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IV, 2 Gaetano Mariani

Nel documento Storia della critica della Scapigliatura (pagine 70-78)

A legittimare il termine “Storia” nel titolo del volume del Mariani (superando, quindi, le riserve crociane) stava la volontà di presentare un tale momento della cultura italiana come una continuità operante, che nacque in seguito alle nuove tendenze artistiche europee.

Egli analizzò con rigore storicistico e filologico come si influenzarono gli artisti tra di loro e quanto del gruppo lombardo confluì nella cosiddetta Scapigliatura Piemontese.

Più che un movimento (non vi sono elementi sufficienti per poter legare autori così eterogenei, se non la volontà di svecchiamento e l’anti-borghesismo), la Scapigliatura risultò, per Mariani, un momento della storia letteraria italiana profondamente complesso e, soprattutto, come una parabola del realismo, dalle prime esperienze del Figaro fino alla crisi. Di fondamentale importanza all’interno di questo momento fu il tramonto del romanzo storico e i primi, faticosi passi mossi dal romanzo psicologico.

Le caratteristiche della Scapigliatura, sulle quali il Mariani puntò l’attenzione, furono: la forte spinta europeizzante che gli scrittori lombardi cercarono di imprimere alla cultura italiana, la determinazione di una problematica sociale attraverso un atteggiamento anti-borghese, la ricerca di nuovi modelli linguistici e l’attrazione verso un universo spirituale.

Furono tutti temi che composero il sottofondo culturale ad una tale esperienza artistica; ma non poterono essere completamente risolti o portati a termine in quel determinato momento. Andiamo per grandi. Il Mariani nel suo corposo libro - considerato un caposaldo dalla critica successiva -, avvalendosi di interessanti e peregrini scritti ottocenteschi (oltre che all’apporto di studiosi a lui contemporanei), tracciò una storia della Scapigliatura partendo dalla nascita del termine coniato dall’Arrighi, sino ad arrivare alla divisione tra Scapigliatura letteraria e Scapigliatura democratica.

18 Tutte le citazioni del Mariani qui riportate sono tratte da G. Mariani, Storia della Scapigliatura, Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta-Roma, 1967.

E’ nostra intenzione riportare i punti più significativi di questo studio, in modo da poter avere una panoramica generale del pensiero del Mariani e dell’importanza che ebbe ed ha ancora nel nostro ambito di studio.

La preistoria della Scapigliatura.

La ricerca sul significato e l’evoluzione dei termini “scapigliato” e “scapigliatura” deve necessariamente partire dalla pubblicazione del romanzo dell’Arrighi (pseudonimo di Carlo Righetti). Questi termini avevano già conosciuto un discreta fortuna nel Cinquecento; ma caddero in disuso finché non vennero portati alla ribalta letteraria nella seconda metà dell’Ottocento, anche se con un’accezione diversa da quella che assunsero in futuro.

I giovani protagonisti de La Scapigliatura e il 6 febbraio, tuttavia, non pare che abbiano delle serie velleità artistiche, ma piuttosto che preferiscano dedicarsi alla bella vita; spensieratezza che l’Arrighi contrappone, romanticamente, alla gravità dei borghesi.

Egli, infatti, caricò il termine Scapigliatura di tutti i significati del corrispettivo francese Bohème: indicando, cioè, artisti che si oppongono volontariamente al perbenismo borghese, svincolandosi da qualsiasi consuetudine sociale.

Non vi era in ciò, tuttavia, nessuna qualificazione letteraria.

La missione dello scrittore lombardo di trasportare di peso temi e situazioni dell’esperienza culturale francese, non poté far altro che fallire da un punto di vista artisticamente concreto. Egli aveva dato un’etichetta ad un movimento che ancora non esisteva in Italia.

A onor del vero i termini “scapigliato” e “scapigliatura” fecero la loro prima apparizione già nel 1857, nel primo romanzo dell’Arrighi Gli

ultimi coriandoli (profondamente mutilato prima dalla censura

austriaca e, poi, da quella borbonica); per poi comparire con maggiore frequenza nella edizioni successive grazie alla loro sempre di più consistente diffusione nel linguaggio letterario degli anni ’60 e di quelli subito precedenti. Basti come esempio della fortuna di tali parole

l’articolo che pubblicò il Nievo sul Pungolo, dove venne citato lo

“scapigliato socialismo di Felice Pyat”19 o, sempre nel Pungolo, l’uso inconsueto dell’aggettivo accostato ai proclami della procura, ma invocato, comunque, in un’accezione patriottica. Lo stesso patriottismo che animò i giovani dell’Arrighi e che ci fa supporre che i due termini fossero molto utilizzati nella cerchia dei liberali lombardi.

Sempre l’Arrighi, dalle pagine della rivista Cronaca grigia (che egli stesso diresse) diede una nuova sfumatura di significato alle parole delle quali vanta l’invenzione: i protagonisti del racconto pubblicato in diverse puntate I misteri della Compagnia delle Indie (1864) erano anch’essi “scapigliati”, ma in un senso che sta a metà tra la vittima e l’ imbroglione e, successivamente, dello squattrinato complice di truffatori.

Vediamo così che i due termini stanno ad indicare sia coloro che sono costretti (per colpa propria o altrui) a vivere ai margine della legge, sia un gruppo di giovani che decidono di vivere al di fuori della società, opponendosi ad una mentalità di tipo utilitaristico e borghese.

Dunque, se in un primo momento il termine continuò a conservare, anche al di fuori degli scritti dell’Arrighi, una sfumatura negativa - cioè di artista perdigiorno e povero, che vive di espedienti -, pure pian iniziò piano a prendere campo anche l’altro significato: quello di anticonformista (alla rivista Gazzettino va un tale merito).

Per trovare la prima vera e propria accezione letteraria della Scapigliatura dobbiamo prendere in considerazione l’edizione del 1° Gennaio del 1865 della Cronaca Grigia: cioè la pubblicazione della

Ballatella di Arrigo Boito, preceduta da una lettera dell’autore stesso

all’Arrighi, dove egli rivendicò la sua totale vocazione al brutto.

Il fatto che l’autore del Mefistofele si chiamasse “scapigliato romantico

in ira” non è significativo da un punto di vista puramente letterario,

indica solamente una condizione psicologia caratterizzata da un desiderio di ribellione, senza nessuna implicazione artistica. Lo è invece la rivendicazione di totale asservimento alla tematica del brutto,

del repellente, che fu un perno fondamentale attorno al quale gravitarono le successive opere degli scapigliati

L’etichetta creata dall’Arrighi, disponibile ad accogliere una nuova generazione di intellettuali, portò alla nascita di non pochi fraintendimenti, che poterono essere finalmente superati solo nel 1883 con la critica carducciana, presso i critici contemporanei: tra i quali il Camerini e, soprattutto, il Sacchetti (il quale vide nei protagonisti del romanzo arrighiano le future personalità scapigliate).

Tuttavia, prima che avvenisse una tale precisazione, si iniziarono ad accostare i nomi di alcuni artisti, che avrebbero potuto essere definiti “scapigliati”: i primi ad essere presi in considerazione furono Emilio Praga e Arrigo Boito. Le ragioni di un tale binomio erano le più disparate: passavano per la grande amicizia che legò questi due personaggi, affratellati nella vita e nell’arte, alla volontà di rinnovamento, alla somiglianza degli stili.

Ad essi si aggiunse, solo nel 1869, Carlo Dossi.

Comune a tutti e tre era l’ideale di lotta e la volontà di svecchiare la cultura italiana, ma con una sostanziale differenza: se i primi due rimasero legati alla critica, anche feroce, fondata su un atteggiamento anti-borghese e all’ideazione di una comune poetica, il Dossi concentrò il suo discreto talento esclusivamente nella ricerca linguistica, sganciandosi da qualsiasi velleità programmatica.

Per quanto riguarda il Tarchetti, giovi notare come esso non comparisse in nessun raggruppamento, come se non legasse con nessuno dei suoi colleghi (talvolta gli fu accostato solo il nome di Salvatore Farina, scambiando l’affinità d’animo per un’affinità artistica).

Col passare degli anni tutti questi nomi (ai quali si deve aggiungere naturalmente il Rovani) vennero tutti assorbiti nell’orbita della Scapigliatura, con motivazioni più o meno valide. Il primo a compiere una tale mossa fu il critico contemporaneo Felice Cameroni, riunendoli attorno alla comune volontà di rifiuto della mediocrità e della sregolatezza dello stile di vita: il raggruppamento fu fatto, ma con una motivazione di costume e non critica.

Da parte sua, il Carducci, considerando la vera Scapigliatura solo quella che ebbe come obiettivo l’impegno politico e civile (la cosiddetta “Scapigliatura democratica”), sostenne che l’Uberti e il Cavallotti come gli unici esponenti di una bohème italiana e, finalmente, separò i nomi del Praga e del Boito, artisticamente così differenti.

Il critico toscano fu, dunque, il primo ad opporsi con tutte le sue forze agli equivoci e agli inesatti legami, che la critica precedente aveva cercato di formare tra personalità così diverse.

Panoramica storica.

A Milano, negli anni ’60 dell’Ottocento, fiorirono una quantità sorprendente di riviste di stampo progressista, attorno alle quali ruotarono intellettuali ribelli e pronti alla lotta, ma senza idee programmatiche ben precise (l’Arrighi ne è uno degli esponenti più importanti); i quali, vent’anni dopo, si fecero bandiera della polemica a favore dell’arte realista.

La distinzione tra le diverse posizioni all’interno di questo movimento rivoluzionario fa spesso perdere di vista le importanti, nuove idee che vennero avanzate da alcuni artisti e che si concentrarono attorno ad una battaglia realistica. I contemporanei, tuttavia, non compresero la profonda differenza che divideva gli intellettuali che seguivano un chiaro intento programmatico (come fu per il Praga e il Boito, ad esempio) e coloro che incitavano ad una violenza anti-borghese fine a se stessa (come l’Arrighi).

Quando il Boito parlava di “noi scapigliati romantici” si riferiva sicuramente al cenacolo di artisti e scrittori che si riuniva attorno al

Figaro e cercava, in qualche modo, di abbozzare un programma poetico

e di realizzarlo. Tuttavia, nonostante queste buone intenzioni, gli intellettuali del Figaro non riuscirono mai ad avvicinarsi ai loro osannati modelli d’oltralpe, poiché lasciarono da parte la ricerca stilistica per dedicarsi solamente all’aspetto anti-borghese mutuato dalla bohème parigina.

Dal modello francese nacquero, in Italia, diversi atteggiamenti: da una parte il giornalista ribelle impersonato dall’Arrighi, dall’altra il feroce

scrittore di pamphlet come Ghislanzoni e, infine, il poeta alla Praga. Tutte queste anime formeranno quella che viene comunemente chiamata la Scapigliatura artistica.

La poetica realista, che in Francia aveva subito un aspro dibattito, influenzò i giovani riuniti attorno alla rivista Figaro, anche se accolto dai diversi membri in modo diverso.

Per quanto riguarda il Praga ed il Boito, essi oscillavano tra l’influenza realista e quella baudeleriana (il quale considerava il realismo come la morte dell’arte), facendo, dunque, sviluppare la loro vita artistica all’insegna di un tale dualismo.

Per il Mariani, tuttavia, i piemontesi Camerana e Faldella costituirono un punto di passaggio fondamentale per lo sviluppo della poetica scapigliata: il primo sviluppò la lirica praghiana, legandosi alle suggestioni pittoriche presenti nelle opere di Camillo Boito; mentre il secondo riprese i risultati più moderni della ricerca del Dossi, ritrovando nel Tarchetti un’analoga importanza per le suggestioni sia psichiche che stilistiche.

I lavori di Faldella furono principalmente centrati sul gusto per l’immagine, la quale assorbì tutto l’interesse dello scrittore. Egli descrisse con un linguaggio rapido (di ascendenza dossiana) e pungente delle situazioni care al romanticismo, togliendone così ogni traccia patetica. All’interno di questo si inserì un sottofondo ironico e un gusto per la parodia, che permea tutto il racconto (esemplare a questo proposito è Una serenata ai morti).

Tuttavia, per quanto riguarda i personaggi, essi rimangono ad uno stadio poco approfondito, poiché lo scrittore era completamente assorbito dalla ricerca lessicale e linguistica: un tale completo asservimento a tali istanze fu, sicuramente, il limite del Faldella.

Nelle poesie del Camerana, invece, come aveva già detto il Nardi, le figure tendono a scomparire, per lasciare spazio al solo paesaggio: è una poesia che si avvicina e si fonde con la pittura.

Il linguaggio delle sensazioni risulta, tuttavia, legato profondamente alla realtà, dalla quale non si può prescindere: il paesaggio reale viene dall’autore sciolto in una pura suggestione di suoni e musica.

Frattanto l’ influenza di Verlaine portò il Camerana a osservare e rappresentare il paesaggio come un insieme di notazioni.

La sintesi di questa ricerca artistica è rappresentata dalla celebre lirica del 1886, considerato un vero e proprio manifesto poetico:

“Cerco la strofa che sia fosca e quieta Come il lago incassato entro la neve; Ier vidi il lago, ed era i cielo greve, Tetra la sponda e bianca la pineta. Cerco la strofa che sia cupa e queta. L’acqua pareva d’ombra e riflettea Gli spetri capovolti delle piante. Tutto era spetro; delle cose sante L’alito per la triste aura fremea. Cerco la santa strofa e l’alta idea. Cerco la vaga strofa indefinita Come una lenta linea di montagna

Quando incombe la nebbia, e la campagna Piange dell’anno la fuggente vita;

Cerco la grigia strofa indefinita. La indefinita strofa orizzontale, In cui si volga con cadenza blanda, Come sui esti orizzonti, in Olanda, Dei pensosi mulini a vento l’ale, Il fascinante sogno sepolcrale.”20

Il Mariani volle sottolineare come, sia nel Camerana che in Camillo Boito, “l’acquisto stilistico è indirizzato ad un fine comune, a un’ardita

scomposizione del linguaggio tradizionale che ha come centro focale la sensibile individuazione dei rapporti tra parola e colore”.

Il Boito, da parte sua, muovendosi sulla scia del realismo, esaltò la Bellezza come la vera e unica trionfatrice nella storia umana, della

quale solo l’arte può conservare in eterno l’immagine, e riprese dal Tarchetti due temi fondamentali: quello psico-patologico e l’interscambiabilità del binomi arte-vita. Tuttavia il primo elemento perdette nel Boito l’anima legata alla scienza – alla quale egli guardava con ironia - e divenne solo un pretesto per la narrazione.

Non è, dunque, il professore di Lezioni di autonomia a decretare la sopravvivenza della Bellezza, ma l’amore dell’artista che la eterna e costituisce, nella sua pura semplicità, un contraltare della macabra immagine della tomba.

Allo stesso modo il Verga, di fronte alla putrida contemplazione del disfacimento del corpo, non oppose solo la Bellezza, ma anche tutti gli ornamenti che possano aiutarla a trionfare.

L’autore siciliano nelle prime opere (come Una peccatrice, Tigre reale ed Eros) esaltò la forza dirompente dell’amore e della sensualità femminile, calato in un contesto singolare, assolutamente non quotidiano; come a indicare che la normalità distrugge l’amore.

La mitizzazione della passione ha la funzione di opporsi all’universo di valori del mondo borghese e di tutte le istituzioni sociali, compresa quella della famiglia. L’influenza scapigliata è evidente.

Fu’ forte, in particolar modo, l’ascendente del Tarchetti sul Verga, soprattutto nell’opera Eva, in cui la passione finisce per divenire una malattia ed il binomio amore-morte è il perno centrale della narrazione.

In questa prima esperienza, a metà tra Scapigliatura e Verismo, lo scrittore siciliano si appassionò a studiare l’universo psicologico dei suoi personaggi, che abbandonò solamente per parlare degli umili, degli ultimi.

CAPITOLO V.

Nel documento Storia della critica della Scapigliatura (pagine 70-78)

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