5. La voce dei bambini
5.5. I sentimenti legati al proprio bilinguismo
Tra le domande poste ai bambini, alcune hanno portato i bambini a
condividere i sentimenti e gli stati d’animo che accompagnano il proprio vissuto
bilingue.
5.5.1. Parlare una lingua minoritaria
Può capitare che il bambino di seconda generazione si trovi a parlare la
propria lingua nativa davanti a persone che potrebbero non comprenderla. Due
alunni hanno affermato di approfittare di tale situazione per utilizzare la
madrelingua come una sorta di “lingua segreta”.
P. (10 anni): [preferisco parlare in madrelingua] così tante persone non mi capiscono.
(FG6/120)
R. (9 anni): a me piace, io son felice che le persone che non sanno il rumeno, perché così
quando voglio fare, voglio dire qualcosa che qualcuno mi sta insultando lo dico in rumeno
così sono felice che qualcuno è italiano così non capisce. (FG9/255)
In altre occasioni, invece, i bambini hanno riferito di sentirsi a disagio nel
parlare la propria madrelingua in presenza di italofoni. Due alunni, in particolare,
si preoccupano che in tali situazioni “gli altri” si possano sentire esclusi.
A. (9 anni): a me non piace quando parliamo in un'altra lingua e gli altri non sanno cosa
parliamo […]e poi gli altri si arrabbiano se non sanno quello che parliamo in rumeno.
(FG9/306)
C. (12 anni): una persona sta parlando in italiano, poi c'è una persona che parla la tua stessa
lingua e allora parli la tua lingua ma ti senti un po'...strano perché l'altro che ascolta non
capisce. (FG8/235)
Due bambine, invece, hanno affermato di provare vergogna nel parlare in
madrelingua davanti ai compagni di scuola.
M. (13 anni): [i compagni di scuola] mi chiedono "M. parla nella tua lingua" ma io mi
vergogno perché è un po' buffa. (FG7/384)
O. (11 anni): io parlo con N. qui a scuola e a volte...cioè poi qualcuno mi chiede di parlare un
po' e io dico di no, perché mi vergogno. (FG7/386-387)
Quando il contesto sociale è monolingue e i bambini percepiscono una scarsa
valorizzazione delle proprie lingue minoritarie, questo potrebbe condurli a
vergognarsene (Coluccia & Ferretti, 2010, p. 23; Favaro, 2012, p. 255; Moro, 2010,
p. 98). La scarsa rappresentazione del kosovaro nel contesto italiano, allora,
potrebbe aver portato M. a giudicare la propria lingua materna come “buffa”
rispetto all’italiano.
Simili stati d’animo nei bambini bilingui sono spesso correlati allo status dei
diversi idiomi: chi parla inglese o francese come prima lingua, infatti, difficilmente
ne proverà vergogna, poiché sono lingue facilmente spendibili e quindi
riconosciute nella nostra società. “Spesso il bilinguismo dei bambini stranieri viene
percepito e trattato come un deficit e non come una chance e chi pratica una lingua
«non prestigiosa» non viene considerato come un bilingue, ma valutato solo in
termini di carenza rispetto alla lingua d’uso” (Favaro, 2012, p. 256). È proprio
questo mancato riconoscimento della competenza bilingue che può generare
vergogna della propria madrelingua, mettendo a rischio l’autostima del bambino.
5.5.2. Confrontarsi con più lingue
In tutti i focus group ho chiesto ai bambini se parlare una lingua o l’altra li
facesse sentire diversamente, se mettessero in relazione degli specifici stati
d’animo ad una lingua o all’altra. La maggior parte non è riuscita a rispondere in
maniera univoca, molti hanno affermato di sentirsi allo stesso modo, mentre alcuni
hanno esternato una sensazione diversa tra il sé che parla in italiano ed il sé che
parla in madrelingua.
M. (13 anni): [parlando le diverse lingue] non mi sento uguale perché […]in casa mia cambia
tutto perché, diciamo, cominciamo a parlare però alzando il tono della voce, diventando un
pochino più...più aggressivi perché è una lingua che...che deve avere il punto giusto.
(FG7/215)
M. (13 anni): è tutto diverso perché in Italia […] si sta più calmi, si parla una conversazione
più...tipo come noi, invece lì è tutta un'altra cosa perché una persona ti parla in un modo, tipo
alzando la voce, dice le cose che, tipo se parlo in italiano lui pensa male […]io mi sento
diversa. (FG7/225-227)
M. (9 anni): cioè è come tipo una modalità: o modalità moldava o modalità italiana.
(FG9/288)
E. (9 anni): a me mi sento due persone: quando parlo moldavo mi sento, cioè mi sento una
persona moldava, invece quando parlo italiano mi sento una persona italiana […]è come che
metà del mio corpo è moldavo e l'altra è italiana. (FG10/148-150)
Alcuni bambini hanno specificato queste diverse sensazioni legate alle lingue,
affermando di provare un maggiore senso di appartenenza culturale nel momento
in cui si trovano a parlare con un connazionale nella lingua d’origine.
A. (9 anni): io [mi sento] un po' [diversa], perché mi sento un po' cioè tipo...come tipo R. mi
parla qualche volta in rumeno qua a scuola e io mi sento un po'...così come lui, con lo stesso
carattere. (FG9/281)
S. (10 anni): [preferisco parlare in madrelingua] perché da me…io parlo indiano perché è un
po' originale diciamo. (FG1/104)
M. (13 anni): la mia seconda lingua che preferisco [dopo lo spagnolo] è il kosovaro perché la
so parlare, so cosa dicono, e mi fa sentire anche quella a mio agio perché è la mia. (FG7/202)
Dalle testimonianze di questi alunni emerge la complessità dei loro sistemi
linguistici, che non rappresentano solo diversi codici di comunicazione ma che si
legano a relazioni affettive, emozioni, memorie, vissuti di vicinanza o distanza,
rappresentazioni positive o negative (Favaro, 2012, p. 259).
Queste restituzioni sono molto importanti poiché mettono in evidenza come
le lingue contribuiscano a costruire i tratti identitari del bambino. Per questo è
fondamentale che la società faciliti l’immaginario poliglotta delle seconde
generazioni, anche tramite la valorizzazione delle loro lingue d’origine (Moro,
2010, p. 87).
5.5.3. Lingue e inclusione
Ho riportato in precedenza le riflessioni dei bambini su quanto l’italiano sia
individuato come la lingua per lo studio, per cui un buon apprendimento della
stesso può portarli a raggiungere migliori risultati a livello scolastico. Il corretto
uso dell’italiano è anche il veicolo principale per vedersi inclusi nella società di
accoglienza.
A. (10 anni): a me piace l'italiano perché, perché se devo parlare in arabo non riesco, cioè
non riesco a capire cosa dire, cosa direbbero le mie amiche...e allora preferisco parlare in
italiano. (FG5/65)
Questa bambina cerca di spiegare come l’uso della lingua araba non le
permetta di comunicare con le sue amiche, che dunque si deduce siano italiane. Da
qui il desiderio di usare la lingua italiana, piuttosto che la madrelingua. Da questa
riflessione emerge la funzione relazionale che svolge il codice linguistico. Si tratta
di un aspetto approfondito dal recente studio di McLeon, Verdon e Theobald
(2015), in cui la conoscenza della lingua viene rappresentata come un fattore
discriminante nella possibilità di stringere amicizie, o comunque di comunicare in
un determinato contesto sociale.
In merito al fatto che l’apprendimento dell’italiano favorisce l’inclusione,
alcuni bambini hanno citato i loro primi ricordi nella scuola dell’infanzia. Nello
specifico, due bambine hanno ricordato la fase del silenzio che ha accompagnato i
loro primi mesi di scuola, in cui non riuscivano ancora a comunicare con i
compagni autoctoni.
A. (10anni): io [quando] sono entrata all'asilo […] ero stata zitta perché non sapevo
l'italiano. (FG5/162)
O. (11 anni): mi portavano fuori perché non capivo tanto italiano quando avevo tre anni, cioè
giocavo sempre con le foglie, le maestre mi mettevano le foglie e io continuavo a girare così.
(FG7/494)
In quest’ultimo esempio, in particolare, la bambina in questione ha ricordato
di aver trascorso spesso più tempo degli altri a giocare in giardino, e quindi di
essere stata esclusa dalle attività di sezione, poiché non sapeva ancora parlare
l’italiano. In casi come questo è fondamentale, invece, che la scuola favorisca
l’inclusione dell’alunno non italofono modificando il proprio modo di fare
didattica. La presenza di bambini venuti d’altrove nelle classi, infatti, mette in
evidenza “il problema dei limiti di una scuola che utilizza la parola come mezzo di
tutte le sue attività. […] Da questo sorge la necessità di diversificare le proposte
pedagogiche ed i modi di comunicazione che conducano a dei risultati positivi tutti
i bambini” (Messetti & Dusi, 2014, p. 5).
5.5.4. Valorizzare il bilinguismo
Dalle testimonianze dei bambini è emersa anche l’idea che essere bilingue sia
“una ricchezza e una chance, e non una condizione di minorità” (Favaro, 2012, p.
261).
R. (11 anni): io devo dire che alla fine mi piace parlare anche in italiano. Cioè sono felice di
parlare in italiano e fare la scuola in italiano. (FG2/621)
Nel corso delle conversazioni è emersa in più di un’occasione la curiosità dei
bambini rispetto alle lingue native dei compagni di scuola. Questo ha portato i
bambini a chiedere di “giocare” con le loro diverse lingue, per confrontare i modi in
cui si dicono parole o frasi nelle lingue di ciascuno.
R. (11 anni): possiamo dire nella nostra lingua come si dice "come stai"? (FG2/525)
M. (13 anni): possiamo salutarci ognuno con la sua lingua? (FG7/623)
E. (11 anni): dopo possiamo fare, tipo, tu ci dici una parola e noi la dobbiamo dire nelle
lingue che sappiamo? (FG8/297)
Parlare delle proprie lingue ha portato molto entusiasmo tra i bambini, i quali
hanno affermato, in diversi focus group, che avrebbero partecipato volentieri ad
ulteriori incontri per potersi confrontare ancora sul bilinguismo.
In letteratura si sottolinea come il plurilinguismo debba diventare un valore
fondante della scuola. Ciò si può realizzare “valorizzando il patrimonio linguistico
del quale sono portatori gli alunni stranieri per farlo diventare patrimonio
culturale della scuola” (Luise, 2009, p. 90). I focus group, in questo senso, hanno
ricavato uno spazio per valorizzare tutte lingue degli alunni all’interno del tempo
scolastico.
Nel documento
CRESCERE TRA DUE LINGUE La voce dei bambini di seconda generazione nella scuola primaria
(pagine 98-102)