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1.3 I fattori propulsivi dell’internazionalizzazione

Nei precedenti paragrafi è emerso che non esiste un’unica teoria e modello dell’internazionalizzazione, bensì ne sono state analizzate molteplici, di cui spesso una è l’estensione della successiva, ma ad ogni modo tutte inadatte a comprendere ed esaminare il fenomeno della sua globalità (Dematté, Perretti, Marafioti, 2008).

Inoltre, bisogna tener presente che la maggior parte delle precedenti teorie si basa su studi condotti su imprese di grande dimensione, risultando inadeguate ad analizzare le cause dell’internazionalizzazione delle PMI, che negli ultimi decenni stanno diventando sempre più importanti a livello globale.

A tal proposito, è nato un ulteriore approccio che evidenzia come la combinazione di fattori interni ed esterni spinga la singola impresa ad intraprendere il processo d’internazionalizzazione. Le teorie che si avvicinano maggiormente a questo nuovo filone sono quelle di stampo comportamentale, reticolare ed in parte anche quella eclettica di Dunning. I fattori interni sono inerenti al modello di sviluppo prefissato e alla necessità di consolidare la posizione competitiva dell’impresa. Viceversa, quelli esterni nascono come reazione all’impulso dell’ambiente in cui opera la stessa. In particolar modo, alcuni autori credono che la spinta all’internazionalizzazione per le imprese di piccole dimensioni dipenda prevalentemente da fattori interni, viceversa quelli esterni fungano esclusivamente da stimolo (Caroli & Fratocchi, 2000).

1.3.1 Fattori interni

I fattori interni si suddividono in due tipologie complementari: i fattori legati all’impresa e quelli legati al management. Nonostante la prima contenga necessariamente anche la seconda, tale distinzione evidenzia la rilevanza del ruolo dell’imprenditore o di chi detiene il potere decisionale nei processi di internazionalizzazione (Caroli & Lipparini, 2002).

Tra i fattori interni legati all’impresa ritroviamo quelli che nascono dal desiderio di consolidare anche nei mercati internazionali una strategia di prodotto o servizio, che porta ad un vantaggio competitivo in termini leadership di costo e differenziazione ed unicità

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del venduto. L’impresa, dunque, predilige un approccio resource based view, cercando di capire i fattori critici di successo e posizionandosi con prodotti o servizi unici e differenziati in un segmento di clientela del mercato che intendono penetrare. A volte, l’impresa si serve anche dell’approccio knowledge based view, cioè decide di divulgare la propria conoscenza, soprattutto quella tecnologica di prodotto e/o processo.

Un ulteriore fattore interno legato all’impresa, al contrario, nasce dalla ricerca nei mercati internazionali di nuove fonti di vantaggio competitivo in modo da consolidare il proprio posizionamento sul mercato domestico e non. L’impresa può, infatti, importare input produttivi a condizioni favorevoli, soprattutto in termini di costo di materie prime o di lavoro, rafforzando contemporaneamente anche i legami relazionali con gli stakeholders del network estero.

Trattando, infine, i fattori interni legati al management, l’esperienza dell’imprenditore o della figura aziendale che si occupa del processo di internazionalizzazione ricopre un ruolo strategicamente rilevante ed è fonte di vantaggio competitivo, essendo tacita ed inimitabile (Ruzzier, Antoncic, Hisrich, Konecnik, 2007). L’imprenditore, infatti, attraverso l’identificazione delle opportunità, la propensione all’espansione internazionale, la percezione del rischio, la capacità di instaurare relazioni con attori esteri o di rinvigorire quelle esistenti, ricopre il ruolo di decision maker nel trasformare qualsiasi segnale in stimolo ed avviare il processo di internazionalizzazione (Caroli & Lipparini, 2002).

1.3.2 Fattori esterni

I fattori esterni sono spinti principalmente dall’apertura dei mercati che permette all’impresa di assumere una dimensione internazionale e dalle peculiarità ambientali tangibili ed intangibili degli stessi.

Nell’excursus storico della globalizzazione, abbiamo menzionato il primo fattore esterno, cioè l’abbattimento delle barriere commerciali in seguito ad alcuni accordi tra Paesi, quali il GATT e la successiva nascita del WTO. Oltre alla riduzione dei dazi e delle tariffe doganali, fu rilevante anche la nascita di aree di libero scambio che ha favorito le

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transazioni e l’introduzione di una moneta unica che ha eliminato le problematiche inerenti ai tassi di conversione in gran parte dell’Europa.

Abbiamo anche fatto riferimento al progresso dei sistemi di trasporto e delle comunicazioni dovuto ad ingenti investimenti nel settore delle telecomunicazioni e ai maggiori incentivi fiscali e monetari che hanno spinto notevolmente le imprese ad uscire fuori dai propri confini, permettendo lo scambio di prodotti e servizi in tempi ridotti o addirittura in tempo reale. Il continuo e veloce scambio globale di informazioni, ha consentito alle imprese, anche quelle di dimensioni minori, di assimilare know-how e, dunque, intraprendere in maniera più efficiente il processo di internazionalizzazione.

I precedenti fattori esterni sono detti strutturali, in quanto consentono e facilitano le relazioni tra diversi stakeholders sul mercato globale.

Oltre questi, è importante menzionare anche l’aumento del grado di competitività globale.

Dato che i mercati locali sono sottoposti ad un’alta pressione competitiva o si trovano in una fase di declino, l’unica strada percorribile per sopravvivere è quella di espandersi in nuovi mercati dove l’impresa non opera ed è meno esposta al rischio, garantendosi anche l’accesso a risorse a basso costo ed a competenze tecnologiche senza eseguire investimenti esorbitanti (Baronchelli, 2008). Nell’accrescere il proprio commercio, esistono dei fattori indiretti che spingono verso l’internazionalizzazione delle imprese, quali il supporto di governi dei Paesi esteri che ne promuovono l’ingresso e l’ausilio di istituzioni pubbliche e organizzazioni private, ad esempio tramite l’organizzazione di fiere di settore.

A volte, le imprese intraprendono il processo di internazionalizzazione in maniera reattiva, cioè quando sono stimolate dalle azioni dei concorrenti diretti. È il caso in cui, ad esempio, un concorrente effettua un investimento diretto estero acquisendo il vantaggio del first mover e di conseguenza, le altre imprese, sentendosi minacciate, diventano followers cercando di recuperare il terreno presunto perso. Analogamente, può capitare che un concorrente estero si espanda in un mercato locale e l’impresa reagisce espandendosi a sua volta nel mercato del concorrente, dando il via alla strategia difensiva detta “Exchange of threats”. Infatti, così facendo, l’impresa minacciata limita

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l’espansione della concorrente, che dovrà necessariamente investire risorse per difendersi dal contrattacco.