Nella sua rilettura Goldoni scardina e smonta la struttura del mito mantenendone tuttavia vivi sia le costanti sia i nuclei tematici. A suo modo naturalmente, e con quella perizia e arte necessarie quando si tratta la materia mitica, senza le quali il mito non potrebbe rinascere ed essere riconoscibile. A tutto ciò si 52 Prince, 1960, p. XXXIII. 53 J. W. Lever, 1962, pp- 22-25 54 R. S. Miola, 1983, p. 19. 55
Si pensi all’immagine della città assediata e al tema della pietas, rintracciabili nelle tragedie romane o, ancora, allo stretto rapporto tra città e famiglia, pubblico e privato in opere quali Titus Andronicus, nel
rivela funzionale l’espediente della doppia versione del mito offerta dall’autore: la prima, più vicina a quella ”classica”, apre la commedia e, per quanto più fedele alla tradizione, non lo è fino in fondo poiché deve aprire la strada alla seconda rilettura assolutamente trasgressiva che è introdotta dalle parole della protagonista. Chi ascolta avrà, dunque, sotto gli occhi sia una che l’altra storia con un tale avvicinamento che rende ancora più stridente il contrasto tra il classico e il nuovo.
Questo confronto fra tradizione e novità ritorna puntualmente nella ripresa degli argomenti e delle costanti caratteristici del mito. Il tema della famiglia nella Lugrezia goldoniana è affrontato in termini che si potrebbero definire non convenzionali: con la sua fuga da Roma, Lugrezia si lascia alle spalle la dimensione patriarcale della famiglia romana con le sue leggi e realizza un nuovo rapporto di complicità, più moderno in un certo senso, con il marito Colatino qui personaggio attivo e di carattere, ben diverso da quello presentato dalle versioni tradizionali nelle quali spesso appare come una figura piuttosto sbiadita. Quello di Goldoni è un marito che “fa combutta” con la propria moglie per allontanarsi da Roma e da Bruto, dunque, dalla dimensione pubblica del mito e con lei fugge; difende e lotta per la sua Lugrezia contro il sovrano e addirittura vince. Lugrezia e Colatino, pur se con una modalità comica, divengono portatori di un forte messaggio privato e pubblico: la loro dimensione coniugale, rinnovata grazie alla fuga e al rifiuto della morte, è vicina a quella della moderna famiglia nucleare, incentrata non più su quella di provenienza bensì sui due coniugi, liberi e autonomi rispetto a forme tradizionali, patriarcali, private e pubbliche ormai obsolete.
In Goldoni anche la violenza è allontanata così come lo sarà la morte. Il sovrano Albumazar, inizialmente convinto che Lugrezia sia vedova, desidera sposarla (III.1 804-05): «Orsù di già ho rissolto,/ti voglio per mia moglie». Pur di convincerla, percorre tutte le strade possibili anche quella della religione. Ma si tratta di Goldoni e della sua Lugrezia, e perciò si assiste all’entrata in scena di un idolo che non solo è pagano e parla una lingua incomprensibile, ma è anche falso poiché al suo interno è nascosto un povero turco spaventato. Anche il tema religioso, presente e fortemente discusso in molte riletture del mito, è qui smontato e più che mai dissacrato. Solo in seguito, davanti al rifiuto di lei, il sovrano minaccerà la matrona secondo la versione tradizionale, ricalcando molto da vicino le parole che Livio fa pronunciare a Sesto (III.1, 815-16): «Quel che aver non potrò colla dolcezza/otterrò colla forza», tenterà di
stuprarla ma, come si è detto, la violenza non avrà luogo. Lugrezia resisterà e poi giungerà in suo aiuto il prode Colatino davanti al quale il sultano indietreggia intimorito (III.2, 860-63).
Lugrezia non si ucciderà e questo concetto è espresso in maniera molto forte nel corso dell’opera, sia in principio (I, 8, 270) «Ammazzarmi! Marmeo! Non fui sì matta” sia con il coro finale “El pensier de morir lassar andar» (III. ultima, 1074). La violenza e la morte sono dunque allontanate, negate in questa seconda rilettura presente nell’opera goldoniana ma non solo: la morte è rifiutata da Lugrezia anche nella prima versione del mito che è offerta da Goldoni con cui si apre questo dramma giocoso. Lugrezia fugge da Roma dove «ha fatto senza colpa la fritata» (I.8,264) e dunque, consapevole della propria innocenza, sceglie un’altra via d’uscita alla vergogna dello stupro e alla morte.
I due nuclei tematici - pubblico/politico e privato - devono qui essere ricollocati in una prospettiva appropriata: la dimensione privata dell’eroina romana è facilmente rintracciabile nella parodia che l’autore fa della perfetta matrona, donna riservata, pudica, moglie fedele e virtuosa qui invece disinvolta, sboccata e chiassosa. Più difficile da individuare è il nucleo tematico “pubblico” relativo al nefasto incontro con Sesto Tarquinio e alle sue azioni ma, soprattutto, alle conseguenze politiche del suicidio della protagonista. Friederich Dürrenmatt così scriveva a proposito della parodia (e del grottesco):
Le opere dei poeti non toccano i tiranni di questo pianeta, le elegie li fanno sbadigliare, nell’epica essi non vedono che fandonie insulse, sugli scritti religiosi si addormentano; temono solo una cosa: l’ironia. E infatti la parodia si è insinuata in tutti i generi, nel romanzo, dramma, lirica; […]. E con la parodia è sbocciato anche il grottesco, a volte travestito, spesso fulmineo: d’un tratto, non si sa come, eccolo qua. (1982, p. 46)
Sebbene la rilettura goldoniana in chiave parodistica del mito di Lucrezia non sia incentrata sullo sviluppo politico della vicenda, tuttavia la Lugrezia non è del tutto avulsa e lontana neanche da quella che si potrebbe definire la dimensione pubblica del mito56
. A cominciare dall’incipit della: il tutto ha inizio con la finta morte di Lugrezia e
56
Vencato (2009, p. 80): «E dal momento che sulle sventure dell’eroina si costruisce la repubblica romana, di cui la Serenissima è legittima erede, bisogna supporre per lo meno una buona dose di irriverenza da parte dell’avvocato».
la fuga di lei e Colatino da Roma e da Messer Bruto che, come già detto, «ne vollea far di belle». Si inizia dunque dall’epilogo della versione tradizionale e perciò proprio da quei due gesti - il suicidio della protagonista e la rivolta guidata da Bruto - che rappresentano il passaggio dalla dimensione privata a quella pubblica ed il culmine di quest’ultima. La negazione e l’allontanamento di questi due momenti cruciali costituiscono una scelta molto significativa perché Goldoni non si limita ad ignorarli e concentrarsi sulla dimensione “privata” della protagonista rappresentandola, come accade spesso nelle versioni “comiche” del mito, come una donna di facili costumi. Lui va oltre: Lugrezia non solo non si ucciderà, non chiederà la pubblica vendetta per l’onta subita,57
ma fuggirà dalla morte e dalla rivoluzione guidata da Bruto. Una scelta del genere non può passare inosservata perché corrisponde al rifiuto di una precisa dimensione pubblica con le sue regole, precetti e azioni. Albumazar, esattamente come Sesto Tarquinio raffigura il pubblico che prepotentemente irrompe nel privato: la rappresentazione del sultano è dissacrante: è un codardo che teme il confronto con Colatino e non stuprerà Lugrezia intimorito dall’irruenza del marito. Sarà talmente impaurito che quando quest’ultimo lo sfiderà per aver offeso l’onore della moglie, egli manderà al proprio posto il principe Maimut. Certo, nel contesto comico-parodistico della Lugrezia tutto si può considerare funzionale alla parodia, tuttavia, il reiterato rifiuto della morte che apre e chiude l’opera e il mancato stupro sono degli elementi fortemente innovativi e significativi che riecheggiano, in modo del tutto trasversale e originale, anche il dibattito intorno al suicidio della matrona romana sviluppato dagli scrittori cristiani. Tutto questo condiziona l’intera rilettura della vicenda e la scuote dalle sue fondamenta toccando sia l’ambito pubblico sia quello privato. Osservando Lugrezia da questa angolazione, tutti i personaggi trovano la loro perfetta collocazione e caratterizzazione diventando attori di una parodia che non risparmia nessuna delle due dimensioni e che, a suo modo, tocca sia i temi privati che quelli pubblici, presenti nel racconto originale.
Alla luce di quanto sopra, la scelta del mito di Lucrezia, ed in particolare la destrutturazione e ricostruzione che ne fa Goldoni, diventano questioni ancora più intriganti. Innanzitutto, la sua doppia rilettura: l’opera infatti, si apre con un autentico
57
Da ricordare che nelle versioni classiche è proprio Lucrezia a sollecitare la vendetta e l’azione “pubblica”. Livio (Hist., II, 58): “Sed date dexteras fidemque haud impune adultero fore. Sex. est Tarquinius qui hostis pro hospite priore nocte vi armatus mihi sibique, si vos viri estis, pestiferum hinc abstulit gaudium”.
coup de théâtre – il finto suicidio di Lucrezia e la sua fuga insieme al marito – che spalanca le porte alla seconda variazione che dominerà il resto del testo teatrale. Il duplice utilizzo del mito non ha solo un valore strumentale allo sviluppo della parodia, ma sembra raddoppiare il mito stesso rafforzandone sia il significato che l’autore ha deciso di attribuirgli, sia la forza comico-parodistica. Goldoni non si limita a narrare semplicemente una nuova versione della storia di Lucrezia - come hanno fatto tanti autori prima di lui - ma sembra voler dire che non solo la vicenda non si conclude con il suicidio della matrona romana che sceglie di vivere e cambiare vita insieme al marito, ma c’è di più. Poiché, in fondo, tutto il mondo è paese, la nostra eroina diverrà ancora una volta, in quella città così esotica e apparentemente lontana da Roma che è Costantinopoli, oggetto dei desideri del sovrano del luogo animato dagli stessi istinti che a suo tempo avevano mosso Sesto Tarquinio nella Roma dei re. Si arriva così alla seconda versione del mito: la Lugrezia goldoniana, che ha imparato qualcosa dalle sue esperienze, ha scelto di non morire e di cambiare vita, non vuole che la storia si ripeta e così sarà. Il sultano non riuscirà nel suo intento, lei si ricongiungerà con il marito Colatino e vivranno tutti felici e contenti (Albumazar e compagnia compresi)58
. Questa Lugrezia sembra sentirsi stretta nelle sue vesti di mito, nella tragicità dello stupro, del suicidio, nella rigidità della sua condizione di exemplum che sembra costringerla a reiterare all’infinito la sua drammatica vicenda per fornire un monito, un insegnamento a seconda delle intenzioni di chi racconta. È una Lucrezia che intende ribellarsi al ruolo assegnatole dalla storia, dalla leggenda, dalla tradizione e da tanti che l’hanno narrata. Goldoni capisce questa sua sofferenza e, convinto, così come lo sarà Lessing che «il poeta dispone della storia e può accostare gli avvenimenti a suo piacere»59
libera la matrona romana e la aiuta a trovare una nuova dimensione. Da qui nasce Lugrezia Romana in Costantinopoli che diviene così simbolo di una voglia di cambiamento, di un mondo diverso, magari anche "alla rovescia” ma che, pur non dimenticando del passato, sia rivolto al nuovo.
58
Ecco finalmente quel lieto fine che, assente nella versione tradizionale, impedì la ripresa del mito nel melodramma a cui, tra l’altro, fa riferimento anche Goldoni.
59
C
APITOLO2
S
AMUELR
ICHARDSON,
C
LARISSA,
OR,
THEH
ISTORY OF AY
OUNGL
ADY(1747-48)
Neither her virtue nor her love can be established but upon full trial: the last trial.
(Samuel Richardson, 1747-48)