1. La metodologia della ricerca in educazione
1.2. La ricerca qualitativa
La ricerca qualitativa non viene utilizzata per capire il “quanto” e il “dove”,
ma piuttosto il “come” ed il “perché” di una determinata tematica indagata. I
risultati di una ricerca qualitativa, all’interno delle scienze umane, assumono un
valore fondamentale al fine di comprendere i fenomeni sociali dal punto di vista
degli individui che compongono la società.
Fra le tecniche di indagine della ricerca qualitativa troviamo le interviste, i
focus group, i brainstorming, le ricerche etnografiche, la ricerca-azione, i role-play
e gli studi di caso (Semeraro, 2011, pp. 102-103).
La ricerca naturalistica di cui parla Mortari, utilizza primariamente strumenti
di ricerca di tipo qualitativo poiché sono più efficienti nel cogliere l’essenza
dell’esperienza umana così come essa avviene all’interno dei contesti naturali. La
prospettiva naturalistica, infatti, si basa sull’idea che l’essere umano è immerso in
un mondo costituito da significati, la cui comprensione non è garantita da un
processo di quantificazione, ma richiede la messa in atto di un processo di
interpretazione (Mortari, 2007).
Al ricercatore, nell’assetto qualitativo, è richiesto di seguire alcune azioni
epistemiche: il coinvolgimento prolungato nel contesto con il fine di esercitare la
capacità di osservare, l’attivazione di diverse tecniche e fonti nella raccolta dei dati
ed il confronto con altri professionisti della ricerca (Mortari, 2007).
Una volta terminata la ricerca sul campo, è il momento di “sbobinare”
integralmente quanto avvenuto e di iniziare ad analizzare i dati ottenuti. Per
quanto riguarda l’elaborazione dei risultati delle ricerche qualitative, “il vero
problema è quello dell’interpretazione” (Mantovani, 1998, p. 68). Per questo
motivo, il ricercatore deve compiere un grosso lavoro su di sé, assumendo “una
durevole e intensa posizione di ascolto dei testi” (Mortari, 2010, p. 23). Egli deve
lasciare che emerga quanto riportato dai soggetti coinvolti evitando di farsi
condizionare dai propri preconcetti e dalle categorie precostituite. “L’unica cosa
concessa è tenersi immersi nel desiderio di pervenire ad un sapere vero” (ivi, p.
24).
La content analysis è una tecnica di ricerca che si presta a semplificare il
lavoro di interpretazione dei dati qualitativi. Lo scopo della content analysis è la
costruzione di un modello per descrivere un fenomeno in forma concettuale.
Grazie ad essa, infatti, una grande quantità di documenti può essere
ridimensionata a una forma di rappresentazione più ridotta e gestibile. Inoltre, le
informazioni qualitative possono essere trasformate in informazioni quantitative
sotto forma di categorie di frequenza o di giudizi (Elo & Kyngäs, 2007, p.108).
Una delle caratteristiche della content analysis è la capacità di portare alla
luce i contenuti di un testo che potrebbero sfuggire ad una prima lettura. Può
inoltre analizzare efficacemente fenomeni ad alta complessità, come quelli legati al
parlato e alla riflessione nei contesti educativi, i quali presentano comunemente
sfumature complesse da cogliere ed analizzare, se non suddivise nei diversi
elementi che le compongono (Elo & Kyngäs, 2007, p.114).
1.2.1. La ricerca con i bambini
Nel campo della ricerca pedagogica per lungo tempo si è parlato di “ricerca
sui bambini”, poiché questi ultimi venivano considerati come oggetto d’indagine da
parte degli adulti, senza che venisse tenuto in considerazione anche il loro punto di
vista. Al tempo stesso, l’unica ricerca ritenuta scientificamente valida era quella di
tipo quantitativo, associata al metodo sperimentale e a procedure standardizzate
ritenute più attendibili di quelle di tipo qualitativo (Mortari, 2009b, p. 5).
La sempre maggiore attenzione al punto di vista dei bambini – che dall’inizio
del Novecento assume un’importanza crescente anche in pedagogia con gli studi di
Piaget (1923) e di Vygotskij (1926) –ha portato al loro riconoscimento come attori
del proprio vissuto, produttori di significati e detentori di diritti (Mortari, 2009b, p.
6). Oggi si parla di ricerca “con i bambini” poiché ad essi viene riconosciuto un
ruolo attivo. La ricerca con i bambini, che assume un assetto prevalentemente
qualitativo, prevede l’effettivo coinvolgimento degli stessi nel processo epistemico,
poiché si è guidati dall’intento di realizzare una children-centred research, ossia
una ricerca che ponga i bambini al centro del suo interesse (Mortari, 2009b, p. 7).
La ricerca qualitativa con i bambini può svolgersi mediante l’utilizzo di
diverse tecniche di indagine (Mortari, 2009b, pp. 19-29), riportate qui di seguito.
o L’intervista/il focus group: caratterizzata da domande aperte, può avvenire
con un singolo bambino o in gruppo (focus group). Al ricercatore viene
chiesto di porre molta attenzione alla formulazione delle domande, affinché
queste non costringano il pensiero del bambino in una direzione predefinita,
ed al linguaggio, che deve essere comprensibile per gli intervistati;
o L’osservazione partecipante: consente al ricercatore di acquisire conoscenza
dei modi verbali e fisici attraverso i quali i bambini costruiscono il loro spazio
sociale, analizzando in particolare le loro interazioni, i giochi, le
conversazioni, i comportamenti e le routine. L’osservazione partecipante
consente al ricercatore di rivolgere lo sguardo verso le azioni compiute dai
bambini nel momento stesso in cui accadono;
o Gli strumenti mediali: la registrazione audio o video rende disponibile il
materiale di prima mano per potervi ritornare ripetutamente per
un’interpretazione più approfondita e fedele del fenomeno. È importante che
gli strumenti mediali disturbino il meno possibile i soggetti coinvolti;
o Le tecniche ludiche: con esse si intendono disegni, foto, storie o musiche da
commentare. È necessario soprattutto predisporre materiali piacevoli ed
esteticamente curati;
o La narrazione: attraverso il racconto, i bambini rendono il ricercatore
partecipe dei loro mondi vitali, delle reti di significati dentro cui si muovono,
dei loro pensieri e dei loro sentimenti. È bene fare attenzione affinché i
bambini non si sentano sollecitati a parlare di elementi del loro vissuto che
dovrebbero rimanere tutelati, in quanto il ricercatore deve costruire un
ambiente emotivamente sicuro;
o La tecnica clinica piagetiana: consiste nel parlare col soggetto senza uno
schema prefissato, declinando il proprio intervento sulla base delle risposte
che il bambino fornisce e conducendolo dolcemente verso le zone critiche,
ossia quelle che consentono di indagare le questioni che il ricercatore ritiene
essenziali. La tecnica clinica è un’alternanza fra una situazione naturale ed
una guidata a favorire la messa in atto di determinati comportamenti;
o Le tecniche multiple (mosaic approach): consistono nell’integrazione tra le
tecniche verbali e quelle visuali.
Secondo Mortari, “il compito primo di un ricercatore che opera con i bambini
è quello di offrire buone esperienze educative, dalle quali essi possano
apprendere” (2009b, p.11). Qualunque sia la tecnica scelta per intraprendere una
ricerca con i bambini, dunque, è importante che essa si configuri prima di tutto
come un momento arricchente per coloro che ne sono coinvolti.
Nel documento
CRESCERE TRA DUE LINGUE La voce dei bambini di seconda generazione nella scuola primaria
(pagine 60-64)