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La ricerca qui presentata si propone di indagare la percezione dei bambini di

seconda generazione rispetto alle proprie competenze linguistiche e le modalità

con cui essi utilizzano gli idiomi conosciuti (cfr. capitolo 5 La voce dei bambini). Lo

spirito con cui è stata condotta permette di definirla come ricognitiva-constatativa,

poiché è mossa dall’intenzione di raccogliere informazioni utili a comprendere

maggiormente il panorama delle seconde generazioni in Italia, incrementando così

il quadro delle conoscenze su tale tematica (Mortari, 2009b, p. 52).

“Anche negli studi e nelle ricerche ad essi dedicati, troppo spesso gli

immigrati sono trattati alla stregua di destinatari passivi e non come attori sociali

in grado di interpretare un ruolo determinante” (Ambrosini & Molina, 2004, p.

164) nella propria storia ed in quella dei loro simili. Anche per questo motivo ho

deciso di intraprendere una ricerca centrata sull’ascolto della voce dell’altro. Vista

la mia futura professione, ho scelto, tra gli attori sociali, di dare voce ai bambini, a

coloro che vivono la condizione di seconda generazione nella nostra società e nelle

nostre scuole.

La pratica maggiormente auspicata per questo genere di ricerca è quella della

ricerca qualitativa, che permette al bambino di esprimere più agevolmente il

proprio pensiero e di sentirsi coinvolto in modo partecipativo. Ho deciso di

utilizzare la tecnica del focus group al fine di far sentire i bambini a proprio agio in

compagnia dei pari, ma anche affinché ne potesse emergere un confronto ricco di

punti di vista, intervistando, di volta in volta, gruppi di bambini originari di diversi

paesi del mondo.

Ogni focus group è stato condotto in maniera “informale”, una conversazione

in cui i bambini hanno liberamente espresso il proprio sentire accompagnati da

una serie di domande guida. Oltre a sollecitarli a formulare le proprie emozioni e

percezioni rispetto alle loro diverse lingue, ai bambini sono state richieste alcune

informazioni circa l’uso che fanno delle lingue da loro conosciute. Si è indagato, tra

le altre cose, se fosse presente una qualche forma di tutela della madrelingua. Le

conversazioni relative a tali argomenti sono state elaborate attraverso un’analisi

sia qualitativa sia quantitativa.

Interpellare i bambini che vivono in prima persona la condizione di discente

in una lingua diversa da quella d’origine, diviene un passaggio importante per

poter comprendere a fondo il loro punto di vista ed i bisogni da esso emergenti. In

un’ottica di ricerca-azione, lo svolgimento dei focus group ha costituito un

momento di riflessione e di metacognizione per tutti i bambini coinvolti, i quali

hanno dichiarato di non essersi mai fermati a riflettere prima sulle proprie

competenze linguistiche, nonostante queste ultime costituiscano un elemento

pervasivo della loro quotidianità e della loro crescita.

2.1. Scelta del campione

Per avviare la ricerca ho selezionato un campione di bambini prendendo

contatti con due istituti comprensivi: l’IC “Don Milani” di Sommacampagna (VR) e

l’IC “Stadio – Borgo Milano” di Verona. La scelta è ricaduta su un istituto

comprensivo di provincia e su uno di città. In questi ultimi la percentuale di alunni

non italiani è rispettivamente del 15% e del 40%. In particolare, nel contesto di

ricerca selezionato, mi sono inserita nella scuola primaria “Don Milani” di

Sommacampagna e nella scuola primaria “Uberti” del quartiere Borgo Milano di

Verona.

Ho deciso di coinvolgere solo i bambini delle classi terze, quarte e quinte,

poiché ho ritenuto che gli alunni più giovani potessero non aver raggiunto una

piena consapevolezza linguistica e che quindi con la loro partecipazione i livelli di

riflessione tra i vari gruppi sarebbero risultati troppo variabili.

Una volta ottenute le dovute autorizzazioni da parte degli istituti comprensivi

coinvolti, ho chiesto e ricevuto i dati relativi ai bambini di seconda generazione

delle classe terze, quarte e quinte delle scuole primarie coinvolte. Per rendere il

campione il più omogeneo possibile, ho selezionato solo gli alunni di seconda

generazione (G2) come li intende Rumbaut: nati e cresciuti solo in Italia. La

selezione del campione è stata possibile grazie alla collaborazione con le

insegnanti funzione strumentale per l’intercultura e con le insegnanti di italiano L2

del Cestim.

Ai genitori del campione selezionato è stata inviata una breve lettera

informativa riguardante lo svolgimento della ricerca ed un modulo di

autorizzazione per la partecipazione dei figli al focus group. A Sommacampagna

l’87,5% dei genitori coinvolti ha autorizzato i figli a partecipare, mentre a Verona

le autorizzazioni ammontavano al 62%. Ho dunque suddiviso il campione di 56

bambini in undici sottogruppi, omogenei per età ed eterogenei per provenienza,

cercando di evitare, laddove possibile, di raggruppare compagni di classe nello

stesso focus group.

2.2. Progettazione

Così come nella conduzione del lavoro in classe la preparazione della lezione

da parte dell’insegnante è fondamentale per la buona riuscita dell’attività, allo

stesso modo una rigorosa progettazione dei focus group mi ha permesso di gestire

i colloqui con successo.

La preparazione dei focus group è iniziata con la stesura della interview

guide, ossia di una serie di domande che potessero far emergere il punto di vista

dei partecipanti nel modo meno direttivo possibile. Alle domande principali, poste

in maniera aperta, ho accostato delle domande più dirette che mi permettessero di

comprendere elementi del contesto e del vissuto di ciascun bambino e che, allo

stesso tempo, hanno aiutato gli alunni a prendere confidenza gradualmente con

l’esperienza del focus group.

Per saggiare la validità della guida progettata, ho svolto un primo focus group

pilota nella scuola “Don Milani” con un gruppo di classe quarta. La prova pilota ha

permesso di validare la traccia ideata per la somministrazione dei focus group.

Durante la conduzione di questa prova pilota, inoltre, sono emerse ulteriori

domande che hanno aiutato i bambini a narrare i propri pensieri in modo più

efficace, alcune delle quali sono state successivamente inserite nella interview

Interview guide

Input: lettura del libro “Una coperta di parole” di Freya Blackwood per permettere ai

bambini di immedesimarsi e sentirsi più liberi di comunicare il proprio sentire.

- Cos’è questa coperta di parole secondo voi?

- Anche voi avete delle coperte di parole? Quali sono?

Il plurilinguismo

- Quante lingue conoscete? E quali di queste parlate?

- Quale parlate più spesso?

- Quale vi piace di più o vi fa stare meglio? Perché?

- Come vi sentite quando parlate in una lingua o in un’altra?

Uso della lingua

- Ci sono luoghi in cui possiamo usare una lingua piuttosto che un’altra, vi vengono in

mente degli esempi?

- Con le maestre, quale lingua parlate? Perché?

- Con i compagni di scuola, quale lingua parlate? Perché?

- A casa, quale lingua parlate? Perché?

- Quando siete al supermercato con le vostre mamme, che lingua parlano? Vi capita di

aiutare a tradurre in italiano?

La lingua materna

- Conoscete la parola “madrelingua”? Che cosa vuol dire?

- Ci sono luoghi in cui non potete usare la vostra lingua madre? Perché?

- I vostri genitori preferiscono che voi parliate una lingua piuttosto che un’altra? Quale?

- Siete andati all’asilo nido e/o alla scuola dell’infanzia? Quando avete sentito per la prima

volta la lingua italiana?

- Qualcuno di voi frequenta delle scuole per studiare la propria madrelingua?

- Secondo voi è più facile studiare in italiano o in madrelingua? Perché?

- Vi è piaciuto parlare di quest’argomento? Ne avevate mai parlato prima?

- Volete aggiungere qualcosa?

Al fine di non interferire con le attività scolastiche, è stato necessario

prendere accordi con le insegnanti delle scuole coinvolte e partecipare alle riunioni

collegiali di programmazione. In questo modo ho avuto modo di presentare la

ricerca al team docenti e di individuare insieme i momenti più adatti per condurre

gli alunni fuori dall’aula e somministrare i focus group.

Si è prestato attenzione anche alla scelta degli spazi. A questo proposito è

stato fondamentale l’aiuto del personale ATA che, in entrambe le scuole, è riuscito

rendere disponibili aule di piccole dimensioni, che favorissero la creazione di un

clima raccolto e tranquillo così da permettere ai bambini di vivere con serenità

questa esperienza.

2.3. Conduzione

Al fine di coinvolgere e mettere a proprio agio i partecipanti, ho deciso di

introdurre ogni focus group con la lettura dell’albo illustrato Una coperta di parole

di Freya Blackwood. In questo libro si narra la storia di una bambina emigrata in

un nuovo Paese e della sua lenta e difficile costruzione di una nuova “coperta di

parole”: oggetto simbolico che rappresenta l’apprendimento di una seconda lingua.

Il testo racconta come la tessitura della nuova coperta sia stata accompagnata da

diversi stati d’animo e da emozioni positive e negative.

Leggere Una coperta di parole all’inizio del focus group ha permesso ai

bambini di immedesimarsi con la protagonista e di sentirsi liberi di esprimere i

propri sentimenti. Tutti i bambini, inoltre, si sono dimostrati entusiasti di ascoltare

la narrazione di una storia che, oltre ad introdurre il tema oggetto di indagine, ha

contribuito a creare un clima sereno e disteso.

C. (12 anni): è come noi che arriviamo da un altro paese, arriviamo in Italia, e non sappiamo

parlare ma poco a poco cominciamo a parlare .

M. (10 anni): e creiamo come due coperte come dice la storia. (FG8/60-61)

I focus group hanno avuto una durata variabile tra i 27 ed i 52 minuti, a

seconda della numerosità del gruppo e della presenza di partecipanti più o meno

loquaci. In alcuni casi è stato difficile gestire gli scambi comunicativi a causa della

presenza di bambini iperattivi che faticavano a mantenere la concentrazione

sull’argomento di discussione. In particolare, avendo scelto di far partecipare due

bambini con certificazioni di handicap

7

in assenza dell’insegnante di sostegno, con

l’intento di lasciare loro il giusto spazio e sentirsi disinibiti al pari dei compagni,

7

Hanno partecipato un alunno ed un’alunna con lieve ritardo mentale, rispettivamente al quarto ed al sesto focus group.

ero consapevole che questo avrebbe potuto rendere più complessa la gestione di

tali focus group. Anche se non è stato facile gestire il comportamento dei bambini

più iperattivi, è stato importante coinvolgerli tutti indistintamente ed ottenere di

conseguenza una maggiore varietà di punti di vista e di contributi preziosi per la

discussione.

Un buon moderatore di focus group, secondo Oprandi (2000, pp. 37-38),

dovrebbe incoraggiare i partecipanti ad interagire tra loro intervenendo il meno

possibile, dimostrarsi genuinamente interessato a capire, avere rispetto dei

partecipanti, saperli ascoltare e mantenere la discussione centrata sul focus. Nella

conduzione dei focus group ho prestato molta attenzione a queste linee guida,

anche se nel condurre un gruppo di bambini è necessario intervenire spesso per

gestire i turni di parola e per chiedere ai partecipanti di riformulare il proprio

pensiero laddove il significato della risposta non sia completamente chiaro.

Mortari (2009b, p. 61) descrive la figura del moderatore/ricercatore come

uno strumento etico di ricerca, in quanto, nella dimensione relazionale che

caratterizza il suo lavoro, dovrebbe assumere l’atteggiamento di essere-per-l’altro,

nell’ottica dell’etica della cura. Questa concezione presuppone che il ricercatore

svolga prima di tutto un lavoro su di sé. In particolare, Mortari descrive la pratica

etica della cura come l’attualizzazione, per il ricercatore, di alcune direzionalità

etiche e di precisi modi di essere nella relazione. In particolare, le direzionalità

etiche della cura descritte da Mortari si concretizzano nell’avere rispetto, sentirsi

responsabili, procurare condizioni che migliorino la qualità dell’esperienza ed

essere capaci di una logica donativa nei confronti delle persone con cui si entra in

relazione. Secondo il paradigma della cura elaborato da Mortari, i modi etici

dell’essere in ricerca sono la ricettività, la responsività, l’attenzione, la non

intrusività ed il saper incarnare la tensione donativa (2009b, p. 62).

L’attenzione all’altro è postura da assumere in qualunque azione di ricerca.

Tuttavia quando, come nel caso di questa ricerca, si viene a contatto con persone di

altre culture, a maggior ragione “è necessario […] imparare a de-centrarsi” (Moro,

2000, p. 32). Il ruolo del ricercatore si concretizza nel tralasciare i propri

pregiudizi e preconcetti e costruire così un nuovo modo di sentire, accettando

l’idea che il sapere dell’altro è una realtà di cui essere curiosi che può arricchire il

nostro sguardo sul mondo.

2.4. L’analisi quantitativa e qualitativa dei dati

I focus group sono stati registrati e sbobinati integralmente, al fine di

ottenere una traccia il più possibile accurata dello svolgimento della conversazione

(cfr. Allegato 2). Alla trascrizione integrale delle conversazioni, è seguita

un’elaborazione dei risultati di tipo quantitativo, tramite un’analisi delle frequenze,

ed un’elaborazione qualitativa sulla content analysis che ha portato alla creazione

di un coding system.

2.4.1. L’analisi delle frequenze

Oltre ai dati anagrafici dei bambini già in mio possesso, l’attenta lettura delle

interviste sbobinate ha permesso di estrapolare alcuni dati quantitativi. In

particolare, ho lavorato su brani conversazionali aventi per oggetto la lingua

parlata più spesso dai bambini durante la giornata, la presenza di una lingua

preferita, la lingua parlata in casa e l’eventuale frequenza di lezioni per imparare

e/o mantenere la madrelingua.

Ho raccolto tali dati effettuando un’analisi delle frequenze. Fare l’analisi delle

frequenze significa “riportare gli elementi facenti parte del contesto esaminato”

(Mantovani, 1998, p. 231). Questa mi ha permesso di leggere le percentuali delle

risposte sull’intero campione di bambini. In particolare, ho analizzato le frequenze

assolute, ossia le percentuali concernenti l’intero campione di ricerca, e le

frequenze relative, riferite a gruppi di bambini suddivisi in base alle loro aree

geografiche d’origine. Questo ulteriore piano di lettura mi ha permesso di

osservare alcune differenze tra le diverse comunità straniere presenti sul territorio

veronese e rappresentate nel campione di ricerca.

2.4.2. Il coding system

La ricerca qualitativa rappresenta la parte centrale del percorso svolto ed ha

richiesto un lungo lavoro di analisi, a partire dalla lettura ripetuta delle

conversazioni sbobinate integralmente.

Dopo un’attenta lettura dei focus group svolti con i bambini, ho selezionato

197 unità significative di descrizione, ossia dei “segmenti di testo che

contribuiscono alla conoscenza del fenomeno indagato” (Mortari, 2007, p. 50), e

che quindi mi permettessero di leggere, comprendere e rappresentare il punto di

vista dei bambini. A ciascuna delle frasi estrapolate ho accostato una descrizione

sintetica di quanto emerso, che potesse aiutarmi ad orientare il mio punto di vista

in accordo con quello dei bambini.

A ciascuna frase è stata assegnata un’etichetta (label), ossia “un’enunciazione

fedele al contenuto dell’unità di testo di partenza, che ne dice la qualità essenziale

senza aggiungervi nulla e senza operare interpretazioni” (Mortari, 2007, p. 51). Le

etichette sono state, poi, raggruppate dando origine a macro-categorie che

nominavano gli aspetti emergenti. La creazione del coding system mi ha permesso

di organizzare le idee emerse dalle interviste con i bambini e di lasciare traccia

della mia azione ermeneutica del loro pensiero a partire dalle frasi fedelmente

trascritte (cfr. Allegato 3).

La selezione e l’etichettatura delle parti significative è stata condotta senza

un confronto diretto con altri ricercatori. Credo che questo elemento possa

costituire un limite della mia ricerca, in quanto uno sguardo multiplo sulle

restituzioni dei bambini avrebbe potuto individuare diverse sfaccettature e

validare l’azione di analisi. Tuttavia, avendo condotto in prima persona i focus

group, mi ha permesso un certo grado di fedeltà alle frasi dei bambini, in quanto la

mia mente nella lettura dei testi evocava il linguaggio non verbale che

accompagnava le restituzioni dei bambini, contestualizzandole in modo più

preciso.