Riferimenti bibliografici
2. I servizi e la professione
I flussi migratori di questi quarant’anni hanno fatto emergere nuovi e dif-ferenti bisogni ed i servizi di welfare sono apparsi impreparati a organizzare un sistema di risposte adeguate alla nuova realtà. Al contempo, un ulteriore elemento di complessità è dato dalle regole di accesso al sistema di welfare che è condizionato dallo status giuridico dei cittadini stranieri: in base alla tipologia di permesso di soggiorno è possibile ottenere o viceversa non poter accedere alle opportunità offerte (si pensi, a titolo esemplificativo, ad alcune prestazioni previdenziali).
Secondo i dati Istat 2019, in Italia sono residenti più di cinque milioni di stranieri, pari all’8,7% della popolazione, quindi un numero significativo di cittadini che oltre a contribuire al PIL nazionale accedono al sistema dei ser-vizi di welfare. Come indicato da Barberis e Boccagni (2017, p. 29), «non abbiamo dati nazionali chiari, ma alcuni studi locali ci dicono che i servizi sociali sono noti e utilizzati in qualche forma da almeno un terzo degli im-migrati».
Le normative nazionali e le indicazioni europee hanno delineato una forte responsabilità del livello locale, provocando disomogeneità territoriali nel sistema di welfare.
riferimento al fatto che con la riforma del Titolo V della Costituzione, le Regioni hanno acquisito piena competenza legislativa in ambito socio-assi-stenziale rafforzato il ruolo nella programmazione delle policy per l’integra-zione delle persone di origine straniera. Parallelamente, con l’affermarsi del sistema di governance multilivello, come strumento di policy per la realizza-zione e implementarealizza-zione delle strategie comunitarie, i livelli locali hanno sempre più incidenza.
Secondo il TU di nostro interesse, le competenze in materia di politica per gli immigrati vedono un’architettura a piramide: dal livello centrale, che definisce le linee di indirizzo e le risorse finanziarie, alle Regioni, che hanno la responsabilità della programmazione, agli enti locali che realizzano i pro-grammi. Ma la piramide non è l’unica forma, poiché esistono materie di esclusiva competenza dei Comuni che, di conseguenza, si rapportano diret-tamente con il livello centrale, come ad esempio per il sistema asilo Siproimi.
Vi sono poi le risorse finanziarie messe a disposizione degli Stati membri dalla Commissione Europea: nel settennio di programmazione 2014–2020 è stato istruito il Fondo Asilo Migrazione Integrazione (Fami) gestito dal Mi-nistero dell’Interno, che attraverso un complesso processo di concertazione ha strutturato il Programma Nazionale fissando obiettivi e azioni. La strate-gia prevista per la realizzazione del Programma è multisettoriale, multilivello relativamente agli attori istituzionali e multistakeholders. Anche in questo ambito si rinforza la centralità del livello locale che attraverso l’accesso ai fondi può implementare programmi e opportunità nei singoli territori. L’at-tivismo degli Enti locali, e degli attori istituzionali nel loro complesso, ma anche del terzo settore impegnato nel lavoro a favore dei migranti, può fare la differenza.
Per sintetizzare, possiamo rifarci a quanto già affermato da Barberis (2009) e tuttora valido circa il fatto che
non esistono tipi di servizi o interventi che possiamo definire uniformemente diffusi sul territorio nazionale, è chiara l’evidenza di una forte frammentazione nell’ac-cesso ai servizi in gran parte dipendenti dall’agenda politica locale e dai rapporti fra amministrazione pubblica e terzo settore. Questo è l’effetto complessivo dell’assenza di normazione prima e del tipo di normazione nazionale in materia migratoria (Barberis, 2009, p.238).
Passando ora all’organizzazione dei servizi, un tema ancora oggi presente nel dibattito riguarda l’interrogativo se siano più adeguati servizi dedicati agli immigrati o se sia preferibile l’accesso di questi ultimi ai servizi generali cui accedono italiani e stranieri. La questione era già stata chiaramente espo-sta un decennio fa da Ponzo e Zincone (2010) in questi termini:
Guardando alle dinamiche in atto si nota che, dopo un primo periodo durante il quale si è cercato di rispondere ai bisogni istituendo servizi dedicati agli immigrati, negli ultimi anni prevale la tendenza a favorire servizi rivolti alla totalità della po-polazione. Per contro, si registra talvolta la volontà di reintrodurre misure specifiche, poiché i servizi generali si rilevano talvolta poco preparati per trattare l’utenza im-migrata (Ponzo e Zincone, 2010, p. 11).
Va evidenziato che la questione sulla dicotomia fra polivalenza e specia-lizzazione riguarda anche altri ambiti di competenza dei servizi territoriali, senza che sulla stessa sia aperta un’organica riflessione sostenuta da evi-denze sui risultati di un modello piuttosto che dell’altro. Non si tratta sem-plicemente di schierarsi con l’una o l’altra posizione, cosa che avrebbe un effetto semplificatorio e riduttivo della complessità, bensì di porsi interroga-tivi a riguardo, e produrre ricerche e analisi che forniscano elementi utili ad indirizzare i servizi.
Entrando ora nel merito delle questioni professionali, si può rilevare che, all’interno del quadro delineato in termini di frammentarietà normativa e or-ganizzativa, le/gli assistenti sociali sono stati e sono chiamati ad affrontare una realtà poliedrica (Pattaro e Nigris, 2018) e resa ancora più complessa da quanto è ben illustrato da Barberis e Boccagni (2017):
Il tema dell’immigrazione sconta un’elevata politicizzazione e un limitato prag-matismo. Questo comporta una pressione enorme – e anche indebita se vogliamo – sugli operatori che si trovano a gestire quotidianamente l’utenza immigrata (Bocca-gni, 2017, p. 30).
Solo a titolo esemplificativo, si propone una riflessione sulla complessità del lavoro con le famiglie immigrate.
Soffermandoci in particolare sui compiti attribuiti al servizio sociale nei fronti della genitorialità, rinveniamo una serie di elementi di complessità che con-trassegnano il processo d’aiuto, sin dalla fase conoscitiva per espandersi poi in quella valutativa e di realizzazione dell’intervento di sostegno/controllo. […] La necessità è quella di comprendere – di fronte alla famiglia migrante che palesa criticità nell’esercizio delle funzioni genitoriali – l’intreccio delle molteplici variabili di na-tura personale, sociale e culna-turale che incidono nel percorso di inserimento: risorse e difficoltà di ogni membro, funzionamento familiare, capacità di trovare e accettare aiuti, oltre che caratteristiche di accoglienza o di ostilità del contesto» (Dellavalle, 2012, p. 75).
È in questo contesto, ricco di luci e di ombre, che i professionisti fronteg-giano le sfide poste dalle società multiculturali, che vivono la tensione tra il bisogno di aggiornamento e il tentativo di adattare i loro modelli ordinari alle
esigenze specifiche di utenti con una cultura differente dalla propria, da un lato, e la sensazione di non avere sempre le competenze e i mezzi adeguati per farvi fronte, dall’altro (Di Rosa, 2017). A quest’ultimo proposito, va evi-denziata la fragilità sul piano della formazione di base, delle elaborazioni metodologiche e della ricerca sull’azione professionale. Nonostante l’espe-rienza maturata in questi decenni, gli assistenti sociali non sembrano aver accumulato competenze specifiche nel lavoro con società multietniche (Pat-taro e Nigris, op. cit.), e questo chiama in causa la formazione universitaria, ma anche quella continua. Troppo spesso le proposte formative agli assistenti sociali sono per lo più orientate ad approfondire il fenomeno dal punto di vista sociologico e giuridico, mentre occorrerebbe ampliare la riflessione agli aspetti socio-antropologici e metodologici.