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I registri fra sperimentazioni documentarie,

Capitolo I. Documentare per governare

3. I registri fra sperimentazioni documentarie,

I dati sin qui esposti lasciano intendere come, a parti- re dai primi decenni del Duecento, l’episcopio avesse a- dottato una precisa politica documentaria, tendente alla regolare scrittura su fascicoli membranacei della docu- mentazione, il cui autore e garante della validità giuridica è il vescovo, come si evidenzia, soprattutto in riferimento al registro numero uno, dall’avvicendarsi di più mani e dalla pressoché totale assenza di intestazioni o altri ‘se- gni’ notarili, quasi a voler indicare la subordinazione del notaio al prestigio e al potere vescovile, come se la me- diazione notarile fosse ritenuta superflua84. In altre paro- le, la validità degli atti contenutivi parrebbe dipendere non dalla publica fides del notaio bensì dalla riconosciuta autorità dell’autore, il vescovo.

Tutto sembra far ritenere che mediante il coinvolgi- mento del notariato pubblico e della cultura notarile, i ve- scovi mantovani abbiano adottato la tenuta dei registri al fine di rispondere a nuove e più sentite esigenze ammini- strative. Non crediamo infatti possa essere posto in dub- bio il fatto che la compilazione e la tenuta dei registri sia nel contempo espressione e risposta a rinnovate istanze di una più attenta ed efficiente amministrazione della dioce- si da parte degli ordinari.

I registri dei vescovi di Mantova, diversamente da quanto avviene per altri episcopi, non sono libri iurium, non sono il prodotto della ‘memoria storica’ del vescova- do, non sono raccolte di copie di documenti antichi o di atti in pubblica forma estratti dai cartulari notarili: sono registri di imbreviature realizzate da mani che sappiamo con certezza appartenere in gran parte a notai, registri che ai nostri occhi rappresentano l’opera di scritturazione de-

rivante dall’attività corrente dei vescovi e dei loro più stretti collaboratori.

Appare essere significativo il fatto che l’adozione della forma registro si situi in una congiuntura del tutto particolare per la Chiesa mantovana. Come si evidenzierà in un prossimo capitolo, a partire dal regimen di Pellizza- rio, e in maniera ancora più manifesta con Guidotto, gli interventi diretti alla difesa della libertas Ecclesiae ap- paiono divenire sempre più numerosi, e ciò dopo un peri- odo caratterizzato, per quanto ci è dato sapere, dalla forte dispersione del patrimonio e da interventi pubblici lesivi delle prerogative ecclesiastiche. Non migliore doveva es- sere la situazione per quanto attiene allo ‘spirituale’: le carenze nell’esercizio della cura d’anime e la rilassatezza dei costumi di una parte del clero, richiesero più di un in- tervento correttivo dell’ordinario diocesano.

I registri sembrano rappresentare il concreto materia- lizzarsi dell’opera dei vescovi e nel contempo ne sono strumenti di governo. Il ‘buon governo’, insomma, ver- rebbe a riflettersi anche in una efficiente pratica docu- mentaria.

Ne deriva che la presenza dei notai e soprattutto di quelli per i quali – lo vedremo – si possono intravedere rapporti di tipo ‘funzionariale’, è tutt’altro che il segno della mancanza di una effettiva attività di governo della diocesi da parte dei vescovi, come è stato invece autore- volmente asserito85. In un contesto culturale cittadino quale è quello dell’Italia dei comuni, difficilmente non ci si poteva non rivolgere ai notai, ovvero ai professionisti della scrittura, gli unici in possesso delle competenze tecniche rispondenti ai «bisogni ideologici, oltreché fun- zionali, dei poteri cittadini» 86, vescovi compresi.

Si deve osservare inoltre che la scelta adottata dal vescovado mantovano si situa in un periodo di sperimen- tazione documentaria che sembrerebbe coinvolgere il

85 Brentano, Due Chiese cit., pp. 307-325. 86 Fissore, Vescovi e notai cit., p. 886.

comune cittadino oltre ai vertici della Chiesa locale. An- che il comune cittadino inizia a redigere i suoi primi regi- stri87.

In stretta analogia dunque con quanto avvenne pres- so il comune88, in quegli anni – come avremo occasione di ribadire ulteriormente – si registra il «progressivo af- fermarsi degli scritti in forma di quaderno e di libro»89 anche nell’episcopio. Nei primi decenni del secolo XIII si osserva infatti una vera e propria svolta: come si è già detto, alla consueta redazione di instrumenta su perga- mene singole si affianca la realizzazione di libri e qua- terni – tale è la terminologia impiegata per indicarli dagli stessi notai che li hanno redatti – nei quali trovarono po- sto gli atti inerenti alla amministrazione corrente del ve- scovo tanto del temporale quanto dello spirituale. Nello stesso torno di tempo – lo si espliciterà meglio in un prossimo paragrafo –, la produzione documentaria ve- scovile coinvolge un certo numero di liberi professionisti, attivi per più clienti e molto vicini all’ambiente del co- mune cittadino. Anzi, spesso sono i medesimi notai a rogare contemporaneamente per vescovo e comune90. Come non supporre allora l’esistenza di reciproche in- fluenze e come non sospettare che alle necessità della Chiesa rispondessero quelle nuove forme di documenta- zione che il notariato andava adottando? È infatti sinto- matico che negli stessi anni le maggiori istituzioni citta- dine, laiche ed ecclesiastiche, siano interessate da un ana- logo processo di innovazione nella produzione e nella conservazione della documentazione: il «progressivo af- fermarsi degli scritti in forma di quaderno e di libro»91. Verrebbe da asserire che tale sperimentazione entrò tanto nel palazzo vescovile quanto in quello comunale proprio per il tramite di quei professionisti, non senza, si deve in-

87 Gardoni, “Per notarios suos” cit., pp. 157-158.

88 Polonio, Identità ecclesiastica, identità comunale cit., p. 469. 89 Cammarosano, Italia medievale cit., p. 139.

90 Cfr. Fissore, Vescovi e notai cit., pp. 871-873. 91 Cammarosano, Italia medievale cit., p. 139.

tendere, il fattivo appoggio delle persone preposte al go- verno di quelle istituzioni. I notai in tale prospettiva di- verrebbero i ‘veicoli’ di un modello documentario.

Occorre in proposito tenere in debito conto la pro- fonda osmosi fra ambiente cittadino, Chiesa e istituzioni politiche dell’epoca. Sono ben due i vescovi di inizio Duecento che reggono il comune cittadino come vescovi- podestà: Enrico e Guidotto92. In alcuni momenti, dunque, alla guida del comune cittadino e della Chiesa troviamo una stessa persona, il vescovo-podestà che in entrambi i casi parrebbe non essere figura del tutto estranea né agli ambienti della curia romana né a quelli dell’impero. La società cittadina è ben rappresentata all’interno delle maggiori istituzioni ecclesiastiche. Dalle più ragguarde- voli famiglie provenivano i canonici della cattedrale, uno dei quali – Pellizzario – divenne vescovo.

Orbene, negli anni in cui la diocesi mantovana è retta dai presuli appena citati, ad una fase di occasionale reda- zione e conservazione di documenti su registro ne suben- tra una ordinaria e continua: circostanza questa da non ri- tenere casuale, da interpretare anche alla luce dei pro- grammi pastorali e politici di quei presuli, in gran parte ancora da vagliare, e da collocare nel più ampio contesto culturale cittadino e di quello notarile in particolare.

Ma nella ricerca di ulteriori possibili influenze, sarà bene tenere in debita considerazione l’azione della curia pontificia. Non vanno dimenticati infatti i programmi di pontefici quali Innocenzo III e Gregorio IX e le disposi- zioni della legislazione ecclesiastica cui si è fatto cenno sopra.

Da quanto siamo andati sin qui esponendo si evince con immediatezza un dato: i registri di cui ci stiamo oc- cupando si riferiscono ad un periodo di tempo che va dal secondo decennio del Duecento sino alla fine degli anni sessanta dello stesso secolo, anni in cui vengono meno,

92 Si veda Gardoni, Vescovi-podestà cit., pp. 57- 61 e pp. 113-

per ricomparire con gli inizi del successivo. Non sarà quindi a questo punto del tutto privo d’interesse dedicare qualche nota ai vescovi che ressero la diocesi mantovana in quel torno di tempo per fornire alcuni riferimenti indi- spensabili al fine di inquadrare le possibili relazioni fra produzione e conservazione della documentazione ve- scovile su registro e vicende storiche della Chiesa manto- vana, ed in particolare con gli episcopati di Enrico e di Pellizzario.

Occorre sottolineare come sia proprio a partire dal regimen di Pellizzario che la produzione e la conserva- zione della documentazione su registro abbandoni i ca- ratteri di sporadicità che sino ad allora sembra averla contraddistinta per assumere una certa stabilità e conti- nuità. Sono 150 circa gli atti riferibili al suo episcopato conservati nel secondo registro che tutto farebbe presu- mere essere stato iniziato proprio durante il suo episcopa- to. Solo in un secondo tempo vi sarebbero stati aggiunti i piccoli fascicoli con le poche decine di atti relativi all’episcopato di Enrico. La redazione del registro venne portata avanti dal successore di Pellizzario, Guidotto da Correggio, nominato vescovo di Mantova nella primave- ra del 1231.

Dell’energica attività di pastore del da Correggio ci restano oltre seicento atti che occupano la parte prepon- derante del registro numero due. Si tratta di una docu- mentazione che si distingue da quella pervenutaci per gli episcopati antecedenti non solo dal punto di vista quanti- tativo e soprattutto qualitativo, come annoteremo oltre. L’ordinata serie di imbreviature che lo riguarda, che permette di seguirne l’operato nel governo della ‘sua’ Chiesa quasi senza soluzione di continuità, si interrompe bruscamente con il principio del 1233, anno nel quale il vescovo Guidotto assume la carica di podestà. È una la- cuna non spiegabile con certezza, non almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, che precede di poco la

morte del presule che sarà assassinato – come è noto – nel maggio del 1235.

Alla morte violenta di questo presule segue un peri- odo di sedevacanza. Si deve infatti attendere il 1237 per- ché il papato destini alla diocesi mantovana Iacopo da Castell’Arquato (1237-1252). Con l’arrivo del nuovo ve- scovo – si badi – riprende la redazione dei registri: di questo periodo ne sono giunti sino a noi due, i numeri 3 e 9; la natura degli atti contenutivi non pare differenziarsi molto da quella del predecessore.

Un solo registro, e di modesta consistenza, ricopre invece gli anni in cui la Chiesa di Mantova è affidata a Martino da Parma, divenutone vescovo nel 1252 subito dopo la nomina a cardinale di Iacopo. Martino è noto più che per la sua opera di pastore – non ancora studiata e che sarà quindi bene vagliare in futuro –, per essere ri- cordato da Salimbene da Parma, il quale ne esalta la cor- tesia e la cultura: «fuit curialis homo, umilis et benignus et liberalis et largus»93. Virtù queste che potrebbero non aver mancato d’esercitare una qualche influenza fors’anche sui modi di produzione documentaria così come sembrerebbe lasciar intendere il tentativo di dare vita o vigore ad un modesto ufficio di cancelleria della curia mantovana – ne tratteremo oltre.

Alla morte del vescovo Martino, avvenuta nel 1268, la Chiesa mantovana si avvia a vivere un nuovo e, questa volta, piuttosto lungo periodo di sedevacanza. Non è cer- to questa la sede per ripercorrere le vicende della Chiesa mantovana negli ultimi decenni del secolo; non ci si può tuttavia esimere dal fare almeno un cenno alla osteggiata designazione a vescovo del canonico mantovano Filippo Casaloldi, la cui ratifica papale giunse solo al principio del Trecento, in concomitanza con la sua morte. Venne allora traslato alla cattedra episcopale mantovana il ve-

93 Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966,

scovo di Trento Filippo Bonacolsi, ma anch’egli morì senza prenderne possesso94. Sarà solo nel 1304 che il fra- te domenicano Iacopo Benfatti otterrà il governo della diocesi mantovana che guiderà sino al 133295. Va dunque rimarcato come la mancanza sulla cattedra vescovile del presule coincida significativamente con il venir meno della redazione, tenuta e conservazione di documentazio- ne su registro e come questa pratica riprenda solo allor- quando si giunge all’effettivo insediamento di un nuovo pastore, all’effettivo governo della diocesi tam in tempo- ralibus quam in spiritualibus.

Insomma, tutto sembrerebbe condurci a considerare i vescovi succedutesi sulla cattedra mantovana nel corso del Duecento gli unici attori della documentazione su re- gistro di cui ci stiamo occupando. Essi ne favorirono la redazione sino a farne una pratica che possiamo supporre essere stata consuetudinaria nell’ambito dell’amministrazione – termine che utilizziamo qui nella sua accezione più ampia – della Chiesa mantovana del tredicesimo secolo. Pratica collegabile all’autorità dei ve- scovi e all’esercizio effettivo del loro regimen: quando il vescovo viene a mancare, cessa la tenuta dei registri; quando si insedia un nuovo pastore, ne riprende la cor- rente redazione. Tali nessi fra vescovi e registri, fra reale azione di governo dei presuli e tenuta dei registri, non possono non concorrere ulteriormente non solo ad anno- verare i registri mantovani fra quelli propriamente vesco- vili, ma anche a ritenerli espressione di una pratica do-

94 Brunelli, Diocesi di Mantova cit., p. 50-51; Varanini, Episco-

pato, società e ordini mendicanti cit., p. 113.

95 A. Sordi, Memoria storico-critica sul beato Jacopo de’ Ben-

fatti vescovo di Mantova corredata di autentici inediti documenti e- stratti dall’archivio capitolare della cattedrale, Mantova 1847; Sa- voia, Memoria sui documenti autentici; D’Arco, Studi intorno al mu- nicipio di Mantova, pp. 47-51; C. Gennaro, Benfatti, Giacomo, in DBI, VIII, Roma 1966, pp. 492-493; Brunelli, Diocesi di Mantova cit., p. 51; Varanini, Episcopato, società e ordini mendicanti cit., p. 119.

cumentaria che è nel contempo risposta ed espressione – lo ribadiremo ulteriormente – delle esigenze vescovili connesse al governo della Chiesa locale.

L’imponente mole documentaria che i registri ci re- stituiscono, se adeguatamente vagliata, potrebbe permet- tere di entrare nel dettaglio dell’attività non solo ammini- strativa e gestionale in spiritualibus ma anche in tempo- ralibus dei vescovi che si succedettero a Mantova nel tredicesimo secolo, consentendo di percorrere molteplici itinerari di ricerca.

Preme sottolineare come la fonte di cui ci stiamo oc- cupando costituisca uno specchio della quotidiana attività espletata dai vescovi. Uno specchio invero ‘deforma- to’:esso non sempre infatti è in grado di restituire una immagine nitida. Se infatti per alcuni periodi, e per de- terminati episcopati, la documentazione si sussegue con regolarità, di giorno in giorno, senza apparente soluzione di continuità, per altri si evidenziano ampi ‘vuoti’ che in- terrompono quell’ordinato e quotidiano succedersi di e- venti cui s’é fatto appena riferimento. L’affermazione che i registri vescovili mantovani consentono di seguire la quotidiana attività dei presuli, va dunque relativizzata. Ma anche quelle lacune non sono meno eloquenti. Esse si prestano a diverse interpretazioni: potrebbero essere rife- rite ad eventuali assenze del presule dalla diocesi, o al venir meno del governo diocesano per qualsiasi altra ra- gione, ma potrebbero essere dovute, più semplicemente, anche ai fortuiti meccanismi di conservazione e trasmis- sione della documentazione. É difficile stabilire a priori quale motivazione addurre per spiegare il venir meno del- la documentazione vescovile: le ragioni vanno cercate di volta in volta, e non sempre possono essere individuate con certezza. Certo è che non pare legittimo postulare il venir meno, anche temporaneo, della pratica di redigere la documentazione vescovile in registro.