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1. IL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE E LE SCELTE STRATEGICHE DELLE IMPRESE

1.1 La globalizzazione e l’apertura dei mercati

Nel corso degli anni, l’ambiente nel quale esercitano le imprese ha subito radicali cambiamenti, le barriere geopolitiche sono state abbattute permettendo la diffusione e l’apertura dei mercati. Tale fenomeno prende il nome di globalizzazione, un fenomeno penetrante che condiziona l’integrazione economica, sociale e culturale tra i Paesi, considerate le sue tre dimensioni. Spesso viene erroneamente associata al fenomeno dell’internazionalizzazione dei mercati, di cui invece ne è la causa (Valdani & Bertoli, 2006), proprio perché l’apertura dei mercati e l’incremento dell’integrazione ha permesso l’interscambio di beni e servizi. Tutti siamo consapevoli di abitare in un mondo globale, ma i confini e le conseguenze di questo fenomeno non sono così chiari e conformi (Grandinetti & Rullani, 1996).

Prima di trattare le fasi storiche del fenomeno della globalizzazione, introduciamo brevemente le sue tre dimensioni:

 globalizzazione economica;

 globalizzazione culturale;

 globalizzazione politica.

La globalizzazione economica implica la propensione dell’economia ad assumere caratteri sovranazionali, cioè una quota rilevante e sempre crescente di attività avviene tra soggetti in diversi Paesi anche grazie alla riduzione dei costi di transazione (Valdani

& Bertoli, 2006). La globalizzazione culturale indica, invece, la metamorfosi del mondo in un “villaggio globale” in cui il crollo delle dimensioni di spazio e tempo portano all’omologazione e contemporaneamente alla valorizzazione delle differenze interculturali. Infine, la globalizzazione politica denota l’esistenza di legami complessi fra le numerose istituzioni internazionali dei Paesi (Sergio, 2010).

L’economista americano Theodore Levitt è accreditato per aver coniato il termine globalizzazione in un suo articolo dal titolo “Globalization of Markets”, pubblicato sulla Harward Business Review nel maggio del 1983. Levitt scrive di mercati non più

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domestici ma globali e a portata di mano grazie alla spinta di una forza potente, la tecnologia. Lo sviluppo di una comunicazione globale, infatti, ha connesso anche i luoghi emarginati ed ha creato un’omogeneizzazione dei bisogni dei popoli e di conseguenza la convergenza della domanda e la nascita di prodotti standardizzati. Dunque, grazie a questo cambiamento epocale, non esistono più preferenze nazionali o regionali, bensì nasce la società globale (Levitt, 1983).

Nonostante l’economista abbia reso popolare il termine, rendendolo di pubblico dominio durante la prima metà degli anni Ottanta, in realtà si parlava di questo fenomeno già alla fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo, più precisamente tra il 1870 ed il 1913, definita la prima fase della globalizzazione (Targhetti & Fracasso, 2008). Durante la rivoluzione industriale per la prima volta il commercio si diffuse, abbattendo le barriere geopolitiche. Gli sviluppi tecnologici, infatti, agevolarono il trasferimento di persone, beni e dunque flussi di capitale. Il grado di apertura internazionale, calcolato come il rapporto tra la media del valore delle esportazioni o importazioni e il prodotto interno lordo, raggiunse il picco del 45% proprio nel 1914.

Il Regno Unito fu uno dei Paesi protagonisti di quella che fu definita età dell’oro del commercio internazionale, con gli Stati Uniti, il Canada ed il Giappone. Il britannico John Maynard Keynes, considerato uno degli economisti più influenti del XX secolo, in un suo libro fa un chiaro riferimento al fenomeno della globalizzazione, testimoniando come questo sia nato precedentemente alla Prima Guerra Mondiale. Un londinese poteva ordinare prodotti da tutto il mondo servendosi esclusivamente del telefono, poteva utilizzare mezzi di trasporto verso qualsiasi Paese ma soprattutto considerava questo fenomeno come normale, stabile ed immutabile (Keynes, 1919).

Una prima battuta di arresto all’apertura dei mercati si verificò durante la fase conosciuta come Grande Depressione o Grande Crisi, che ebbe inizio con il crollo della Borsa di Wall Strett nel 1929. Gli Stati Uniti, infatti, nel 1930 introdussero il Tariff Act, noto anche come Smoot-Hawley Tariff, una legge che implementava politiche commerciali protezionistiche aumentando i dazi e le barriere doganali fino al 60% e dunque chiudendosi nei propri confini.

Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel periodo compreso tra il 1945 ed il 1980, gli Stati Uniti acquisirono un ruolo da protagonisti dando il via alla seconda fase della

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globalizzazione, o seconda età dell’oro del commercio internazionale, abbattendo gli ostacoli agli scambi precedentemente introdotti (Targhetti & Fracasso, 2008). Nel 1947 a Ginevra venne infatti stipulato da 23 Paesi il General Agreement on Tariffs and Trade, AGCT o GATT, cioè l’Accordo Generale sui Dazi e sul Commercio con l’obiettivo di abbattere le tariffe doganali. Successivamente, fra il 1963 ed il 1967, invece, furono ridotte le preesistenti barriere tariffarie tramite il Kennedy Round. Tali accordi, in concomitanza con il progresso dei mezzi di trasporto ed il conseguente abbattimento dei costi, accelerò nuovamente il commercio mondiale.

Infine, l’ultima fase della globalizzazione comincia alla fine dello scorso secolo, più precisamente dagli anni Ottanta, fino ai giorni nostri. Le imprese aumentano gli investimenti produttivi fuori dai confini domestici, delocalizzando la produzione in Paesi in cui l’offerta di lavoro ha un costo più basso. Con l’Uruguay Round Agreements Act, URAA, nel 1994 si stipula un nuovo accordo che prevede la nascita del World Trade Organisation, WTO, un organismo autonomo per gestire i dissensi relativi al commercio internazionale.

Il fenomeno della globalizzazione e la conseguente apertura dei mercati hanno trasformato totalmente le nostre abitudini. L’abbattimento delle barriere all’ingresso dei mercati nazionali o interni ha aumentato considerevolmente la concorrenza, spingendo le imprese ad intraprendere il processo di internazionalizzazione per proteggersi e sopperire dai beni e servizi dei Paesi stranieri, soprattutto di quelli cosiddetti emergenti. Negli ultimi anni, la Cina ha manifestato il più alto tasso di crescita e sviluppo economico che le ha garantito il secondo posto fra le economie mondiali, un ruolo dunque predominante nello scenario internazionale. La quota cinese del Pil globale, infatti, è passata dal 3,6% nel 2000 al 17,8% nel 2019. Secondo le previsioni redatte nel 2020 dal Centre for Economics and Business Research, CEBR, la Cina diventerà la prima forza economica mondiale a discapito degli Stati Uniti nel 2028, con cinque anni di anticipo rispetto alle previsioni del 2019. Si prevede, infatti, che nel 2021 il Pil mondiale subirà una contrazione del 4,4%

dovuta soprattutto allo scenario pandemico da Covid-19, viceversa la Cina sarà l’unico Paese in cui il Pil crescerà del 2%.

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