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Capitolo III. Il governo delle istituzioni ecclesiastiche

1.1. Il capitolo

Si è già avuto modo d’accennare all’impossibilità di poter giungere alla conoscenza delle modalità seguite nella elezione dei presuli mantovani, ovvero di individua- re a chi lo ius eligendi spettasse, anche se vari indizi in- ducono a ritenere che quella fosse una prerogativa del capitolo della cattedrale1, che dopo il vescovo rappresen- tava la più importante istituzione ecclesiastica della città2. Nella cattedrale si riconosceva l’intera collettività cittadi- na. In essa, in quanto ecclesia matrix, si trovava il fonte battesimale. E alla città i canonici erano legati per le loro stesse origini: nel periodo da noi considerato i membri del capitolo erano espressione della realtà sociale locale e appartenevano ai ceti dirigenti. Sono questi gli elementi che hanno permesso a vari autori d’interpretare il capitolo cattedrale quale luogo di unità con la città3.

1 Per quanto attiene alla cattedrale di Mantova si deve fare rife-

rimento essenzialmente a A. Montecchio, Cenni storici sulla canonica cattedrale di Mantova nei secoli XI e XII, in La vita comune del clero nei secoli XI e XII, Milano, 1962, II, pp. 162-180.

2 Basti rinviare a C.D. Fonseca, «Ecclesia matrix» e «Conventus

civium»: l’ideologia della cattedrale nell’età comunale, in La pace di Costanza (1183). Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana ed impero, Bologna, 1984, pp. 135-149; Chiesa e città, a cura C.D. Fonseca e C. Violante, Galatina, 1990.

3 Per qualche esempio si vedano R. Brentano, A New World in a

Small Place. Church and Religion in the Diocese of Rieti (1188- 1378), Berkeley-Los Angeles-London, 1994, pp. 184-323; V. Polonio, J. Costa Restagno, Chiesa e città nel basso medioevo: vescovi e capi- toli cattedrali in Liguria, «Atti della Società ligure di storia patria», n.s. 29 (1989), pp. 87-210, p. 90.

Il clero deputato alla officiatura della cattedrale sin dall’antichità aveva il compito d’assistere i pastori delle Chiese nel servizio divino e nel governo ecclesiastico, una collaborazione che non fu esente da tensioni e frattu- re4. Data l’importanza, proprio da essa converrà comin- ciare questa nostra analisi del governo dei vescovi delle istituzioni religiose locali. Esula però dalle nostre finalità principali addentrarsi compiutamente nello studio del ruolo svolto dalla cattedrale e dall’insieme dei suoi cano- nici in rapporto alla città e alla amministrazione della di- ocesi. Si tratta di uno studio che per Mantova attende an- cora d’essere intrapreso e ciò nonostante «per seguire il rapporto tra il mondo dei chierici e quello dei laici, per intendere il peso che la Chiesa esercita entro le mura di una città, il capitolo è forse il primo luogo cui ci dobbia- mo indirizzare: ancor prima, forse, che verso la curia epi- scopale; prima certamente che alle parrocchie»5.

La prima considerazione da fare attiene alla ricca se- rie di attestazioni che vedono sin dall’episcopato di Enri- co i canonici della cattedrale affiancare il vescovo nell’esercizio del governo della sua Chiesa. Lo dimostra in particolare la presenza fra i collaboratori di Enrico dell’arciprete, e futuro vescovo, Pellizzario, e del canoni- co Tommaso da Desenzano.

Solo con la fine dell’episcopato di Enrico il capitolo giunse a porre sulla cattedra episcopale mantovana un suo membro: Pellizzario, per l’appunto. Ponendosi su una linea di continuità con il predecessore, il nuovo pastore

4 Sul tema si veda M. Ronzani, Vescovi, capitoli e strategie fa-

miliari nell’Italia comunale, in La Chiesa e il potere politico dal me- dioevo all’età contemporanea, a cura di G. Chittolini, G. Miccoli, To- rino, 1986, pp. 103-146; C.D. Fonseca, Vescovi, capitoli cattedrali e canoniche regolari (sec. XIV-XVI), in Vescovi e diocesi cit., pp. 83- 138; M. Berengo, L’Europa delle città. Il volto della società urbana europea tra medioevo ed età moderna, Torino, 1999, pp. 700-745; E. Curzel, I canonici e il capitolo della cattedrale di Trento dal XII al XV secolo, Bologna, 2001; Canonici delle cattedrali nel medioevo, Vero- na, 2003 (= «Quaderni di storia religiosa», X).

continuerà a fare affidamento sui membri del capitolo: il preposito Giovanni ne diverrà vicario in spiritualibus; il già citato canonico Tommaso continuerà a collaborare con il vescovo. Ebbene fu proprio Pellizzario, che ben conosceva le dinamiche interne al collegio canonicale del quale aveva fatto parte, ad intervenire con fermezza in uno dei settori più delicati della vita del capitolo: l’assegnazione e l’amministrazione delle prebende. Ne abbiamo notizia indiretta nell’atto con il quale il vescovo Guidotto da Correggio nel 1232 revocherà la scomunica inflitta per l’appunto da Pellizzario al collegio capitolare, cui era stato vietato di procedere alla nomina di nuovi ca- nonici6. Le ragioni che indussero il presule ad intervenire nei riguardi dei canonici comminando loro quella grave sanzione ecclesiastica non sono del tutto chiare. Dal do- cumento pervenuto a noi si può desumere che il vescovo intendesse contrastare il frazionarsi e il moltiplicarsi dei benefici. Quel dato sembra comunque indicare l’esistenza di elementi di attrito fra le due maggiori istituzioni reli- giose della città. Una fase di tensione che si prolungò per qualche anno, e che poté essere sanata solo dopo la scomparsa di Pellizzario.

Anche al fianco del da Correggio è dato riscontrare la costante presenza di esponenti del clero cattedrale. Ta- le presenza assume per noi un rilievo del tutto particolare. Essa mostra come l’azione pastorale del presule non in- contrasse particolari impedimenti, almeno non all’interno del capitolo della cattedrale di San Pietro. Il preposito della cattedrale Giovanni da Gonzaga compare in molti atti vescovili così come i maggiori esponenti del collegio canonicale7. Il canonico Filippo è scelto da Guidotto co- me suo vicario in temporalibus8, mentre i canonici Tom- maso da Desenzano e prete Iacopo lo sono in spirituali-

6 ASDMn, MV, Registro 2, c. 77r, 1232 aprile 11.

7 Fra le molte referenze documentarie che si potrebbero addurre

basti qui citare ASDMn, MV, Registro 2, c. 84r, <1232> maggio 13.

bus9. Troviamo con una certa frequenza il capitolo dei canonici riunito per assumere con il vescovo decisioni non secondarie relative alla gestione delle prerogative si- gnorili10 o di natura più strettamente religiosa, come quando, per fare solo qualche esempio, si trattò d’intervenire nell’elezione dell’abate di San Ruffino11, o quando a questo stesso ente venne concessa la chiesa del- la Santa Trinità di Ceresara12. Guidotto non mancò di in- tervenire in un importante aspetto della vita interna del capitolo di San Pietro, giungendo a sanare – lo si è detto sopra – una precedente situazione di rottura creatasi all’epoca del vescovo Pellizzario. In quella circostanza i canonici assegnarono al da Correggio la facoltà di conce- dere, a chiunque egli avesse voluto, la prima prebenda che si fosse resa vacante13.

I canonici continueranno a circondare anche il ve- scovo Iacopo. Di essi merita in particolare d’essere ricor- dato il preposito Giovanni Gonzaga – un elemento di continuità fra i vari episcopati come si sarà osservato – che segue il vescovo anche nei suoi spostamenti all’interno della diocesi. Iacopo si avvale nuovamente del canonico Tommaso, che funge in qualche occasione da suo delegato. E membro del capitolo è Guido de Zena, uomo di fiducia del presule, destinato a seguirlo a Roma e a divenire membro della sua familia cardinalizia. Dei profondi legami instauratisi fra questi prelati è eloquente testimonianza il fatto che il vescovo abbia voluto proprio Guido quale suo esecutore testamentario.

Decisamente meno intensa pare essere stata la colla- borazione dei canonici della cattedrale con il vescovo Martino, ché nessuno di essi emerge in maniera particola-

9 ASDMn, MV, Registro 2, 57r, 1231 dicembre 13.

10 ASDMn, MV, Registro 2, 83v, <1232 maggio 12>: il vescovo

Guidotto ed il preposito della cattedrale Giovanni Gonzaga nominano Vivaldo Poltroni podestà del comune di Volta.

11 ASDMn, MV, Registro 2, cc. 88r e v, <1232> giugno 5. 12 ASDMn, MV, Registro 2, c. 29v, <1231> agosto 30. 13 ASDMn, MV, Registro 2, c. 77r, <1232> aprile 11.

re fra i membri del suo entourage. Potrebbe essere questa una prima spia del venir meno di quella salda collabora- zione che parrebbe aver caratterizzato gli episcopati pre- cedenti. E ciò potrebbe essere dipeso anche dal più pe- sante interventismo del vescovo nella vita del capitolo, interventi destinati ad incidere in profondità nella vita e nella organizzazione del collegio capitolare, senza peral- tro sfociare in veri e propri scontri fra le due istituzioni di vertice della Chiesa locale14.

Nel 1259, nel palazzo vecchio del vescovo, alla pre- senza del presule Martino si riunisce il capitolo dei cano- nici «ad recipiendum sortes de prebendis». Della sparti- zione in prebende del patrimonio capitolare erano stati incaricati l’arciprete Pietro, il magister Tommaso e il ca- nonico Pietro da Saviola. Seguendo una ripartizione per capita – ad ogni caput corrispondono due prebende, o- gnuna delle quali con un proprio casamentum che doveva fungere da centro di raccolta dei redditi – essi giunsero alla determinazione di sedici prebende indicate con il nome della località nella quale era ubicata la parte più consistente dei relativi beni. Di queste, quindici vennero assegnate ai canonici, singolarmente nominati, che in quel momento risultavano sedere nel coro della cattedra- le15; una fu riservata ai sacristi, ai mansionari e alle ‘di- gnità’, ossia al clero minore della cattedrale. Una parte del patrimonio rimase in comune, e i suoi proventi furono destinati alle distributiones, alle elemosine «et aliis nego- tiis faciendis». Il vescovo Martino sovrintende alla ripar- tizione delle prebende e le approva facendo promettere ai

14 In uno duro scontro sfociò, ad esempio, il tentativo di riforma

assunto a Firenze dal vescovo Ardingo nel 1231: A. Benvenuti, Un vescovo, una città. Ardingo nella Firenze del primo Duecento, in Ead., Pastori di popolo. Storie e leggende di vescovi e di città nell’Italia medievale, Firenze, 1988, pp. 21-124, p. 34.

15 Normalmente il numero dei prebendati nelle diocesi italiane si

canonici, sotto pena della scomunica, di non contravveni- re in alcun modo a quanto stabilito16.

Se la suddivisione del patrimonio capitolare in pre- bende individuali corrisponde ad un processo generale, cui si pervenne per sollecitazione degli stessi canonici che in quel modo potevano amministrare e riscuotere di- rettamente le loro rendite17, non si può non pensare che vi fossero sottese anche altre finalità. Nel caso mantovano si ha l’impressione che sia stato proprio il vescovo ad orien- tare il collegio canonicale verso l’assunzione di prebende individuali, scelta che implicava una ‘chiusura’ del capi- tolo: determinando il numero delle prebende si fissava in- fatti il numero degli stalli canonicali. E proprio questo potrebbe essere considerato lo scopo ultimo dell’intervento vescovile, motivato dalla necessità di por- re termine a quello che forse costituiva uno dei più ricor- renti motivi d’attrito all’interno del capitolo e fra il capi- tolo stesso e l’episcopio18: l’irregolare aumento del nu- mero dei canonicati, cui conseguiva una riduzione dei singoli benefici. Come si ricorderà, infatti, già il vescovo Pellizzario era intervenuto vietando la nomina di nuovi canonici. Del resto lo stesso Martino provvide a stabilire in cinque il numero dei canonici della pieve di Castelluc- chio e a regolamentare il passaggio fra i vari gradi eccle- siastici19, motivando l’intervento con la necessità di non gravare la pieve di una inutile moltitudine di chierici.

Pur in assenza di una documentazione specifica che consenta di conoscere le modalità d’accoglimento di nuovi canonici nel capitolo cattedrale, tenuto conto degli

16 L’archivio capitolare, n. CLIII, 1259 novembre 26. 17 Curzel, I canonici e il Capitolo cit., pp. 302-302.

18 Con ciò non si vuol imputare al capitolo cattedrale mantovano

quello stato di diffusa litigiosità interna che sembra essere uno dei te- mi ricorrenti della storiografia: Curzel, Appunti sui capitoli cit., p. 44.

19 L’archivio capitolare, n. CXLVIII, 1258 gennaio 17: nella

pieve di Castellucchio il vescovo prescrive la presenza di un presbite- ro oltre all’arciprete, un diacono, un suddiacono e un quinto chierico insignito degli ordini minori.

indizi disponibili – oltre alla decisione assunta dal da Correggio quella presa dal suo successore appena ricor- data – si potrebbe imputare ai vescovi un ruolo attivo nel reclutamento del clero cattedrale se non attribuire ad essi il diritto di nomina. Ciò spiegherebbe l’attenzione speci- fica da essi riservata alla organizzazione interna del capi- tolo. Una attenzione che trova conferma proprio con il vescovo Martino, cui non possiamo non riconoscere uno specifico stile di governo improntato al controllo disci- plinare e organizzativo delle istituzioni ecclesiastiche, ed in particolare della ecclesia matrix, come emerge in tutta evidenza anche dalla promulgazione da parte sua della normativa statutaria del 1263, nota come Constitutiones antiquae Aecclesie Mantuanae20.

Il testo21 si apre con la definizione e la regolamenta- zione dell’attività del massaro nell’amministrazione dei beni rimasti in comune fra i canonici e con l’indicazione della destinazione delle relative rendite. Vengono poi stabilite le distribuzioni giornaliere di cui potranno bene- ficiare i canonici residenti che quotidianamente parteci- peranno cum cota vel capa alle celebrazioni delle varie ore canoniche; nella determinazione della distribuzione si dovrà tener conto del momento in cui il canonico siederà sul suo stallo in rapporto allo svolgimento dell’ufficio. Altre distribuzioni sono fissate per le festività solenni – ricordiamo in particolare le numerose celebrazioni in cor- rispondenza della settimana santa ed in particolare la pro- cessione della domenica delle palme, la celebrazione del battesimo in corrispondenza del sabato santo e della festa di Pentecoste. La possibilità di aumentare o di diminuire le somme da corrispondere ai canonici viene assoggettata alla volontà del vescovo. Non perderanno il diritto a rice- vere le distribuzioni coloro che risulteranno essere im-

20 L’archivio capitolare, n. CLXI, 1263 ottobre 15.

21 Sullo statuto mantovano ha richiamato l’attenzione E. Petruc-

ci, Vescovi e cura d’anime nel Lazio, in Vescovi e diocesi cit., pp. 504-505.

possibilitati ad officiare in cattedrale perché «in servicio domini episcopi», o in affari attinenti alla utilità della chiesa, in special modo se ciò comporterà che essi escano dalla città. Lo stesso avverrà nel caso in cui l’arciprete, o qualche altro sacerdote, fosse impegnato nelle confessio- ni, chiamato al capezzale di qualche infermo, invitato a qualche ricorrenza per celebrare la messa e predicare, oppure «pro predicacione vel consilio anime». Ad ogni canonico viene riconosciuta la possibilità d’allontanarsi dalla città per provvedere alla amministrazione della sua prebenda per non più di quattro volte all’anno. Il compu- to delle presenze e delle assenze dovrà essere fatto al principio di ogni mese, quando si provvederà a corri- spondere quanto dovuto relativamente al mese preceden- te. Seguono poi disposizioni relative al clero minore, al sagrista e ai mansionari sulle quali non ci soffermiamo, così come non ci inoltreremo ulteriormente nella analisi dello statuto che interviene, tra l’altro, nel vietare l’allevamento dei porci all’interno della canonica, come – per fare un altro esempio – nel regolare la distribuzione delle elemosine. Sia qui sufficiente richiamare l’attenzione sulle norme dirette ad impedire l’accumulo delle prebende e quelle che disciplinano l’ingresso in ca- pitolo di nuovi canonici. Preme sottolineare al riguardo il fatto che al vescovo è riconosciuta la potestà di interveni- re sul testo dello statuto, che da lui potrà essere modifica- to corretto ed interpretato.

Orbene, lo statuto, precisando l’ammontare delle di- stribuzioni, interviene di fatto a definire le forme attra- verso le quali doveva esercitarsi la partecipazione del cle- ro cattedrale, maggiore e minore, agli uffici divini, al fine di garantire la regolare officiatura della ecclesia maior, punendo i negligenti. Infatti, delle distribuzioni potrà be- neficiare – come abbiamo visto – solo chi effettivamente siederà durante le singole celebrazioni nel suo stallo. Tra- spare da tale norma una specifica attenzione verso il pro-

blema della residenza dei canonici22, premessa indispen- sabile per poter assicurare un effettivo servizio liturgico. Sono invero ammesse delle deroghe, ma solo per giuste cause. Lo statuto descrive insomma l’intensa attività pa- storale cui sono tenuti i canonici della cattedrale. Fra i diversi compiti pastorali spicca in particolare la predica- zione da parte dell’arciprete e degli altri canonici pro- mossi all’ordine sacerdotale, un’attività che non doveva essere limitata alla sola cattedrale. È infatti verosimile pensare che essa potesse svolgersi anche nelle altre chie- se cittadine sottoposte alla giurisdizione della cattedrale ma anche presso le chiese del contado che di frequente sia l’arciprete che gli altri canonici raggiungevano al se- guito del vescovo23.

Da quanto detto sembra possibile stabilire l’esistenza di uno stretto nesso fra la divisione delle prebende e l’adozione dello statuto: si intravede cioè la volontà di incoraggiare e garantire una regolare attività liturgica presso la chiesa cattedrale non meno di una incisiva azio- ne pastorale dei canonici, una azione pastorale che dove- va avere la sua massima espressione nell’officium predi- cationis. E proprio questa parrebbe essere la ragione di fondo ad aver indotto il vescovo Martino a farsi promoto- re della stesura delle costituzioni capitolari, ché non ci si sottrae dall’impressione che tanto la divisione del patri- monio canonicale quanto l’assunzione di un testo statuta- rio siano state orientate proprio da lui. L’intervento del vescovo fu con ogni probabilità dettato dalla necessità di porre rimedio ad una situazione di disordine e di negli- genza, quantunque non si disponga in proposito di alcuna esplicita attestazione. In ogni caso la centralità del ruolo del vescovo risulta chiara.

22 Curzel, I canonici e il Capitolo cit., p. 256, e bibliografia ivi

citata.

23 Rimandiamo per ora ai profili dei memebri dell’entourage dei

presuli mantovani tracciati in Gardoni, ‘Episcopus et potestas’ cit., pp. 396-478.

All’ordinario diocesano saremmo quindi propensi a riconoscere una specifica attenzione per l’importanza e la valenza simbolica che la chiesa cattedrale mantovana, dedicata al principe degli apostoli, rivestiva per la città. Si pensi in particolare allo svolgersi delle processioni che scandivano l’anno liturgico – cui il clero cittadino era te- nuto, come vedremo, a partecipare –, al loro forte impatto sul tessuto urbano anche in termini di ‘immagine’. Erano quelli momenti cui non si può non riconoscere una intrin- seca valenza ideologica, nei quali si esprimeva e si salda- va il legame tra la città e la sua cattedrale.