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V, 2 Giuseppe Farinelli

Nel documento Storia della critica della Scapigliatura (pagine 86-95)

Affrontiamo adesso l’ultimo intervento in ordine cronologico (siamo nel 2003): quello del Farinelli, professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea e direttore dell’Istituto di Italianistica all’Università Cattolica di Milano.

Nell’ambito dei suoi studi dell’Ottocento e Novecento, il nostro critico ha dedicato una parte consistente dei suoi studi alla Scapigliatura, consegnandoci in tal modo un libro molto interessante, pieno di informazioni e di documenti. Tuttavia, ciò che ci interessa in modo più specifico sono le conclusioni alle quale egli giunse, prendendo in considerazione i più importanti interventi precedenti e indicandone con chiarezza i pregi ed i limiti.

Per Farinelli la Scapigliatura fu un fenomeno letterario che servì da cuscinetto tra il Romanticismo e il Decadentismo e dette il via a un importante dibattito per un rinnovamento su modello europeo, non solo da un punto di vista artistico, ma più generalmente culturale.

Questa modernizzazione spalancò le porte - attraverso il romanzo più che la poesia - alle avanguardie novecentesche; anche se non poté completamente prescindere dell’influenza del romanzo storico (che aveva dominato la scena culturale italiana fino a pochi anni addietro). La Scapigliatura guardò non solo verso un romanzo fisiologico-verista, ma dette origine anche a un tipo di romanzo che avrebbe avuto grandissima fortuna negli anni avvenire: quello “dove una timida figura

22 Tutte le citazioni del Farinelli qui riportate sono tratte da G. Farinelli, La Scapigliatura. Profilo storico,

di inetto o di antieroe o di eroe della solitudine dalla patologica sensibilità erotica e dalla concezione egoistica della vita cominciò a “comandare” sul suo autore e, dopo aver dissolto nella visione delle cose il rapporto causa-effetto e nella scrittura l’ordine logico-espressivo, a dettare le regole di una sua persistente ipoteca”.

Questa breve esperienza artistica fu, dunque, nonostante tutti i difetti che le possano essere imputati, un movimento vero e proprio, con la sua poetica e i suoi manifesti, e un punto di passaggio tra la cultura risorgimentale e quella industriale, gravitante attorno ad un universo esclusivamente urbano. Si inserì nel violento dibattito che segnò la fine di un’era, partorì delle proposte che non rimasero inascoltate e i suoi frutti continuarono a maturare anche negli anni a venire.

E’ profondamente sbagliata, per il Farinelli, l’idea che la Scapigliatura non sia mai stato un vero movimento, senza una poetica comune; anzi, essa dette vita ad una miriade di ideologie e dibattiti, segnando il passaggio dal Romanticismo al Decadentismo, attraverso l’esperienza positivistica-veristica. Il tentativo di molti critici di legarla esclusivamente ad una di queste esperienze è parziale e limitante: l’Arrighi e il Ghislanzoni, per esempio, pur senza abbandonare completamente elementi romantici, si mossero sulla strada del Verismo; mentre il Praga, il Boito e il Tarchetti, dopo essere passati da un’esperienza verista, si interessarono ad argomenti che sarebbero stati in futuro propri del decadentismo; il Licini, infine, seguendo gli insegnamenti del Dossi, condusse questa esperienza verso le avanguardie novecentesche.

Essa fu, dunque, un fenomeno profondamente eterogeneo, che produsse innovazioni non solo nel campo delle lettere, ma anche in quello delle arti, del giornalismo e della politica. Se da una parte un ramo della Scapigliatura si può far coincidere con la Bohème parigina (con tutto il suo aspetto pittoresco degli eroi che vivono di espedienti in fredde soffitte, allergici a qualsiasi tipo di convenzione), Farinelli individuò anche –imbevuta anch’essa di post-romanticismo– un Scapigliatura cosiddetta refrattaria e una Scapigliatura che sfociò nel decadentismo. La prima si scagliò violentemente contro le convezioni borghesi, si impose come mezzo di denuncia sociale e cercò di

dissacrare i miti post unitari, contribuendo alla fortuna delle tematiche realiste; mentre la seconda focalizzò la sua attenzione sull’essere umano, in particolar modo sul suo universo interiore, e sulle malattie fisiche e mentali.

Milano: la “piccola Parigi della Lombardia”.23

Il Farinelli ha dedicato alcune pagine del suo libro al ruolo fondamentale che ebbe la città di Milano come unico centro culturale dell’Italia post-unitaria. Pur limitata da un certo provincialismo rispetto alle altre città europee, essa rappresentò un forte richiamo per scrittori e intellettuali sin dai tempi dell’Illuminismo e fu il principale teatro di tutte le innovazioni sociali e culturali italiane. Inoltre, nel capoluogo lombardo si concentrò la maggior quantità della produzione editoriale e giornalistica dell’intera penisola.

Tali avvenimenti portarono all’esacerbazione di tensioni di tipo anti- borghese di stampo socialista; alle quali si sposò, con una grande varietà di idee e di posizioni, l’esperienza scapigliata.

I critici hanno individuato anche un Scapigliatura piemontese, genovese, palermitana, napoletana, padovana; ma quella milanese fu il solo ed unico centro propulsore, lontano dal quale non sarebbe potuto nascere un tale movimento letterario, sradicato da un ambiente in cui crebbero le sue radici teoriche.

Sebbene, in un clima di tale fermento culturale, non tutti gli scrittori e poeti riuscirono ad innalzarsi dalla mediocrità e i loro nomi risultano, a tutt’oggi, sconosciuti; tuttavia, furono anch’essi importantissimi per storia e per la cultura scapigliata, senza i quali “la crisi del

romanticismo e i prodromi del decadentismo sarebbero di ardua e opinabile comprensione, perché il critico farebbe fatica a scovare e ad analizzare i vari passaggi attraverso i quali le due epoche, il passato e il futuro, lentamente si intersecano e si confondono”.

23 Definizione di Cletto Arrighi.

Il romanzo sociale, psicologico e verista nella Scapigliatura.

Se durante il Romanticismo il romanzo storico trovò il suo periodo di gloria, una parte degli scrittori scapigliati si impegnò a piegarlo ad una missione prettamente sociale di rivendicazione dei diritti degli oppressi - spesso attraverso una rivisitazione del concetto cristiano di carità - e lo condì con elementi veristi (come La ca’ dei cani di Tenca). Tale romanzo storico popolare fu sicuramente figlio di un clima romanticheggiante ed ebbe fortuna anche oltre il suo tempo, sfociando (influenzato da dottrine sansimoniste e marxiste) nel romanzo contemporaneo sociale, che ebbe un grande sviluppo all’interno della Scapigliatura. Una tale messa a nudo del lato feroce e grottesco della società non poté, naturalmente, non scontrarsi con istanze di stampo borghese: nacque così una continua querelle tra le riviste scapigliate e giornalisti indignati di tanta sconcezza (di questo clima di tensione ne fece le spese anche Tigre reale del Verga).

Parallelamente al romanzo contemporaneo sociale, si sviluppò ed ebbe una grande fortuna, non solo nell’ambito della Scapigliatura, il romanzo psicologico: esso rifuggì i contesti politici e storici, per rifugiarsi in una dimensione privata, interiore. Fatto che porta ad un cambiamento stilistico e strutturale della tradizione romanzesca (ne è un esempio Fosca, la quale offre suggestioni decadenti nell’analisi della malattia).

Lo sviluppo di questo genere fu inarrestabile e può essere paragonato solo a quello del romanzo d’appendice che stava via via conquistando una grande fortuna attraverso i giornali: ciò, per il Farinelli, fu un indizio del fatto che la Scapigliatura “non è un accidente capitato nel

critico passaggio tra romanticismo e decadentismo, ma è dello stesso passaggio l’indispensabile stazione di sosta, di pulizia e di rifornimento, in cui il bagaglio dei vecchi ideali e dei vecchi sistemi è pesato, rivisitato, modificato e sostituito alla luce di una rinvigorita ricerca culturale interdisciplinare di stampo europeo”.

Più in generale, tutto il movimento scapigliato, non nascose mai l’intenzione di voler ricercare nella realtà, nella psicologia ed in un modo completamente nuovo di esprimersi un modello diverso e

autonomo rispetto alla tradizione. Il romanzo classico mantenne tutti i suoi generi, ma la sua struttura venne, di autore in autore, modificata e rivoluzionata (si pensi alle novità in campo linguistico apportate dal Dossi e dal Faldella o all’uso di dialettismi nell’Arrighi e nel Rovani).

La Scapigliatura come movimento e le tendenze letterarie.

Grazie alla grande disponibilità di documenti (testi, articoli di giornale, manifesti), possiamo definire la Scapigliatura come vero e proprio movimento, superando così l’analisi crociana, che non volle riconoscere gli elementi che univano i diversi autori e la critica negativa sul valore estetico di questo movimento da parte del Binni. Per il Farinelli le differenze che intercorsero tra gli scapigliati non eliminarono il sentimento unitario che li legò, sia come poetica che come desiderio di consultarsi vicendevolmente.

Bisogna, dunque, superare il concetto di Scapigliatura come momento (espresso dal Mariani); poiché, nonostante l’eterogeneità che regnava al suo interno, essa riuscì finalmente a risvegliare in Italia un sentimento democratico ed una nuova stagione culturale. Vedere questa esperienza come una sorta di incidente occorso tra il Romanticismo e il Decadentismo non è solo riduttivo, ma anche ingiusto: essa gestì la crisi provocata dallo spegnersi del Romanticismo all’indomani della delusione post-unitaria, accolse il romanzo storico e lo condusse verso la strada del Verismo da una parte e dall’altra verso l’esperienza pre-decadente del romanzo psicologico.

Non solo; fu un movimento, anche dal punto di vista della storia del costume: accolse uno stile di vita diametralmente divergente dalle altre esperienze culturali e ne spiegò le motivazioni, partorì molti documenti attorno ai quali riconoscersi, riconobbe i suoi maestri (individuati nei nomi che compaiono sempre nelle antologie) ed onorò la memoria dei compagni morti, dando così il via ad una sorta di mitizzazione dell’artista.

Naturalmente, il punto debole della Scapigliatura – cioè il motivo principale del persistente dibattito attorno ad essa – fu la mancanza di omogeneità. Ma un tale difetto (se di difetto si può parlare) era

l’inevitabile figlio del periodo di incertezza e crisi culturale e non in cui versava l’Italia al tempo: delusi da uno Stato che avevano anch’essi contribuito a creare, nauseati da una logora retorica risorgimentale, schiacciati dal peso del Manzoni (simbolo dell’epoca passata), stufi dei continui scandali politici e della condizione di miseria in cui versava parte della società, gli scapigliati reagirono con tutti i mezzi di cui disponevano e nei modi più disparati.

Togliere la Scapigliatura dal suo contesto storico-culturale rappresenta, dunque, una profonda limitazione dal punto di vista di un giudizio critico completo e giusto.

Per quanto riguarda le tendenze letterarie, Farinelli ha sottolineato come il Romanticismo fu un’eredità lasciata dalla precedente cultura risorgimentale: il romanzo storico di ascendenza manzoniana continuava, se pur con fatica, a calcare la scena culturale italiana - soprattutto in Lombardia, dov’era più fortemente radicato – e fu utilizzato dagli stessi Arrighi, Rovani e da altri scapigliati minori, con scarsi risultati (a parte Rovani) da un punto di vista artistico.

Dunque, negli anni ’60 dell’Ottocento, il Romanticismo si opponeva sempre all’ascesa del Verismo, il quale a sua volta si legava al Positivismo. A questi ultimi due guardò la Scapigliatura democratica, prendendo a modello scrittori francesi del calibro di Balzac, Flaubert e Zola ed individuando il Realismo come denominatore comune dei nostri scrittori, sin da Dante e Boccaccio.

Per gli scapigliati il verismo (che trovò la sua realizzazione nel romanzo contemporaneo sociale, ma anche nel romanzo psicologico) servì come sostituzione dei vecchi ideali patriottici della letteratura risorgimentale, in favore di un nuovo mezzo di denuncia sociale.

Manzonismo e antimanzonismo.

Coerentemente con l’eterogeneità dei pensieri e dei movimenti che sorsero all’interno della Scapigliatura, anche per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti del Manzoni possiamo cogliere delle opinioni diametralmente opposte.

Si registrano, a questo proposito, senza voler entrare nel particolare, le posizioni dei principali esponenti della Scapigliatura.

L’esempio di un caposaldo della letteratura italiana come il Manzoni non poté essere ignorato nel nuovo panorama culturale italiano, neanche da coloro che lottarono con tutte le loro forze per uno svecchiamento dell’arte, sempre legata a obsolete suggestioni romantiche. Alcuni degli scapigliati- come il Dossi, il Ghislanzoni e il Rovani (secondo il quale il Manzoni fu il promotore della rinascita della cultura italiana e, in particolare, lombarda; un modello etico ed intellettuale con cui confrontarsi)- lo ammirarono e lo ritennero un esempio da seguire sia da un punto di vista linguistico e narratologico, che da un punto di vista intellettuale.

Altri autori, invece, se ne vollero allontanare. Tuttavia, anche all’interno di coloro che lottarono per liberarsi dall’influenza dello scrittore dei Promessi sposi, non ci fu omogeneità: il Tarchetti, l’Arrighi, il Boito e il Praga tennero un comportamento ambiguo, rifiutandolo solo in parte e considerandolo un’eredità troppo ingombrante per essere ignorata; mentre scrittori come il Valera e il Tronconi si mostrarono irremovibili dalla loro posizione di ostilità, ritenendo il Manzoni la causa principale del mantenimento degli ipocriti e reazionari valori borghesi.

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Nel documento Storia della critica della Scapigliatura (pagine 86-95)

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