4. Le ricadute del modello produttivo dell’industria delle carni sulla salute e sulla sicurezza
4.2. I rischi infortunistici e igienico ambientali
Benché i maggiori rischi professionali nel comparto delle carni si riscontrino nelle fasi
dell’allevamento e della macellazione, la maggior parte degli studi epidemiologici disponibili sul
tema afferiscono alla fase della lavorazione. Con riferimento al dato nazionale, rileva in particolare
una delle prime indagini condotte in materia, quella effettuata dalle USL di Modena e di Vignola
452.
Essa prende in considerazione il triennio 1985 - 1987 e coinvolge 142 aziende che occupano un totale
di 2688 lavoratori.
articolare. L’ambiente freddo-umido svolge una funzione additiva rispetto ai rischi dovuti alla movimentazione manuale e al carico di lavoro nel suo complesso. Sul tema si v. INAIL, Stress termico, 2018, in https://www.inail.it, consultato il 19 giugno 2019.
448 J.DILLARD, A slaughterhouse nightmare: psychological harm suffered by slaughterhouse employees and the possibility
of redress through legal reform, in Georgetown journal on poverty law & policy, forthcoming, 2007, p. 1 ss.; C.COHIDO, P.MORISSEAU,F.DERRIENNIC,M.GOLDBERG,E.IMBERNON. Psychosocial factors at work and perceived health among agricultural meat industry workers in France, in International Archives of Occupational and Environmental Health, 2009, 82(7), p. 807 ss.; A.DOROVSKIKH, Killing for a living: psychological and physiological effects of alienation of food production on slaughterhouse workers, Undergraduate Honors Theses, 2015, in https://scholar.colorado.edu/honr_theses/771, consultato il 19 giugno 2019.
449 NOSSENT,B. DE GROOT,R.VERSCHUREN, Working conditions in the European meat processing industry, op. cit., p. 58
ss.
450J.DEVEREUX,L.RYDSTEDT,V.KELLY,P.WESTON,P.BUCKLE, The role of work stress and psychological factors in the
development of musculoskeletal disorders: The stress and MSD study, 2004, Sudbury, HSE Books, p. 204 ss.;B.COSTA,
R.VIERIA, Risk factors for work-related musculoskeletal disorders: A systematic review of recent longitudinal studies, in American Journal of Industrial Medicine, 2010, 53(3), p. 285 ss.; D.FONTANA, Intensificazione e salute nell’industria modenese del suino. Un’inchiesta multistrumento sulle condizioni di lavoro, op. cit., p. 33 ss.
451O.CAMASTA, La salute e la sicurezza del lavoro nella frammentazione d’impresa. Codatorialità. Nuove responsabilità
per nuovi rischi, Roma, Collana Massimo D’Antona, 2016, p. 29 ss.
452 USLMODENA,USLVIGNOLA, Gli infortuni nella lavorazione carni. Epidemiologia, quadro normativo, aspetti di
prevenzione, 1990, in https://www.aslmn.net, consultato il 19 giugno 2019. L’indagine è stata condotta attraverso la somministrazione di schede compilative, sopralluoghi conoscitivi in azienda e documentazione fotografica relativa ai principali fattori di rischio del lavoro.
96
Un primo dato che emerge dallo studio in oggetto attiene all’elevata incidenza infortunistica del
comparto: 25 infortuni all’anno ogni 100 lavoratori (1 addetto su quattro), quasi il doppio rispetto a
quelli rilevati in due comparti essi stessi notoriamente a rischio quali l’edilizia e la ceramica
453. Un
secondo dato riguarda la tipologia di infortuni occorsi, la metà dei quali riconducibili all’uso del
coltello. Emerge, dunque, da tale studio che le ferite da taglio (in particolare alla mano,
all’avambraccio, al torace e all’addome) costituiscono il primo rischio da prevenire nel comparto.
Ad esse seguono di poco le ferite lacero contuse, le contusioni, le distorsioni, le lesioni da sforzo, le
fratture e infine, le infezioni
454.
Un altro dato rilevante attiene alla bassa incidenza infortunistica legata all’uso di macchine ed
impianti (3,2% del totale) cui corrisponde, però, una maggiore entità del danno. A tale considerazione
fanno eccezione gli impianti automatici di lavorazione e confezionamento del prodotto ove, a fronte
di un numero ridotto di lavoratori deputati al loro uso, si registra un elevato tasso di infortuni. Nella
maggior parte dei casi, essi sono riconducibili all’intervento sulla macchina inceppata, discrezionale
e quindi privo del supporto tecnico necessario, effettuato dall’operatore sotto la pressione
dell’eccessivo ritmo della lavorazione
455. Lo studio si sofferma altresì sulla movimentazione merci,
individuando nella lesione da sforzo (soprattutto nella regione lombare) il rischio infortunistico più
frequente.
I dati descritti sono ripresi, peraltro, da un più recente studio condotto dalla Regione Veneto
sempre sul tema dei rischi infortunistici nel settore della lavorazione della carne
456. Oltre agli aspetti
già menzionati, esso si sofferma sui rischi da microclima (umidità ambientale, alternanza tra alte e
basse temperature, ambienti refrigerati), da vibrazioni, da rumore e da fattori biologici da cui possono
derivare malattie all’apparato respiratorio, disturbi dell'udito e malattie infettive e cutanee. A questi
si aggiungono i disturbi a carico delle strutture ossee, articolari, tendinee, muscolari e vascolari degli
arti superiori causati dalla presenza, spesso contemporanea, di utensili vibranti, di condizioni
microclimatiche sfavorevoli (freddo, umidità) e di sforzi ripetuti
457.
Si nota come lo studio di Modena abbia trovato, anche a distanza di tempo, conferma nei dati
contenuti in quello svolto dalla Regione Veneto. Esso merita un’ulteriore considerazione in relazione
453 Dalla suddetta indagine emerge che in quegli anni nel settore dell’edilizia su 100 lavoratori si registravano 17 infortuni
all’anno mentre in quello della ceramica 12 infortuni.
454 La particolarità del ciclo produttivo, gli ambienti di lavoro, le macchine e gli impianti propri del settore della lavorazione
delle carni rendevano necessaria l’adozione di particolari mezzi di protezione. In quegli anni, che di poco precedono l’emanazione del d.lgs. n. 626 del 1994, il quadro normativo di riferimento in materia era rappresentato, per un verso, dall’art. 377, dpr. n. 547 del 1955, che imponeva al datore di lavoro di fornire ai lavoratori i mezzi di protezione personale appropriati ai rischi delle carie lavorazioni e, per l’altro, dall’art. 6, dpr. n. 547 del 1955, che imponeva ai lavoratori di usare tali mezzi continuativamente e con cura.
455 USLMODENA,USLVIGNOLA, Gli infortuni nella lavorazione carni. Epidemiologia, quadro normativo, aspetti di
prevenzione, op. cit., p. 52 ss.
456 REGIONE DEL VENETO, Salute e sicurezza nella lavorazione delle carni. Manuale per la prevenzione, 2016, in
https://www.aulss8.veneto.it, consultato il 19 luglio 2019. La trattazione si concentra sul settore delle seconde lavorazioni della carne, prevalentemente rappresentato da piccole aziende, talora a carattere di impresa familiare, ed esclude la fase di macellazione in quanto essa presenta caratteristiche e rischi molto differenti.
457 RASSEGNA SINDACALE CGIL, Lavorazione delle carni, un addetto su 4 si fa male, 15 marzo 2017, in
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al periodo storico in cui tale studio è stato concepito. Si osserva come l’indagine promuova un’azione
prevenzionistica improntata quasi esclusivamente a «migliorare le condizioni oggettive di
svolgimento dell’attività lavorativa, puntando essenzialmente su quella che si può chiamare la
tecnologia della prevenzione o meglio la prevenzione tecnologica»
458. L’impostazione, infatti, riflette
il quadro normativo vigente all’epoca, introdotto a metà degli anni ’50, caratterizzato da una precisa
aspirazione alla regolazione il più possibile completa degli strumenti di carattere-tecnico oggettivo
come i dispositivi di sicurezza e delle condizioni di idoneità dell’ambiente
459. In linea con tale
impostazione, si può affermare che l’indagine in parola è incentrata prevalentemente sull’analisi
epidemiologica dei cd. rischi tradizionali di natura infortunistica e di natura igienico ambientale
460.
D’altro canto, soltanto a partire dagli anni ’90 il focus delle tecniche di prevenzione si è spostato
dalla prevenzione oggettiva alla prevenzione soggettiva, «fondata sulla maggiore considerazione del
rapporto tra il lavoratore, l’ambiente di lavoro ed i fattori di rischio»
461. Da questo cambio di
prospettiva consegue una novellata attenzione per i cd. rischi trasversali dovuti all’organizzazione
del lavoro, da cui nasce la necessità di promuovere l’adozione di misure prevenzionali che
intervengano su fattori strettamente correlati alla dimensione organizzativa, quali l’ergonomia
posturale, i movimenti ripetitivi degli arti, i carichi, i ritmi, il controllo e l’autonomia del
lavoratore
462.
Tali trasformazioni si riverberano anche nel settore delle carni, ove una maggiore attenzione ai
fattori succitati si ritrova nel manuale di comparto elaborato dall’ente paritetico Emilia-Romagna
(EBER) sulle problematiche relative all’analisi del rischio derivante dalla lavorazione della carne
suina
463. Il manuale annovera una serie di azioni preventive in materia di sicurezza volte ad incidere
sul fattore organizzativo, a partire dalla riduzione del numero complessivo di azioni nel ciclo di
458 G. COSTAGLIOLA,A.CULOTTA,M.DI LECCE, Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro. Profili teorici e pratici del
sistema normativo vigente, Milano, Il sole 24 ore, 1998, p. 7 ss.
459 G.NATULLO, Sicurezza del lavoro, in Enciclopedia del diritto, Annali, IV, Milano, Giuffrè, 2011, p. 1075 ss.
460 Il quadro normativo in materia di salute e sicurezza può essere distinto in due fasi: la prima è contrassegnata dalle norme
emanate dagli anni ’50 fino agli anni ’80 con lo scopo di conciliare le esigenze di cambiamento delle realtà sociali ed industriali di quegli anni; la seconda è costituita dalle norme emanate dagli anni ’90 in relazione alle Direttive comunitarie e alla crescente consapevolezza dell’importanza del coinvolgimento dinamico dei lavoratori nella gestione della sicurezza aziendale. Nel passaggio da una fase ad un’altra, ai tradizionali rischi per la sicurezza (anche detti di natura infortunistica) dovuti alle strutture, alle macchine, agli impianti elettrici, alle sostanze pericolose, all’esplosioni e ai rischi per la salute (anche detti di natura igienico ambientale) dovuti agli agenti chimici, agli agenti fisici, agli agenti biologici, si sono affiancati i rischi per la sicurezza e la salute (anche detti di tipo trasversale) dovuti all’organizzazione del lavoro, ai fattori psicologici, ai fattori ergonomici e alle condizioni di lavoro difficili. Con tale passaggio, il nuovo centro di interesse sono diventati «i rischi derivanti da un’alterazione nelle ottimali interazioni persona-ambiente di tipo psicologico ed organizzativo»; così F.CURI, La tutela penale del lavoratore dai rischi psicosociali: stress da lavoro-correlato e mobbing, in D. Castronuovo, F. Curi, S. Tordini Cagli, V. Torre, V. Valentini, Diritto penale della sicurezza sul lavoro, Bologna, Bononia University Press, 2016, p. 286 ss.
461 G.NATULLO, Sicurezza del lavoro, in Enciclopedia del diritto, op. cit., p. 1076 ss.
462 F.BASENGHI, Assetti societari e individuazione del datore di lavoro per la sicurezza, in P. Campanella, P. Pascucci (a
cura di), La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali, in Olimpus W.P., n. 44/2015, p. 23 ss. Uno dei maggiori riconoscimenti del ruolo dell’ergonomia in materia di salute e sicurezza si è avuto con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 626 del 1994 che afferma la necessità di rispettare i principi dell'ergonomia nella fase di concezione degli ambienti di lavoro, nella progettazione e nella scelta dei materiali e delle attrezzature.
463 EBER, Sicurezza e salute nei luoghi di lavoro Decreto Legislativo 626/94. Lavorazioni carni suine, in
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lavoro e delle azioni accessorie (esempio affilatura coltelli), all’automatizzazione di alcune
operazioni, al rallentamento del ritmo delle operazioni a frequenza elevata, anche con ramificazione
a diversa velocità delle linee di lavorazione, sino all’aumento del numero di addetti.
Al fine di promuovere una gestione complessiva della sicurezza aziendale del comparto delle
carni, alcuni attori istituzionali hanno elaborato nel 2013 una buona prassi dedicata alla lavorazione
delle carni
464. Nell’ambito dei rischi e delle patologie presenti nel comparto in parola, tale prassi
mette in evidenza altresì i rischi derivanti dall’eventuale presenza in azienda di ditte appaltatrici.
Come già detto, il settore delle carni fa leva principalmente sul meccanismo degli appalti e delle
esternalizzazioni
465. Da tale meccanismo deriva una frammentazione del ciclo produttivo in distinte
unità produttive, talora anche tra più stabilimenti o addirittura tra imprese diverse e spesso distanti
tra loro. Il documento in oggetto precisa che le diverse attività della filiera (macellazione,
sezionamento, stagionatura, produzione insaccati, ecc.) sono tra loro integrate funzionalmente e
vengono svolte spesso in stabilimenti diversi, sebbene, al loro interno siano frequenti situazioni in
cui operino in regime di appalto svariate imprese, in prevalenza cooperative di facchinaggio ma
anche lavoratori autonomi, cui sono affidate attività che vanno dalla pulizia alla manutenzione dei
locali sino alla macellazione e alla lavorazione della carne. In questo scenario, il committente è la
persona che di fatto concede in uso ambienti ed attrezzature di lavoro propri, impone i tempi di
lavorazione della carne e provvede agli ordini di acquisto e di vendita
466. Come garante dell’intera
filiera produttiva e detentore del potere di determinare o modificare la realtà organizzativa, egli è
tenuto a promuovere e ad attuare, insieme ai datori di lavoro delle imprese appaltatrici, l’azione
prevenzionistica. Essa consiste nell’adozione di misure di sicurezza volte a prevenire i rischi
interferenziali tra i quali, alla luce di quanto delineato sinora, vanno considerati anche i rischi
ergonomici e psicosociali. A questo punto, la buona prassi richiama la normativa di riferimento,
ribadendo gli obblighi a carico del committente e delle imprese (sub)appaltatrici in materia di
cooperazione, coordinamento e informazione reciproca al fine di eliminare ovvero ridurre i rischi
connessi alla interferenza delle diverse lavorazioni. Infine, analogamente ad altri settori produttivi,
464 Il progetto multimediale Impresa Sicura, promosso da EBER (ente bilaterale artigianato Emilia-Romagna), EBAM (ente
bilaterale artigianato Marche), Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail affronta il tema della sicurezza in diversi comparti lavorativi del settore agroalimentare tra i quali quello della lavorazione della carne. A questo proposito rileva il già richiamato manuale redatto da EBER,EBAM,REGIONE MARCHE,REGIONE EMILIA ROMAGNA,INAIL, Impresa sicura. Settore agroalimentare. La lavorazione della carne, 2013, validato dalla Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nel novembre 2013. Si rammenta qui che per buona prassi, il d.lgs. 81 del 2009, art. 2, lett. v, intende le «soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica, adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle condizioni di lavoro, elaborate e raccolte dalle Regioni, dall’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e dagli organismi paritetici di cui all’articolo 51, validate dalla Commissione consultiva permanente di cui all’articolo 6, previa istruttoria tecnica dell’ISPESL, che provvede a assicurarne la più ampia diffusione».
465 L.DORIGATTI, Ridotte all’osso. Disintegrazione verticale e condizioni di lavoro nella filiera della carne, op. cit., p. 56
ss.
466 In questo contesto, come vedremo più approfonditamente nel paragrafo 4.1. di questo capitolo, si possono configurare
rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori provenienti dall’uso promiscuo delle attrezzature del committente, dal sovraffollamento delle imprese che operano nel medesimo luogo di lavoro, dai ritmi prefissati usuranti e determinati da macchine e impianti senza possibilità di autogestione e dagli orari prolungati.