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II – La minorità poetica di Baudelaire

Nel documento Georges Bataille e l’estetica del male (pagine 168-188)

Il male e la poesia Scritto in occasione della pubblicazione

dell’ormai famoso saggio di Jean-Paul Sartre sul poeta francese 1, lo studio di Bataille su Baudelaire prende l’avvio dal rapporto fra male e libertà sulla scia dell’argomentazione sartriana. Proprio con una lunga citazione del saggio sartriano si apre lo scritto di Bataille: «Fare il Male per il Male significa esattamente fare per deliberata volontà il contrario di ciò che si continua a dichiarare Bene. Signi-fica volere ciò che non si vuole – perché si continuano ad aborri-re le potenze malvagie – e inoltaborri-re non voleaborri-re ciò che si vuole – poi-ché il Bene si definisce sempre come l’oggetto e il fine della volontà profonda. Tale è esattamente l’atteggiamento di Baudelaire. Tra i suoi atti e quelli di un volgare malfattore vi è la differenza che di-stingue le messe nere dall’ateismo. L’ateo non si cura di Dio, per-ché ha deciso una volta per tutte che non esiste. Ma il sacerdote delle messe nere odia Dio, perché Egli esige l’amore: lo irride per-ché Egli comanda il rispetto: pone la sua volontà nel negare l’ordi-ne stabilito, ma, al tempo stesso, conserva quest’ordil’ordi-ne e lo affer-ma più che affer-mai. Se Egli cessasse per un istante di afferaffer-marlo, la sua coscienza sarebbe un’altra volta d’accordo con se stessa, il Male si trasforma di colpo nel Bene e, oltrepassando tutti gli ordini da esso non fondati, emergerebbe nel nulla, senza Dio, senza giustificazioni, con una responsabilità totale» (LM, IX, 189; 33) 2. Se il Male è un atto volontario in quanto atto di scelta fra due postulazioni con-trastanti ma, secondo la definizione sartriana, «simultaneamente ap-plicate al medesimo punto», il problema si sposta sul piano della libertà, più esattamente per Sartre «della libertà vertiginosa» 3, tale che pur mantenendo il Bene come principio lo si possa trasgredi-re a piacimento proclamando così la propria unicità. Sarttrasgredi-re prose-gue: «Perché la libertà sia vertiginosa, deve scegliere, nel mondo teocratico, d’avere infinitamente torto. Cosicché è unica in questo universo impegnato tutto intero nel Bene; ma occorre che al Bene aderisca interamente, che lo mantenga e lo rinforzi, per poter

get-tarsi nel Male [...] In un certo senso egli crea: fa apparire, in un universo dove ciascun elemento si sacrifica per concorrere alla gran-diosità dell’assieme, la singolarità, cioè a dire la ribellione di un frammento, di un dettaglio. Ed ecco che così qualche cosa si è pro-dotta che prima non esisteva, che nulla può cancellare e che non era in nessun modo preparata dall’economia rigorosa del mondo: si tratta di un lavoro di lusso, gratuito e imprevedibile» (LM, IX, 189; 34) 4. Sartre con una sorta di ironia contrappone la libertà di tut-ti alla libertà vertut-tiginosa della poesia, situando il luogo e la nasci-ta del poetico in Baudelaire nello scarto fra l’adesione tonasci-tale al Bene e la disobbedienza frammentaria che lascia sempre uno spazio aper-to al pentimenaper-to. Si tratta di una libertà limitata, quella per cui il poeta si pone in uno stato di minorità, laddove la posizione

maggio-re appartiene a colui che è libero senza curarsi del fatto che trasgmaggio-re-

trasgre-disca o meno ad un ordine costituito. Quest’ultimo è colui che as-sume intera la sua responsabilità contro la responsabilità limitata del poeta. È difficile non essere d’accordo con Sartre sulla situazione di Baudelaire. Lo stesso Bataille d’altro canto riconosce che il discorso sartriano è difficilmente contestabile per quanto riguarda l’opposi-zione Bene-Male. Ma nell’opera di lusso gratuita e imprevedibile, e tanto più imprevedibile in quanto l’ordine del Bene non viene mes-so in discussione ma mes-solo scosmes-so da un elemento estraneo, secondo Bataille «Sartre segnala rapidamente (au passage) e senza insistere il rapporto esistente fra Male e poesia, e non ne trae alcuna conse-guenza» (LM, IX, 190; 34). La conseguenza dovrebbe essere il fatto che «la poesia può con le parole calpestare l’ordine stabilito, ma non può sostituirsi ad esso», anzi «quando l’orrore per una liber-tà impotente impegna virilmente il poeta nell’azione politica, egli abbandona la poesia. Ma a partire da quel momento, egli assume la responsabilità dell’ordine futuro, rivendica la direzione dell’atti-vità, l’atteggiamento maggiore; e noi di fronte a tutto ciò non siamo non capire che l’esistenza poetica, in cui scorgevamo la pos-sibilità di un atteggiamento sovrano, è veramente l’atteggiamento

minore, che essa è soltanto un atteggiamento infantile, un gioco

gra-tuito» (LM; IX, 191; 36). È quest’atteggiamento gratuito a costituire la sovranità poetica come oltrepassamento di libertà e di responsa-bilità per immettersi in un mondo nuovo e altro. L’atteggiamento disgraziato di Baudelaire risiede nel rifiuto di agire da «uomo com-piuto» o «prosaico», cioè nell’incapacità di fare una scelta decisiva. A questo proposito Sartre con estrema chiarezza contrappone a Baudelaire l’atteggiamento di André Gide del quale dice: «Nel con-flitto originario che opponeva la sua anomalia sessuale alla morale

comune, egli ha preso le parti di quella contro questa, ha corroso a poco a poco, come un acido, i rigidi principi che lo impacciava-no: traverso mille ricadute ha marciato verso la sua morale, ha fatto del suo meglio per inventare una nuova tavola della legge. Eppure l’impronta cristiana era forte in lui quanto in Baudelaire: ma egli voleva liberarsi del Bene degli altri [...] Sulla base di una situazione analoga ha scelto altrimenti, ha voluto avere la coscienza pulita, ha compreso che soltanto l’invenzione radicale e gratuita del Bene e del Male avrebbe potuto liberarlo. Perché mai Baudelaire, creato-re nato e poeta della ccreato-reazione, s’è tratto indietro all’ultimo mo-mento; perché ha sciupato le sue forze e il suo tempo a ribadire le norme che lo facevano colpevole? Come non si è indignato contro codesta eteronomia che condannava ab origine la sua coscienza e la sua volontà a restar per sempre una cattiva coscienza e una cattiva volontà?» 5. La risposta di Bataille è che non c’è letteratura senza condanna. Bataille riconosce che Sartre ha ragione quando afferma che il poeta «ha deciso di essere in errore, come un bambino», ci invita però a chiederci di che genere di scelta si tratti: «Fu una scel-ta operascel-ta per difetto? E, quindi un errore deplorevole? Oppure fu per eccesso; in un modo forse miserevole ma decisivo? Io mi chie-do anche: una tale scelta, non è nella sua essenza quella della po-esia? Non è quella dell’uomo?» (LM, IX, 192; 37). Scelta della poe-sia in quanto minoritaria e inutile rispetto al mondo reale; ma le cose si complicano quando Bataille pone l’ultima domanda, tanto più che aggiunge: «È il significato del mio libro». E dopo una pau-sa: «Io penso che l’uomo si erga necessariamente contro se stesso e che egli non possa riconoscersi, non possa amarsi fino in fondo, se non è oggetto di una condanna» (LM, IX, 192; 37). Nel caso di Baudelaire la condanna è raddoppiata: non soltanto sa di essere condannato dagli altri e lo vuole, ma si condanna anche da sé. Ba-taille sa che le sue affermazioni sono su tutt’altro piano rispetto a quello di Sartre e definisce il suo un «mondo nuovo», un mondo che tenta di svelarci.

Il primo accesso è dato dal riferimento alla già citata affermazio-ne di René Char che suona: «Se il mondo non chiudesse sovrana-mente gli occhi, finirebbe col non vedere più quello che vale la pena di essere guardato» (LM, IX, 193; 38). La citazione poetica non deve fuorviarci: di fatto, attraverso il confronto con alcuni pas-si cruciali del Baudelaire di Sartre, ci stiamo addentrando in una discussione teoretica che verte sull’essenza in poesia e su che cosa Bataille e Sartre intendano per trascendenza. Nel tentativo di spie-gare l’essenza della poesia di Baudelaire, Sartre afferma: «A noi

basta vedere l’albero o la casa; tutti assorti nel contemplarli, dimen-tichiamo noi stessi. Baudelaire è l’uomo che non si dimentica mai. Si guarda vedere; guarda per vedersi guardare; quel che lui con-templa è la sua coscienza dell’albero o della casa, e le cose non gli appaiono se non attraverso di essa: più sbiadite, più piccole meno commoventi (touchantes), come se le scorgesse attraverso un bino-colo. Le cose non si indicano a vicenda, come la freccia indica la strada e come il segnalibro indica la pagina…, 6. Al contrario, la loro missione immediata è invece di rinviare alla coscienza di sé» (LM, IX, 193; 38). Bataille afferma: «Non si potrebbe rappresentare meglio né con maggiore precisione, la distanza che corre fra la vi-sione poetica e la vivi-sione comune di ogni giorno. Quando la frec-cia indica la strada o il segnalibro indica la pagina, noi dimentichia-mo noi stessi: ma questa visione non è sovrana, è subordinata alla ricerca della strada (che noi prenderemo) o della pagina (che noi leggeremo). In altri termini, il presente (la freccia, il segnalibro) è qui determinato dal futuro (la strada, la pagina)» (LM, IX, 193; 38). Come si vede, ciò che nell’estetica comunemente si designa con denotativo prosaico o connotativo poetico viene declinato nell’este-tica di Bataille in chiave di attenzione e immersione totale nel-l’istante oppure nella ricerca dell’utile che ci assicura il futuro, il modo più adatto per muoverci nella realtà. Qui sembra essere pro-prio la coscienza di sé o il rientrare in se stessi attraverso le cose, a dare alle cose non il significato abituale, servile, ma il senso di una sintesi fra io e mondo in cui il conflitto col mondo è come so-speso. Bataille, anche in questo ambito, mostra il suo lato heideg-geriano e fenomenologico. In effetti i due studiosi coincidono nel-l’analisi per arrivare a conclusioni diverse. La posizione di Bataille non fa una grinza, ma è anche vero che, se si condivide l’analisi sartriana, è difficile non leggere nell’atteggiamento di Baudelaire un rimandare ad altro (cioè a sé), se non addirittura ad altro tempo (cosa che Bataille, forse a ragione, esclude), il senso del guardare l’albero o la casa che dovrebbero portare non ad un ritorno a sé, ma ad un uscir fuori di sé, per porsi nella stessa immanenza delle cose. Nella critica sartriana l’immanenza mancata di Baudelaire vie-ne delivie-neata con chiarezza e ricchezza di argomentazioni che pos-sono essere sintetizzate nella nozione di trascendenza, intorno alla quale ruoterebbe tutta la problematica dell’uomo Baudelaire e l’im-pianto e l’intuizione della sua poetica. Scrive Sartre: «È questa de-terminazione del presente per mezzo del futuro, dell’esistente per mezzo di ciò che ancora non è, che egli chiamerà “insoddisfazio-ne”, e che i filosofi chiamano oggi trascendenza. Nessuno ha

com-preso come lui che l’uomo è “un essere di lontananze” il quale si definisce assai più col suo fine e la meta ultima dei suoi progetti che non con quanto se ne può conoscere limitandosi al momento che passa» 7.

Bataille nella sua discussione cita soltanto una parte di questo passaggio sartriano dicendo che, in realtà, Sartre non considera co-me trascendenti la freccia e la strada; ma gli oggetti della contem-plazione poetica. Di fatto Sartre intende dire che gli oggetti hanno una loro esistenza anche prima di essere oggetto della contempla-zione poetica, mentre per Baudelaire essi esistono solo in quanto pretesti per contemplarsi. Per Sartre Baudelaire, che non si preoc-cupa affatto del futuro riconfermando anzi con la sua colpevole rivolta il presente, rimanda al dopo la possibile partecipazione poe-tica poiché gli oggetti da lui presi in considerazione sono ogni volta contemplati con quel distacco che gli permette di tornare a se stes-so, vanificando gli oggetti nella sua coscienza e attuando un’opera-zione che rifiuta la trascendenza agli oggetti per riconfermarla a sé stesso. Bataille tenta di dimostrare che invece tutto ciò corre verso la partecipazione del poeta al mondo delle cose e quindi verso la comunicazione. E proprio da questo punto di vista riprende l’affer-mazione sartriana sulla trascendenza per dirci che innanzi tutto il vocabolario sartriano è insufficiente e nella sua insufficienza «non consente di adeguarsi ad una opposizione profonda» (LM, IX, 194; 39). Se accettiamo la categoria sartriana della trascendenza non possiamo però, secondo Bataille, applicarla indifferentemente alla freccia e alla poesia, e una riprova sarebbe data dal fatto che, nei termini in cui lo stesso Sartre la descrive, altro è la trascendenza della freccia e altro è la trascendenza del modo in cui Baudelaire vede gli oggetti; del resto, nota Bataille, lo stesso Sartre afferma che si tratta di «oggetti che accettano di annullarsi per indicarne al-tri»8, deducendone quindi che il significato futuro, da Sartre con-testato a Baudelaire, «è lì soltanto per scomparire: o, piuttosto, non è il futuro, ma lo spettro del futuro» (LM, IX, 195; 39). Più preci-samente, secondo Sartre «quella diafanità cristallina del significato, il suo carattere spettrale e irrimediabile ci mettono sulla via giusta: il senso è il passato» .9 In questa cornice gli oggetti sono spiritua-lizzati nell’assenza in cui si dissolvono. Bataille osserva che, se nella poesia, presente, passato e futuro determinano il significato, il fu-turo però «interviene in modo negativo nella determinazione del si-gnificato degli oggetti poetici, soltanto rivelando una impossibilità, soltanto ponendo il desiderio di fronte alla fatalità dell’insoddisfa-zione» (LM, IX, 195; 40). Stranamente Bataille dopo aver detto che

il vocabolario sartriano è insufficiente, vede ora una coincidenza fra l’immanenza e la trascendenza in Sartre, fondata sul fatto che lo stesso Sartre aveva notato come la casa o l’albero avessero «l’uni-ca missione di dare al poeta l’oc«l’uni-casione di contemplarsi» 10. Que-sta missione degli oggetti, che per Bataille è segno della immanenza tipica della poesia, è letta invece da Sartre, più correttamente, come distanza contemplativa.

Bataille traduce in termini di misticismo ciò che Sartre vede co-me autocontemplazione: «L’essenza della poesia di Baudelaire – scrive Bataille – sta nell’operare, a costo di una tensione ansiosa, la fusione col soggetto (l’immanenza) di questi oggetti, che si

annulla-no al tempo stesso per provocare l’angoscia e per rifletterla» (LM,

IX, 195; 40). In realtà l’autocontemplazione pone già il soggetto al di sopra dell’immanenza e Baudelaire tende nella visione sartriana, alla quale è difficile dar torto, a rendere innanzi tutto trascenden-te se strascenden-tesso. Inoltre, la preoccupazione di Sartre non è in questo saggio quella di definire il poetico in generale, ma ciò che è all’ori-gine della poesia in Baudelaire. In realtà l’atteggiamento di Bataille sembra essere quello di chi per difendere il fatto poetico debba sforzarsi di vederne l’attualità al suo nascere, quindi crede di poter piegare lo stesso linguaggio sartriano verso l’attualità che egli vede non solo nella poesia in generale ma in quella di Baudelaire in par-ticolare. Egli dice: «In realtà noi possiamo definire il poetico (in ciò analogo al mistico di Cassirer, al primitivo di Lévy-Bruhl, al

pueri-le di Piaget), secondo un rapporto di partecipazione del soggetto

con l’oggetto. La partecipazione è attuale» (LM, IX, 196; 41). Per esemplificare Bataille ricorre alla magia e più esattamente al suo aspetto particolare di partecipazione intima ad un atto collettivo di evocazione. «Perché la magia agisca – scrive Bataille – bisogna che abbia in primo luogo, indipendentemente dall’effetto, il significato vivo e penetrante della partecipazione; l’operazione della freccia invece ha per il soggetto il significato di futuro, vale a dire della strada alla quale conduce» (LM, IX, 196; 41). Naturalmente questo ricorso alla magia è, come anche nello studio sulle pitture rupestri di Lascaux, unilaterale e strumentale, puramente funzionale al ten-tativo di rendere quell’uscita dall’isolamento del singolo che la poe-sia comporta e che è senza dubbio un aspetto non dell’effetto ma dell’operazione magica. Qui comunque è in gioco la definizione e la «difesa» della poesia. Se la poesia è partecipazione, essa non è legata al futuro, cioè all’utile, ma neanche al passato perché la poe-sia non mette in gioco oggetti conservati nella memoria, questi sì sarebbero «un puro dato del passato» (LM, IX, 196; 41). In realtà,

nell’operazione poetica accade una trasformazione totale in virtù della quale «il significato degli oggetti ricordati è determinato dal-l’invasione attuale del soggetto» (LM, IX, 196; 41) che consente la creazione poetica. «Non si può ignorare – scrive ancora – l’indica-zione data dall’etimologia secondo la quale la poesia è creal’indica-zione. La fusione dell’oggetto col soggetto esige che le due parti venendo a contatto si superino a vicenda» (LM, IX, 196; 41). Il nodo teorico sta nel fatto che Sartre vede indispensabile per questa fusione un certo grado di immediatezza che a Baudelaire palesemente manca in quanto costituzionalmente incapace, a suo giudizio, di abbando-no totale. Su una cosa comunque Bataille sembra convenire con Sartre, pur senza apparentemente rendersene conto e usando un vocabolario diverso: si tratta del tema del passato. La convinzione della presenzialità radicale in poesia di soggetto e oggetto e la con-temporaneità in cui futuro e passato sono «spiritualizzati dall’assen-za in cui si dissolvono» secondo l’espressione sartriana, portano Bataille ad affermare: «Bisogna anzi arrivare a dire che la poesia non è mai rimpianto del passato. Il rimpianto che non mente non è poetico: esso non è più vero nella misura in cui diviene poetico, poiché allora il passato ha meno interesse per l’oggetto rimpianto che per l’espressione del rimpianto stesso» (LM, IX, 196; 41). Sar-tre designa questo atteggiamento col termine di malafede senza pe-raltro negargli l’efficacia e la riuscita poetica. L’oggetto è pretesto per il rimpianto, scompare e si consuma nel canto che l’oggetto in sé, senza l’operazione di autoriflessione, non avrebbe suscitato in Baudelaire.

La menzogna poetica Bataille riconosce che la poesia in

quest’unione fittizia di soggetto e oggetto «non può essere altra cosa che un gioco, una prestidigitazione brillante» (LM, IX, 196; 41). A questo punto i problemi si riaprono, sulla poesia in genere e su Baudelaire in particolare. Lo stesso Bataille, citando il Nietz-sche dello Zarathustra, ammette che «i poeti mentono troppo», ma questo mentire nasce da un impulso sincero le cui radici affonda-no in un’esigenza affonda-non distinguibile dalla necessità esistenziale: «La fusione tra soggetto e oggetto tra l’uomo e il mondo, non può es-sere fittizia: noi possiamo non tentarla, ma ciò sarebbe una comme-dia non giustificabile» (LM, IX, 196; 41). Qui non si tratta più solo della poesia in quanto opera poetica, ma di un nostro atteggiamen-to nei confronti del mondo e delle cose. «In linea di massima – egli dice – non può esservi dubbio circa la possibilità d’esistenza della poesia». In altri termini, per quanto il mondo sia oggettivamente

estraneo può essere assimilato a noi non solo in vista della utilità o della cura heideggeriana ma anche nella visione o nella finzione poetica. Il discorso è qui reso più complesso: infatti con la poesia non solo si afferma e si esprime il desiderio di far sì che l’esterio-rità non ci sia del tutto estranea, ma essa ci fa balenare la possibi-lità di «unire obiettivamente l’essere e l’esistenza». Cosa che può avvenire naturalmente sul piano poetico o comunque sul piano del-l’immaginario ma non può essere posta in modo oggettivo come ha tentato di fare Baudelaire. Da questo punto di vista la storia della poesia è un susseguirsi di sforzi vani. Siamo – come Bataille sotto-linea – «nel regno dell’impossibile, del non soddisfacimento». (LM,

IX, 196; 42). Ma appunto la poesia è il regno dell’impossibile e co-me tale nella visione di Bataille, coco-me in quella di Sartre, si affer-ma e si nega in continuazione pena l’essere posta, reificata, come cosa tra cose. Senza fare distinzioni fra la poesia in generale e l’at-teggiamento di Baudelaire Bataille afferma: «Disgrazia vuole che sia difficile parlare di quanto è impossibile e condannato ad esserlo. Sartre dice (è il leitmotiv della sua tesi) che la disgrazia di Baude-laire consisteva nel voler essere ciò che egli era per gli altri:

Nel documento Georges Bataille e l’estetica del male (pagine 168-188)