Riferimenti bibliografici
3. Istituzioni e assistenti sociali in cerca di risposte
3.2. Le risposte degli assistenti sociali: lavorare con le per-
per-sone
All’interno del quadro sopra descritto si è collocato l’intervento dei fessionisti, con la necessità di ri-pensare e (spesso) velocemente agire il pro-prio lavoro nei servizi con modalità inedite, cercando di dare risposte, come si è visto, a bisogni “vecchi” e “nuovi” (Biraghi, Gabrieli e Okely, 2020).
Forse per questo motivo la domanda in cui si chiedeva agli assistenti so-ciali di descrivere una buona pratica apre un ventaglio praticamente inesau-ribile di possibili risposte; ed in effetti, anche tenendo in conto l’alto numero dei rispondenti, si può osservare una varietà molto ampia di pratiche, ricon-ducibile però ad alcune focalizzazioni, che verranno di seguito utilizzate per cercare di sintetizzare il materiale raccolto. Va premesso che – in alcuni am-biti più che in altri – la descrizione di prassi effettivamente realizzate si al-terna ad indicazioni che sembrano più dei “desiderata”: pratiche che l’inter-vistato vorrebbe fossero realizzate, e che ritiene sarebbero utili nel proprio e in altri contesti lavorativi.
Il primo focus è quello specifico sulle famiglie e i minori, utenti già co-nosciuti o cittadini del territorio in cui gli assistenti sociali lavorano, che mai in precedenza si erano rivolti ai servizi; si tratta dell’ambito a cui si indirizza il maggior numero di risposte, anche se forse meno di quante se ne potessero attendere (poco più della metà del totale dei rispondenti). Un’altra particola-rità – considerato quanto descritto nel paragrafo precedente – consiste nella scarsissima rilevanza quantitativa delle buone prassi connesse a bisogni eco-nomici: vengono più che descritte nominate una serie di misure, volte a ga-rantire l’erogazione di beni di prima necessità, pagamenti di bollette, pacchi viveri, buoni spesa, oppure a fornire agli studenti strumenti per la didattica a distanza. A fronte del fortissimo risalto attribuito ai bisogni economici, le “risposte”, messe in campo a livello nazionale e/o locale vengono cioè sola-mente in pochi casi considerate, dagli intervistati, delle buone prassi da se-gnalare.
Questa discrasia si presta a diverse interpretazioni; da un lato infatti le prime risposte messe in campo dal Governo, in particolare con il Decreto Cura Italia, hanno riguardato essenzialmente sostegni economici, diretti o indiretti; dall’altro forse, come rileva un assistente sociale, per una scelta di
dedicare più tempo al dialogo con le persone che all’erogazione di prestazioni o sus-sidi perché c’è molta ansia e paura collettiva.
Una mole decisamente più consistente di segnalazioni coinvolge com-plessivamente una serie di prassi/iniziative/attività rivolte a famiglie e
minori, con particolare attenzione alle situazioni maggiormente seguite dai servizi (fragilità familiari, separazioni, collocamento dei minori fuori fami-glia); si tratta sia di “vecchi strumenti”, promossi con nuove modalità, sia di nuove iniziative. Molte delle prassi segnalate pongono al centro dell’atten-zione i minori, con un interesse potremmo dire a 360 gradi. Troviamo dunque una serie di proposte volte innanzi tutto a impegnare le loro giornate; ad esempio predisponendo, anche con la collaborazione di altre figure profes-sionali e/o servizi comunali, strumenti di vario tipo (video, podcast, blog “chiusi” riservati agli utenti seguiti) per suggerire ai genitori attività da rea-lizzare e giochi da costruire con i propri figli. C’è qui chi si è organizzato per
aiutare i genitori nella gestione di bambini attraverso il regalo di una scatola, conte-nente giochi e attività, che i genitori possono fare con i bambini, che viene conse-gnata settimanalmente dai volontari;
chi ha inventato
un gioco “Corona game”, per cui due volte alla settimana mandiamo alle famiglie una proposta di attività da fare con i bambini e poi ci mandano le foto;
chi infine ha elaborato
una proposta di attività di utilità sociale a distanza: lettura di favole per bambini da parte di adolescenti.
Troviamo poi interventi volti a sostenere i minori nella didattica online, dai «servizi di supporto educativo scolastico in streaming» all’utilizzo di una app volta a supportare, attraverso la creazione di gruppi di studio, i minori che pre-sentavano difficoltà nel seguire la didattica a distanza. Altri si sono invece mossi per costruire collaborazioni con gli insegnanti e i genitori per supportare i nuclei più in difficoltà nella stampa del materiale didattico, all’organizza-zione di servizi di doposcuola online. Accanto a questi, si possono rintracciare diverse sperimentazioni volte a trasferire in modalità remoto, utilizzando delle videochiamate, i servizi di educativa domiciliare e le attività dei centri diurni,
per presidiare il nucleo e non sganciare i minori dal contesto socio-relazionale che frequentavano fino a poco tempo fa.
Una situazione del tutto particolare, come si è visto in precedenza, è quella dei minori ospiti delle comunità, in cui gli operatori hanno cercato di aiutarli ad organizzare i tempi
definendo una giornata tipo e facendo collaborare i minori nella preparazione dei pasti e nella pulizia degli spazi propri e collettivi
e organizzando attività di gruppo. Un’esperienza singolare è quella di una comunità per minori e giovani, in cui
un’équipe di quattro operatori ha scelto di vivere stabilmente in struttura per condivi-dere la limitazione della libertà con gli ospiti e, evitando le turnazioni, limitare i contatti con l’esterno proteggendo ospiti e operatori. La convivenza ha avvicinato i ragazzi agli educatori ed il clima complessivo è decisamente collaborativo e positivo.
Un’altra tipologia di interventi è stata rivolta più direttamente a sostenere la genitorialità, con colloqui sociali e psicologici effettuati in modalità re-mota, ma anche immaginando la realizzazione di
un gruppo di auto-mutuo-aiuto genitoriale così strutturato: incontro svolto alla pre-senza dell’assistente sociale tramite strumenti di comunicazione e chat online (skype fino a 50 partecipanti), a cadenza almeno settimanale di un’ora e mezza.
Gruppi di sostegno e confronto attraverso l’utilizzo di piattaforme da re-moto vengono segnalati anche a favore delle famiglie affidatarie, in qualche caso affiancati da una newsletter settimanale, volta a condividere
informazioni sul diverso funzionamento del servizio in questo periodo, sulle novità che inte-ressano le famiglie (INPS, ammortizzatori sociali, voucher), apertura o chiusura degli uffici, soluzioni condivise ai problemi, ecc.
Un altro gruppo di buone prassi riguarda la relazione genitori-figli, nelle situazioni di separazione/divorzio conflittuale e quando i minori sono collo-cati fuori famiglia: in diversi contesti si sono cercate soluzioni per garantire la continuità delle relazioni e il diritto di visita, attraverso «videochiamate protette», «incontri protetti via skype», ed in alcuni casi favorendo tra geni-tori e figli scambi di foto e lettere.
Oltre alle molteplici attività sopra descritte, è interessante notare come un numero considerevole di intervistati abbia indicato elementi inerenti alla rela-zione tra cittadino-utente e assistente sociale, “letta” in entrambe le direzioni. Dal punto di vista dei minori e delle famiglie, vengono segnalate le diverse modalità attraverso le quali ci si è organizzati come singoli per essere reperibili telefonicamente oppure indicando come i servizi siano riusciti a creare appo-site linee, numeri verdi, call center, anche con funzionamento nelle 24 ore. Un particolare rilievo viene però attribuito anche al “movimento”, potremmo dire, che l’assistente sociale fa verso i nuclei familiari: da chi ha cercato
di contattare io in modo proattivo tutti gli utenti in carico, non aspettando che fossero loro a contattarmi solo laddove si verificasse un problema,
a chi si è organizzato creando «una lista dei fragili che vengono chiamati ogni giorno», o comunque calendarizzando, dandosi delle scadenze al mas-simo settimanali per chiamare o videochiamare, a seconda dei casi, i genitori e/o i minori.
L’obiettivo qui non è più – come nei casi descritti in precedenza – di ga-rantire comunque dei servizi che si è visto essere fondamentali, soprattutto nelle situazioni di maggior fragilità; l’obiettivo, il focus è la relazione stessa, declinata in entrambi gli aspetti, spesso co-presenti, di sostegno e di controllo (Bertotti, 2012). E dunque troviamo evidenziata l’importanza e l’utilità di mantenere la relazione con le famiglie, non lasciandole sole ma anche fa-cendo sì che non si sentano «dimenticate», per «mantenere l’aggancio e la fiducia» ma anche per sostenerle e contenere le crisi; di «parlare con i minori di quello che sta accadendo», di
non trascurare la relazione d’aiuto poiché anche solo un contatto telefonico può aiu-tare l’utenza a superare la sensazione di solitudine.
Sul versante del controllo, gli assistenti sociali si sono mossi per monito-rare almeno telefonicamente le situazioni più a rischio; complessivamente però, l’immagine che emerge più nitidamente è di relazioni professionali che in molti casi hanno acquistato in empatia, anche perché, osserva un intervi-stato,
mantenere un contatto telefonico sulle situazioni in carico può essere l’occasione di mostrare un lato più umano chiedendo “come sta?” senza che per forza si debba co-municare qualche cosa (lavoro in un servizio di tutela minori, le persone percepiscono principalmente il ruolo di controllo dell’assistente sociale). In tante chiamate le per-sone si sono sentire libere di esprimersi e hanno raccontato qualcosa in più di sé stesse.
Al centro della relazione si posiziona dunque l’ascolto, fondamentale per le persone che ne sono «assetate», e che
in questa fase (in cui anche le decisioni dei Tribunali sembrano in parte congelate) sortisce un effetto di coinvolgimento e di pacificazione.