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III, 1 Gianfranco Contini

Nel documento Storia della critica della Scapigliatura (pagine 58-65)

Allontanandosi diametralmente dall’interpretazione crociana, il Contini ritenne innanzitutto fondamentale sottolineare come la Scapigliatura fosse una categoria letteraria, con un preciso programma e delle idee molto chiare, le quali si concentrano su un intento antiborghese (rappresentato principalmente dal Rovani, dal Tronconi e dallo stesso Arrighi), con delle velleità rivoluzionarie e un legame con la politica (tanto che lo stesso Turati può esserne considerato uno dei rappresentanti).

16 Tutte le citazioni del Contini qui riportate sono tratte da G. Contini, Racconti della Scapigliatura

Come movimento letterario la Scapigliatura non poté fondarsi solamente su una poetica comune, ma dovette possedere soprattutto la

“fermezza d’uno stile”: tale considerazione portò il Contini a leggere

questo movimento - sia milanese che piemontese - sotto la lente delle

“violenza linguistica”, come una “variet{ di espressionismo”.

Fu un’esperienza, pur con contorni sfumati e varie caratteristiche, che rappresentò “[…] l’avanguardia letteraria postromantica degli anni fra

il settanta e l’ottanta, che, con lo sguardo al realismo francese, e ancor di più all’umorismo inglese e tedesco, da Heine a Jean Paul, da Sterne a Dickens e Thackeray, su un piano europeo insomma, cerca l’eccezione lirica a un mondo preordinato tanto nello spregiudicato esame d’una via

“inferiore” quanto in un’evasione facilmente magica.”

Si possono citare a questo proposito i nomi di Praga, Tarchetti e Boito, ai quali si aggiungono l’altro Boito, Camillo, il Ghislanzoni e molti altri, si possono altresì elencare i loro editori; ma si vedrà come la Scapigliatura non si limitò a gravitare esclusivamente attorno ad un universo letterario. Questa apertura anche ad altre forme artistiche ebbe però una direzione ben determinata tendente all’innovazione linguistica e capace di prolungare le sue idee sino alle avanguardie novecentesche (basti pensare alla linea diretta che collega Dossi-Lucini a Carlo Emilio Gadda).

La Scapigiatura piemontese.

La difficoltà principale dell’impresa critica del Contini sta nel riuscire a individuare un gruppo, finora completamente ignorato, che si lega ad uno perfettamente conosciuto (sul quale si sono sprecati fiumi d’inchiostro) e di darne una descrizione che ne faccia comprendere la portata, la forza innovatrice e i rapporti con il centro propulsore.

Di una scapigliatura a Torino si parlava già alla fine del IX° secolo col critico Carlo Rolfi (nella prefazione ad un’opera di Faldella) e col Faldella stesso, il quale in Rovine narrava la storia proprio di uno “scapigliato”, inteso nel senso di “vinto” verghiano. Ma si trattava puri

accenni, incapaci di descrivere in modo esaustivo il nuovo clima culturale che stava nascendo.

Fondamentale per lo studio del movimento piemontese fu, invece, la fondazione della società “Dante Alighieri”, nella quale si riunirono i più significativi esponenti della scapigliatura: nata nel 1863 da un gruppo di studenti che accorsero attorno ad Arrigo Boito e al Praga, quando i due vennero a Torino in occasione della rappresentazione delle Madri

galanti, di essa fecero parte personalità come Giacosa, Camerana,

Faldella, Sacchetti e molti altri.

Di tutta questa gioventù, il vero scapigliato fu senza dubbio il Camerana, la cui opera si mosse attraverso il Flaubert e il movimento parnassiano; mentre il Faldella, il Sacchetti e il Molineri si volsero alla fondazione di riviste come “Il Velocipide” e le “Serate italiane”. Tuttavia, in queste esperienze editoriali mancò l’energia e l’autocoscienza affinché divenissero mezzi per la diffusione di qualsivoglia intento programmatico; mancò anche la decisa presenza di un editore locale che potesse indirizzarle verso un orientamento preciso.

Il critico Contini, si sentì in dovere di intervenire per riuscire ad ordinare e a fare una chiarezza all’interno di una esperienza così confusionaria.

Egli focalizzò l’attenzione su un autore di provenienza monferrina che ebbe dimora a Torino, ma divenne uno dei più importanti autori della Scapigliatura milanese: Iginio Ugo Tarchetti. Il maledetto di provincia lasciò la sua impronta su quasi tutti gli autori piemontesi e in particolare sul Cagna, il quale gli dedicò la prima parte delle sue Falene

dell’amore, e, soprattutto, sul Sacchetti indagatore della materia psico-

patologica in Candaule e Da uno spiraglio.

Altro elemento di comunanza tra questi scrittori fu la “macaronicità”, cioè l’uso di un linguaggio composito, che caratterizza certi sperimentalismo linguistici. Lo stesso Faldella nel suo libro A Vienna rivendicò l’uso di vocaboli trecenteschi, quattrocenteschi, toscani e piemontesi, facendosi battistrada per autori che seguiranno direttamente le sue orme (come Salvatore Farina e Achille Cagna).

Giovanni Faldella.

Nato nel vercellese e avviato alla carriera d’avvocato, collaborò già nell’età da studente col “Novelliere della Domenica”, partecipò alla celebre società “Dante Alighieri” (insieme al Giacosa, al Sacchetti, al Camerana e molti altri) e, soprattutto, fondò con alcuni amici “il Velocipide”, rivista fondamentale per la storia della Scapigliatura piemontese. Si ricordano inoltre i suoi interventi su “Serate italiane”, la “Rivista minima” e la “Farfalla”.

Abbandonata la carriera forense, si dedicò a tempo pieno prima al giornalismo e successivamente alla politica; durante quest’ultima fase si allontanò gradualmente dalla scrittura, preferendole l’oratoria d’occasione e scritti moraleggianti e patriottici.

Tuttavia, nonostante il suo finale divorzio con la letteratura di stampo scapigliato, fu, forse, il più importante degli autori piemontesi e, sicuramente, quello a cui Contini dedicò maggior attenzione.

Attratto dagli autori umoristici stranieri – come Sterne, Heine, Thackeray – Faldella si divertì a piegare ed a giocare con le parole grazie ad una maestria fuori dal comune ed a una conoscenza smisurata del vocabolario.

Le direzioni entro cui egli si mosse sono due: da una parte verso il purismo (che va dai modelli antichi al toscano contemporaneo) e dall’altra verso un’apertura al mondo dialettale, che funzionò come un’alternativa dalla grande forza espressiva, contrapposta ad un parlare neutro. Questi due poli si fusero in Faldella, portando ad una lingua interessante e innovativa, anche se spesso di difficile comprensione.

L’entusiasmo dello scrittore, unito alle immagini modeste che gli suggerisce il verismo (il villaggio, la campagna), lo condusse ad assumere un tono eroicomico. Grazie a questa caratteristica uscirono dalla sua penna dei racconti di notevolissima fattura, come quelli che Contini riportò nel suo libro: Il male dell’arte, Degna di morire e il

figliuolo della vecchia, ove pure la componente sociale è sempre

presente, come pure dei momenti di naturalismo alla Zola nella descrizione di determinati ambienti degradati e opprimenti.

Sebbene le sue opere tarde, come Sant’Isidoro, manchino di tali caratteristiche e di una perfetta amalgamazione tra le parole di diversa provenienza, l’esempio del Faldella rimase uno dei più interessanti non solo nell’ambito della Scapigliatura piemontese, ma di tutta la letteratura italiana del tempo.

Roberto Sacchetti.

Assiduo frequentatore della “Dante Alighieri” e del caffè Biffi (dove si muovevano personaggi del calibro di Verga), venne, come molti dei sui compagni, indirizzato agli studi di legge, successivamente abbandonati per la passione letteraria e giornalistica. Di opinioni moderate, si occupò sia di politica che di critica letteraria e teatrale.

Per quanto riguarda la letteratura scapigliata, è da collocare su un piano molto secondario ed direttamente ricollegabile al più celebre Tarchetti, non solo da un punto di vista di materia letteraria, ma anche per una certa mediocrità da un punto di vista linguistico (basti pensare alla descrizione della malattia psichica in Candaule). I suoi racconti e romanzi narrano spesso di situazioni strane ed eccezionali, non supportate, tuttavia, da un linguaggio sufficientemente elaborato.

Interessante fu, invece, il romanzo postumo Entusiasmi; nel quale si muovono personaggi ben riusciti e colti nelle loro varie sfaccettature all’interno di una Milano quarantottina che non ha niente di eroico; ma è, anzi, perennemente lacerata dalla discordia e adombrata dall’ambiguità.

Sfortunatamente, la morte prematura (a soli trentatré anni) impedì al Sacchetti di sviluppare ulteriormente una poetica che aveva appena iniziando a dare dei frutti.

Achille Giovanni Cagna.

“[…] è pure un caso singolare quello d’un uomo totalmente al di sotto d’ogni letteratura, fecondamente circolante per le bancarelle, che all’improvviso esce fuori con tre o quattro libri perfettamente

leggibili senza bisogna di soverchia indulgenza, e dov’è tentata, qualunque sia la vita spirituale a cui si applica, qualche esperienza stilistica qualificata.”

Una personalità strana, dunque, quella di Cagna; il quale, autodidatta, riuscì con fatica all’inizio della sua carriera a trovare la strada sulla quale dirigere la propria arte e poté giungere a dei risultati validi solo in un secondo momento.

Gli inizi deludenti della sua esperienza sviluppatisi all’ombra dei mediocri Ghislanzoni e Savini, subirono una svolta all’altezza dell’incontro con un Faldella già nel periodo critico della sua produzione artistica, il quale condusse lo “scolaro” Cagna verso una nuova e più prolifica fase.

Il primo e il migliore libro del Faldella, i Provinciali, fu ben giudicato addirittura da Eugenio Montale, che ne apprezzò i toni parodistici, lontani da qualsiasi eccesso di sentimentalismo. Inoltre notevole è anche la maestria con cui l’autore dipinge la città provinciale, ove è ambientato il racconto, e la divisione della materia narrata in una serie di bozzetti.

Non solo nel romanzo appena citato, ma in tutte le opere della maturità prevale un linguaggio di stampo faldelliano, violento ed espressivo, infarcito di parole dialettali dalle più disparate provenienza (sebbene Cagna si applicasse in modo più superficiale rispetto al suo maestro in quest’ultimo studio). Se in Faldella si coglie un certo purismo linguistico, il suo discepolo si volse più spesso al vernacolo, usando parole da lui stesso deformate.

Edoardo Calandra.

L’esperienza scapigliata del Calandra fu molto marginale e ricollegata a un periodo limitato della sua carriera artistica. Egli dedicò parte della sua vita alla pittura storica e di genere, a alle illustrazioni librarie (come Reliquie e Cavalleria rusticana) e all’archeologia.

La sua carriera di scrittore iniziò come narratore di favole, traboccanti di ingredienti misteriosi e diabolici; ma solo con Reliquie si poté a

intravedere in Calandra il vero narratore, grazie alla scelta di un argomento a lui molto caro: la Storia (pur costellata del perenne alone di sovrannaturale).

Di notevole interesse sono anche i bozzetti storici I Lancia di Faliceto, nei quali egli cercò di riassumere per un pubblico più vasto, attraverso le vicende di una famiglia, la Storia dal medioevo fino all’età a lui contemporanea.

CAPITOLO IV.

CONTRIBUTI DEL SECONDO DECENNIO

Nel documento Storia della critica della Scapigliatura (pagine 58-65)

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