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Pratiche illecite e pratiche elusive, la sottile linea di demarcazione

3. Il ricorso all’esternalizzazione in Europa: le ricadute sul settore delle carni

3.1. Il ricorso all’esternalizzazione in Italia: le ricadute sul settore delle carni

3.1.1. Pratiche illecite e pratiche elusive, la sottile linea di demarcazione

Come si evince dal paragrafo precedente, il ricorso all’esternalizzazione del processo produttivo

e alla frammentazione dell’organizzazione del lavoro derivanti dalle crescenti aperture del legislatore

in materia riflette non tanto la volontà di soddisfare finalità organizzative del settore quanto piuttosto

400 Facendo ricorso all’appalto, l’impresa appaltante riesce a ridurre il costo del lavoro fino al 40% in quanto il costo medio

del lavoro previsto dal CCNL di settore, vale a dire quello dell’industria alimentare, è di circa 22 euro all’ora mentre quello previsto dal contratto collettivo nazionale di settore nella logistica è di circa 16 euro all’ora.

401 Sul punto è intervenuto altresì il d.m. n. 221 del 2003 che ha indicato tassativamente le attività che un’impresa di

facchinaggio può svolgere. Esso, in particolare, enumera soltanto le attività svolte «con l’ausilio di mezzi meccanici o diversi, o con attrezzature tecnologiche, comprensive delle attività preliminari e complementari alla movimentazione delle merci e dei prodotti, come di seguito indicate: a) portabagagli, facchini e pesatori dei mercati agro-alimentari, facchini degli scali ferroviari, compresa la presa e consegna dei carri, facchini doganali, facchini generici, accompagnatori di bestiame, ed attività preliminari e complementari; facchinaggio svolto nelle aree portuali da cooperative derivanti dalla trasformazione delle compagnie e gruppi portuali in base all’articolo 21 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e successive modificazioni ed integrazioni; b) insacco, pesatura, legatura, accatastamento e disaccatastamento, pressatura, imballaggio, gestione del ciclo logistico (magazzini ovvero ordini in arrivo e partenza), pulizia magazzini e piazzali, depositi colli e bagagli, presa e consegna, recapiti in loco, selezione e cernita con o senza incestamento, insaccamento od imballaggio di prodotti ortofrutticoli, carta da macero, piume e materiali vari, mattazione, scuoiatura, toelettatura e macellazione, abbattimento di piante destinate alla trasformazione in cellulosa o carta e simili, ed attività preliminari e complementari».

402 Tutto ciò avviene senza prendere in considerazione l’art. 10 del CCNL Aziende Cooperative per i lavoratori dipendenti

aziende cooperative di trasformazione prodotti agricoli e zootecnici e lavorazione prodotti alimentari che prevede, a tutela dei lavoratori in regime di appalto, che «nel caso in cui l’appalto sia affidato a società cooperative e la prestazione di lavoro venga resa dagli stessi soci cooperatori, le suddette clausole dovranno in particolare vincolare la cooperativa stessa ad assicurare ai soci medesimi un trattamento economico-normativo globalmente equivalente a quello previsto dal Ccnl di riferimento».

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quella di ridurre gli oneri giuridici ed economici a carico dell’impresa

403

. Ciò, a ben vedere, dà luogo

a prassi volte ad aggirare o addirittura a violare le discipline protettive, di natura individuale e

collettiva, a tutela del lavoratore sia sul piano della «garanzia economica e normativa (relativamente

alla scelta del contratto collettivo da applicare)», sia sul piano della «disparità di trattamento tra i

lavoratori dipendenti delle diverse imprese», sia sul piano della «diminuzione delle guarentigie in

materia di responsabilità per violazioni delle norme fiscali o antinfortunistiche»

404

.

Le prassi sopra descritte sono particolarmente diffuse nel settore delle carni, ove l’ampio ricorso

ad appalti e subappalti di servizi a bassa intensità organizzativa e ad alta intensità di lavoro si traduce

spesso in pratiche illegittime. In particolare, si fa riferimento alle imprese formalmente titolari di un

appalto di opera o servizio ma sostanzialmente impegnate in una fornitura di manodopera non

autorizzata

405

. A tal proposito è opportuno rammentare che nel nostro ordinamento la normativa in

materia di fornitura di manodopera, introdotta dal cd. Pacchetto Treu, poi modificata dalla legge

Biagi, ha reso possibile esercitare professionalmente l’attività di fornitura di manodopera in favore

di un soggetto soltanto a certe condizioni ed entro precisi vincoli garantistici

406

. Il mancato rispetto

di tali condizioni e di tali vincoli può dare luogo, dunque, ad un’ipotesi di somministrazione abusiva

o addirittura fraudolenta con conseguente irrogazione della pena, sebbene i più recenti interventi

legislativi abbiano indebolito il regime sanzionatorio penale, rendendo di fatto più difficile

contrastare tali fenomeni. Si tratta, in particolare, della contestata abrogazione da parte del d.lgs. n.

81 del 2015 del reato di somministrazione fraudolenta disciplinato dall’art. 28 del d.lgs. n. 276 del

2003, peraltro recentemente reintrodotto dalla l. n. 96 del 2018 (d.l. n. 87 del 2018, anche detto

decreto dignità)

407

. Il riferimento è altresì alla depenalizzazione del reato contravvenzionale di

403 Come abbiamo visto la scelta di ricorrere all’appalto si spiega principalmente in ragione del conseguimento di effettivi

risparmi sul costo del lavoro derivanti dalla applicazione del trattamento retributivo previsto dal CCNL dall’appaltatore e dal connesso minore imponibile contributivo rispetto a quello riconducibile alla gestione diretta.

404 R.RIVERSO, La sottile linea tra legalità e sfruttamento nel lavoro, op. cit., p. 5 ss.

405 La fattispecie illecita di interposizione di manodopera deve essere considerata esclusivamente in termini sostanziali,

indipendentemente dalla forma giuridica negoziale utilizzata. Invero, la tutela che il d.lgs. n. 276 del 2003 appronta nei confronti dei lavoratori risulta di ampia portata in quanto non circoscrive la rilevanza illecita a singole e specifiche figure contrattuali. L’interposizione illecita è, ai sensi del combinato disposto degli artt. 18 e 84 del d.lgs. n. 276 del 2003, qualunque comportamento negoziale posto in essere da due datori di lavoro che coincida di fatto con una somministrazione di lavoro da parte di un soggetto non autorizzato. Sul punto, P.RAUSEI,Appalto e distacco: nuovo sistema sanzionatorio, in DPL, 2016, 14, p. 5 ss.

406 In ambito internazionale il merito di aver superato la regolamentazione di tipo restrittivo prevista in capo alle agenzie

per il lavoro dalla Convenzione n. 96 del 1949 va alla Convenzione OIL n. 181 del 1997 che definisce alcune tutele minime per i lavoratori interinali e alla relativa Raccomandazione n. 188 del 1997. In seguito alle iniziative intraprese dall’OIL e anche grazie alle esperienze maturate in Paesi europei come la Francia, la Germania e la Spagna, in Italia dapprima la l. n. 196 del 1997 e poi il d.lgs. 276 del 2003 hanno reso legittima, entro certe condizioni, l’intermediazione di manodopera.

407 Con somministrazione fraudolenta si intende qualsiasi forma di somministrazione realizzata dolosamente al fine di

eludere norme di legge o di contratto collettivo. Il d. lgs. n. 81 del 2015 con la scelta di non riproporre la fattispecie della somministrazione fraudolenta di cui all’art. 28 del d. lgs. n. 276 del 2003, l’ha di fatto abrogata. Essa è stata, comunque, oggetto di ripristino da parte del decreto di dignità, d.l. n. 87 del 2018, con l’introduzione dell’art. 38-bis del d.lgs. 81 del 2018. Come ha chiarito una recente Circolare dell’Ispettorato nazionale del lavoro n. 3 del 2019, oltre alle ipotesi di pseudo appalto, il reato di somministrazione fraudolenta può realizzarsi anche nel caso di «agenzie di somministrazione autorizzate, oppure nell’ambito di distacchi di personale che comportino una elusione della disciplina di cui all’art. 30, D.Lgs. n. 276/2003 ovvero ipotesi di distacco transnazionale “non autentico” ai sensi dell’art. 3, D.Lgs. n. 136/2016». L’illecito in questione è punito con la sanzione penale dell'ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione, restando tuttavia ferma l’applicazione dell’art. 18 del d.lgs. n. 276 che punisce con sanzione

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somministrazione abusiva previsto dall’art. 18, co.1, del d.lgs. n. 276, oggetto di modifiche da parte

del legislatore con il d.lgs. n. 8 del 2016, altresì oggetto di accese contestazioni

408

. Basti dire che dai

rapporti più recenti dell’Ispettorato del lavoro si evince una relazione diretta tra incremento delle

forme di subappalto di manodopera e la citata operazione di depenalizzazione

409

.

In questo contesto, i lavoratori che operano nel settore delle carni, prevalentemente migranti e

dunque soggetti ad una condizione di particolare vulnerabilità, sono formalmente inquadrati come

lavoratori indiretti, cioè dipendenti dall’impresa (sub)appaltatrice, ma in realtà destinatari delle

direttive del committente, che li organizza e li controlla come fossero suoi lavoratori. È proprio

l’ingerenza significativa di questo ultimo nelle scelte esecutive dell’attività appaltata e nella gestione

del relativo personale a costituire una spia rivelatrice della presenza di una fornitura di mera

manodopera invece che di un appalto di servizi

410

. Si configura, infatti, una situazione in cui il

committente determina di fatto le caratteristiche del prodotto, la scelta e le modalità dei tempi di

lavoro, esercitando sul personale dell’appaltatore (soltanto formale) i tipici poteri datoriali.

Nell’ambito di tale meccanismo triangolare, l’impresa appaltatrice si comporta come mero elargitore

di manodopera. Tale prassi è stata più volte accertata dall’autorità giudiziaria ricorrendo a diversi

indici rivelatori

411

. Nel settore delle carni, si annovera, in particolare, una recente pronuncia

amministrativa le ipotesi di somministrazione illecita. Nelle ipotesi di appalto e distacco illecito è prevista altresì l’applicazione della sanzione amministrativa in base alla quale viene disposta l’assunzione dei lavoratori alle dirette dipendenze dell’utilizzatore per tutta la durata del contratto. Per una lettura critica della recente reintroduzione nel nostro ordinamento del reato di somministrazione fraudolenta si rinvia a A.ASNAGHI, La somministrazione fraudolenta nel

Decreto Dignità: cronaca di una fattispecie inefficace, 2018, in https://www.lavorodirittieuropa.it, consultato il 19 giugno 2019.

408 Invero, questo ultimo ha depenalizzato il suddetto reato, vale a dire la condotta di chi esercita attività di

somministrazione di lavoro in assenza di apposita autorizzazione ovvero fuori dalle ipotesi espressamente autorizzate, degradando l’illecito da penale ad amministrativo. Nell’ambito di un’azione alquanto generalizzata, esso è intervenuto anche sulla fattispecie sanzionatoria dell’art. 18 comma 5-bis del d.lgs. n. 276 del 03 con riguardo all’appalto e al distacco non genuini. Ne consegue la previsione di una sanzione amministrativa che va da un minimo di 5.000 euro ad un massimo di euro 50.000 – ridotti ad un terzo in caso di pagamento conciliativo in misura ridotta ex art. 16 della l. n. 689 del 1981. Sul punto, in giurisprudenza, si v. Cass. pen., sez. III, 10 febbraio 2016, n. 10484, CP, 2016, 9, 3419, la quale afferma che in tema di divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 8 del 2016 non è più prevista come reato l’ipotesi di intermediazione di manodopera per violazione delle disposizioni in materia di appalto e distacco, di cui all’art. 18, comma 5-bis, d.lgs. n. 276 del 2003, mentre continua ad avere rilevanza la stessa fattispecie ove commessa mediante sfruttamento di minori.

409 INL, Rapporto annuale dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, 2017, in

https://www.ispettorato.gov.it, consultato il 19 giugno 2019.

410 Occorre precisare che, ai fini della configurazione di un appalto fraudolento, non è sufficiente dimostrare la circostanza

che il personale dell’appaltante impartisca disposizioni ai dipendenti dell’appaltatore, in quanto è necessario verificare se le disposizioni siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro perché inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative»; così la recente Cass. civ., sez. lav., 27 novembre 2018, n. 30694, MGC, 2019; Cass. civ., sez. lav., 6 giugno 2011, n. 12201, MGC, 2011, 6, 848; Cass. civ., sez. lav., 15 luglio 2011, n. 15615, MGC, 2011, 7-8, 1073. Rispetto agli appalti illeciti di manodopera, la giurisprudenza e la prassi hanno segnalato una serie di criteri rivelatori quali la mancanza in capo all’appaltatore della qualifica di imprenditore, o meglio di un’organizzazione (tecnica ed economica) di tipo imprenditoriale; la mancanza dell’effettivo esercizio del potere direttivo da parte dell’appaltatore, l’impiego di capitali, macchine e attrezzature fornite dall’appaltante, l’estraneità della natura delle prestazioni svolte da quelle dell’appalto, afferendo a mansioni tipiche dei dipendenti del committente, corrispettivo pattuito in base alle ore effettive di lavoro e non riguardo all’opera compiuta o al servizio eseguito, ovvero corresponsione della retribuzione direttamente da parte del committente. Così RAUSEI,Appalto e distacco: nuovo sistema sanzionatorio, op. cit., p. VI ss.

411 Sul punto rileva la sentenza Cass. civ., sez. lav., 26 ottobre 2018, n. 27213, MGC, 2018, che afferma che: «Il divieto di

intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente,

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giurisprudenziale del Tribunale di Reggio Emilia che nell’ambito di un contratto di subfornitura ha

rilevato, anzitutto, come il core business della società appaltante (vale a dire la parte della lavorazione

e del confezionamento delle carni) fosse stato completamente esternalizzato alla cooperativa

appaltatrice che di fatto gestiva tutta la parte produttiva della società – e non un solo ramo d’azienda

o settore a se stante e ben separato sia fisicamente che in termini di lavorazioni

412

. Si configura,

pertanto, ad avviso dei giudici, una situazione caratterizzata dalla necessità da parte dell’attività

subfornita di un «imprescindibile compenetrazione con l’azienda che la rende ontologicamente

inserita ed inscindibile», in cui sia l’organizzazione che il connesso rischio di impresa sono rimasti

ad esclusivo carico della società appaltante anziché della cooperativa appaltatrice. A conclusione i

giudici, preso atto dell’inesistenza dell’organizzazione dei mezzi

413

e dell’assunzione del rischio

414

,

hanno dichiarato che il contratto di subfornitura sostanzialmente maschera una mera fornitura di

manodopera e va, pertanto, ricondotto nell’alveo della somministrazione illecita.

Oltre a realizzare un’attività di intermediazione illecita, spesso l’appalto irregolare, ove

l’appaltatore manchi dell’organizzazione dei mezzi e/o dei poteri datoriali, o fittizio, ove egli non

abbia assunto il rischio d’impresa, si traduce nella violazione delle più elementari regole da osservare

per garantire un lavoro dignitoso

415

. Il lavoratore non ha nessun diritto formale nei confronti del

proprio datore sostanziale – che vanterebbe invece nei confronti di chi lo ha assunto ma che in realtà

si limita ad esercitare un’attività di fornitura di manodopera. Ciò crea le basi per le condizioni di

sfruttamento senza cadere necessariamente in situazioni di manifesta illegalità: il datore sostanziale

in quanto sfornito della titolarità formale del rapporto di lavoro è spinto ad agire senza scrupoli anche

nella direzione di un peggioramento delle condizioni economiche e normative dei lavoratori che

operano in regime di appalto, per il quale risponderà soltanto nell’eventualità in cui sia accertato il

rapporto alle sue dipendenze (o, come vedremo più avanti, trovi applicazione la sanzione penale

prevista in materia di intermediazione illecita e sfruttamento). In questa situazione, pertanto, il

committente è in grado di gestire i rapporti lavorativi in violazione delle leggi sul lavoro. Possibilità

che nel settore delle carni si verifica con una certa frequenza attraverso forme di sfruttamento che

opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, né una assunzione di rischio economico con effettivo assoggettamento dei propri dipendenti al potere direttivo e di controllo». In linea con tale orientamento tra le pronunce della giurisprudenza di merito si annoverano T. Teramo, 31 gennaio 2017, n. 24; A. Perugia, 31 maggio 2017, n.160; T. Torino, 30 novembre 2018, n. 2196; T. Rieti, 28 giugno 2018, n. 121; T. Bari, 18 marzo 2019, n. 1234; tutte in https://dejure.it, consultato il 19 giugno 2019.

412 Tribunale di Reggio Emilia, 13 febbraio 2018, n. 41, in https://dejure.it, consultato il 19 giugno 2019.

413 Rispetto all’assenza di organizzazione dei mezzi necessari, i giudici rilevano che i locali, gli arredi, le attrezzature

utilizzate per l’attività dalla cooperativa appaltatrice sono fornite dalla società appaltante con contratto di comodato gratuito e che per i costi delle utenze non viene richiesto alcun rimborso da parte della prima nei confronti della seconda.

414 Secondo i giudici il rischio viene evidentemente meno, come nel caso di specie, ogniqualvolta lo pseudo-appaltatore si

limiti a mettere a disposizione dello pseudo-committente le mere prestazioni lavorative dei propri dipendenti, che finiscono per essere alle dipendenze effettive di quest’ultimo, il quale detta loro le direttive sul lavoro, esercitando su di essi i tipici poteri datoriali.

415 Per la distinzione sul piano definitorio e concettuale tra appalto illecito e appalto fittizio si rinvia a C.CORDELLA, Appalti

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vanno dalla sotto-retribuzione al prolungamento eccessivo dei tempi di lavoro sino all’assenza di

formazione sulla sicurezza sul lavoro e del rispetto delle più elementari misure di protezione e

prevenzione

416

. Ciò avviene, come si vedrà meglio nel prosieguo nello studio di caso della carne

suina del distretto modenese, tramite il mancato riconoscimento delle ore lavorate in più rispetto a

quelle previste dal contratto, o ancora attraverso la corresponsione di voci retributive impropriamente

imputate a trasferta e illegittimamente non computate nell’imponibile contributivo, o ancora

risparmiando sul piano degli adempimenti in materia di salute e sicurezza

417

.

Tali episodi contribuiscono ad affermare che anche «nell’era della globalizzazione, si

accompagna la preoccupante riemersione – pur sotto le mentite spoglie di schemi organizzativi

moderni – di logiche di pericoloso sfruttamento del lavoro altrui»

418

. In questo quadro, assai poco

rassicurante, occorre evidenziare comunque che grazie all’introduzione, ad opera della l. n. 148 del

2011, dell’art. 603-bis c.p., volto a disciplinare il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del

lavoro, la fattispecie ha assunto rilevo penale. La materia è stata poi oggetto di un’ampia riforma nel

2016 che ne ha dilatato i confini, reprimendo non solo la condotta dell’intermediario ma altresì quella

del datore di lavoro

419

. La norma tuttavia non ha ricevuto ancora il riscontro applicativo auspicato

420

:

se per un verso ha compiuto un’operazione di ampliamento della responsabilità del datore, essa per

altro verso ha subordinato il suo perfezionamento all’accertamento di due elementi costitutivi dal

contenuto alquanto evanescente: lo sfruttamento e l’“approfittamento” dello stato di bisogno

421

. Ne

416 U.FRANCIOSI, Il caso Castelfrigo, in RGL, 2018, 3, p. 130 ss.

417 Emblematico il caso della Castelfrigo, azienda a proprietà prevalentemente familiare, di medie dimensioni, leader a

livello nazionale nella lavorazione e trasformazione della carne suina con sede a Castelnuovo Rangone (Modena), che si è concluso con la vertenza del 2016. Dalla vicenda Castelfrigo emerge che l’azienda assegnasse parte della lavorazione carni in appalto al Consorzio Job Service Consorzio che a sua volta subappaltava i servizi alle Cooperative Ilia d.a. e Work Service. I lavoratori impiegati lungo la fitta catena di appalti si aggiravano in totale attorno ai 127, di origine albanese, ghanese, ivoriana e cinese, il loro orario medio di lavoro giornaliero corrispondeva a 12/14 ore e il costo medio orario variava tra 13,5 e 15,5 euro, circa la metà della paga oraria degli addetti diretti della Castelfrigo (27 euro all’ora), con parte della retribuzione composta da rimborsi e trasferte per eludere l’imponibile Inps e Irpef, anche con il doppio bonifico, la busta paga, le ore lavorate in nero. Sulla vicenda in esame si v. C.MACCARONE, Caporalato e macellazione carne: cosa c’è dietro al cotechino di Natale, 18 dicembre 2017, in https://www.osservatoriodiritti.it/2017/12/18/caporalato- macellazione-carne/, consultato il 20 giugno 2019.

418 P.PASCUCCI, La nuova disciplina della sicurezza sul lavoro del 2008/2009: una rapsodia su novità e conferme, op. cit.,

p. 5 ss.

419 La l. 29 ottobre 2016, n. 199, recante «disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento

del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo» ha portato una serie di novità all’art. 603-bis. Volendole qui sintetizzare, si fa riferimento in particolare al fatto che l’ambito applicativo della disciplina si applica ad ogni forma di intermediazione, anche quelle occasionali e non organizzate in forma d’impresa, applicandosi a qualsiasi tipologia essa possa assumere nel nostro ordinamento (appalto, distacco, somministrazione, ecc.); punisce non più solo l’intermediario ma anche l’utilizzatore; punisce ogni forma di sfruttamento della manodopera comunque e da chiunque realizzato, quindi anche direttamente dal datore di lavoro senza l’intervento di alcun intermediario. Sul punto si v.A.DI

MARTINO, “Caporalato” e repressione penale: appunti su una correlazione (troppo) scontata, 2015, in Diritto penale contemporaneo, p. 6 ss.; D.FERRANTI, La legge n. 199/2016: disposizioni penali in materia di caporalato e sfruttamento del lavoro nell’ottica del legislatore, in Diritto penale contemporaneo, 2016, p. 2 ss.; F.STOLFA, La legge sul “caporalato” (l. n. 199/2016): una svolta “etica” nel diritto del lavoro italiano? Una prima lettura, in DSL, 2017, 1, p. 87 ss.

420 C.RONCO, Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro: problematiche applicative e prospettive di riforma, in LG,

2016,7, p. 665 ss. sullo stato attuativo della riforma introdotta dalla legge n. 199 del 2016 si rinvia a AA.VV., Padroni e caporali - dopo la legge n. 199/2016, Frosinone, Editore Key, 2018.

421 La norma ha comunque il merito di aver eliminato il riferimento “pletorico” allo stato di necessità che è stato sostituito

90

consegue che al di fuori delle situazioni più estreme di sfruttamento ed intimidazione esiste una zona

grigia di irregolarità che non trova risposta nella sanzione penale

422

. Alla luce di tali considerazioni,

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