Riferimenti bibliografici
3. Istituzioni e assistenti sociali in cerca di risposte
3.3. Le risposte degli assistenti sociali: lavorare per le per-
per-sone
Sin qui, in estrema sintesi, abbiamo ripercorso le buone prassi riferite da-gli intervistati con il focus sulla relazione e suda-gli interventi/attività a favore di minori e famiglie. Come anticipato in precedenza, molti assistenti sociali hanno evidenziato – accanto o in alternativa a queste – elementi che hanno il
focus su altre dimensioni.
Una prima dimensione evidenziata è quella organizzativa, all’interno della quale troviamo sia aspetti inerenti all’organizzazione del lavoro a li-vello macro, sia modalità operative utilizzate dagli assistenti sociali per me-glio esercitare la pratica quotidiana. Nel primo caso, molti indicano come positivo lo smartworking e l’organizzazione del lavoro in presenza attraverso la turnazione degli operatori, la creazione di un segretariato sociale telefo-nico, una riorganizzazione/rimodulazione complessiva del lavoro, ed un rap-porto più diretto tra dirigenza ed operatori, in alcuni casi anche attraverso la creazione di «unità di crisi con compiti assegnati» o «équipe di regia». A livello generale viene anche segnalata l’utilità di «snellire la parte burocra-tica», in qualche caso forse come auspicio, in altri come prassi effettivamente realizzata, in particolare nei rapporti con il Tribunale per i Minorenni (TM), attraverso la realizzazione di indagini semplificate e udienze in videochia-mata, «per non paralizzare l’attività in corso». Interessante anche la segnala-zione relativa ad un ambito territoriale che ha deciso di elaborare
un “protocollo emergenza Covid” nel caso fosse richiesto dal TM di mettere in pro-tezione un minore.
Altre prassi indicate hanno a che vedere con aspetti complessivi di orga-nizzazione del singolo operatore, dall’ottimizzazione dei tempi di lavoro ad una attenzione a individuare e/o rivedere le priorità, sospendendo gli inter-venti non necessari/limitando il lavoro alle urgenze, oppure per qualcuno ap-profittare di un maggior tempo disponibile per i mancati accessi degli utenti «per riordinare il lavoro arretrato». In altri casi, gli intervistati entrano mag-giormente nel dettaglio, indicando l’utilità di costruire alcuni strumenti ope-rativi, quali cartelle condivise ed elenchi di utenti, sia per calendarizzare i contatti
così si riesce a sentirli tutti con più frequenza, senza dimenticarsi nessuna situazione,
tramite un’analisi effettuata in un periodo non emergenziale, un elenco dei nuclei fragili o multiproblematici che possa essere consultato ad ogni tipo di emergenza (sanitaria oppure terremoto oppure rischio alluvione, ecc.);
con uno sguardo quindi che superi l’emergenza attuale per guardare oltre. L’ultimo aspetto che attiene all’organizzazione, intesa come struttura or-ganizzativa piuttosto che come strumento/processo (Zilianti, 2013), riguarda la prevenzione e tutela della salute dei lavoratori/professionisti impegnati, sia con accenni in senso generale al tema sia con riferimenti agli strumenti specifici (Dispositivi di Protezione Individuale, plexiglass per i colloqui), in diversi casi per segnalarne l’assenza. È interessante rilevare che questo tipo di richiami riguarda un numero molto scarso di intervistati; ciò potrebbe es-sere legato non tanto ad un disinteresse per tale aspetto, quanto alla tipologia di domanda (la richiesta di indicare buone pratiche può forse essere interpre-tata più frequentemente come qualcosa che l’interessato e/o i colleghi hanno messo in atto), e al ritenere tali aspetti più come un prerequisito per operare, la cui predisposizione spetta giustamente ad altri – l’organizzazione per cui si lavora – piuttosto che all’assistente sociale in prima persona.
Un altro ambito di focalizzazione, richiamato da circa un quarto degli in-tervistati, evidenzia come buone prassi tutte quelle che hanno a che vedere con i processi di collaborazione/coordinamento/costruzione di reti, sia con altri professionisti sia più in generale con altri servizi e attori operanti nel territorio, in molti casi indicando processi di valorizzazione/ridefinizione/ ampliamento di reti già presenti. Qui troviamo segnalati in moltissimi casi attori con i quali usualmente i servizi sociali si mettono in rete, dai servizi socio-sanitari pubblici agli enti del terzo settore, ai servizi educativi e scola-stici. In altri casi troviamo segnalata l’utilità di nuove o più strette collabo-razioni, quali ad esempio con i supermercati, e soprattutto di collegamenti specifici in contesti emergenziali, ovvero con la Protezione Civile e i Centri Operativi Comunali (Coc); in particolare per questi ultimi, in due casi la ri-sposta evidenzia esplicitamente la collaborazione del servizio sociale al Coc territoriale. Alcuni segnalano poi iniziative specifiche, quali la
costituzione di una conferenza online periodica tra Procura per i Minorenni, Tribu-nale per i Minorenni, comunità per minori, Ats, Regione, Unità di crisi della Re-gione, Garante Regionale Infanzia per affrontare l’emergenza,
o l’attivazione di
un gruppo composto da 12 operatori “operatori di resilienza”, la rete composta da assistenti sociali, educatori professionali e insegnanti ha l’obiettivo di tenerci con-nessi tra noi e di mantenere il legame con le famiglie (gruppi, associazioni familiari,
genitori singoli) con le quali lavoriamo nei centri per le famiglie e nelle ludoteche. L’obiettivo è promuovere la resilienza degli adulti affinché loro stessi possano essere capaci di insegnare la resilienza ai loro figli.
Particolarmente interessanti appaiono i richiami più ampi a un lavoro so-ciale con e nella comunità9, e in particolare la segnalazione di una «forte sinergia creatasi tra istituzioni e comunità», che vanno quindi oltre alla pur fondamentale collaborazione tra attori istituzionali e di terzo settore.
Tra le tante voci che segnalano la positività della collaborazione e del coordinamento troviamo anche chi ne evidenzia, nel particolare frangente della pandemia, le criticità:
anche il lavoro di rete trova il limite di non potersi confrontare e non poter agire direttamente (…) data la modalità oramai anche per gli aiuti di passare tramite terzo settore e di essere attivabili tutti ed esclusivamente online, si finisce con il fare solo da passaparola senza poter aiutare direttamente l’utenza.
Un ultimo, interessante focus delle buone prassi è costituito dal profes-sionista stesso; una parte di assistenti sociali ha infatti affiancato o sostituito le buone prassi con una serie di caratteristiche/capacità che a loro avviso è necessario utilizzare, una sorta di “saper essere” dell’assistente sociale, in particolare in questi frangenti: dalla resilienza alla mente aperta e creativa, dalla flessibilità di pensiero alla capacità di discernimento a quella di
accogliere il cambiamento sviluppando nuovi strumenti di fronteggiamento perso-nali.
Molti hanno poi sottolineato l’importanza di mantenere la calma e i nervi saldi, di non farsi prendere dall’ansia, di esercitare l’autocontrollo.
Un numero maggiore di intervistati ha invece evidenziato come buone prassi quelli che potremmo definire dei veri e propri strumenti per meglio lavorare. Tra questi viene segnalata la necessità di una formazione specifica «che prepari ad affrontare le emergenze», e che sostenga nell’utilizzo di stru-menti virtuali; ma soprattutto viene evidenziata l’importanza della riflessi-vità. Molti sono infatti i richiami alla necessità di prendere/darsi «il tempo di pensiero» e di riflessione, sia per «fare i conti di cosa significa questa situa-zione per noi stessi»,sia per
9 Il lavoro di comunità – tradizionalmente uno dei cinque “metodi” del servizio sociale – è stato negli ultimi due/tre decenni ripreso, sia dal punto di vista teorico che operativo. Cfr. in proposito, a titolo di esempio, Allegri (2015) e Folgheraiter e Donati (1991).
evitare di attivare interventi “di pancia” in un momento in cui la lucidità anche degli operatori non è al massimo.
Qualcuno propone, per sostenere la riflessività, iniziative
di scrittura autobiografica personal/professionale su questa esperienza con possibi-lità di condivisione.
Su questa scia, alcuni assistenti sociali richiamano l’importanza di conti-nuare o avviare processi di supervisione professionale, realizzandoli a di-stanza, singolarmente o in équipe.
Accanto a riflessione e supervisione, l’altro strumento fondamentale ri-chiamato è quello del reciproco sostegno nel lavoro con gli altri, eviden-ziando che
il confronto costante e la condivisione delle criticità sulle situazioni in carico ma anche rispetto allo stato d’animo di ognuno nell’affrontare l’emergenza è stato sicu-ramente un valore aggiunto.
Ricorre frequentemente in queste risposte il richiamo al “lavoro di squa-dra”, alla necessità di creare spirito di squadra ed a favorirne il senso di appar-tenenza, a riflettere insieme e condividere le riflessioni. Questo viene conside-rato fondamentale per non “sentirsi” né “essere” soli, nel lavoro in generale, ed in particolare lì dove è necessario prendere decisioni, ma anche per contra-stare la tendenza al “fare”, proteggendo lo spazio comune dei professionisti:
come assistenti sociali ci siamo sforzati di ricavare e garantire uno spazio di incontro di gruppo settimanale regolare, che inizialmente era “saltato” come se il “fare” fosse l’unica modalità possibile; a tale fine è stato espressamente chiesto alla dirigenza di non mettere in ferie forzate gli operatori in quella giornata.
Come si è visto, un tratto costante che ricorre nelle diverse tipologie di buone prassi individuate è il richiamo all’uso delle tecnologie digitali, cui quasi la metà dei rispondenti si è riferito. Se infatti è certamente aumentato l’utilizzo del telefono e delle mail, in particolare nelle relazioni con gli utenti, la vera novità di questo periodo sono state le videochiamate, realizzate attra-verso diversi strumenti e tecnologie, che hanno favorito i rapporti con le fa-miglie e i minori, con gli altri professionisti, servizi e attori, ed anche per la cura del sé professionale. Nella stragrande maggioranza dei casi, il richiamo ha connotati positivi, talvolta addirittura entusiastici, ritenendoli strumenti fondamentali, che agevolano il lavoro sia aiutando a mantenere il contatto visivo con le persone seguite, sia ottimizzando i tempi del lavoro in équipe:
per molti una vera scoperta, che ha aperto nuove prospettive, «una cosa im-pensabile fino a poco tempo fa». Non mancano però – anche se quantitativa-mente inferiori – i richiami negativi, in cui pur non negandone l’utilità nello specifico frangente si evidenzia come questi mezzi limitino comunque di molto la relazione, anzi per alcuni siano
sicuramente in antitesi rispetto alla vicinanza ed alla relazione che caratterizzano l’intervento dell’operatore sociale.
Un’ultima annotazione viene da diversi operatori, ovvero la loro “scelta” di utilizzare strumenti propri (il cellulare, ad esempio) pur di mantenere con-tatti e relazioni, poiché quelli forniti dal servizio non erano adeguati – o, in alcuni casi, mancavano del tutto.