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2.4. C LARISSA : ANALIS

5.4.3. I SOGNI DI L OVELACE E C LARISSA

Lo sviluppo dei protagonisti, il loro passaggio dai panni di eroi o eroine di romance a quelli del novel, quel movimento da tipo a personaggio complesso e articolato, passa anche attraverso i sogni. È qui che i lati più privati ed intimi, i desideri più nascosti, le paure più celate possono avere campo libero e manifestarsi senza censure e pregiudizi. Sogna Clarissa, sogna Lovelace, sogna Anna Howe e tutti gli Harlowe.

Clarissa sogna profeticamente che, a seguito di un complotto ordito dal fratello, dallo zio Anthony a da Mrs. Solmes ai danni di Lovelace, quest’ultimo, convinto che anche lei ne faccia parte, la ucciderà con un pugnale per poi gettarla in una fossa del cimitero (L:84). Apparentemente più crudele e violento, trasposto in un ambiente cupo erede anche dell’immaginario del romance, il sogno di Clarissa le svela esattamente quello che accadrà e che lei in fondo, ancora inconsciamente, sa o teme. Sette anni dopo Clarissa, nel 1755, Lessing narrerà di come un sogno sia capace di discolpare l’empfindsam Sara Sampson: scrive Simonetta Sanna (2005, p. 135):

Ma è soprattutto Sara stessa, in particolare il suo sogno, a discolpare il personaggio. Al pari delle opere letterarie eminenti di tutti i tempi, Lessing investe il sogno della protagonista di una coscienza superiore a quella diurna; è, infatti, il sogno a svelare a Sara quella Gleichheit, che lei consapevolmente nega, vietandosi “eine so erniedrigende Parallel” e di essere posta in “einen Rang” (IV/8). Nel sogno si fa spazio una verità più autentica, che fa emergere un personaggio assai più articolato e profondo, amalgama di luce e ombre.

Anche nel sogno di Clarissa si svela una verità più autentica che la coscienza diurna rifiuta: lei morirà e non è tanto importante che sia un pugnale (come per Lucrezia) a dare la morte alla protagonista, può bastare anche una spilla per capelli - direbbe Emilia Galotti - o semplicemente il dolore incessante per un oltraggio subito ed è il caso di Clarissa. Non si tratta di modo o di autore materiale ma di vera,

profonda, autentica responsabilità o colpa: e questa deve pesare come un macigno su Tarquinio, su Odoardo, sul Principe Gonzaga e su Lovelace il libertino. Il sogno di Clarissa mostra fin dall’inizio della sua vicenda, la sua innocenza.

I due sogni di Lovelace sono lunghi e articolati: entrambi narrati dopo che la violenza è stata compiuta, il primo rivela la ragionevole paura che Clarissa fugga, mentre il secondo è intriso di un simbolismo religioso e mistico. Il primo sogno (L:271), da Lovelace definito «a fortunate dream» ci porta a casa di una donna rispettabile, “a matronly lady”, che salva e accoglie Clarissa nella propria dimora «[…] and was received by the matronly lady with open arms ‘Welcome, welcome, welcome, fair young lady[…] ». Il quadro che ora Lovelace ci dipinge sembra quello presentato a suo tempo da Livio quando narrava il momento in cui Tarquinio si reca, per la prima volta, nella casa di Collatino ed incontra Lucrezia. Anche qui abbiamo una matrona, anche qui circondata da ancelle così volenterose di applicarsi a tante attività ma non al telaio.89

Che tipo di donna non vorrebbe applicarsi a delle attività così tipicamente femminili?90

Non sono sia la matrona sia le sue ancelle delle donne “esemplari”? Durante la notte la tanto onorevole matrona chiede a Clarissa di coricarsi nel suo letto e, dopo una serie di metamorfosi, avvenimenti e peripezie (possibili, scrive Lovelace, solo perché siamo in un sogno, comunque eco fedele nella realtà delle sue trame) la povera fanciulla si ritrova il libertino nel proprio letto e secondo la di lui opinione «although Lovelace was the abhorred of her soul, yet, fearing it was some other person, it was matter of consolation to her, when she found it was no other than himself, and that she had been still the bedfellow of but one and the same man.» Si dovrebbe dunque sentire sollevata la sfortunata Clarissa; ma ancora non è abbastanza e dunque, dopo quello che Lovelace descrive come «a strange promiscuous huddle of adventures», Clarissa dà alla luce un bambino. Questo tenero nucleo familiare vive nella proprietà lasciata a Clarissa ed è completato dalla presenza di Judith Norton e dalle visite di Anna Howe madre di una bambina che – qui la perversione del libertino raggiunge il suo climax – è figlia anch’essa di Lovelace. Quella fantasia di possedere entrambe le amiche che egli aveva manifestato anche al di fuori dello spazio

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«[…]the matronly lady lived in a sumptuous dwelling, replete with damsels who wrought curiously in muslins, cambricks, and fine linen, and in every good work that industrious damsels love to be employed about, except the loom and the spinning-wheel.» (L:271)

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onirico,91

trova qui pieno sviluppo. Se le intenzioni sono in gran parte dichiarate da Lovelace anche in stato di veglia, è vero però che la dimensione del sogno gli permette di portarle tutte in superficie e a compimento giungendo ad alti livelli di depravazione. Il secondo sogno è prossimo all’epilogo della storia e legato al precedente narra dei sensi di colpa di Lovelace, della speranza di perdono da parte di Clarissa e la definitiva consacrazione di quest’ultima. Le stesse parole pronunciate nel precedente sogno dalla “matronly lady”, «Welcome, welcome, welcome», sono ora quelle degli angeli, dei serafini che accolgono Clarissa. È tra le loro braccia il destino, la salvezza della protagonista:

when immediately the most angelic form I had ever beheld, vested all in transparent white, descended form a ceiling, which, opening, discovered a ceiling above that, stuck round with golden cherubs and glittering seraphs, all exulting: Welcome, welcome, welcome! and, encircling my charmer, ascended with her to the region of seraphims; and instantly, the opening ceiling closing, I lost sight of her […]. (L: 417)

E lui? Lui precipita come ogni peccatore che si rispetti:

And then, (horrid to relate!) the floor sinking under me, as the ceiling had opened for

her, I dropped into a hole more frightful than that of Elden and, tumbling over and over down it, without view of a bottom, I awaked in a panic; and was as effectually disordered for half an hour, as if my dream had been a reality. (L: 417)

Ma il suo sogno diverrà realtà proprio come quello di Clarissa e lui lo sa anche se, forse, cerca di non vederlo quando apre gli occhi e si risveglia terrorizzato.

2.5. LA RICEZIONE

Richardson fece della ricezione qualcosa di inestricabilmente legato al processo creativo: il gruppo dei suoi corrispondenti è vario e vasto, costituito, come si è in

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Le considerazioni di Lovelace su Anna Howe si fanno sempre più aggressive e giungono al loro apice poco prima della violenza su Clarissa quando egli scopre che Miss Howe lo ha smascherato: «Oh this devilish Miss Howe! - Something must be resolved upon, and done with that little fury!» (L:229) e ancora: «Ought she not to be punished? - And can I be a worse devil, or villain, or monster, than she calls me in this letter; and has she called me in her former letters; were I to punish them both, as my vengeance urges me to punish them. And when I have executed that my vengeance, how charmingly satisfied may they both go down into the country, and keep house together, and have a much better reason than their pride could give them for living the single life they have both seemed so fond of?» (L:229.2).

precedenza evidenziato, da persone tra le più diverse, e annovera scrittori, attori, pittori ma anche persone comuni e numerose donne. Secondo le parole Donatella Montini (2009, p. 45) si tratta di «un gruppo di lavoro riunito e deciso a collaborare alla costruzione del testo, secondo i più moderni processi di ingegneria letteraria». L’atteggiamento di Richardson nei confronti del lettore è moderno e coerente con il contesto sociale in cui i suoi romanzi si sviluppano. Oramai la committenza è divenuta più rara e lo scrittore deve scrivere per un pubblico tanto ampio quanto variegato: il sistema del gruppo lo aiuta a capire e gli fornisce indicazioni sebbene poi l’ultima parola rimanga quella dello scrittore. Il risultato di tutto questo, della scrittura epistolare, del rapporto particolare con i suoi lettori è il realismo di Richardson il quale, come scrive Diderot nel suo Elogio di Richardson del 1761:

non fa scorrere il sangue nei palazzi; non vi conduce in paesi lontani; non vi espone al pericolo di essere divorati dai selvaggi; non si rinchiude in luoghi clandestini di perversione; non si perde mai nelle regioni della fantasmagoria. Il luogo della scena è il mondo in cui viviamo; il nucleo del suo dramma è vero; i suoi personaggi sono estremamente reali […] le passioni che egli dipinge sono le stesse che sperimento in me, sono le stesse motivazioni che le agitano […] le traversie e le afflizioni dei personaggi hanno la stessa natura di quelle che mi minacciano continuamente. (2005, p. 3)

Un realismo, quello di Richardson che conduce all’immedesimarsi nei suoi personaggi, a soffrire con loro, alla compassione e dunque al Mitleid di cui si parlerà più avanti, ed è proprio il Mitleid che farà esclamare a Diderot (2005, p. 3; 5):

Oh Richardson! Malgrado ne abbiamo già uno, assumiamo un ruolo nelle tue opere: ci si mischia alle conversazioni, si approva, si biasima, si ammira, ci si irrita, ci si indigna. […] Uomini, venite a imparare da lui in qual modo riconciliarvi con i mali della vita; venite, compiangeremo insieme i personaggi infelici dei suoi romanzi e diremo “Se la sorte ci opprime almeno le persone oneste ci compiangeranno allo stesso modo .

2.6. RILETTURA DEL MITO: COSTANTI, NUCLEI TEMATICI, RIFLESSIONI E IDEE