo una logica graduale, concernente il livello di spendibilità di un particolare strumento al progressivo approssimarsi del dissesto. Il secondo capitolo è dedicato all’approfondimento dell’istituto dell’allerta preventiva così come declinato nell’ordinamento francese. Connotati dal ruolo determinante dell’autorità giudiziaria, nonché dalla presenza di una magistratura specializzata in materia di gestione dell a crisi, gli oneri di segnalazione interessano una pluralità di soggetti, interni o esterni alla compagine sociale. Il sistema francese si ritiene conforme ai principi della normativa di matrice europea in materia di armonizzazione delle discipline relative all’insolvenza, nonché – anche se non senza qualche difetto di coordinamento – agli obiettivi della Proposta di Direttiva del 22.11.2016. Con riguardo al futuro processo di adattamento a quest’ultima, verrà dato conto dei più recenti rilievi dottrinali su specifici aspetti della normativa vigente. Il terzo capitolo mira, infine, a fornire un quadro sintetico dei profondi cambiamenti che attraversano la legislazione nazionale in materia di diritto della

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sovranazionali e da una storica propensione della dottrina all’introduzione di misure di prevenzione e composizione della crisi, l’intento della legge delega n. 155/2017 è quello di sistematizzare tali obiettivi entro un organico disegno di riforma del diritto concorsuale. Il progetto, avviato con l’istituzione di una Commissione presieduta dal dott. Renato Rordorf, nasce dall’elaborazione di un disegno di legge recante i principi e criteri direttivi per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, culmina con la rassegna di una bozza di decreto legislativo recante il Codice della crisi e dell’insolvenza (CCI), in esercizio della delega. Il Codice positivizza sia le procedure di allerta – sia interna che esterna –, sia la procedura di composizione assistita della crisi, affidando quest’ultima ad un apposito Organismo di composizione istituito presso ciascuna Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura. Nel dare conto delle novità, anche alla luce di come tali istituti si siano consolidati nell’ordinamento d’oltralpe, il presente lavoro intenderà infine evidenziare anche le criticità che secondo la dottrina si annidano nelle scelte del legislatore della riforma.

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I. Fase crepuscolare ed emersione della crisi:

l’assetto normativo attuale.

SOMMARIO: 1. La cd. ―fase crepuscolare‖ – un problema definitorio – 2. La necessità di un sistema di allerta precoce. Definizioni di rischio, continuità e solvenza. – 3. Diverse accezioni di crisi. – 4. La necessità di un doppio livello di allerta. – 5. Early warning e indicatori della crisi. – 5.1 Early warning nei codici di

comportamento. – 5.2 Early warning nel principio contabile ISA 570. – 5.3 Early warning nelle Norme di comportamento del Collegio sindacale elaborate dal

CNDCEC. 5.4 Early warning e debt restructuring nel quadro europeo. – 6. Cenni di ordine economico sulla crisi di impresa. – 6.1 Considerazioni sull’azione revocatoria fallimentare. – 7. I doveri degli amministratori nel periodo di pre-insolvenza. – 8. Oneri di segnalazione e doveri del Collegio sindacale. – 9. Strumenti di gestione negoziale della crisi nella fase di pre-insolvenza. Il piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d) L.F. – 10. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art 182bis L.F. – 11. Gli accordi di ristrutturazione ex art 182septies e le ―convenzioni di moratoria‖. – 12. Il concordato preventivo ex art. 160 L.F. – 13. Conclusioni.

1. La cd. ―fase crepuscolare‖- un problema definitorio.

Sulla spinta delle riflessioni di matrice sovranazionale, si è avvertita l’esigenza di valorizzare il periodo economico-temporale contiguo ed immediatamente precedente allo stato di insolvenza, nel quale sovente sussistono indizi di una crisi imminente. Non potendone ovviamente fornire una definizione rigorosa, essa è talora descritta come una molteplicità di zone grigie, a cavallo tra lo stato fisiologico e quello pienamente patologico1 , talaltra come un’area economico-temporale antecedente all’emersione di una crisi conclamata, racchiusa in un difficile equilibrio tra rischio di insolvenza e prospettive di risanamento2.

E’ in sostanza ciò che potrebbe definirsi uno stato antecedente alla manifestazione della crisi, intesa quale nozione che si diversifica rispetto al concetto di insolvenza di cui all’art. 5 del R.D. n. 267/1942. Dunque, uno stato eventuale e prossimo all’emersione di una crisi prospettica. Utilizzando delle definizioni più suggestive, tale fase intermedia - la cui individuazione non può che dipendere da coordinate di

1 La definizione è di A. LUCIANO, in La gestione della S.P.A. nella crisi pre-concorsuale,

Giuffrè, Milano, 2016.

2

Con parole simili, L. STANGHELLINI, in La crisi di impresa tra diritto ed economia, p. 138, Il Mulino, 2007.

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riferimento esterne quali il concetto di crisi e quello di insolvenza – è stata definita dalle fonti di matrice sovranazionale come twilight zone, cioè a dire ―fase crepuscolare‖3. Cogliendone dunque il significato di ―discesa‖ – o più

opportunamente, per ciò che interessa, di declino – essa rappresenta un intervallo dai confini tenui e sfumati, in cui difatti non risultano ancora nettamente definite non solo i possibili sbocchi della crisi incipiente, ma neppure le soluzioni strategiche di futura adozione. E’ bene chiarire che la nozione di fase crepuscolare si riferisce al declino che interessa il contesto di una situazione ―normale‖ secondo il criterio della continuità aziendale, laddove cioè quest’ultima non risulti essere ancora compromessa. Conseguentemente alla manifestazione di fenomeni di squilibrio di natura economico-finanziaria o più generalmente cagionate da fattori interni od esterni al contesto aziendale, la compromissione della continuità aziendale può dirsi avvenuta, se pur non integralmente dissolta. Trattasi dunque di un’area sufficientemente estesa da inglobare non solo uno specifico istante a partire dal quale la difficoltà può dirsi minacciosa per lo stato di salute dell’impresa (cd.

triggering point4), ma anche i susseguenti stadi in cui la dottrina ha da tempo frammentato il fenomeno della crisi in senso ampio. Se nel suo complesso lo stato di crisi fosse suddivisibile in gradi sulla base di diversi valori di intensità, la zona crepuscolare o di pre-crisi si collocherebbe idealmente su una soglia minima, in cui la crisi potrebbe dirsi integrata al livello inferiore5. Perché possa dirsi in atto una fase di declino è invero sufficiente l’integrazione di taluni sintomi di malessere economico-finanziario, per la cui definizione vengono in ausilio le scienze aziendalistiche, ovvero segni di malfunzionamento nell’assetto societario. Dal

3 E’ in particolare la Legislative Guide on Insolvency Law, Part four: Director’s obligations

in the period approaching insolvency, p.14, elaborata dall’UNCITRAL (Commissione delle

Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale) a definire tale intervallo con il termine twilight zone, ma nello stesso testo compaiono anche le espressioni zone of

insolvency o vicinity of insolvency, da intendersi come espressioni non perfettamente

sinonimiche rispetto alla nozione di ―fase crepuscolare‖, in quanto riferentesi in generale all’area dell’impresa in difficoltà nel suo complesso, comprensiva pertanto non solamente dello stato di pre-crisi, ma anche dello stato di crisi.

4 In effetti, non è sempre agevole definire il confine tra la gestione normale ed il momento

in cui può definirsi compromessa la continuità aziendale. STANGHELLINI in op. cit. pag. 16, discorre di triggering point per identificare il momento a partire dal quale un turbamento nella gestione assuma rilievo tale da compromettere l’equilibrio aziendale.

5 In verità, non necessariamente la definizione di fase crepuscolare deve trovare il proprio

riferimento normativo nella crisi delineata all’art 160 L.F., dal momento che il legislatore non ne fornisce una definizione. Parrebbe opportuno, al fine di rendere il più possibile nitidi dei confini che per la natura stessa della definizione rimangono pur sempre incerti, elaborare una nozione di fase crepuscolare che tenga conto della scienza contabile ed economica che si disancori dalle definizioni rigide ed incapaci di coglierne le sfumature.

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punto di vista aziendalistico, quando la progressiva riduzione del valore del capitale si protrae per un certo arco di tempo ma non sia ancora definibile come crisi conclamata, essa si traduce semplicemente in ―declino‖6

, purtuttavia destinato a peggiorare in assenza di un intervento tempestivo. La nozione di declino, più appartenente all’area economica che a quella giuridica, permette di mitigare l’inevitabile rigidità che contraddistingue i tentativi di definizione legale, rispetto ad un fenomeno sfuggente alla cristallizzazione e multiforme nel suo modo di concretarsi7.

L’idea di declino richiama l’immagine di un piano inclinato, di un processo di scivolamento che identifica dunque lo stato di difficoltà, e non quella di un dissesto repentino in grado di fagocitare l’intero valore d’impresa. Esso è un graduale decadimento che passa attraverso una prima fase di gestazione e successivamente avanza per sfociare in un fenomeno più grave8. Se non vi sono possibilità di assorbimento della crisi, il declino può tradursi in insolvenza, specialmente quando originato da una crisi di liquidità.

6 La definizione è di F. PACILEO, in Continuità e solvenza nella crisi d’impresa, Giuffrè,

2017, secondo il quale tale diminuzione può consistere nel deterioramento dei flussi di cassa ovvero nell’aggravarsi dei rischi connessi allo svolgimento dell’attività economica connessa al ciclo produttivo.

7 A conferma delle avvertite difficoltà di definizione dello stato di pre-crisi anche

LUCIANO in op.cit. pag. 102, in cui l’A. considera lo sviluppo del diritto concorsuale verso quel complesso di doveri di conoscenza preliminare di tutti quei fattori che possano evolvere in uno stato d insolvenza. Il punto è che in fase di pre-crisi l’impresa si trova a diversi stadi di declino che non sono altrettanto rilevanti per il diritto della crisi di impresa così come è congegnato. In presenza di parametri evidentemente alterati, si passa dall’area del rischio di insolvenza fisiologico a quello patologico, dall’area della possibilità a quella della probabilità che l’impresa subentri in uno stadio terminale. L’A. propone dunque di considerare vari livelli di intensità del rischio sulla base di una medesima unità di misura, così includendo nell’area della patologia tutti quei livelli che rappresenterebbero un grado di rischio tanto rilevante da diventare probabile. In sostanza, è la variazione del rischio in senso peggiorativo rispetto al normale a determinare l’incipit di una pre-crisi, non la generale possibilità di insolvenza, dal momento che quest’ultima è ricompresa nell’area della fisiologia. Non di un punto di caduta bensì di una debolezza intrinseca a ciascun tentativo di definizione si tratta, allorquando si sottolinea l’eccessiva vaghezza del concetto di confine tra rischio fisiologico e rischio patologico, una summa divisio che ―rischia‖ appunto di incappare in un problema a valle, cioè quello di definire a quale livello di rischio possa dirsi essere subentrati nell’area della patologia.

8 E’ nota l’articolazione proposta da GUATRI nel 1986, il quale identifica i momenti della

crisi in 1. Incubazione; 2. Maturazione; 3. Insolvenza; 4. Dissesto. Secondo tale classificazione, solo le ultime due fasi enunciate apparterrebbero al concetto di crisi in senso stretto. Le fasi di incubazione e maturazione infatti, individuerebbero una fase antecedente, ovverosia l’area del ―declino‖. Al riguardo, si faccia riferimento a L. GUATRI, Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè, Milano, 1986.

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Quello di pre-crisi è dunque un concetto che origina nella scienza economica, la cui idea di fondo emerge da una lettura sistematica delle disposizioni approntate in materia di governance, ma la cui definizione è sconosciuta al legislatore. Proprio nel raffronto rispetto ai canoni della scienza giuridica risiede la difficoltà di pensare alla scomposizione – e dunque alla tipizzazione – di un’area dai confini incerti, che mal si presta - per la stessa definizione di ―zona crepuscolare‖- ad essere fotografata una tantum. Una cristallizzazione che non risulta possibile se non incappando in almeno due complicazioni: la prima è che per definire la nozione di pre-crisi sarebbe inevitabile fare riferimento alle nozioni di crisi e di insolvenza9, da sempre rivelatesi problematiche; la seconda è che bisognerebbe ricorrere alla tecnica legislativa della clausola aperta. Una formulazione di questo tipo potrebbe così comportare due ordini di conseguenze: da un lato, si porterebbe a giustificare interventi pervasivi e sin troppo precoci, sin dal minimo segnale di difficoltà (posto che la clausola aperta non potrebbe cogliere la presenza di diversi livelli di intensità), rappresentando così un deterrente per i creditori che intrattengano rapporti commerciali con l’imprenditore. D’altro canto poi, la caratteristica di flessibilità tipica delle clausole aperte aprirebbe ad una difficoltà di fondo circa l’individuazione dell’esatto momento a partire dal quale ritenere applicabile lo ―statuto dell’impresa in difficoltà‖. Si osserva pertanto un’incapacità legislativa nel dare conto delle situazioni intermedie, come se le situazioni definibili fossero esclusivamente quelle di patologia grave e le situazioni intermedie fossero invece confinate in un cono d’ombra legislativo.

Sino a quando le cause del declino non siano visibili all’esterno e rimangano pertanto confinate nel cd. blinded stage, non solo la situazione economico-finanziaria dell’impresa non è ancora tale da tradursi nel rischio di uscita dal mercato, ma quest’ultimo si dimostra ancora disponibile alla concessione di

9 Nozioni che peraltro non paiono rappresentare punti fermi di riferimento. A dimostrarlo è

la previsione dell’art 160, co. 3, L.F., in base alla quale ―Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza‖. Al riguardo, A.AZZARO in Le

procedure concordate dell’impresa in crisi, Giappichelli, 2017, il quale rileva come anche

storicamente il termine ―crisi‖ compaia come categoria concettuale priva di una precisa connotazione giuridica, tanto da poter essere accostata alla nozione di insolvenza. In tal senso, si è posto un discrimine tra crisi ed insolvenza che ha fatto rinascere la necessità di una nozione che, nonostante i numerosi ritocchi legislativi, non è ancora presente. Il legislatore ha invero fino ad ora fornito una nozione che ricomprende un insieme di zone intermedie di squilibrio economico-finanziario il cui capolinea è dato dallo stato di insolvenza. L’effetto dell’equiparazione delle due nozioni è quello di aver sminuito lo stesso carattere ―preventivo‖ del concordato.

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finanziamenti che alimentano il ciclo produttivo. A tal proposito, non manca in dottrina chi ha definito il fenomeno della crisi esaminando il grado di fiducia che il mercato ripone sull’impresa. In base a tale ricostruzione, la fase crepuscolare sarebbe una fase in cui il mercato non ha ancora totalmente sfiduciato l’impresa e vi è ancora dunque possibilità di ricorso al credito10. Di altro avviso una diversa dottrina, la quale smentisce la ricostruzione della crisi in termini di perdita di credibilità sul mercato, rilevando come, talvolta, neppure lo stesso mercato, in presenza di sintomi evidenti, sia conscio di una certa situazione di difficoltà11. Qualora i fattori di crisi divengano progressivamente più allarmanti, l’insolvenza diviene incombente e conseguentemente diviene più reale il rischio di uscita dal mercato, se a tutto ciò non segue un intervento tempestivo12.

La dottrina ha poi analizzato il fenomeno dal punto di vista dei rapporti interni alla compagine sociale, rilevandone il carattere inevitabilmente conflittuale. La fase crepuscolare è infatti una fase in cui si rompe quella consonanza di interessi tra soci, organi della gestione e creditori, sostituendosi ad essa l’interesse egoistico al miglior perseguimento di un guadagno. Interesse che a questo punto si è trasfigurato, da naturalmente orientato al positivo equilibrio degli interessi di tutti gli operatori del mercato, ad un gioco a somma zero13. Quando viene meno l’armonia degli interessi ed insorgono i conflitti, il cd. common pool problem spinge i soci verso condotte pregiudizievoli per i creditori, specie se spalleggiati dalla regola della responsabilità limitata, la quale è definibile come un incentivo ―al quadrato‖ a compiere operazioni azzardate, dunque un incentivo ai perverse

incentives.

10 La ricostruzione appartiene a L. STANGHELLINI, op. cit. il quale distingue la crisi dalla

pre-crisi, sostenendo che solo in quest’ultima il mercato non ha ancora sfiduciato l’impresa.

11

Di questo avviso, A.PACILEO, op. cit. a parere del quale il ricorso al credito è un elemento sicuramente determinante, ma è solo uno degli scenari su cui si svolge la crisi. È lo stesso ordinamento che difatti creerebbe un mercato artificiale ad hoc per le imprese in crisi, specie in regime di concordato preventivo.

12 A proposito, A. PACILEO, op. cit. pag. 70, riprendendo la teoria di GUATRI, descrive il

fenomeno della crisi come sviluppo ulteriore dell’iniziale declino.

13 In particolare, F. BRIZZI in Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto

societario della crisi, Giappichelli , 2015, li suddivide in tre categorie: primo fra tutti è il

conflitto tra soci e creditori, per cui interesse dei primi è massimizzare il profitto sfruttando il capitale residuo, anche a costo di iniziative rischiose o di investimenti sicuri ma scarsamente redditizi (cd. underinvestments); quello dei creditori è di preservare il capitale residuo scongiurando incentivi perversi. Il secondo conflitto è quello che intercorre tra creditori e gestori; terzo ed ultimo, quello che intercorre tra gli stessi creditori, specie laddove suddivisi in categorie.

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E’ chiaro come il fenomeno di cui si discorre abbia poco a che fare con lo stato di insolvenza14, posto che in fase di declino l’impresa, nonostante le avvisaglie di una difficoltà ad adempiere, è ancora solvibile.

Peraltro, in fase di declino l’impresa percorre l’asta dell’equilibrista: qualunque decisione intrapresa dagli amministratori nello svolgimento della funzione gestoria può determinare un peggioramento degli equilibri e dunque avviare una definitiva caduta; viceversa una prudente gestione e corretta circolazione delle informazioni possono essere sufficienti all’assorbimento della crisi, in una prospettiva di risanamento. La situazione di difficoltà implica infatti una serie di conseguenze, tra le quali si innesta il mutamento dei doveri degli amministratori. Esso si manifesta con l’insorgere di doveri integrativi della funzione informativa di bilancio in capo all’organo della gestione, nonché di corretta circolazione delle informazioni sul livello di indebitamento. Doveri di trasparenza sul bilancio vanno integrati con il dovere di rappresentare i fatti di gestione in maniera veritiera e corretta, specie con riguardo ai contenuti della relazione sulla gestione e della nota integrativa. Qualora poi gli amministratori intendano avviare operazioni che incidano sull’investimento azionario (come ad esempio la debt for equity swap15, ma anche altre operazioni straordinarie), debbono convocare l’assemblea dei soci affinché si pronuncino con un parere non vincolante sulla decisione adottata.

14 Ci si riferisce in particolare al presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento di

cui all’art 5 L.F., una nozione che coincide con l’incapacità dell’impresa ad adempiere regolarmente le obbligazioni. La precisazione è utile in quanto sottolinea l’incapacità o il disinteresse del legislatore verso la definizione degli elementi causali dell’insolvenza, che preferendo evitare il problema definitorio opta per un sistema ―insolvenzacentrico‖.

15 La trasformazione dei crediti è solamente una delle possibili operazioni straordinarie che

gli amministratori possono effettuare al fine di eliminare poste del passivo senza soggiacere all’adempimento di cui all’art 2440 c.c. Per una definizione più completa dell’operazione in discorso, si veda La conversione dei crediti bancari in capitale di rischio (debt for equity

swap) nell’ambito del restructuring in Italia, Germania e UK, di F. BRUNO e P.

CASTAGNA, in Le Società, 3/2015. Con tale espressione si intende un’operazione attraverso la quale la società ―scambia‖ le obbligazioni contratte (debt) con le azioni o partecipazioni a capitale di nuova emissione (equity), […] al fine di convertire le linee di credito vantate nei confronti di un’impresa per ottenere una più immediata soddisfazione delle proprie ragioni creditorie o al fine di consentire il riequilibrio dell’impresa in temporanea difficoltà. Volendo racchiudere in due categorie le operazioni di ristrutturazione, vi saranno talune operazioni che agiscono direttamente sui debiti, attraverso un loro riscadenziamento o riduzione; talaltre che agendo sul capitale, ne aumentano la quantità attraverso una delibera di aumento del patrimonio netto ovvero optano per la conversione dei debiti in capitale.

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2. La necessità di un sistema di allerta precoce. Definizioni di

rischio, continuità e solvenza.

Lo studio dei fattori genetici interni ed esterni che contribuiscono all’avviarsi di una crisi implica una riflessione necessaria sul concetto di rischio d’impresa, nonché sui principi di continuità e solvenza. Dai possibili rapporti intercorrenti su queste nozioni (in sostanza, da come si atteggia il concetto di rischio), è possibile costruire un’efficace principio di prevenzione, sia della crisi che, ad uno stadio anticipato, della pre-crisi. Quello appena espresso costituisce il ragionamento che soggiace all’individuazione di strumenti di rilevazione tempestiva della crisi, sia di tecniche di riduzione dell’impatto negativo che la crisi già avviata riversa sul mercato. I primi, sovente congegnati attraverso un sistema di allerta preventiva, finalizzati a smorzarne l’incipit; le seconde, sovente costituite da rimedi ex post, volte a bloccarne la prosecuzione16. Si è da tempo percorsa l’idea di introdurre meccanismi di allerta preventiva, in grado di diagnosticare precocemente i sintomi di una crisi incipiente e favorire un intervento che non comporti la comunicazione dell’informazione al mercato. La dottrina ha accostato i sistemi di allerta precoce a delle obbligazioni che una volta adempiute assumono valore segnaletico circa la crisi incipiente, affidando a soggetti interni (cd. allerta interna) ovvero esterni (cd. allerta esterna) alla compagine sociale, ivi compresi i creditori, un dovere di avvertire tempestivamente la sussistenza di difficoltà17. La ratio di un sistema di allerta precoce risiede nello spostamento in avanti dell’intervento giurisdizionale, confinato in una fase eventuale e successiva all’inerzia degli organi della gestione. Questa circostanza rende i sistemi di allerta uno strumento appetibile per evitare ripercussioni negative di una crisi che sia sin dall’inizio esposta al pubblico

16 S. DE MATTEIS in L’emersione anticipata della crisi d’impresa, Giuffrè Editore, 2017 17 A. ZOPPINI, Emersione della crisi e interesse sociale. Spunti dalla teoria dell’emerging

insolvency, in Diritto societario e crisi d'impresa, a cura di Umberto Tombari, Torino ,

Giappichelli, 2014. L’A. si sofferma in particolare sull’utilità delle misure di allerta in funzione di risanamento di quella spaccatura che si crea tra soci e creditori all’avvicendarsi di una crisi. Un meccanismo dunque di ricomposizione del binomio potere-rischio, che ne esce inevitabilmente alterato. Per evitare una cristallizzazione delle pretese creditorie di fronte ad un mutamento del quadro economico, a questi è lasciata la facoltà di esercitare alcuni dei poteri tradizionalmente spettanti ai soci, in quanto essi sono i veri proprietari dell’impresa in tempo di crisi. Si ritrova in questa ricostruzione anche A.PACILEO, in op. cit, il quale riconosce la necessità di valorizzare quelle procedure che sia in una prospettiva

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dominio, scongiurando il pericolo di giudizi affrettati sulle reali condizioni dell’impresa.

È a questo punto opportuno fornire una definizione quanto più precisa di rischio18, con lo scopo di individuare il campo di elezione delle procedure anticipate. Il rischio è inteso quale probabilità di un evento negativo futuro ed aleatorio, il cui verificarsi è dunque legato all’atteggiarsi di una variabile probabilistica per la quale ad un certo punto della sua vita economica, l’imprenditore risulti impossibilitato all’adempimento regolare delle obbligazioni assunte. Poiché le nozioni di adempimento irregolare e di inadempimento si legano indissolubilmente al concetto di insolvenza così come definito dall’art 5 L.F., può concludersi che il rischio in questione sia il default risk, cioè in sostanza il rischio di insolvenza19. Interessante è anche l’accezione che di rischio dà la Banca d’Italia nella circolare n.272 del 30 luglio 2008, all’interno del Fascicolo Matrice dei conti (da ultimo aggiornata il 28.12.2017), in materia di inadempienze probabili. L’inclusione di un determinato credito all’interno di questa categoria origina dalla constatazione per la quale il debitore difficilmente adempirà alle obbligazioni contratte, se non in presenza di un intervento invasivo quale l’avvio di un’azione di escussione delle garanzie concesse. Ai fini della presente trattazione, ciò che rileva è la indipendenza della persistente situazione di rischio di default dalla presenza di indizi inequivocabili di squilibrio, ritenendosi sufficienti elementi che per loro natura […] implicano una situazione di inadempimento del debitore20, a determinare una situazione di ―insolvenza probabile‖. Ciò a sottolineare che l’insolvenza, intesa nella sua accezione probabilistica, si traduce in un rischio di inadempimento normale che dunque presuppone una valutazione che guarda ad un momento in cui l’impresa non è ancora decotta.

18 Il rischio può invero essere di natura economica e dunque incidere sul reddito,

riguardando esso genericamente il rischio della copertura dei costi attraverso i ricavi; di natura patrimoniale, se il patrimonio netto si riduce al di sotto del minimo legale e non vi siano nuovi apporti in capitale; di natura finanziaria se il fabbisogno di capitale originato dal ciclo produttivo non è coperto dall’attivo circolante.

19 La definizione in esame è stata proposta dal Commitee of sponsoring organizations of

treadway commission (CoSO), all’interno del report intitolato Internal control integrated framework.

20 Si pensi al complesso delle operazioni fuori bilancio o le esposizioni creditizie rischiose

(come la concessione di finanziamenti e titoli di debito); queste vengono definite ―esposizioni creditizie deteriorate‖.

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L’insolvenza probabile non è in sostanza assimilabile al concetto di insolvenza di cui all’art. 5 L.F., potendosi piuttosto identificare in una misura di tipo quantitativo che esprime, in un dato arco di tempo, la convinzione degli organi di controllo circa l’eventualità che l’impresa diventi insolvente21

. Quantificabile sulla base di supposizioni soggettive (cd. judgmental approach), ovvero supportata da risultanze statistiche (cd. statistical approach), la stima della probabilità di insolvenza può anche essere quantificata sulla base di un approccio combinato che sfrutti tecniche matematiche integrate al giudizio dell’organo di controllo, sulla base del modello ERM (Entreprise risk management)22. Il modello in questione dimostra come la gestione del rischio aziendale sia un processo indipendente ed anzi antecedente all’emergere della crisi, progettato appositamente in funzione preventiva. Esso è infatti un processo continuo e pervasivo che interessa tutta l’organizzazione […],

progettato per identificare eventi potenziali che potrebbero influire sull’attività aziendale e per gestire il rischio entro i limiti del rischio accettabile. Ma aldilà del

modello ERM, l’approccio da assecondare per la valutazione del rischio di insolvenza è quello che prende in analisi un evento attuale e ne considera il suo potenziale rapporto, in senso probabilistico, ad un evento futuro. Al termine delle operazioni di valutazione sia di dati storici che di scenari prospettici, le agenzie potranno esprimere un giudizio sul merito creditizio e dunque sulla correlata probabilità di default di ciascuna impresa.

21

La giurisprudenza contribuisce a chiarificare il significato di questa espressione, fornendone differenti definizioni che essenzialmente riprendono i contenuti dell’art 5 l. fall. In Cass. 27.4.1998 n. 4277 lo stato di insolvenza viene definito come una [...] condizione di impotenza economica nella quale l'imprenditore non è in grado di adempiere regolarmente con normali mezzi solutori le proprie obbligazioni per il venir meno della liquidità finanziaria e della disponibilità di credito occorrenti per lo svolgimento della sua attività

[…].

22

Per un’analisi più completa del modello ERM, si consulti La gestione del rischio

aziendale, ERM – Entreprise Risk Management: modello di riferimento e alcune tecniche applicative, Edizione italiana a cura di Associazione Italiana Internal Auditors e PriceWaterhouseCoopers, CoSO Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission, IlSole24Ore, 2006. Il documento definisce la gestione del rischio aziendale in

questi termini: La gestione del rischio aziendale è un processo, posto in essere dal

consiglio di amministrazione, dal management e da altri operatori della struttura aziendale; utilizzato per la formulazione delle strategie in tutta l’organizzazione; progettato per individuare eventi potenziali che possono influire sull’attività aziendale, per gestire il rischio entro i limiti del rischio accettabile e per fornire una ragionevole sicurezza sul conseguimento degli obiettivi aziendali. Il modello in analisi non è un

procedimento strettamente sequenziale, ma è anzi un processo multidirezionale in cui ogni componente può influire sull’altro componente. La struttura dell’ERM è infatti non lineare ma tridimensionale, rappresentata da un cubo.

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L’unica insolvenza che interessa ad un sistema di allerta precoce coincide dunque con lo stesso rischio di insolvenza, non potendo difatti ritenersi in alcun modo utile un intervento tardivo, avvenuto cioè quando il presupposto dell’art. 5 L.F. si sia ormai avverato. Qualunque spostamento sulla variabile ―rischio‖ dovrà essere tempestivamente rilevata dagli organi di controllo sulla base delle disposizioni codicistiche in materia ed ai Principi di Revisione Internazionale (ISA) in materia di revisione legale. Il principio di revisione ISA Italia n. 570 sulla continuità

aziendale, fornisce significative indicazioni proprio in materia di prevenzione, dal

momento che pone a base del corretto svolgimento della funzione contabile concetti come incertezza significativa o dubbio significativo circa la capacità

dell’impresa di continuare ad operare come un’entità in funzionamento […]23

. All’interno del principio in discorso sono individuati tutti gli elementi indiziari che debbono incitare gli organi di controllo societari a considerare l’avvio di un’allerta preventiva.

E’ su questo versante che dunque le nozioni di rischio, continuità e solvenza si intersecano. Se la solvenza è infatti ―la capacità dell’impresa di soddisfare programmaticamente ed in maniera integrale i creditori alla scadenza delle obbligazioni ad essa facenti capo‖24

, il concetto di continuità aziendale (cd. going

concern) non è che la misura del potenziale di autoconservazione ed

autosostentamento dell’attività di impresa ancora esistente ad una certa data. Ad un

going concern value positivo, corrisponde una condizione di reversibilità della

crisi, in quanto l’ordinamento fornisce strumenti di salvataggio del valore ancora esistente, in una prospettiva di risanamento. La summa divisio tra insolvenza reversibile ed irreversibile non viene dunque abbandonata, piuttosto essa viene ridimensionata e posta in relazione con la presenza o l’assenza di un certo valore di

going concern positivo25.

23

―Esiste un’incertezza significativa quando l’entità dell’impatto potenziale di eventi o

circostanze e la probabilità che essi si verifichino è tale che, a giudizio del revisore, si rende necessaria un’informativa appropriata sulla natura e sulle implicazioni di tale incertezza”[…]. Sulla stessa prospettiva si colloca anche il principio IAS n.1, in particolare

i par. 23-24.

24 A. PACILEO in op. cit.

25 A.PACILEO in op. cit. pag. 165 ritiene invece ormai superato il discrimine tra insolvenza

reversibile ed irreversibile, posto che l’ordinamento dispone sempre di uno strumentario in grado di disporre un salvataggio dell’impresa anche in costanza di fallimento.

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3. Diverse accezioni di crisi

La nozione di crisi è sfuggita sino ad oggi agli intenti definitori del legislatore, prestandosi piuttosto all’elaborazione di numerose definizioni di matrice dottrinale26. Essa presenta in definitiva un tratto differenziale rispetto alla nozione di insolvenza (posto che quest’ultima trova puntuale riscontro nell’art. 5 L.F.), ma ha con essa in comune il carattere di dato dinamico della salute dell’impresa, soggetto cioè alla variazione dei fattori che ne influenzano la conformazione. Aldilà della necessità di una definizione più chiara, la crisi è comunemente intesa come uno stato patologico che implica una tensione finanziaria rilevante, in grado di aggravarsi e dunque condurre all’insolvenza. E’ utile sottolineare come taluni ordinamenti abbiano optato per una notevole semplificazione di sistema, operando una reductio ad unum della la gamma di sfumature elaborate dalla dottrina per distinguere la pre-crisi dalla crisi conclamata e parlando più semplicemente di ―impresa in difficoltà‖ come un unico blocco costituente la ―fase crepuscolare‖ in senso ampio. E’ il caso del sistema francese, che come si vedrà ha elaborato un indipendente droit des entreprises en difficulté basato su una generica nozione di difficoltà distinta dalla nozione di cessation des paiements (un concetto che ricorda

26 L.GUATRI fornisce una definizione di crisi in Crisi e risanamento delle imprese,

Milano, Giuffré, 1986, descrivendola come ―quel processo degenerativo che rende la

gestione aziendale non più in grado di seguire condizioni di economicità a causa di fenomeni di squilibrio o di inefficienza, di origine interna o esterna, che determinano appunto la produzione di perdite, di varia entità, che a loro volta possono determinare l’insolvenza che costituisce, più che la causa, l’effetto, la manifestazione ultima del dissesto‖. La definizione è largamente condivisa in quanto non tralascia la natura

essenzialmente aziendalistica di questo fenomeno. Altra dottrina, in particolare LUCIANO in op.cit, allontanandosi dalla teoria economica e fornendo un’analisi più improntata sui rapporti intercorrenti tra la componente creditoria e gli azionisti, identifica la crisi come quel fenomeno in cui si manifesta una divaricazione nel rapporto tra finalità dei soci e

creditori e di conseguenza, altera il sistema di poteri e responsabilità che consente il perseguimento degli interessi. La tesi è rilevante dal punto di vista dello scollamento tra

potere e rischio che si verifica in presenza di una crisi, in cui sono i creditori che forniscono il vero capitale di rischio, un rischio che purtuttavia continua a grave sui creditori e non sui soci, in quanto al loro ruolo di veri proprietari dell’impresa […] non corrisponde un

relativo potere di controllo. PACILEO in op. cit. pag. 276 definisce lo stato di crisi come momento di difficoltà dell’impresa precedente all’insolvenza in cui i principi di continuità e di solvenza risultano parzialmente compromessi, quindi giustificano sacrifici per i creditori anche dissenzienti, al fine di contenere un loro ulteriore pregiudizio e soddisfare il complesso delle loro pretese. Più precisamente, lo definisce come incapacità attuale o potenziale dell’impresa di esercitare una regolare attività solutoria, tale da prospettare in maniera ragionevole uno stato di insolvenza in un prevedibile futuro, in mancanza di una ristrutturazione dei debiti.

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la definizione di insolvenza dell’art. 5 L.F. ma che non coincide perfettamente con essa), comportando così una rilevante agevolazione all’interprete.

Se è vero che il termine presenta una notevole varietà di accezioni, ciò influisce necessariamente sul ruolo dell’autorità giudiziaria, la quale dialoga con gli operatori delle altre discipline in concreto interessate, assumendo un ruolo più dinamico nella composizione degli interessi in gioco. I fattori genetici della crisi sono tutt’altro che definiti, né possono dirsi parte di un elenco a numero chiuso. Di questi può senz’altro trovarsi traccia negli squilibri economico-finanziari che sovente intaccano il normale svolgimento dell’attività, ma non è escluso che la crisi si riconduca a situazioni di disordine organizzativo e gestionale. E’ dalla sussistenza di tali fattori genetici che dipende dunque non solo la definizione di crisi, ma la stessa definizione di pre-crisi, situazione nella quale possono essere scorti i primi indizi di una crisi appunto incipiente. La dottrina economica ha tradizionalmente distinto le cause strutturali da quelle congiunturali. Le une attengono alle caratteristiche intrinseche dell’impresa come attività organizzata a fini produttivi; le altre dipendono da fattori esterni che colpiscono indistintamente determinati settori, e dunque indipendenti dall’assetto organizzativo. Le crisi strutturali possono derivare da un eccessivo ricorso al capitale di credito rispetto al capitale di rischio27, da carenze nel sistema di circolazione interna delle informazioni, da una certa rigidità nel sistema gestorio. Non è poi escluso che la crisi possa essere anche legata alla violazione sistematica di norme di legge, regolamenti o principi generali di corretta gestione (cd. crisi di legalità), dal momento che la mancata osservazione delle norme in questione si ripercuote anche sul risultato economico. Si è poi rilevato come una situazione di squilibrio economico, patrimoniale o finanziario abbia anche un impatto negativo sulla disposizione dei soci a fruire delle procedure concorsuali e degli altri strumenti

27 Sugli effetti della leva finanziaria, per tutti L. STANGHELLINI, in op.cit, pag. 17-33,

individua l’impossibilità di stabilire una tantum il rapporto tra capitale di rischio e di credito, in quanto esso è determinato da una pluralità di fattori variabili. L’effetto leva è incluso tra le possibili origini della crisi quando i suoi effetti avversi superano quelli vantaggiosi, cioè a dire quando la struttura finanziaria è sbilanciata verso il capitale appartenente a terzi. In argomento, anche BRIZZI in op. cit. pag 204, per il quale l’uso eccessivo della leva finanziaria aumenta il rischio di insolvenza dell’impresa, nonostante che all’aumentare del debito aumenti anche il rendimento per i soci.

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posti a disposizione dall’ordinamento28

. E il disfavore nei confronti degli strumenti quali ad esempio la ristrutturazione dei debiti o il concordato preventivo è giustificato non solo dall’effettiva macchinosità dei medesimi rispetto alle esigenze concrete della crisi incipiente o in atto, ma anche dalla percezione negativa che dei medesimi si ha in generale, spesso equivocati come anticamere ad un futuro ma sicuro fallimento. In relazione a tale aspetto dunque, non c’è da stupirsi se l’aggravamento della crisi si faccia derivare dall’avvio di azioni esecutive individuali dei creditori che fanno così valere le loro egoistiche pretese: più l’insolvenza è prossima o è percepita come incombente, più aspro è il confronto tra creditori, specie se appartenenti a categorie differenti o siano titolari di crediti sorti in tempi diversi. Ciò è vero specie considerando che la realizzazione di utili non sempre avvantaggia in modo omogeneo ogni creditore od ogni classe di creditori, né è scontato che l’avvio di una procedura concorsuale sia in grado di realizzare un bilanciamento tra interessi degli azionisti e interessi dei creditori29.

Nonostante che la formulazione dell’art. 2423bis, co.1, n.1 c.c. fornisca un’indicazione dalla quale risulta che il legislatore ha sottinteso la possibile presenza di difficoltà gravi di cui tenere conto in fase di redazione del bilancio annuale, non appaiono altri riferimenti alla nozione di crisi né tale espressione compare nel codice a scopo definitorio. Come è noto, l’espressione compare in diversi momenti all’interno della legge fallimentare, ora agli artt. 160 L.F. e 182bis L.F. quale presupposto oggettivo di ricorso allo strumento del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, ora al co. 5 art. 182septies L.F. in relazione agli effetti derogatori alla res inter alios acta, prodotti dagli accordi di moratoria stipulati con intermediari finanziari. E’ evidente che i riferimenti normativi poc’anzi richiamati presentino il tratto comune di non avere alcun valore definitorio, anzi facciano della crisi un presupposto piuttosto permeabile alla sensibilità del giudice nel ritenere più o meno seri determinati segnali di difficoltà. Lungi dall’affermare che la nozione di crisi in quelle norme richiamate compaia in

28

In particolare, BRIZZI, in op. cit. ribadisce la propensione dei soci ad evitare le procedure concorsuali, proprio perché considerate come uno strumento d vantaggioso esclusivamente per i creditori sociali.

29 A questo proposito, BRIZZI in op. cit., parla in termini di shareholders maximization e di

creditor maximization nel discutere del problema dei conflitti che sorgono in presenza di

una crisi, ancor peggio se accompagnata dall’apertura di una procedura concorsuale. L’A. inquadra il problema nell’ambito degli azzardi morali e della propensione al rischio che caratterizza la fase di crisi, rilevando come essa sia tipica di qualunque rapporto contrattuale caratterizzato da asimmetrie informative (in questo caso tra soci e creditori).

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veste di clausola generale30, essa pare distrattamente introdotta all’interno di un istituto nel quale la sua presenza è necessitata, ma in cui essa passa al tempo stesso inosservata senza mai divenire protagonista di una disposizione autonoma che ne chiarifichi il significato.

Accanto all’interpretazione di quei rari – se non inesistenti – appigli normativi nel precisare la nozione di crisi, si pone poi la normazione di matrice europea e sovranazionale, e non altrettanto di rado le linee guida di natura deontologica. Per dare conto degli orientamenti comunitari, si sono in primo luogo prese in considerazione le parole della Comunicazione 2004/C 244/02 in materia di aiuti di stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà, in particolare quelle della nozione di impresa in difficoltà dell’art 2.1. La Commissione enuncia a chiare lettere che […] non esiste una definizione comunitaria di impresa in

difficoltà. […], ma che convenzionalmente sia ritenuta tale un’impresa che […] non sia in grado, con le proprie risorse o con le risorse che può ottenere dai proprietari/azionisti o dai creditori, di contenere perdite che […] la condurrebbero quasi certamente al collasso economico, nel breve o nel medio periodo. Il legislatore europeo opta dunque per un’interpretazione di difficoltà ―ad

esaurimento‖, intesa come una progressiva perdita di valore dell’impresa nel tempo. È interessante notare come il documento sembri aver ben accolto l’idea francese di considerare l’insieme delle turbative che attraversano l’impresa come un unico blocco, all’interno del quale ha luogo l’applicazione del diritto della crisi di impresa. Lo dimostra forse la scelta lessicale del legislatore, che questa volta tiene fuori la nozione di crisi per parlare di difficoltà. Se tale indicazione non dovesse essere sufficiente ad intercettare la presenza di una difficoltà, nel testo in analisi vengono in seguito descritte situazioni tipiche in cui essa è da ritenersi manifesta, anche in base al tipo societario prescelto31.

30

Posto che in quel caso si discorre di principi e di porzioni di norme cui attribuire significati sulla base della prassi corrente.

31

Così testualmente, per le S.R.L, l’impresa è da ritenersi in difficoltà […] qualora abbia

perso più della metà del capitale sociale e la perdita di più di un quarto di tale capitale sia intervenuta nel corso degli ultimi dodici mesi, […] o qualora abbia perso più della metà dei fondi propri. Per tutti gli altri tipi societari, qualora sia integrato il presupposto

oggettivo del fallimento, cioè lo stato di insolvenza. Si nota forse qui una certa incoerenza o precipitosità nel documento allorquando esso riduca la nozione di difficoltà a quella di insolvenza. Onde evitare di giungere alla conclusione per cui, al legislatore europeo sia indifferente che si tratti di una mera difficoltà ovvero di un’insolvenza conclamata, è bene interpretare tale ultimo punto come la considerazione ovvia tale per cui, una volta che

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20

La Raccomandazione della Commissione 2014/135/UE su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza contribuisce poi ad avvalorare l’intercettazione della crisi in una fase anteriore all’insolvenza, definendo l’opportunità che gli Stati si dotino di un quadro di ristrutturazione preventiva accessibile già in fase precoce, non appena sia evidente che sussiste probabilità di insolvenza32. È chiaro come l’intento della Commissione sia quello di mettere in risalto il concetto di rischio connesso alla sua possibile degenerazione. È inoltre il considerando n.10 del Regolamento UE del 20.05.2015 in materia di procedure di insolvenza a parlare di probabilità di insolvenza come sinonimo di crisi, allorquando nell’estendere la sua applicazione anche alle procedure diverse dall’insolvenza (che assistono cioè le imprese economicamente valide in difficoltà al fine di consentire loro una seconda opportunità) faccia riferimento alle procedure ideate in caso di probabilità di insolvenza. All’art 1 del Regolamento in analisi si legge testualmente che […] Laddove le procedure di cui al presente paragrafo

possano essere avviate in situazioni in cui sussiste soltanto una probabilità di insolvenza, il loro scopo è quello di evitare l'insolvenza del debitore o la cessazione delle attività di quest'ultimo. Da ultimo e sulla medesima linea direttrice

è la proposta di Direttiva presentata il 22.11.2016, dalla quale è altrettanto agevole ricavare la consolidata accezione di crisi intesa quale probabilità di insolvenza33. Ciò risulta coerente con la finalità di prevenzione accolta dall’Unione, in quanto estende il diritto di accesso alle procedure di ristrutturazione anche allorquando l’impresa sia ancora attualmente ma non prospetticamente solvibile, nel senso che nel breve o nel medio termine l’insolvenza non è che la condizione di più probabile

l’impresa sia decotta, è scontata la presenza di uno stato di difficoltà pregresso. A corroborare tale conclusione è l’art 2.1 par. 10, in cui sono elencati dei sintomi caratteristici di un’impresa in difficoltà invero ben lontani dall’essere parificati allo stato di insolvenza e che pertanto confermano come il legislatore comunitario abbia implicitamente accolto la distinzione tra le due fasi, puntando spesso i riflettori proprio sulla fase crepuscolare. Si legge testualmente che […]un'impresa può comunque essere considerata in difficoltà in

particolare quando siano presenti i sintomi caratteristici di un'impresa in difficoltà, quali il livello crescente delle perdite, la diminuzione del fatturato, l'aumento delle scorte, la sovraccapacità, la diminuzione del flusso di cassa, l'aumento dell'indebitamento e degli oneri per interessi, nonché la riduzione o l'azzeramento del valore netto delle attività. Nei casi più gravi l'impresa potrebbe già essere insolvente o essere oggetto di procedura concorsuale per insolvenza conformemente al diritto nazionale.

32

Par. III, punto 6, lett a).

33 Art. 4 2016/0359 (COD), in cui si legge che ―gli Stati membri provvedono affinché,

qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore in difficoltà finanziarie abbia accesso a un efficace quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta di ristrutturare i debiti o l'impresa, ripristinare la sostenibilità economica ed evitare l’insolvenza.‖

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verificazione, anche se non così pare necessariamente anche ai terzi esterni alla compagine sociale34.

Sulla definizione dei concetti di crisi e di insolvenza discorrono anche le linee guida elaborate dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, all’interno del documento ―Informativa e valutazione nella crisi d’impresa‖ adottate il 30.10.2015, nel quale gli esperti accolgono la tesi per la quale non solo possono sussistere diverse graduazioni della crisi, ma esiste una distinzione tra crisi reversibili ed irreversibili. Come si è visto, la tesi non è nuova allo scenario dottrinale italiano. In esordio alla seconda parte del documento, riservata ad offrire una definizione dei concetti di crisi e di insolvenza sotto il profilo aziendalistico, gli esperti propongono l’elaborazione di un sistema in grado di rivelare se un’impresa si trovi effettivamente in condizione di dissesto o

potenziale dissesto o viceversa in una condizione di crisi reversibile e per così dire fisiologica e dunque superabile. Riprendendo riflessioni piuttosto note, gli esperti

pongono l’accento specialmente sulla netta separazione tra crisi ed insolvenza, legate da un rapporto di implicazione non reciproca e giacenti su piani totalmente differenti. Mentre l’insolvenza è necessariamente effetto della crisi, non è anche vero che la crisi non possa generare ulteriori e possibili esiti, posto che l’insolvenza costituisce della crisi soltanto un possibile sviluppo o manifestazione. Il fenomeno della crisi, così inteso come stato di difficoltà in fieri modifica così parzialmente il punto di osservazione, ora maggiormente prospettico e che ammette anche al ricorso di una contabilità previsionale in grado di segnalare in anticipo squilibri futuri. Al paragrafo 6 del documento in analisi, gli esperti forniscono altresì una definizione non rigorosa del concetto di crisi, intesa come ―incapacità corrente

dell’azienda di generare flussi di cassa, presenti e prospettici, sufficienti a garantire l’adempimento delle obbligazioni già assunte e di quelle pianificate.‖

Rilevante la novità di introdurre un approccio cash flow oriented, la definizione guarda alla crisi come un processo di progressivo depotenziamento nella produzione di ricchezza utile essenzialmente al sostentamento del normale ciclo produttivo.

34

Sul medesimo piano si pongono anche i documenti di elaborazione sovranazionale, in particolare i Principi elaborati dalla Banca Mondiale , resi appositamente coerenti anche alla Legislative Guide on Insolvency Law elaborata dall’UNCITRAL, nei quali tuttavia l’attenzione si sposta ancora una volta sulla gestione del rischio di insolvenza, questa volta su una prospettiva di tutela della trasparenza dell’informazione tra gli operatori del mercato.

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22

4. La necessità di un doppio livello di allerta

Un’impresa che operi in situazione di continuità aziendale è di tipo paretiano, in quanto persegue l’interesse dei soci per realizzare un’allocazione ottimale delle risorse. La dottrina ha ben presto rilevato uno spontaneo abbandono del modello paretiano puro in presenza di una crisi, sostituito durante questa fase dal modello di Kaldor-Hicks35, un correttivo rispetto all’ideale allocazione ottimale delle risorse in termini paretiani. Ciò in considerazione del fatto che obiettivo comune allo strumentario fornito dal legislatore è comunque rappresentato dalla garanzia di una migliore soddisfazione per i creditori, cioè in grado di assicurare un beneficio pro

futuro alla loro posizione. Non manca in dottrina chi ritiene che tale obiettivo sia

raggiungibile anche in assenza di strumenti di prevenzione, posto che il mercato non realizzerebbe in totale autonomia un’allocazione complessivamente efficiente delle risorse, ma esisterebbero già dei rimedi in funzione di allerta nella stessa organizzazione societaria36. In base a questa tesi sarebbe allora sufficiente ripensare il binomio amministrazione-controllo in termini di maggiore coesione e dialogo, senza poi prevedere anche un sistema di allerte in modo puntuale. Aderire integralmente alla ricostruzione appena esposta tuttavia lascerebbe scoperte le ipotesi in cui vi siano malfunzionamenti nel congegnato sistema di controllo interno. La creazione di un sistema di allerta ad azionamento pubblico (cd. allerta esterna), per rispondere ai sostenitori delle tesi ultraprivatistiche, non implica necessariamente un regime ―pubblico‖ tout court37. Sull’esempio delle esperienze

35

A. ZOPPINI in op.cit. ma anche A. PACILEO, in op.cit. pag. 362 rilevano durante la

vicinity of insolvency l’operatività di un modello che non guarda solo alla massimizzazione

dei profitti per i soci, ma che sottintende un’asimmetria in termini di perdite, le quali dovranno essere subite da almeno una delle parti e complessivamente compensate dai benefici ottenuti dall’altra. A queste condizioni, gli amministratori dovrebbero optare per delle soluzioni che assicurino il benessere collettivo, in modo che gli svantaggi subiti da una categoria siano compensati dai vantaggi che un’altra otterrà.

36 In particolare lo sostiene A.ZOPPINI, il quale propone addirittura una possibile

formulazione normativa nella quale l’organo di controllo (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza, comitato per il controllo sulla gestione, revisore dei conti, società di revisione) chiede all’organo amministrativo di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa. Nel caso di omessa o insoddisfacente risposta, l’A. propone (invero confinando l’allerta in una dimensione esclusivamente privatistica) l’assegnazione dell’incarico (da parte dello stesso organo amministrativo) ad un professionista in possesso dei requisiti dell’art. 67, lett. d) L.F., di effettuare gli opportuni accertamenti.

37

Si pensi ai tentativi operati dalla Commissione Trevisanato nel 2005. Nei lavori si legge di un registro pubblico nel quale si sarebbero dovuti iscrivere […]“i crediti di importo

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23

di altri ordinamenti, una procedura che implichi la partecipazione del giudice non lede necessariamente ai caratteri di confidenzialità e riservatezza connaturati a questo strumento. Oltretutto, lo stesso giudice potrebbe anche provvedere alla nomina di un professionista conciliatore o mediatore in grado di promuovere un piano di risanamento, prima che la crisi divenga manifesta. Con una giusta componente processuale che tuttavia non pretende di tradursi in un dirigismo mascherato, si tenderebbe a ridurre gli effetti negativi di inerzie e derive privatistiche.

Una seconda riflessione volta a sostenere la necessità di un doppio livello di allerta prende senz’altro spunto dai presupposti della sua applicazione, nonché dal valore indiziario conferito ai fatti esteriori in grado di giustificare l’attivazione di un sistema di allarme38. E’ assodato che tra i presupposti oggettivi di applicazione del fallimento di cui all’art 5 L.F. compaia la nozione di ―altri fatti esteriori‖, che accompagnati all’inadempimento o all’adempimento irregolare rappresentano l’endiadi su cui si basa lo stato di insolvenza. Meno chiara è tuttavia la natura di tali ―altri fatti‖, ritenuti dalla dottrina dominante non racchiudibili in un elenco di fattispecie tipizzate ed aventi perciò valore solo indiziario. In effetti, al pari dei cd.

clignotants del diritto francese, gli ―altri fatti esteriori‖ non integrerebbero di per sé

e soli il presupposto oggettivo del fallimento, posto che l’insolvenza si realizza solo allorquando l’imprenditore non è più in grado di adempiere regolarmente39

alle proprie obbligazioni. Nel dare conto di questa ricostruzione, la dottrina conferisce a tali fatti valore indicativo circa la probabile presenza di uno stato di insolvenza. Come è possibile notare, di indizi si discorre, non di presunzioni in senso stretto; queste ultime infatti, proprio perché non parificabili alle presunzioni, non sono acquisibili tramite gli strumenti indagatori del giudice. Su questo versante è possibile ravvisare una debolezza intrinseca di sistema, la cui causa risiede

superiore ad euro 20.000, per i quali sussiste una mora nei pagamenti per un periodo di almeno sei mesi.”

38

Per un’analisi più dettagliata dell’argomento in questione, si veda A. PACILEO in op.cit., pag. 245.

39 L’aggettivo ―regolarmente‖ è particolarmente rilevante perché suggerisce che è solvente

soltanto chi adempie regolarmente alle obbligazioni, potendo anche un’impresa essere adempiente seppur insolvente, in quanto adempiente solamente nel breve termine (o adempiente con mezzi irregolari) ma prospetticamente insolvente. Poiché il mercato ha un connaturato carattere liquido, la presenza di solidità patrimoniale non rivela uno stato di salute positivo se ad esempio è in corso una crisi di liquidità.

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