• Non ci sono risultati.

INTERVENTI RECENT

Nel documento Storia della critica della Scapigliatura (pagine 78-86)

Vediamo adesso come la critica più recente si sia mossa da una lato sul solco della tradizione precedente, mentre dall’altro abbia cercato di fornire una risposta definitiva e conclusiva riguardo al problema dell’oggettivo valore e ruolo della Scapigliatura. Non è mancato, altresì, chi ha ripreso il filone della critica di stampo storicistico.

Partiamo con l’esaminare Dante Isella; il quale legò in modo indissolubile i suoi studi a quelli del Contini (del quale fu allievo). Alla luce dell’opinione che ogni rivoluzione nell’ambito dell’arte si attui solamente a livello stilistico, egli riprese la tesi del maestro, che vedeva la Scapigliatura solo come una violenza linguistica e varietà espressionistica, e indicò il Dossi e il Faldella come i suoi esponenti più rappresentativi, i quali si protesero verso soluzioni novecentesche e decadenti; mentre gli altri – quali Tarchetti, Praga, Boito ecc. – rivelarono più arretrate matrici romantiche.

Quello dell’Isella fu un intervento sicuramente interessante, ma poco significativo per il nostro studio, in quanto non apportò sostanziali novità. Molto più importanti furono, invece, i saggi dello straniero Moestrup e del contemporaneo Farinelli.

V, 1. Jørn Moestrup.

21

21 Tutte le citazioni del Moestrup qui riportate sono tratte da J. Moestrup, La Scapigliatura. Un capitolo

Senza dubbio curioso è l’intervento di uno straniero (danese, in questo caso) riguardo ad un argomento italianissimo e poco conosciuto all’estero, come la Scapigliatura.

Abbiamo dunque deciso di prendere in considerazione un così importante e singolare apporto critico, che si rivela subito ad una prima lettura utile per la nostra ricerca, mostrandoci attraverso quale lente lo straniero osservasse un momento storico-letterario così importante.

Il critico danese descrisse la Scapigliatura come un puro esercizio di stile protratto sino alle soglie del ‘900, la cui poetica va ricercata all’interno della fase di transizione dall’idealismo romantico al Realismo. Fu questo un periodo caratterizzato dal contrasto tra ideale e reale; all’interno del quale l’esperienza milanese eliminò tale dissidio, attraverso una concezione dell’arte che deve farsi ideale partendo da una base reale.

Anche il giovane Verga non riuscì a liberarsi, nei primi tempi della sua esperienza di scrittore vicino alla Scapigliatura, di un tale dualismo.

Rassegna della critica.

Il Moestrup, prima di iniziare il commento vero e proprio, propose un exursus (cosa indispensabile per un pubblico straniero) degli studi – “storia della critica” sarebbe una parola troppo impegnativa, visto la frammentarietà del materiale – sulla Scapigliatura.

L’immagine che propongono, ad oggi, i manuali scolastici riguardo al periodo letterario preso in considerazione è mutuata dagli studi del Carducci, del Croce e del Nardi; mentre il Mariani si concentrò sui contributi ottocenteschi, generalmente considerati inconsistenti ai fini della pura critica.

Il primo scrittore chiamato in causa fu, dunque, il Carducci: egli espresse, anche con acredine, le sue riserve sull’arte degli scapigliati ( considerati nient’altro che dei romantici); tuttavia, non si poté esimere dal provare un certa simpatia per essi, sentendosi loro vicino del comune intento di opporsi al vecchio classicismo accademico.

Personaggi come il Praga, il Dossi e i loro compagni furono, dunque, degli importanti battistrada verso una nuova letteratura; ma mediocri da un punto di vista artistico.

Tali considerazioni hanno avuto una fortissima influenza sulla critica posteriore.

Per quanto riguarda il Croce, Moestrup sostenne che gli studi su Boito, Tarchetti e Praga furono solo un approfondimento di quelli del Carducci nei Dieci anni a dietro. Conformemente alla sua estetica, il Croce rifuggì dal determinare una corrente, cercando elementi in comune tra gli autori; cercando, invece, di focalizzare l’attenzione sulle caratteristiche individuali. Riguardo al Dossi, Croce ebbe il merito di aver riconosciuto la grande e innovativa prova artistica che egli diede in seno alla Scapigliatura.

Continuando con la rassegna degli studi, il critico danese non ha potuto non citare l’opera del Nardi (1924) come l’unica monografia esistente sugli scapigliati, i quali vennero accomunati attraverso un unico sodalizio spirituale: furono tutti legati da uno stesso disagio esistenziale che, a secondo della persona, produsse i più diversi esiti. Solo il Nardi, dunque, ha cercato di vedere la Scapigliatura in un’unica prospettiva, come un unico movimento accomunato da determinate caratteristiche; tuttavia, non inserendo gli autori in un contesto storico-culturale ben preciso, ha fatto sembrare la crisi in cui essi versarono come un qualcosa di nebuloso e indeterminato, non riconducibile a ragioni precise (che pure ci sono e sono evidenti).

Da parte sua, il Binni introdusse, per la prima volta, lo studio del legame tra Scapigliatura e Decadentismo: tra il Romanticismo e quest’ultimo si collocherebbe il movimento lombardo, la cui caratteristica fondamentale fu l’acre battaglia per la ricerca del nuovo. Tuttavia, gli scrittori milanesi fallirono, in quanto non riuscirono a creare una vera e propria poetica, rimanendo sostanzialmente dei tardo-romantici.

Moestrup mosse, tuttavia, due fondamentali obiezioni al alla critica del Binni, sostenendo l’impossibilità di accusare gli scapigliati di una completa mancanza di poetica e l’impossibilità di accettare una separazione netta tra il primo e il secondo Ottocento.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’influenza marxista sulla cultura italiana portò ad orientare gli studi letterari verso una più approfondita attenzione al contesti storico e delle correnti; a differenza della precedente epoca crociana, in cui si consideravano solamente le caratteristiche individuali di un singolo scrittore, distinguendo tra poesia e non-poesia.

In questa nuova stagione della critica, spiccano figure come il Sapegno, il Bosco, il Marcazzan, lo Spinazzola e, soprattutto, il Mariani.

Se la critica sul rapporto tra la Scapigliatura e gli altri movimenti, sulla sua storicizzazione e sull’autenticità della poetica è sempre stata in fermento e non è mai riuscita a giungere ad un risultato universalmente accettato; la questione del giudizio di valore sembrò agli occhi del Meostrup perfettamente risolvibile: non troveremo dei capolavori nella produzione scapigliata. Gli scrittori lombardi hanno dato delle buone prove artistiche; ma, nel complesso, l’interesse che suscita questo gruppo è più storico che estetico e può servire a mettere in luce alcuni aspetti della storia del Risorgimento.

La Scapigliatura e il Risorgimento.

A proposito del Risorgimento, il Moestrup ha voluto compiere innanzitutto una breve panoramica storica, partendo dal biennio rivoluzionario ’48-’49.

Prima di quegli anni la letteratura fu un tutt’uno con il movimento risorgimentale, nonostante le diverse tendenze e correnti di pensiero che si muovevano in seno ad esso. L’arte stessa diventò parte fondamentale del progetto unificatore e i romanzi storici, alla ricerca di episodi edificanti della storia italiana, fecero da padroni incontrastati della scena culturale.

Le diverse ideologie politiche che contrapponevano democratici e moderati rimasero per un primo periodo solo su un livello di speculazione teorica: soltanto nel ’48-’49 questo equilibrio si ruppe.

Alle gloriose Cinque Giornate seguì la disastrosa sconfitta di Novara e il malumore per questa ennesima delusione dimostrò quanto fosse delicata e instabile il filo della concordia che legava le diverse ideologie. L’amarezza e il pessimismo per tali avvenimenti trovarono eco nelle opere di scrittori, che fino a poco tempo prima avevano sperato e creduto nel felice esito della guerra. Anche la Scapigliatura fuè, in un certo senso, figlia del ’48.

Inevitabilmente negli anni successivi, laddove sarebbe stata fondamentale una concordia tra i diversi personaggi di spicco, i contrasti furono duri e inevitabili.

Dopo l’esito nefasto del biennio rivoluzionario si sentì il bisogno di un rinnovamento, al quale tentò di rispondere il Regno di Sardegna con Cavour e le sue riforme; mentre il resto dell’Italia (anche la Lombardia, cioè la regione che era stata finora la più progredita) rimase economicamente e socialmente paralizzata.

La produzione del decennio ’49-’59 non seppe dare risposte adeguate all’esigenza di rinnovamento e rimase legato alla logora letteratura romantica: da questo punto di vista è perfettamente comprensibile la violenza con cui gli scapigliati si scagliarono contro gli autori che rappresentavano un intero decennio di fallimento artistico. Non rimase loro altro che volgersi verso modelli stranieri, come Hugo e Baudelaire. Alla luce di questo malumore, secondo Moestrup, la Scapigliatura mostrò la sua reazione alla letteratura precedente in tre modi: con il desiderio di rinnovamento, con l’abbandono della tematica patriottica e con uno stile di vita che si ispirava alla bohème parigina.

Il secondo termine era una diretta conseguenza del primo e non si riferì solamente a l’esaltazione della propria nazione, ma anche ad un atteggiamento eccessivamente sentimentaleggiante.

Tuttavia, ciò non portò alla scomparsa del tema storico nei romanzi scapigliati; viene solamente accantonato il leitmotiv dei gloriosi ed edificanti episodi della storia italiana. Non vi furono più eroi dalle grandi virtù; ma persone comuni la cui storia veniva raccontata perché ritenuta interessante o, quantomeno, curiosa.

Secondo Moestrup lo stile di vita bohèmienne, che molti scrittori adottarono dopo il 1860, fu provocato dal giudizio totalmente negativo che gli scapigliati ebbero della letteratura precedente. Tale fallimento letterario era la conseguenza dall’asservimento dell’arte ad una causa non artistica: quella nazionale; e ciò urtava contro il presupposto dell’autonomia dell’arte, fondamentale nell’epoca romantica e nell’800, in generale.

La Scapigliatura milanese, in questo clima, rappresentò la prima

bohème italiana: nacque tardi, ma, dopo un così lungo periodo di

asservimento dell’arte, ebbe un’irruenza mai vista prima e tentò di colmare il baratro che si era venuto a formare col resto d’Europa.

Tuttavia, questo concetto di autonomia non venne interpretato in modo assoluto e intransigente: il Praga stesso sostenne che non ci fosse arte senza scopo (concetto da non confondere con l’asservimento finalistico di pochi anni addietro).

Il parziale fallimento degli scapigliati.

Moestrup, nella sua opera, volle passare in rassegna coloro che ritenne i maggiori esponenti della Scapigliatura, ricercando dei legami interni che potessero giustificare il loro raggruppamento sotto un tale nome e cercando di comprendere se i loro obiettivi poetici fossero stati effettivamente realizzati.

Riguardo al Praga, il critico danese sostenne che il realismo lirico del primo momento (corrispondente a Tavolozza) riuscì a conciliare ogni sua esigenza. Questo equilibrio, tuttavia, si ruppe nella raccolta

Penombre, nella quale il poeta cercò di ritrarre la profonda crisi

esistenziale, imitando l’esempio di Baudelaire. Solo negli ultimi lavori egli fu capace di recuperare parzialmente l’autenticità di Tavolozza. Arrigo Boito, invece, rappresentò al meglio, nel suo Dualismo, il dilemma scapigliato. L’arte per l’arte fu il suo credo di vita e rimase ad esso fedele per tutta la sua produzione. Allo stesso modo il Dossi scrisse le sue opere poeticamente più rilevanti solo quand’era diviso dal dualismo tra ideale e reale, in cui l’ideale poté essere ritrovato

grazie ad una base reale nei ricordi del passato (vero o immaginario che fosse).

Nel Camerana tale dualismo si può cogliere solo in un primo periodo, che corrispose ai componimenti giovanili, cioè prima che egli si allontanasse dalla Scapigliatura; mentre nel Tarchetti Moestrup separò un momento iniziale di impegno civile, da uno finale, in cui si possono intravedere elementi realisti.

In conclusione, per Moestrup, gli scapigliati possono esseri visti come un unico gruppo legato dalla volontà di rinnovamento in un momento di transizione “contraddistinto da una profonda crisi la cui

caratteristica principale è l’irrimediabile contrasto tra ideale e reale”.

La poetica del cenacolo milanese era basata sul superamento del dissidio dualistico attraverso l’arte che si fa ideale, partendo da una base reale.

Tuttavia tale progetto si concluse con un relativo insuccesso: il processo che avrebbe dovuto portare all’ideale non riuscì a prendere corpo, rimanendo solo su un piano teorico. “La disperazione spinge agli

effetti macabri che rispecchiano la loro situazione: il cadavere putrefatto dell’uomo rende ardua la fiducia nel lato ideale dell’ homo sapiens”.

Un prospettiva europea e un ritardo culturale.

Partendo dal presupposto che in Europa nell’Ottocento vi fosse la possibilità di trovare una visuale comune ai vari movimenti letterari, Moestrup indica la Scapigliatura come un fenomeno vasto e di ispirazione europea, più che un fenomeno prettamente italiano e legato ad una tradizione locale.

Pare che il punto cardine di tutta la ricerca di questo secolo sia la conoscenza: il Romanticismo ebbe a questo riguardo una funzione preparatoria grazie all’esaltazione dell’individuale, il quale apre la strada ai movimenti veristi e, successivamente, decadenti.

In Italia la transizione tra l’individualismo romantico e naturalismo è rappresentata dal dualismo scapigliato.

Va specificato che tale contrasto tra sogno e realtà, tra ideale e reale, si ritrova anche in molto autori non italiani (come in Flaubert, Hugo, Baudelaire); tuttavia, a differenza degli scrittori milanesi, quest’ultimi riescono a superarlo ed a raggiungere, così, risultati artisticamente eccellenti.

Moestrup cercò di spiegarne il perché.

Dopo la grande delusione successiva all’Unità d’Italia si tentò di superare l’idealismo romantico, inutilmente. Gli scapigliati non poterono ignorare il grande fardello dell’idealismo lasciatogli dalla tradizione letteraria nazionale precedente, accresciuto da decenni di guerre d’indipendenza. Frattanto il presente si mostrava agli occhi degli intellettuali in tutto il suo fallimento.

La contrapposizione tra queste due inesorabili forze fu la causa principale del relativo fallimento degli scapigliati, che non seppero uscire da una situazione così complessa e superarla.

Inoltre, il critico volle sottolineare un aspetto fondamentale dell’esperienza milanese, ignorato dalla critica precedente, anch’esso concausa del ritardo culturale italiano: cioè l’impegno concreto che ebbe la Scapigliatura da un punto di vista patriottico (anche se diverso rispetto a quello dei poco talentuosi predecessori). La spinta nazionalista, che essa promosse, avrebbe dovuto essere realizzata attraverso un’arte basata sulla realtà, ma dal forte contenuto idealistico; tale idealismo, tuttavia, mal si conciliava con la nuova letteratura europea, basata sulla penetrazione della realtà, sulla conoscenza.

Il contrasto tra l’arretratezza italiana e le nuove strade imboccate dei movimenti degli altri paesi fu superato solo da Verga (osteggiato dal classicismo carducciano).

Il parziale fallimento degli scapigliati si ritrova anche su un linguistico: nonostante il loro antimanzonismo e le forti spinte per l’innovazione, essi non riuscirono a rivoluzionare il linguaggio, né a distruggere la barriera che aveva sempre separato scritto e parlato. Solo il Dossi ebbe il coraggio di aprire una nuova strada incentrata sull’uso del dialetto come solo italiano valido; che fu portata avanti in un secondo tempo dal Verga.

La Scapigliatura rimase quindi ancorata a tematiche e formule tradizionali, nonostante la sincera tensione internazionale verso un aggiornamento europeo e l’atteggiamento di rifiuto del passato culturale.

Nel documento Storia della critica della Scapigliatura (pagine 78-86)

Documenti correlati