4. Le ricadute del modello produttivo dell’industria delle carni sulla salute e sulla sicurezza
4.3. Sicurezza e appalti nella filiera della carne suina nel distretto modenese
4.3.1. Le problematiche della sicurezza sul lavoro nel distretto modenese
Il ricorso all’esternalizzazione ha riflessi notevoli in materia di sicurezza talché, accanto ai classici
rischi del lavoro, ne sono sorti di nuovi riconducibili essenzialmente all’odierna organizzazione del
lavoro
503. Diversi studi rilevano che coloro che operano in regime di appalto sono sottoposti a lavori
più rischiosi, pesanti, caratterizzati da operazioni monotone e ripetitive e turni o orari di lavoro
prolungati, sui quali è possibile esercitare un minore controllo rispetto ai lavoratori diretti. In linea
con tale tendenza emerge altresì che essi sono soggetti solitamente ad una minore formazione non
solo rispetto alle mansioni e ai compiti che gli sono assegnati ma altresì in relazione al contesto
organizzativo e all’ambiente di lavoro in cui sono impiegati, concretizzandosi «in una minore
conoscenza e percezione dei rischi cui sono esposti»
504. Nel settore della carne suinicola, ove si
rileva, come già osservato, una segmentazione della forza lavoro tra lavoratori diretti e lavoratori
indiretti e, progressivamente, tra lavoratori nazionali e lavoratori stranieri, tali fenomeni trovano
piena espressione. In un contesto lavorativo ripetitivo, sistematicamente sotto-inquadrato e con
elevati rischi per l’apparato muscoloscheletrico, ciò è vero in particolare per i lavoratori indiretti.
Fatta questa premessa, va segnalato come una prima problematica attenga alla gestione della
sicurezza nell’ambito degli appalti eseguiti all’interno degli stessi perimetri ambientali. Sebbene di
consueto le varie fasi del ciclo produttivo (macellazione, sezionamento, stagionatura, produzione
insaccati, ecc.) vengano svolte in stabilimenti diversi, si rileva che a ciascuna di tale attività se ne
possono sovrapporre numerose altre (disossatori, pelatori, addetti alla rifilatura nell’ambito della
lavorazione della carne, addetti alla movimentazione dei carichi e addetti alla sanificazione degli
501 R.RIVERSO, Cooperative spurie ed appalti: nell’inferno del lavoro illegale, 20 aprile 2019, in http://questionegiustizia.it,
consultato il 19 giugno 2019.
502 I sopralluoghi contro lavoro nero e altre irregolarità si sono ridotti del 16% nel solo 2017, anno che ha visto la nascita
dell’Ispettorato nazionale unico e un ampio numero di ispettori destinati a svolgere accertamenti di carattere specificatamente previdenziale e assicurativo. Sulle novità introdotte dal Jobs act, e in particolare sulla l.d. n. 183 del 2014 si rinvia a M.ESPOSITO, Le attività ispettive e il contrasto al lavoro irregolare nel sistema del jobs act, in RGL, 2016, 1, p.
575 ss.
503Tra i molti, si v.M.TIRABOSCHI, Lavoro atipico: profili qualificatori e intensità dell’obbligo di sicurezza, in DRI, 1999,
1, p. 60 ss.; EU-OSHA, New forms of contractual relationships and implications for occupational safety and health, 2002 in https://osha.europa.eu, consultato il 20 giugno 2019; EURISPES, Incidenti sul lavoro e lavoro atipico, Roma febbraio 2003, in https://eurispes.eu, consultato il 20 giugno 2019; M.D.BRENNER,D.FAIRRIS,J.RUSER, “Flexible” Work Practices and Occupational Safety And Health: Exploring the Relationships between Cumulative Trauma Disorders and Workplace Transformation, in Industrial Relations. A journal of economic and society, 2004, 43., p. 242 ss.
504 O. CAMASTA,La salute e la sicurezza del lavoro nella frammentazione d’impresa. Codatorialità. Nuove responsabilità
108
impianti)
505. Ne conseguono forti interferenze e interrelazioni organizzative e funzionali tra le
aziende che operano nel medesimo teatro lavorativo. Da qui il rischio di uso promiscuo delle
attrezzature (spesso obsolete) del committente e di sovraffollamento delle imprese nel medesimo
luogo di lavoro. Il fatto che i lavoratori siano tanti e lavorino congiuntamente aumenta il rischio di
esporli a numerosi rischi interferenziali. Senza trascurare peraltro che essi spesso si inseriscono in
ambienti disagevoli, a temperatura refrigerata o caratterizzati da alternanza caldo freddo, che
costituiscono già di per sé un rischio per la loro salute. A questi dati si aggiunge la differente
composizione nazionale dei lavoratori e la conseguente difficoltà a comunicare in una lingua
veicolare. Ciò può avere ricadute negative sull’organizzazione, allorché non vengano spiegati o
comunque compresi alcuni aspetti collegati alla produzione del lavoro, quali le misure igienico-
sanitarie
506. Preso atto di tali rischi, gli incidenti che risultano più diffusi consistono nelle lesioni da
sforzo, nelle ferite da taglio, in scivolamenti e cadute
507.
In questo contesto, come si è già avuto modo di anticipare, il committente determina i ritmi, gli
orari e più in generale le condizioni di lavoro in una rincorsa alla produttività al massimo ribasso che
ha evidenti ripercussioni sulla salute di tutti i lavoratori che operano nel ciclo produttivo. Si può
pertanto affermare che le condizioni di tali lavoratori sono direttamente o indirettamente influenzate
dalla relazione contrattuale fra l’impresa in cui sono impiegati e la committenza
508. A riprova di ciò
si inseriscono quelle ipotesi, tratteggiate nel paragrafo precedente, in cui i lavoratori dell’impresa
appaltatrice operano sostanzialmente alle dipendenze della prima. In tali circostanze, a ben guardare,
secondo quanto disposto dal Testo Unico sulla sicurezza, indipendentemente dal formale assetto
organizzativo dell’impresa, il soggetto che riveste di fatto la posizione di datore di lavoro, in quanto
ne esercita i poteri direttivi, organizzativi e gestionali di spesa, dovrebbe essere il soggetto su cui
incombono tutte le responsabilità e tutti gli obblighi relativi previsti dalla legge. Ne consegue che la
responsabilità di individuare e valutare i rischi inerenti al processo produttivo e, di conseguenza, di
adottare le misure di sicurezza di volta in volta più adeguate, non dovrebbe ricadere sull’impresa
appaltatrice bensì sul committente
509. Oltretutto, una (ir)responsabilità in materia di salute e sicurezza
da parte della committenza traspare anche nella selezione dei soggetti appaltatori: la poca affidabilità
505 EBER, EBAM, REGIONE MARCHE, REGIONE EMILIA ROMAGNA, INAIL, Impresa sicura. Settore agroalimentare. La
lavorazione della carne, op. cit., p. 2 ss.
506 F.CARCHEDI,U.FRANCIOSI, Il contesto agro-zootecnico, il comparto della macellazione delle carni e le condizioni di
ingaggio e di lavoro degli stranieri. Il caso di Modena (Emilia-Romagna), in Osservatorio Placido Rizzotto (a cura di), Agromafie e caporalato, op. cit., p. 153 ss.
507 V. TEODONIO, I forzati del mattatoio, 18 gennaio 2016, in https://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-
it/2016/01/18/news/il_mattatoio_dei_diritti-131109609/?ref=HREC1-28, consultato il 19 giugno 2019.
508 Tanto che un operatore dell’AUSL di Modena intervistato nell’ambito del menzionato progetto europeo ha affermato
che tra i rischi interferenziali rientrerebbero a pieno regime anche le modalità di lavoro richieste/imposte dal committente, come, a titolo esemplificativo, i tempi di lavorazione di un prodotto dettati da quest’ultimo nei confronti dell’intera linea produttiva.
509 A conferma di ciò, a titolo esemplificativo, rileva una pronuncia della Cass. pen., sez. IV, 20 ottobre 2010, n. 40499, in
D&G online, 2010, che afferma che il committente risponde penalmente degli infortuni degli operai nel caso di interposizione illecita di manodopera. In base alla richiamata pronuncia, quest’ultimo risponde in qualità di datore di lavoro effettivo perché, violando il divieto di fornitura illecita di manodopera, si è avvalso di fatto delle prestazioni rese da lavoratori solo formalmente alle dipendenze dell'appaltatore.
109
di questi ultimi per quanto riguarda la retribuzione dei lavoratori rispecchia altresì la loro poca
attendibilità sul profilo della sicurezza, rappresentando la solidità economica del datore la prima vera
tutela preventiva per la salute dei lavoratori impiegati in appalto
510.
Nel quadro brevemente descritto, le criticità riscontrate in materia sono molteplici. Esse attengono
in particolare alla carente o del tutto assente azione di formazione e informazione dei lavoratori e al
mancato o carente adempimento degli obblighi documentali previsti per legge, a partire dal
documento di valutazione dei rischi (DVR) sino ad arrivare al documento unico di valutazione dei
rischi interferenziali (DUVRI)
511.
Considerati i rischi infortunistici sopra descritti, per quanto riguarda la salute dei lavoratori si
assiste ad un incremento delle malattie professionali, in particolare di quelle muscoloscheletriche
512.
Tra le patologie più frequenti del comparto si annoverano il rischio da sovraccarico biomeccanico
degli arti superiori, la sindrome del tunnel carpale e le tendiniti al gomito e alla spalla
513. Benché le
denunce per malattie professionali siano in crescita, non sempre esse trovano risposta in un adeguato
riconoscimento
514. Ciò nella maggior parte dei casi viene motivato in ragione dell’insufficiente prova
510 In linea con quanto descritto nei paragrafi precedenti, nel settore in parola si configurano numerose ipotesi in qui le
imprese appaltatrici si costituiscono come imprese di facchinaggio pur svolgendo di fatto attività riconducibili alla macellazione o alla lavorazione della carne. L’ampia diffusione degli appalti di facchinaggio e servizi in diversi settori come l’agroalimentare e l’elevata frequenza e gravità degli infortuni nel settore in oggetto hanno portato alcuni attori istituzionali a sottoscrivere il Protocollo d’intesa «per il miglioramento dei livelli di prevenzione e sicurezza negli appalti di facchinaggio e servizi» (consultabile in www.dplmodena.it/, consultato il 21 giugno 2019). Firmato il 28 giugno 2007 da Amministrazione Provinciale di Modena, Camera di Commercio, Enti di vigilanza e controllo, Associazioni datoriali e sindacali della Provincia di Modena, Ordine dei Consulenti del Lavoro, esso persegue l’obiettivo di migliorare i livelli di prevenzione e sicurezza all’interno degli appalti di facchinaggio e servizi e la qualificazione delle imprese che svolgono queste attività. Il protocollo prevede una serie di requisiti obbligatori e di requisiti facoltativi a carico dell’impresa appaltatrice. Rispetto ai primi, il Protocollo dispone che l’impresa sia in possesso di: a) iscrizione alla Camera di Commercio, b) per le imprese di facchinaggio, iscrizione nello specifico Registro o Albo, c) documento Unico di Regolarità Contributiva o in alternativa iscrizione Inail e Inps, d) libro Unico del Lavoro (nei casi previsti dalla legge), e) documento di valutazione dei rischi ex artt. 17 e 28 del D.lgs. 81/08, ovvero autocertificazione (nei casi ammessi), f) nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), g) nomina del medico competente (ove previsto), h) nominativo/i del/i Rappresentante/i dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) se designato/i, oppure di quello territoriale (RLST), i) giudizi di idoneità alla mansione specifica (rilasciati dal medico competente) per i lavoratori soggetti all’obbligo di sorveglianza sanitaria, l) attestazione della formazione in materia di prevenzione e sicurezza effettuata nei confronti dei lavoratori impegnati nell’esecuzione dei lavori. Quanto ai requisiti facoltativi qualificanti utili a orientare la scelta della committenza e a migliorare i livelli di prevenzione degli appalti, il Protocollo annovera, tra gli altri, la certificazione del contratto di appalto ai sensi del d.lgs. n. 276 del 2003 e la disponibilità in proprio (o attraverso contratti di locazione o leasing) di macchine e attrezzature necessarie allo svolgimento del compito previsto dal contratto.
511 Nel maggio 2019 i Carabinieri del gruppo Tutela lavoro di Venezia e del Nucleo ispettorato del lavoro di Modena hanno
condotto un’operazione che ha coinvolto due stabilimenti produttivi e 17 società nel distretto modenese. L’operazione in oggetto ha portato alla denuncia di 16 persone per numerose violazioni del Testo unico sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, tra le quali si registrano la mancata formazione e informazione dei lavoratori, la mancata verifica sanitaria dell’idoneità al lavoro, la mancata fornitura dei dispositivi di protezione e l’impiego di macchinari non revisionati. Sul punto si v. ALTRECONOMIA (a cura di),Le debolezze della carne. Gli attori della filiera e i diritti in gioco, op. cit., p. 36 ss.
512 Sull’aumento delle malattie professionali nel settore delle carni si v. EBER,EBAM,REGIONE MARCHE,REGIONE EMILIA-
ROMAGNA,INAIL, Settore agroalimentare. La lavorazione della carne, op. cit., p. 1 ss.
513 R. GHERSI, AL., Movimenti ripetuti degli arti superiori: risultati della valutazione dell’esposizione attuale e
dell’indagine clinica degli addetti ad un reparto di lavorazione di carni suine del modenese, in La Medicina del Lavoro, 1996, 87 (6), p. 1 ss.; GAZZETTA DI MODENA, Settore carni, decine di ditte a processo, 19 agosto 2016, in https://gazzettadimodena.gelocal.it, consultato il 19 giugno 2019.
514 La mancanza di riconoscimento di alcune patologie da parte dell’Inail si spiega anche a causa dei vincoli sottesi alle
modalità di riconoscimento della malattia professionale quali la carenza di dimostrazione del rischio lavorativo adeguato e il mancato soddisfacimento dei criteri del nesso causale.
110
del nesso causale tra l’esposizione al rischio e la malattia sviluppata: un dato che, tuttavia, fa
riflettere, stante quanto affermato dalla Flai Cgil secondo cui i lavoratori del settore carni svolgono
la loro prestazione anche per 12/13 ore ininterrotte per 5/6 giorni lavorativi, compiendo movimenti
ripetitivi a ritmi elevati
515. In merito a ciò, ai fini di un’accurata ricognizione sulla situazione sanitaria
di questi soggetti, dell’idoneità alle mansioni che gli sono state assegnate e dei rischi a cui sono
esposti, andrebbe valorizzato maggiormente il ruolo del medico competente (MC)
516.
Un caso alquanto emblematico delle irregolarità che possono addensarsi attorno agli adempimenti
documentali in materia di sicurezza è rappresentato dalla vicenda Inalca di Castelvetro, presso tale
azienda l’Asl di Modena, incaricata di svolgere gli accertamenti e di refertare le malattie professionali
lamentate da alcuni lavoratori dell’azienda (35 casi segnalati dai referti Inail), ha riscontrato diverse
criticità in merito alla valutazione dei rischi, rilevando che i dati risultavano sottostimati e non
fotografavano le situazioni di rischio più elevato presenti nei reparti di macello, disosso e
sezionamento
517.
Alcuni ostacoli emergono anche rispetto all’accesso e alla condivisione delle informazioni da
parte degli RLS (per esempio l’accesso al DVR è garantito nella maggior parte dei, ma non in tutti,
i casi). Ulteriori ostacoli concernono l’attività di consultazione (sulla designazione dei RSPP, degli
addetti all’antincendio e al primo soccorso, o del MC), che talvolta si risolve in una mera formale
comunicazione. In questa situazione è stata riscontrata una difficoltà da parte del RLS di intervenire
liberamente, vale a dire senza condizionamenti da parte dell’organo direttivo dell’azienda. A questo
proposito, sarebbe opportuno valorizzare la figura del rappresentate territoriale, il RLST (o di sito
produttivo, il RLSSP, qualora ricorrano le circostanze previste per legge per la sua individuazione),
dotato di maggiore autonomia rispetto al rappresentante aziendale in quanto non inserito
nell’organico del sito produttivo in cui si trova ad operare
518. Rispetto a tali considerazioni, va
sottolineato più in generale come numerose indagini ed esperienze comprovino che il coinvolgimento
515 U.FRANCIOSI, L’industria della carne suina in Italia, in https://www.nuovocaporalato.it, consultato il 20 giugno 2019. 516 Nel caso sospetti o accerti che la malattia da cui è affetto il lavoratore sia stata causata dall’attività lavorativa svolta
ovvero che si tratti di malattia professionale, il medico deve compilare e consegnare al lavoratore il primo certificato di malattia professionale; deve quindi presentare la denuncia-segnalazione alla Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente, al Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro, all’Inail per l’iscrizione nel registro nazionale delle malattie causate dal lavoro o a esso correlate, e alla rete regionale dei centri operativi regionali che raccolgono le segnalazioni di tumori dovuti a cause professionali. Il medico ha, inoltre, l’obbligo di inviare il referto all’autorità giudiziaria ovvero alla Procura della Repubblica. La denuncia-segnalazione è obbligatoria per le malattie indicate in un preciso elenco di riferimento periodicamente aggiornato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale. In caso di mancata presentazione della denuncia, il medico è punibile penalmente con l’arresto o un’ammenda.
517 GAZZETTA DI MODENA, Castelvetro: l'accusa è di lesioni colpose, i magistrati indagano i vertici Inalca, 16 giugno 2015,
in https://gazzettadimodena.gelocal.it, consultato il 19 giugno 2019.
518 Si tratta di una circostanza non dissimile da quanto accade per la figura del medico competente che si caratterizza
sovente per mancanza di terzietà in quanto agirebbe nell’interesse dell’azienda piuttosto che dei lavoratori. Tali considerazioni inducono ad una riflessione più ampia, e critica, sulla scelta del legislatore di riservare al datore di lavoro la nomina degli attori chiave della prevenzione (a titolo esemplificativo, medico competente e responsabile del sistema di prevenzione e protezione) che finirebbe per pregiudicare la terzietà di tali figure in ragione della loro dipendenza economica dal datore di lavoro. Così, B.M.ORCIANI, I risultati dei focus group. La solitudine degli RLS e gli strumenti per rafforzarne il ruolo, in B.M. Orciani (a cura di), Salute e sicurezza sul lavoro. I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza nella Regione Marche, in Quaderni di Ricerca CRISS, 2015, 1, p. 60 ss.
111
consapevole delle rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza nella gestione dei rischi e dei sistemi
di prevenzione aziendale abbia un impatto positivo sulla sicurezza, garantendo un più elevato livello
di tutela
519.
Ad ogni modo, anche quando la patologia viene segnalata e riconosciuta, non è detto che
sussistano gli estremi perché ricorra una responsabilità dell’impresa
520. È il caso per esempio
dell’Azienda tre Valli, in provincia di Modena, indagata per lesioni colpose gravi o gravissime,
commesse con violazione delle norme antinfortunistiche e della tutela dell’igiene e della salute sul
lavoro, nei confronti di dieci lavoratori che lamentavano ritmi di lavoro eccessivamente elevati,
soprattutto nell’impiego del coltello, e sintomi da tunnel carpale. La vicenda giudiziaria che ne è
scaturita si è protratta dal 2010 al 2012 e si è conclusa con l’assoluzione dell’azienda: i giudici del
tribunale di Modena hanno accolto la perizia della difesa secondo la quale i ritmi dell’impiego del
coltello in azienda sono pari a quello di uso comune nella cittadinanza, paragonabile «all’utilizzo che
se ne fa in una sala da the»
521.
Agli aspetti sopra descritti, si aggiunge il fenomeno della sotto-denuncia affrontato all’inizio di
questo capitolo, che interessa soprattutto i lavoratori più vulnerabili. Il tema della sotto-denuncia e
della mancata emersione delle malattie professionale diventano estremamente significativi nel caso
del rischio psicosociale, particolarmente diffuso tra i lavoratori stranieri e precari propri del settore
in parola
522.
519 INAIL, Impact-rls: indagine sui modelli partecipativi aziendali e territoriali per la salute e la sicurezza sul lavoro. Il
ruolo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e le interazioni con gli attori della prevenzione, Roma, Inail, 2017, p. 15 ss., dove peraltro viene segnalata una forte presenza di lavoratori che effettuano lavori in appalto, appare scarsamente efficace la gestione degli insidiosi rischi da interferenza (avviene solo nel 25%).
520 D’altro canto, è piuttosto difficile indagare sulle responsabilità penali della malattia professionale, ove spesso, anche
dopo lunghe indagini, i procedimenti non arrivano neanche in dibattimento. Altrettanto rari sono i procedimenti che arrivano alla condanna. Le motivazioni sono molteplici e riconducibili ad elementi quali la richiesta di archiviazione per difficoltà/carenze nel processo di individuazione di eventuali responsabilità, la scarsa interazione fra i Servizi e la Magistratura nella strategia dell’indagine e del dibattimento, la disomogeneità nella conduzione delle inchieste fra i Servizi sia a livello intra-regionale che interregionale ecc. Così A.BENA,A.BALDASSERONI (a cura di), INAIL – Regioni – Sottogruppo Malattie Professionali, Utilizzo dei sistemi informativi correnti per la programmazione delle attività di prevenzione nei luoghi di lavoro, 25 maggio 2010, p. 16 ss., in https://www.inail.it, consultato il 20 giugno 2019.
521 La segnalazione ha determinato l’intervento ispettivo dell’Ausl in seguito al quale un Pubblico Ministero ha aperto
l’indagine. Ad essa ha fatto seguito il processo che si è tuttavia concluso con l’assoluzione della società cooperativa perché il fatto non sussiste.
522 Nello studio condotto da ASL DI MANTOVA, ISPESL, USL DI MODENA, I profili di rischio nella macellazione:
identificazione e misura degli effetti, op. cit., p. 31 ss., consultato il 1° luglio 2019, gli autori sottolineano come il lavoro monotono, ripetitivo e caratterizzato da elevati ritmi propri dell’attività di macellazione possano causare lo sviluppo di rischi psicosociali. Lo studio sottolinea altresì la presenza all’interno di tale attività di forme di organizzazione del lavoro la cui remunerazione (importo a commessa) è direttamente proporzionale ai ritmi di lavoro e al quantitativo di prodotto realizzato talché di fatto la prevenzione e i livelli di sicurezza finiscono per essere subordinati alla produttività. A ciò si aggiunge il dato che l’uccisione degli animali può provocare reazioni psicologiche negative sui lavoratori. Sulla diffusione di rischi psicosociali tra i lavoratori piu vulnerabili si v. O.BONARDI, Oltre lo stress: i nuovi rischi e la loro valutazione globale, in LD, 2012, 2, p. 300 ss., la quale afferma che «la precarietà del lavoro rappresenta, insieme allo stress, la nuova frontiera della valutazione dei rischi sul lavoro». Secondo l’autrice la mancanza di informazioni adeguate, da una parte, e la minore percezione dei rischi, dall’altra, oltre a determinare una maggiore esposizione al rischio di infortuni, contribuisce a creare una maggiore esposizione a stress e un peggioramento delle condizioni di salute in generale del lavoratore. L’autrice individua una serie di fattori che concorrerebbero a determinare tale situazione, vale a dire il minor controllo di cui godono questi lavoratori rispetto a quelli a tempo indeterminato sull’organizzazione del lavoro e sull’orario, la più frequente adibizione a lavori svolti in posizioni più scomode e faticose, il minore inserimento nel contesto lavorativo e la