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Strumenti di gestione negoziale della crisi nella fase di preinsolvenza – Il

I. Fase crepuscolare ed emersione della crisi: l’assetto normativo attuale

9. Strumenti di gestione negoziale della crisi nella fase di preinsolvenza – Il

comma 3, lett.d) L.F.

In concomitanza con la fase di pre-insolvency e specialmente nel caso di intempestività dell’intervento, l’impresa soffre potenzialmente un maggior pregiudizio economico, cagionato dalla progressiva distruzione di ricchezza innescato dalla crisi. Sembra anzitutto opportuno evidenziare come il complesso degli strumenti congegnati per arginare il common pool problem durante il periodo che precede l’insolvenza, paia prediligere – anche sulla scorta delle novità della legge delega – meccanismi che assicurino la composizione della frattura cagionata dalla crisi procedendo su due linee direttrici: la garanzia della continuità aziendale111 e l’emersione tempestiva della crisi. Del quadro normativo con cui il legislatore ha dato conto della tendenza a confinare entro un perimetro di extrema

ratio le procedure meramente liquidatorie per favorire piuttosto la prosecuzione

dell’attività, – tra tutti, l’art 186bis L.F. – si darà conto più avanti. Si noti sin da ora che le misure di allerta e prevenzione rappresentano, per usare le parole della dottrina, un obiettivo tipico del sistema concorsuale moderno: un intervento anticipato rende più probabile la conservazione del valore e rende dunque possibile la miglior soddisfazione dei creditori112. Sull’idea di un diritto della crisi

110 D. CATERINO La funzione del collegio sindacale delle società quotate, tra

“prevenzione” e “allerta” della crisi d’impresa – reperibile su http://www.orizzontideldirittocommerciale.it/media/10726/caterino.pdf.

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Il punto è oggetto di analisi in M. FABIANI, op cit., in cui l’A. conferma la tendenza del legislatore , a partire dalla riforma del 2003, a preferire la continuità aziendale, specie sotto forma del concordato previsto all’art. 186-bis L.F. In particolare, egli indaga sulla reale portata di tale principio alla luce dei principi cardine della legge delega. Tra questi, il principale interesse dei creditori parrebbe sminuire il principio di continuità aziendale al punto da sollevare il quesito circa la reale utilità e natura delle procedure di insolvenza.

112 M. FABIANI in Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di

impresa, Nuove Leggi Civ. Comm., 2016, 1, 10 (commento alla normativa) - nel quale l’A.

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d’impresa, si ravvisa la predisposizione di paradigmi […] orientati verso una emersione e una gestione tempestiva e non dissipativa della crisi, specie […] nei non agevoli e spesso non ben definiti orizzonti del crepuscolo dell’impresa, alla ricerca di una nuova (e ancora possibile) alba113. Ciò è vero tuttavia, solo se sia i presupposti di attivazione, sia lo svolgimento della procedura, siano congegnati in modo semplice e tale da assicurarne un impiego immediato. Lungo questa prospettiva, già la riforma del diritto fallimentare non si è limitata a valorizzare l’adozione di assetti organizzativi adeguati (art. 2381 c.c.) e le azioni di responsabilità omissiva degli organi sociali, ma ha anche supportato nuove soluzioni stragiudiziali a conservazione dei valori aziendali ed al risanamento- ristrutturazione dei debiti. Una maggiore convenienza economica nell’applicare queste soluzioni è ottenuta senz’altro se l’impresa non versi ancora in una situazione irreversibile di dissesto; circostanza quest’ultima, che rende pertanto superfluo l’impiego delle ingenti risorse – per lo più destinate alla remunerazione dei professionisti del settore – necessarie per tentare il turnaround, in un contesto in cui da risanare non è rimasto che poco o nulla. Per questi motivi, già gli intenti della riforma operata con D.Lgs 5/2006 di riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, si ispirano ad un criterio di maggiore tutela verso gli interessi della platea di soggetti coinvolti nelle procedure concorsuali, in una prospettiva di salvaguardia del potenziale produttivo dell’impresa. Non è tuttavia da trascurare la circostanza per la quale, ad una accentuata libertà di forme processuali e contenuti concesse dal legislatore, corrisponda un maggior grado di rischio di insuccesso di tali strumenti, stante il pericolo di forte instabilità cui sono esposti i creditori aderenti. Un maggior grado di formalizzazione, affiancato al ruolo preponderante rivestito dall’autorità giudiziaria, garantirebbero una maggiore tenuta ed osservanza degli equilibri raggiunti attraverso le soluzioni raggiunte nella fase delle trattative.

E’ opportuno dare ora conto degli istituti di risoluzione negoziale della crisi posti a disposizione del legislatore, cercando di mantenere una linea ricostruttiva graduale

allerta, specie rammentando come tali misure, all’epoca dei lavori della Commissione Trevisanato, venissero guardate come un “corpo estraneo rispetto al cono visivo

dell’imprenditore, arbitro di scegliere se, come e quando partecipare ad un nucleo più ristretto di creditori o all’intera collettività il proprio stato di crisi.”

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Cit. P. BENAZZO, in Crisi d’impresa, soluzioni concordate e capitale sociale, Rivista delle Societa', fasc.02-03, 2016, pag. 241.

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che classifichi tali strumenti sulla base del loro livello di anticipatorietà. In prima analisi si può pertanto inquadrare l’istituto del piano attestato di risanamento, introdotto con la riforma poc’anzi ricordata114

e successivamente oggetto di modifiche ad opera del D.Lgs. 169/2007 prima e il d.l. 83/2012 conv. in l. 134/2012 poi, allo scopo di addivenire ad una soluzione concordata alla crisi che eviti la dichiarazione di fallimento. Di esso si intendono illustrare i tratti più salienti, valorizzando specialmente l’aspetto prudenziale dei presupposti oggettivi della sua applicazione.

Con l’art. 67, comma 3, lett d) L.F., il legislatore non dedica, come è noto, una disciplina autonoma all’istituto del piano attestato di risanamento, inserendola piuttosto entro i confini dell’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare. Sotto l’ombrello protettivo degli atti a titolo oneroso, dei pagamenti e delle garanzie fatti salvi dalla falce della revocatoria, rientrano infatti anche ―gli atti, i pagamenti e le

garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria” (lett.

d). La fattibilità del piano e la veridicità dei dati aziendali – due aspetti inscindibili del giudizio del professionista – dovranno essere attestati da un professionista indipendente in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 lett. a) e b) L.F, attraverso l’esposizione dei fattori endogeni ed esogeni determinanti per l’insorgere della crisi. La natura e l’intensità dei fattori incidenti sull’equilibrio aziendale risultano determinanti sul giudizio di fattibilità, invero orientato al risanamento solo laddove si possa dimostrare il dipanarsi di una crisi reversibile. Quello dell’attestatore è dunque – similmente al ruolo rivestito dagli amministratori in corso di esercizio – un giudizio prognostico circa l’esito positivo delle finalità contenute nel piano, sulla base dei dati raccolti allo stato attuale. Per evitare un accanimento su una patologia quasi sicuramente non riassorbibile – né attraverso programmi di riorganizzazione interna, né attraverso il coinvolgimento di soggetti terzi – la relazione del professionista chiarisce minuziosamente i fattori a sostegno della fattibilità, individuando sia l’ammontare delle risorse prossimamente disponibili, sia l’ammontare dell’esposizione debitoria. Il piano dovrà pertanto contenere una

114 Obiettivo di questa riforma è anzitutto quello di favorire il ricorso a strumenti di

gestione tempestiva della crisi. Sotto questa lente vanno anche lette alcune modifiche all’istituto del concordato preventivo – in particolare quella relativa alla percentuale minima richiesta per il soddisfacimento dei creditori chirografari –.

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parte descrittiva, volta ad esporre la situazione economico-finanziaria dell’impresa e delle possibili cause della crisi; nonché una parte prospettica, descrittiva dei possibili scenari evolutivi e delle soluzioni percorribili. La giurisprudenza (Cass. Sez. I, sent. n. 11497/2014)115 non ha peraltro escluso il sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica, nel caso di manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati. Sebbene tale principio sia enucleato con riferimento al concordato preventivo, la Corte lo ritiene applicabile anche ai piani di risanamento aziendale, posta la medesima ratio legis.

Anche in considerazione del ruolo piuttosto marginale rivestito dall’autorità giudiziaria nel contesto di questo istituto, la natura giuridica del piano è squisitamente privatistica116. È senza dubbio la natura non concorsuale dell’istituto ad impreziosirne i caratteri, allorché – nel caso di fallimento di quest’ultimo – sia aperta successivamente una procedura concorsuale, vista l’esenzione dalla revocatoria di quanto eseguito in esecuzione del piano. Né, tra l’altro, si ritengono prededucibili i crediti sorti in esecuzione del piano, posta l’applicabilità dell’art. 111 L.F. alle sole procedure concorsuali.

Aldilà delle implicazioni legate alla natura non concorsuale della procedura, è opportuno soffermarsi sulla formulazione dell’art 67, co. 3, lett d) laddove essa, riferendosi testualmente al risanamento dell’esposizione debitoria ed al riequilibrio

della situazione finanziaria, ne definisce il presupposto oggettivo. Esso dunque

consisterebbe in un divario tra i debiti non ancora saldati e le risorse disponibili per farvi fronte o in una struttura finanziaria squilibrata verso il capitale di credito. Da qui, è agevole ravvisarsi, anche alla luce delle considerazioni della giurisprudenza in merito alla reale fattibilità del piano, una finalità fortemente anticipatoria117, tale da consentire l’accesso a questo strumento anche in presenza di una mera difficoltà. In questo senso e con riferimento al requisito di accesso, la dottrina ha opportunamente parlato di rischio del rischio della crisi o dell’insolvenza, di un

115 Il principio è stato recentemente ribadito con specifico riferimento ai piani attestati di

risanamento in Cass. Sez. VI, Sentenza n. 13719/2016.

116 Sul punto, ma per una trattazione analitica dell’istituto in esame – di cui si evidenziano

solo gli aspetti più salienti legati al suo ruolo prudenziale – S. AMBROSINI e M. AIELLO in I piani attestati di risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, in IlCaso.it, II, 11 giugno 2014, 2 – secondo i quali il carattere privatistico distinguerebbe questo istituto dal concordato preventivo, in cui invece il ruolo primario del giudice si palesa sin dal momento genetico attraverso il decreto di ammissione, passando poi attraverso il decreto di omologazione.

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rischio al quadrato118. Versare nella twilight zone – cioè nella fase di incubazione-

maturazione della crisi – sarebbe sufficiente, in base a questa ricostruzione, per fare ricorso al business plan, ammissibile dunque solo nelle ipotesi di pre-crisi e di crisi reversibile, ed essendo escluso nel caso di crisi irreversibile o dissesto119. Seguendo questa dottrina, tale rilievo sarebbe confermato dall’assenza del termine ―crisi‖ nella formulazione normativa, quasi a voler indicare un presupposto a maglie larghe, idoneo a permettere l’ingresso del piano entro situazioni di mera difficoltà. A corroborare tale conclusione è certamente la forte malleabilità dello strumento, specie in considerazione della sua natura negoziale. La fattibilità è in effetti valutabile solo in presenza di un accordo tra debitore e creditori interessati al risanamento120. La sua origine negoziale e l’assenza di indicazioni normative relative al contenuto tipico del piano, rivelano l’intenzione del legislatore – tralasciando il risvolto ―negativo‖ dell’assenza di una disciplina autonoma ed organica – di dotare il debitore di una certa quantità di carta bianca, perlomeno in fase anticipata. Ciò si è tradotto essenzialmente in una sintetica formulazione legislativa – certamente migliorabile, oltre che da valorizzare – di tipizzazione di un negozio tipico dal contenuto atipico, vincolato sotto il profilo della qualità (in termini di fattibilità) ma non sulla tipologia di contenuti. All’interno del piano vengono difatti esposte la situazione economico-finanziaria dell’impresa, le principali cause della crisi e le possibili strategie di intervento nonché i tempi e le risorse necessarie per assicurare il riequilibrio. Accanto ai vantaggi indubbiamente apportati dal carattere flessibile dell’istituto, si scorgono due elementi di forte criticità di tale strumento negoziale: il carattere di instabilità della risoluzione data l’assenza di una disciplina appositamente volta a regolare la fase delle trattative, nonché l’efficacia estesa ai soli creditori aderenti al piano (inter partes). È invero sufficiente il comportamento ostile di uno solo dei creditori non aderenti (es. presentazione dell’istanza di fallimento) per la compromissione del processo di raccolta delle adesioni e dunque della profittevole prosecuzione delle trattative.

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Cit. S. DE MATTEIS in op. cit pag. 151.

119 Cit. S. AMBROSINI, M. AIELLO in op. cit. in caso contrario, infatti, nessun piano

potrebbe risultare idoneo a perseguire l’obiettivo del risanamento dei debiti e del recupero dell’equilibrio finanziario.

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