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I – Un mondo rovesciato

Nel documento Georges Bataille e l’estetica del male (pagine 21-58)

L’abbagliante oscenità del cosmo Sul tema della parodia

come attività incessante e beffarda del mondo, in uno stile che è insieme assertorio e lirico si svolge L’anus solaire (1931), uno dei primi scritti letterari di Bataille. In esso, col senso di provocazione tipico del surrealismo, semplicemente si enuncia una forma di ro-vesciamento come esperienza di tutti: «Tutti hanno coscienza che la vita è parodistica e che manca di una interpretazione» (AS, I, 81; 33). Il contenuto di un pensiero che non è estraneo alla poesia fu avvertito immediatamente se esso fu pubblicato dalle Éditions de la Galerie Simon con le illustrazioni di André Masson. Testi come questo sono un esempio di come Bataille agisca sul linguaggio non tanto come modalità stilistica o ritmo sintattico, ma in quanto pa-rola ricondotta all’essenzialità materica. Le parole e i periodi, nel-l’intento dell’autore, devono funzionare come corpi, ed essi, a loro volta, ricostruiscono una sorta di sintassi del mondo, come se que-sto fosse costituito da parole che Bataille si preoccupa di riporta-re alla fonte da cui sono scaturite. Nello scenario della parodia che sostituisce la generalizzazione della metafora, emerge l’analogia ri-mossa o sublimata fra noi e il cosmo. Infatti, se il segno è, nella tradizione occidentale, un continuo rimandare ad altro, Bataille tenta la materializzazione totale del segno stesso, che diventa così residuo non ulteriormente suscettibile di interpretazioni o trasfor-mazioni, al riparo dalle astrazioni. C’è totale estraneità fra l’uomo e la natura inorganica: l’uomo sente estraneo il cosmo che non muore. Le nostre idee si trasformano in esplosioni di forza e di ef-ficacia quando cessano di essere elaborazione di codici statuali del-la conoscenza e partecipano dell’apertura, deldel-la del-lacerazione cosmica in cui il nostro io personale non solo è intimità notturna ma è la Notte amata dal Sole, mentre «Io sono il Gesuvio, immonda paro-dia del sole torrido e accecante» (AS, I, 86; 38).

Scrive ancora Bataille in un passo che risente di una singolare assonanza con i testi dei presocratici: «Così il piombo è la parodia

dell’oro. L’aria è la parodia dell’acqua. Il cervello è la parodia del-l’equatore. Il coito è la parodia del delitto. L’oro, l’acqua, l’equa-tore o il delitto possono indifferentemente essere enunciati come il principio delle cose» (AS, I, 81; 33) 1. Fra questi principi si muo-vono, circolano («circulent») le frasi «nei cervelli intenti a riflette-re», e proprio con la riflessione «ci siamo avviati verso una identi-ficazione totale perché per mezzo di una copula ogni frase connette una cosa all’altra». Si tratta di portare alle estreme conseguenze le implicazioni apparentemente solo sintattiche delle nostre risorse linguistiche; in tal modo, «tutto sarebbe visibilmente legato se con un solo sguardo si scoprisse nella sua totalità la traccia lasciata da un filo d’Arianna capace di condurre il pensiero nel proprio labi-rinto» (AS, I, 81; 33). È da notare che mentre qui Bataille delinea una sorta di realismo, dato dal carattere materialistico della unifi-cazione, in altri testi vicini, sia cronologicamente sia per l’ispirazio-ne di fondo, l’unificaziol’ispirazio-ne viel’ispirazio-ne rifiutata ed è attribuita soltanto alle astrazioni ideologiche della razionalità. L’intento è quello di stabilire una percezione sensoriale immediata fra le proprie frasi, le espressioni linguistiche abituali e una materia esterna ma non estra-nea, capace di suscitare la carica erotica. «La copula dei termini non è meno stimolante di quella dei corpi. E quando io grido: IO SONOILSOLE, ne risulta un’erezione integrale, perché il verbo es-sere è il veicolo della frenesia amorosa» (AS, I, 81; 33). Non si può non pensare a Freud secondo il quale scrivere è un atto analogico all’atto sessuale. Dal punto di vista linguistico emerge qui la sintassi paratattica del mondo concreto non sottoposto ad architetture me-taforiche, mentre le parole diventano reali, o meglio sono materia in virtù delle sensazioni che suscitano, capaci di dar vita all’energia erotica. Tutto si fonda, in ultima analisi sulla percezione. La paro-dia analogica è la sola a permettere il superamento della sensazio-ne di estrasensazio-neità e di lontananza estrema che la natura cosmica ha rispetto all’uomo. Abbandonato il sublime e il conseguente sgo-mento che si trasforma in consapevolezza dell’infinito di ragione, l’essere dell’uomo articola frasi che si affermano nella sensazione totalizzante di una partecipazione allo stesso movimento del cosmo, visto ormai essenzialmente e fondamentalmente come movimento erotico. Ma mentre lo si afferra come tale lo si consuma fino alla riproposta di un nuovo desiderio: «È così che l’amore grida nella mia gola: io sono il Gesuvio, immonda parodia del sole torrido e accecante. Io desidero essere sgozzato mentre violo la fanciulla cui avrei potuto dire: tu sei la notte» (AS, I, 86; 38). Il senso vitale di ciò che si dice, delle parole che si pensano o si gridano viene

man-tenuto fino al desiderio di morte. Già qui la parola si annuncia non solo come azione reale ma come momento sacrificale. Questo bre-vissimo scritto, stilisticamente vicino ai deliri surrealisti, anticipa la riflessione teorica successiva sul materialismo e racconta la conce-zione “notturna” mutuata da Hegel. L’immagine del Gesuvio è espressione beffarda dell’uomo che ha sostituito a Dio e alla morte di Dio la consapevolezza di un desiderio non più frenato da limi-ti gerarchici di parole e cose, e insieme desiderio senza censure. Risponde – e in questo senso sarà elaborato più tardi in Hegel, la

morte e il sacrificio (1955) – al bisogno di unificare natura, spirito

dell’uomo ed esigenze intime espresse dalle religioni e dalla loro storia 2.

La parodia solo momentaneamente unifica, ci troveremmo altri-menti di fronte ad una metafisica materialistica; essa in realtà è una funzione, si ripropone ogni volta come possibilità, e, come tutto ciò che riguarda la sfera dell’estetico, non si fonda su categorie ma su un particolare empirico offerto al sentimento dell’uomo; è continuo

memento della diversità fra l’uomo e la sua natura bassa e il cosmo alto: «Disastri, le rivoluzioni e i vulcani non fanno l’amore con gli

astri» (AS, I, 86; 38). Le deflagrazioni erotiche non sono diverse da quelle vulcaniche ed entrambe sono in antagonismo con il cielo. L’analogia, in altre parole, esiste terra-terra, e la terra è bassa com’è in basso l’uomo che non ha nulla da spartire col cielo troppo lon-tano. Degli astri possiamo avere solo una conoscenza scientifica, sembra ricordare Bataille, oppure possono far parte di un sogno lirico, ma nulla in essi che sfiori lontanamente la nostra esperienza. I connubi di qualunque genere avvengono sulla terra, dove la no-stra sessualità si scatena con la stessa impudica violenza delle eru-zioni vulcaniche e anche con la stessa distruttiva inutilità: «Alla fe-condità celeste si oppongono i disastri terrestri, immagine dell’amo-re terdell’amo-restdell’amo-re senza condizione, edell’amo-rezione senza sfondo e senza dell’amo- rego-la, scandalo e terrore» (AS, I, 86; 38). I nostri desideri sono senza regole e, come il sacrificio unilaterale, senza condizioni. Si tratta della dialettica di un meccanismo di attrazione-repulsione; non torno alla natura, ma messa in gioco del nostro essere. Ancora, ri-ferendosi all’immagine della fanciulla, Bataille afferma: «L’anello

solare è l’ano intatto del suo corpo di diciotto anni al quale

nien-te di così accecannien-te può essere paragonato ad eccezione del sole benché il sole sia la notte» (AS, I, 86; 38). La metafora tra la fan-ciulla e la notte viene immediatamente vanificata: la fanfan-ciulla è me-tonimicamente ridotta all’ano intatto il cui splendore accecante può essere paragonato al sole ma soltanto come effetto: l’io maschile ha

già proclamato di essere il sole contrapponendosi alla notte. Se dapprima il tutto della notte appare raffrontabile o confuso o iden-tico col tutto della fanciulla, l’illusione di un microcosmo di fron-te ad un macrocosmo si perde ancora una volta. Ogni figura in questo testo, per quanto si rivesta di metafore, ha in realtà o riac-quista immediatamente una funzione metonimica. Il Tutto non è che il semplice teatro illusorio in cui giocano e in cui si giocano le parti.

Questa visione esasperatamente metonimica consente l’uso della parodia, in quanto paragone alterato, per ravvicinare elementi or-ganici a elementi inoror-ganici e per estendere l’ambito del vegetale al mondo della materialità umana o porre la visione del vegetale sotto il segno della sessualità umana, fino a giungere alla delineazione della vera e propria oscenità. Nel testo in esame si legge: «L’amore e la vita appaiono individuali sulla terra solo perché tutto è spezza-to da vibrazioni di ampiezza e di durata diverse [...] Gli esseri non trapassano che per nascere allo stesso modo dei falli che escono dai corpi per entrarvi [...] Gli alberi coprono il suolo terrestre di una quantità innumerevole di verghe fiorite drizzate verso il sole» (AS,

I, 83-84; 35-36). Questa gloria di pansessualismo si conclude con una metamorfosi: «Gli alberi che si slanciano con forza finiscono bruciati dal fulmine o abbattuti o sradicati. Ritornati al suolo, si rialzano gli stessi sotto altra forma» (AS, I, 84; 36). Le parole che useremmo abitualmente mutano: non vediamo più le cose elevarsi ma essere in erezione, la copula grammaticale assume il suo senso vero, carico di erotismo violento. Se fino ad ora il tentativo era quello di unificare l’universo, sia pure sul piano della parodia, già alcuni passaggi dell’Anus solaire delineano l’oscenità in quanto rot-tura (che può essere superata solo dal mito e dal sacrificio). Il viso reso sanguigno «dalla sete di impudicizia e di crapula criminale» diventa scandalo e le sue passioni non sono espresse che dal Gesu-vio. Il Gesuvio, invenzione della fantasia materico-erotica di Batail-le, «è così l’immagine del movimento erotico che dà per effrazione alle idee contenute nello spirito la forza di un’eruzione scandalosa» (AS, I, 85; 37). Insomma l’andare verso l’alto non deve ingannarci, alla fine tutto ritorna al basso, mosso dal movimento che cerca l’appagamento di un desiderio.

Riemerge la figura della “vecchia talpa” del diciotto brumaio: coloro nei quali si accumula la forza di eruzione sono necessaria-mente situati in basso. «Gli operai comunisti appaiono ai borghe-si laidi e sporchi come le parti sessuali e villose o parti basse: pre-sto o tardi di là verrà un’eruzione scandalosa nel corso della

qua-le qua-le teste asessuate e nobili dei borghesi saranno mozzate» (AS, I, 85-86; 37) 3. Sulla pulsione del desiderio, avverte Bataille, emergerà una pratica attraverso la quale la testa del razionalismo che confon-de le primarie esigenze confon-dell’uomo con le strutture legalizzate verrà tagliata.

Se questa è una posizione estrema che porta al distacco di Ba-taille dal surrealismo, all’interno del movimento le masse del pro-letariato europeo sono viste come il lato notturno e strisciante che si prepara nella clandestinità ad emergere. Il surrealismo intanto raccoglie idee e pulsioni analoghe agli oggetti di poco conto dei rigattieri. Cose inutili e umili che si riveleranno patrimonio di forza eversiva. Questa è la suggestiva interpretazione di Benjamin che con Bataille sembra condividere, sia pure in forme meno estreme, l’idea della forza eversiva degli scarti, metafora del rimosso, in gra-do di trasformare la storia 4. Sono i reperti che Foucault raccoglie nell’Archeologia del sapere come esempi degli aspetti rimossi della vita, così come il proletariato è il rimosso della piramide della so-cietà. In quest’ottica l’inserimento della “vecchia talpa” in uno scritto di carattere letterario, in cui la pulsione violenta del deside-rio senza remore non fa più distinzione fra l’io e la natura fuori di sé, acquista il senso di far agire l’eruzione del desiderio non solo sul piano individuale, ma come forza corrosiva della piramide so-ciale. Quella di Bataille è la natura spezzata, violenta e violentata del surrealismo pittorico. Gli scritti poetici di Bataille assomigliano più ai quadri di Léger, di Dalí, spesso di Max Ernst, che ai moduli stilistici di Breton o di Queneau. Se Bataille rompe col surrealismo, rompe col surrealismo letterario e in particolare con quello teorico di Breton. Un aspetto del surrealismo Bataille continuerà comun-que a condividere: la pratica dell’impossibile. Ma con un’intensità che supera di gran lunga gli enunciati nominalistici del surrealismo per trasformarli in un’esperienza reale, in un vissuto totalizzante.

Vedere dal basso guardare oltre Negli oggetti non vediamo

soltanto segni per distinguere elementi e per stabilire relazioni; ciò che cade sotto i nostri occhi determina di fatto «uno stato di spi-rito decisivo e inspiegabile», che nasce non dal lato immediatamen-te inimmediatamen-telligibile delle cose ma dall’intuizione di un qualcosa che sta al di sotto. Così, se il fiore è la parte di una pianta, «la vista di que-sto fiore provoca nello spirito delle reazioni molto più conseguenti con il fatto che esso esprime un’oscura decisione della natura vege-tale» (LF, I, 173; 40). E se il linguaggio non può esprimere fino in fondo le sensazioni che provocano in noi il colore della corolla o la

freschezza del pistillo, tuttavia, secondo Bataille, non si può liqui-dare come irreale il simbolismo che noi attribuiamo ai fiori: il lin-guaggio infatti sembra rispondere all’esigenza di dare testimonianza di una «inesprimibile presenza reale». Attraverso una rassegna delle varie simbologie attribuite ai fiori dalla tradizione si può giungere alla conclusione che comunque, al di là di queste banalità, resta il fatto che il fiore è legato all’amore. Infatti: «Molte cose possono trasformarsi nelle società umane, ma niente prevarrà contro una verità tanto naturale: che una bella ragazza o una rosa significhino l’amore» (LF, I, 175; 42). Bataille lo ammette: fiori e ragazze sono ravvicinati sotto la categoria della bellezza ideale. Insomma il lin-guaggio funziona e sarebbe falso pretendere di contrapporre «l’aspetto alla parola come elemento di analisi filosofica», in cui l’aspetto risponderebbe ai «valori decisivi» delle cose e la parola al loro carattere relativo. Tutto sembrerebbe tornare al suo posto, in-vece scopriamo subito che ciò ha un valore ma solo fino ad un cer-to puncer-to. Di fatcer-to la contrapposizione fra parola e aspetcer-to non è valida non perché la parola abbia una sua realtà, ma perché essa risponde al bisogno di riferirsi ad una realtà solo apparente e, po-tremmo aggiungere, già immagine, quindi realtà trasformata e sog-gettivizzata.

Quando parliamo di aspetto noi usiamo una duplicazione fun-zionale della parola: ci accontentiamo di un segno esteriore. Parlia-mo sempre dell’aspetto del fiore, ma “dal di fuori”. Si tratta di una pura funzionalità simbolica. In realtà ciò che non vediamo, ciò che non diciamo, è che «i più bei fiori sono deturpati al centro dalla macchia villosa degli organi sessuali», mentre la parte interna di una rosa è ben lontana dalla sua bellezza esteriore. Quanto alle preziose orchidee sarebbero, almeno secondo il senso comune, «co-sì losche che si è tentati di attribuire loro le più torbide perversioni umane». Comunque, non tanto la lordura degli organi quanto la fragilità della corolla tradisce la promessa di bellezza del fiore e ne fa non l’emblema della risposta all’esigenza delle idee umane, del-l’ideale, ma del fallimento di esse. Scrive pittorescamente Bataille: «Dopo un periodo molto breve di splendore la meravigliosa corolla marcisce impudicamente al sole, divenendo per la pianta una ver-gogna obbrobriosa. Raggiunto il fetore del letame, benché avesse dato l’impressione di sfuggirvi in uno slancio di purezza angelica e lirica, il fiore sembra bruscamente tornare alla sua sozzura primiti-va: il più ideale è rapidamente ridotto ad un brandello di letamaio aereo. Perché i fiori non invecchiano onestamente come le foglie che non perdono niente della loro bellezza, anche dopo che sono

morte; i fiori appassiscono come delle smorfiose invecchiate e trop-po incipriate e muoiono ridicolmente sugli steli che sembravano portarli alle stelle» (LF, I, 176; 43). Il tono di Bataille è qui forte-mente ironico; egli stesso precisa d’altro canto che si tratta «delle opposizioni tragicomiche» che si svolgono fra cielo e terra a sotto-lineare il dramma della morte, che non può essere sintetizzato se non con «questa banalità stucchevole: che l’amore ha l’odore della

morte» (LF, I, 176; 44). Ha cioè l’odore della corruzione e della sozzura. Quanto alla ricerca della bellezza ideale fondata sulla forza di seduzione di parole che alludono all’aspetto più superficiale del-le cose – essa non è, nella visione di Bataildel-le, che «un imperativo

categorico» che costituisce il limite di «spiriti tristi e allineati». In

realtà, il desiderio si esercita verso la bellezza, non per goderne in quanto tale ma per il gusto di insozzare e far appassire questa bel-lezza. Il desiderio così inteso è il rimosso, che sta al falso desiderio di bellezza come l’aspetto esterno del fiore sta alla brutalità osce-na dei suoi organi sessuali. Diversa è la situazione del fiore sulla pianta all’interno dell’architettura della natura descritta da Batail-le con toni quasi kantiani. In questo caso infatti il fiore fa parte di un tutto che è oggetto di contemplazione, mentre il fiore che noi ammiriamo e verso il quale corre il nostro desiderio di possesso, è il fiore isolato che ci induce allo smembramento delle parti. «Nes-suna stecca – dice Bataille – turba in maniera notevole l’armonia decisiva della natura vegetale. I fiori stessi, perduti in questo im-menso movimento del suolo verso il cielo, [...] non possono che contribuire, rompendo la monotonia, alla seduzione generale dal basso verso l’alto. E per distruggere l’impressione favorevole ci vor-rebbe la visione fantastica e impossibile delle radici che brulicano sotto la superficie del suolo, stomachevoli e nude come vermicai» (LF, I, 177; 44-45). Dal punto di vista della visibilità immediata, d’altro canto, le radici sono «la contropartita perfetta delle parti visibili della pianta»: si arrotolano e affondano sotto terra, nel bas-so, quindi, che si oppone all’alto verso cui si eleva il fusto. Natural-mente tutto ciò presuppone valutazioni e significati morali; anzi, «il valore indiscusso del termine basso è solidale con quest’interpreta-zione sistematica del senso delle radici: quello che è male è neces-sariamente rappresentato, nell’ordine dei movimenti da un movi-mento dall’alto verso il basso» (LF, I, 177; 45). Da questo punto di vista, sostiene Bataille, la leggenda della mandragora, cui veniva at-tribuito un alone di diabolicità, conferma una differenza esteriore essenziale; la mandragora, che è radice già al suo apparire imme-diato, presenta una bassezza messa a nudo. Nel fiore non si ha una

contrapposizione così evidente: esso rivela però la sua bassezza man mano che appassisce. «Non può esserci dubbio – afferma Ba-taille – la sostituzione delle forme naturali alle astrazioni impiega-te correnimpiega-temenimpiega-te dai filosofi apparirà non soltanto strana ma as-surda [...] nessun accecamento imbarazza quando si tratta di difen-dere le prerogative dell’astrazione» (LF, I, 178; 45-46). Ma sono i filosofi a tralasciare e rifiutare quelli che l’autore definisce i «mo-menti decisivi della natura». La sostituzione, il guardare in faccia la natura li porterebbe molto lontano: «Ne risulterebbe, in primo luo-go, un sentimento di libertà, di libera disponibilità di se stessi, in tutti i sensi assolutamente insopportabile per i più; e una derisione inquietante di tutto ciò che è ancora, grazie a miserabili elusioni,

elevato, nobile, sacro... Tutte queste belle cose non rischierebbero

di essere ridotte a una strana messa in scena destinata a rendere i sacrilegi più impuri? E il gesto conturbante del marchese de Sade rinchiuso con i pazzi, che si faceva portare le rose più belle per sfogliarne i petali sullo scolo di una fossa, non assumerebbe in que-ste condizioni una portata angosciosa?» (LF, I, 178; 46).

In questo passo sono aperti vari problemi che, formulati in ter-mini morali, si risolvono soltanto sul piano estetico. L’unico pun-to chiaro è che certamente l’abbandono delle astrazioni da parte

Nel documento Georges Bataille e l’estetica del male (pagine 21-58)