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Prospettive future

Nel documento Il servizio sociale nell'emergenza COVID-19 (pagine 112-117)

Riferimenti bibliografici

6. Prospettive future

Quanto emerso dalla ricerca evidenzia, seppure nelle molteplici difficoltà legate all’emergenza, una propensione degli assistenti sociali a ripensare agli strumenti professionali, rimodellandoli alle esigenze determinate dalla pan-demia, ma anche a sforzi di innovazione per costruire nuove risposte a biso-gni mai fronteggiati in precedenza.

Si inventano soluzioni, ci si adatta alle tecnologie con un po’ di diffidenza salvo poi apprezzarne alcuni vantaggi, si individuano nuove modalità per il lavoro con l’équipe, si riorganizza e si promuove con più forza il lavoro con

la rete territoriale (Folgheraiter, 2006; Allegri, 2015). Dobbiamo, però, chie-derci su quanto di questo immenso impegno rimarrà nel futuro alla comunità professionale. Si richiama di seguito un’interessante riflessione di Sau (2020) che si interroga su quale eredità sarà lasciata da questa esperienza e richiama la professione alla produzione documentale:

Nel fronteggiamento dell’emergenza sociale, la professione è richiamata all’eser-cizio della documentazione. Questa diviene azione responsabile per la professione del futuro che deve poter continuare a contare sulla propria eredità, ma anche azione corresponsabile degli assistenti sociali di oggi: il progetto, la sperimentazione in corso in un territorio, la rimodulazione di un intervento e buone prassi, se documen-tati, divengono replicabili in un altro, pur se con gli adattamenti necessari al contesto specifico; creano condivisione, confronto tra operatori e accesso a più ed eguali op-portunità per i cittadini. Le resistenze possono essere dovute all’insufficienza del tempo a disposizione che eppure oggi ci consente maggiori spazi di pensiero; al mancato appoggio dell’organizzazione di cui facciamo parte che tuttavia andrebbe sondato; al pensiero di trovare difficoltà a documentare in termini tecnici che, tutta-via, possono essere superate da un’altra garanzia di scientificità ossia la capacità di parlare “delle cose e sulle cose” che è propria della nostra professione.

La produzione di documentazione si rivela come aspetto da rinforzare, perché può diventare fonte di ulteriori ricerche, per approfondire aspetti che sono rimasti più in ombra, così da contribuire ad alimentare il patrimonio di conoscenze e dell’elaborazione teorica (Dellavalle, 2000).

Tra gli elementi che potrebbero aprire ulteriori piste di ricerca, si segna-lano qui due aree tematiche:

- la prima riguarda il ruolo dei tutori volontari nell’emergenza e le mo-dalità con cui è stata gestita la funzione di tutela, nonché i rapporti con i minori stesse con gli operatori delle strutture nella specifica realtà prodotta dalla pandemia;

- la seconda concerne un aspetto che sembra essere rimasto in ombra nelle risposte, e cioè se siano state coinvolte, ed eventualmente con quale ruolo, le associazioni di immigrati. Onde evitare equivoci interpretativi, si precisa che il riferimento non è alle organizzazioni che svolgono attività a favore degli immigrati, bensì alle associazioni etniche che negli ultimi anni hanno visto una certa proliferazione.

Per quanto concerne, invece, lo specifico del lavoro professionale con gli immigrati si è già accennato al tema della formazione e dell’organizzazione dei servizi che chiamano in causa, da un lato, le sedi formative, ma anche i Consigli regionali dell’Ordine degli assistenti sociali, dall’altro gli orienta-menti della policy e le scelte di politiche sociali cui gli assistenti sociali hanno il dovere di contribuire.

Poiché nella ricerca molto ha riguardato gli assistenti sociali impegnati nelle strutture di accoglienza, merita in queste conclusioni una riflessione sul loro ruolo, non definito con precisione in alcun documento istituzionale, tranne il seguente breve riferimento nel manuale operativo delle strutture ap-partenenti al sistema Siproimi:

L’assistente sociale è una figura importante per la definizione/individuazione de-gli elementi di contesto, nei quali inserire l’intervento di accode-glienza. Per compe-tenze professionali l’assistente sociale è in grado di mettere il beneficiario nella con-dizione di poter esprimere i propri bisogni. Allo stesso tempo consente di facilitare il rapporto con i servizi del territorio, conoscendone la normativa di riferimento e le possibilità (e modalità) di accesso da parte dei beneficiari (Ministero dell’Interno e ANCI, 2018, p.10).

Se questa declaratoria può essere adeguata al sistema pubblico, per lo più organizzato in strutture di piccola entità, non trova altrettanta applicabilità nelle altre tipologie di accoglienza (come ad esempio i Centri di Accoglienza Straordinari-CAS), dove i professionisti stanno svolgendo funzioni varie e non necessariamente proprie. A questo proposito può essere interessante ri-chiamare l’esperienza condotta dal Consiglio regionale dell’Ordine assistenti sociali Piemonte che, nel 2017, ha istituito un gruppo di lavoro con assistenti sociali impegnati nelle strutture per richiedenti protezione internazionale, proprio con l’obiettivo di provare a tratteggiare il profilo del professionista in questi contesti residenziali. Dal coinvolgimento di circa trenta assistenti sociali e dalle loro esperienze è emerso un quadro molto variegato sulle fun-zioni: da quelle di coordinamento e responsabilità a quelle di esclusivo rap-porto con gli ospiti, passando da attività esclusivamente legate con le istitu-zioni e con i servizi del territorio al divieto di intrattenere rapporti in questo ambito. Si è rivelato, inoltre, che in particolare nei CAS difficilmente gli as-sistenti sociali, nella grande maggioranza neoabilitati e precari, sono riusciti a contrastare le richieste improprie dei datori di lavoro, anche a fronte di mandati espliciti e francamente irrealistici, come ad esempio quella di tro-vare posti di lavoro per inserire duecento ospiti. Si tratta di strutture di acco-glienza che appaiono scarsamente professionalizzate e, quindi, poco orien-tate a riconoscere le specificità delle figure socio-educative, contrariamente a quanto avviene per quelle sanitarie.

Indipendentemente dalla gestione dell’emergenza sanitaria, appare op-portuno sottolineare la necessità della definizione di un profilo dell’assistente sociale nella specificità di queste strutture, al fine di disporre di mandati isti-tuzionali chiari e coerenti con quello professionale. Quest’ultimo richiede un impegno da parte della comunità del servizio sociale la cui riflessione sul punto appare ancora acerba.

Riferimenti bibliografici

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Nel documento Il servizio sociale nell'emergenza COVID-19 (pagine 112-117)

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