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R ILETTURA DEL MITO : COSTANTI , NUCLEI TEMATICI , RIFLESSIONI E IDEE La rilettura lessinghiana del mito di Lucrezia traspone la vicenda della matrona

in termini di spazio e tempo e altera la modalità di sviluppo di quel dissidio, quella spaccatura, essenziale sia nel mito sia nell’Emilia. Purtuttavia Lessing riprende la vicenda in tutte le sue componenti essenziali, in tutte le constanti e opposizioni preservandone quell’essenza che rende il mito riconoscibile e capace di «rinascere trasformandosi continuamente».

La famiglia è nell’Emilia Galotti il simbolo di quella dimensione privata che si contrappone al pubblico, i Galotti dovrebbero rappresentare l’opposizione, l’alternativa alla corte, al principe con tutto il suo seguito. Nella rappresentazione di tale nucleo si riscoprono evidenti tracce della tradizione romana, dell’immagine della famiglia intesa come cellula sociale, con la propria morale e le proprie leggi, in cui domina il pater familias il quale esercita il proprio potere, compreso lo ius vitae ac necis, sui suoi figli. Ma la famiglia non è solo Odoardo Galotti: se nel mito tradizionale e nella Lugrezia goldoniana la figura materna era assente e in Clarissa tragicamente allineata con il volere del capofamiglia, con Claudia Galotti si assiste a una ulteriore

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complicazione o declinazione del ruolo di madre. Claudia è presente nella vicenda e, attratta dallo spazio pubblico della corte e dalle sue lusinghe, cade nella loro trappola. Se dissente in parte non dal volere di Odoardo, in ultima istanza non potrà far altro che uscire di scena e lasciare la tragica sorte di Emilia nelle mani del marito. In Emilia Galotti la famiglia è solo e unicamente quella patriarcale di Odoardo: l’ipotetico nucleo familiare costituito da Appiani ed Emilia ne rappresenta un’estensione e non una nuova cellula sociale da questa avulsa. Lo scontro con la dimensione pubblica, che infrange il sogno di Appiani, denuncia la fragilità della fragilità e l’irrealizzabilità del suo progetto.

Dal fallimento del privato di Odoardo, Claudia e del conte Appiani al tema della violenza il passo è breve. Lessing declina questa costante del mito alla sua maniera, cifrata: ancora una volta l’autore vuole condurre il recettore a riflettere. Emilia sarà la vittima - proprio come Lucrezia - sia del padre sia del principe, del privato e del pubblico, della violenza dell’etica patriarcale- qui borghese – ma anche di quella politica. Nella tradizionale, liviana, versione del mito lo stupro rappresenta la concreta, tangibile, ragione del suicidio di Lucrezia e della rivolta pubblica, nell’Emilia, invece, in quel gioco lessinghiano teso a occultare il messaggio, la violenza indosserà nuovi vestimenti: sarà la tirannia di chi comanda e pensa di poter ottenere tutto ciò che desidera in nome del potere che detiene, sarà l’oppressione di una morale patriarcale, sarà il pensiero della violenza ma anche il timore della seduzione di quel Blut und Sinne che richiama Agostino. La violenza percorre carsicamente tutta la tragedia e se non è uno stupro vero e proprio, tuttavia si dimostra capace di assumere altri volti parimenti forti da poter anch’essi indurre ad un tragico gesto come nel racconto mitologico.

Nel mito di Lucrezia romana le contraddizioni, le opposizioni, il pubblico e il privato trovano un loro risolvimento nella morte della protagonista che, da un lato, perpetua il ruolo di exemplum che la matrona romana incarnava e dall’altro dà vita al cambiamento storico politico. Ma in Emilia tale risoluzione non c’è: il dubbio, il dualismo, investe anche l’ultimo estremo atto della protagonista: è omicidio o suicidio?

Le contraddizioni accumulate lungo l’intera azione dai personaggi (e non proprie della prospettiva dell’autore) culminano nella morte di Emilia. L’assurdità di questa morte vorrebbe spingere il recettore a porre in dubbio i

presupposti etico-sociali, culturali e politici di cui il gesto è conseguenza (Sanna 1987, p. 15).

Pubblico-privato, politica-etica, corte-borghesia, campagna-città, vizio-virtù, offesa-vendetta, uomo-donna, fino a pugnale-veleno, omicidio-suicidio vita-morte et cetera. L’Emilia Galotti è costellata di opposizioni, di coppie, di antinomie che, poste nella corretta successione, racconteranno gli eventi, i personaggi e le loro problematiche, in altre parole l’intera tragedia, dando forma a quell’opera d’arte che deve portare lo spettatore a riflettere. I due nuclei tematici sono dunque fortemente, prepotentemente, presenti ma sono rappresentati alla maniera di Lessing e, dunque, da decifrare. Sono loro la chiave di lettura dell’opera e la cifra che ne caratterizza non solo la struttura ma anche il significato: tutto è, per così dire doppio o meglio duplicato, raddoppiato. I personaggi sono complementari, funzionali l’uno alla comprensione dell’altro: il principe e Marinelli, Appiani e Odoardo, Odoardo e Orsina, Orsina ed Emilia. I luoghi sono contrapposti: campagna – città, Dosolo – Sabionetta.

Il dualismo, investe anche il tema mitologico che oscilla tra la vicenda di Lucrezia a quella di Virginia, tra l’impostazione pubblica e quella privata della vicenda. Quando Lessing, tra il 1756 ed il 1757, per la prima volta decise di affrontare il mito di Lucrezia aveva in mente una antityrannische Tragödie, intitolata Das befreite Rom, in cui la dimensione pubblico-politica era manifesta. In seguito, tornato sui suoi passi, egli decise di trasformare il dramma storico-politico in una tragedia di impostazione etico- privata che raccontava – e qui avviene il cambio di mito - una Virginia modernizzata e borghese. Nella stesura definitiva dell’Emilia Galotti, sebbene le più diverse e controverse interpretazioni e letture, nella sostanza, fosse anche solo – ma non è cosi - nell’ultimo estremo gesto di Emilia, c’è di nuovo Lucrezia e non Virginia. Quest’ultima rappresenta, si è detto in precedenza, una Lucrezia in nuce, non evoluta: Virginia non pronuncia alcuna parola è una pavida puella stupente come scrive Livio123

e, insieme ad altre matrone, è parte di una rappresentazione corale del femminile. In lei non vi è dissidio, lacerazione, riflessione, lei è veramente un oggetto nelle mani del padre e del tiranno. Lucrezia, invece, è già nelle Historiae una figura completa, un personaggio autonomo che parla e agisce. Le numerose riletture di questo mito ne

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hanno messo in evidenza questi tratti e l’hanno nel contempo arricchita. Ed è cosi che la complessità dei temi, i contrasti, le opposizioni, l’autonomia e forza del personaggio che appartengono a Lucrezia diventano quelli di Emilia.

Ma Lucrezia, ferma nelle sue posizioni, fedele al ruolo di matrona romana, portatrice di tutti quei valori che la rendono un exemplum per e di quella società in cui vive - sia della dimensione privata che pubblica - si toglie la vita in nome di ciò che rappresenta, per rimanere quella che è. Nel suo gesto, le contraddizioni, le opposizioni trovano una loro risoluzione e la sua morte realizza un cambiamento storico politico. Emilia, invece è una donna chiusa, schiacciata fra due dimensioni diverse - una privata che aspirerebbe a diventare pubblica e l’altra che pubblica lo è già - Emilia non riesce ad appartenere pienamente a nessuna delle due e, nel contempo, di entrambe è prigioniera. In lei questi due mondi si scontrano, lei rappresenta il fallimento del passaggio dall’uno all’altro, forse anche una sorta di insospettata e inopportuna alleanza tra i due124

- cosa che può forse ravvisarsi anche nella “incompletezza” di Odoardo quale autentico paterfamilias –. In ultima analisi, la morte di Emilia rappresenta la sconfitta di entrambe le dimensioni sia quella pubblica sia quella privata: è un grido di aiuto che rimane inascoltato, è la mancata coincidenza o risoluzione di tutti i dualismi e opposizioni, è il fallimento della alternativa borghese - che dovrebbe essere rappresentata da quell’Odoardo di cui tutti vorrebbero essere figli e a causa del quale, in un modo o nell’altro, soccombono –. L’unica via di fuga per Emilia è, in ultima analisi, la religione che trascina il finale del dramma indietro verso il dramma barocco con i suoi protagonisti il cui eroismo risiede nell’assoluta sottomissione al sopramondano regno di Dio e alle sue leggi, mentre la malvagità si manifesta in una peccaminosa coscienza di sé. Il non cambiamento “pubblico” a seguito del gesto di Emilia pesa come un macigno, il significato politico della tragedia si fa sentire con tutta la sua forza proprio in virtù della sua apparente assenza. Questa Lucrezia non è affatto incompleta, priva della sua dimensione pubblica, anzi: è semplicemente il messaggio che lei porta ad essere mutato e celato in una immagine caleidoscopica che scaturisce da quel gioco di specchi e riflessi che Lessing aveva creato lasciando libero spazio all’immaginazione.

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APITOLO

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I TRE AUTORI A CONFRONTO

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CONCLUSIONI

I miti offrono una lente che può essere utilizzata per vedere l’identità umana nel suo contesto sociale e culturale – essi possono imprigionarci in reazioni banali, nel fanatismo e nella paura, ma non sono immutabili, e quando si scuciono, le storie possono condurre ad altre storie. I miti trasmettono valori aspettative che sono sempre in evoluzione, in via di formazione, ma – e questa è una fortuna – non prendono mai una forma tanto solida da non poter essere più modificati.

(Marina Warner, 1994)

Goldoni, Richardson, Lessing. Lugrezia, Clarissa ed Emilia. Lucrezia romana è ciò che li unisce. I tre autori rispettano il mito di Lucrezia, lo studiano e lo affrontano, ognuno a suo modo, lo scuciono, lo modificano e lo ricuciono trasmettendo valori e aspettative. Ma il rispetto che portano al mito fa sì che ne tengano in considerazione e rielaborino i tratti fondamentali e ineludibili ovvero i personaggi, le costanti e in alcuni casi le varianti, i due grandi nuclei tematici. Da queste loro rielaborazioni affiorano le relazioni, i nodi, le corrispondenze e le tensioni che legano gli autori al mito, ognuno di essi al proprio tempo e l’uno all’altro: «Only connect»125

scriveva Forster nel 1910.

4.1. PERSONAGGI, COSTANTI, VARIANTI.