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Il capitale nella disciplina di vigilanza

Il ruolo svolto dalle banche nel sistema dei pagamenti, nella concessione del credito, nella trasformazione delle scadenze e la loro presenza, sempre più significativa, nelle

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Dell’allocazione del capitale e della creazione di valore se ne parlerà ampiamente nel capitolo secondo

33 operazioni sui mercati finanziari comportano il rischio che la crisi di insolvenza di una singola istituzione si propaghi alle sue controparti e che possa addirittura coinvolgere, con un effetto domino, l’intero sistema, riverberandosi anche sull’economia reale. Queste circostanze, a cui è stata ricondotta l’origine di gran parte della regolamentazione alla quale sono assoggettate le banche, hanno ovviamente riflessi importanti sul ruolo del capitale per questi intermediari e, soprattutto, sulla rilevanza che esso riveste per le autorità di vigilanza. Quest’ultime hanno inevitabilmente attribuito al capitale delle banche un peso notevole nella cosiddetta regolamentazione di stabilità, cioè quella branca della normativa bancaria che ha lo scopo di prevenire ed evitare fenomeni di crisi e di dissesto che possono determinare esternalità negative e degenerare in crisi sistemiche.

E’ ormai opinione diffusa che l’evoluzione normativa dell’attività bancaria comporti un incremento del grado di patrimonializzazione delle banche e alla base di tali convinzioni vi sono i nuovi orientamenti delle autorità di vigilanza con l’abbandono degli strumenti cosiddetti “strutturali” a favore di quelli “prudenziali”. Una prima fase, protrattasi fino agli anni Ottanta, infatti, era caratterizzata da un approccio di vigilanza di tipo

strutturale concentrata, cioè, sugli aspetti patologici della gestione bancaria. Difatti, gli

obiettivi di solvibilità ed efficienza del sistema bancario venivano affidati a interventi sulla struttura bancaria concentrandosi essenzialmente sul passivo del bilancio ponendo, cioè, la detenzione di un livello minimo di capitale iniziale come condizione per l’autorizzazione all’accesso dell’attività bancaria oppure ponendo vincoli alla costituzione di nuove banche e limiti all’apertura di sportelli o alla detenzione di attività e passività. Il successivo passaggio ad una vigilanza di tipo prudenziale, indotto dall’esigenza di una maggiore concorrenza quale stimolo dell’efficienza del sistema creditizio, ha comportato una mutata impostazione in cui l’obiettivo della stabilità è perseguito non più ricorrendo ad interventi sulla struttura ma attraverso la definizione di norme generali di comportamento prudenziale, volte a commisurare l’entità dei rischi assunti dall’intermediario alle capacità organizzative e di capitale necessario a coprirne le eventuali perdite. Di conseguenza, il perseguimento dell’obiettivo di stabilità si estende all’attivo del bilancio della banca, prendendo in considerazione i rischi connessi alla sua operatività.

Il principale vincolo regolamentare è oggi rappresentato dai requisiti patrimoniali obbligatori originariamente proposti dal Comitato di Basilea nel 1988 e successivamente recepiti dalle autorità di vigilanza di oltre 150 Paesi, tra cui i paesi

34 dell’Unione Europea. Nel corso degli anni i coefficienti patrimoniali minimi hanno influenzato, da un punto di vista microeconomico, la cultura aziendale e strategica delle banche facendo emergere nuovi modelli gestionali e organizzativi. Da un punto di vista macroeconomico, hanno reso più omogenei gli standard di patrimonializzazione dei diversi sistemi bancari nazionali, allineandoli su livelli sostenibili nel medio termine. I requisiti patrimoniali, originariamente focalizzati sul solo rischio di credito (cioè di mancato rimborso totale o parziale da parte dei prenditori di fondi), sono stati successivamente estesi anche ai rischi di mercato (nel 1996) e ai rischi operativi (nel 2004) in concomitanza con l’ampliamento dell’operatività in titoli e in strumenti derivati e la maggior apertura ai mercati esteri, nonché con l’accrescimento dell’evoluzione tecnologica e organizzativa della banca. Tali modifiche, conosciute col nome di Basilea 2, sono particolarmente significative perché hanno espressamente previsto la possibilità, per le banche, di utilizzare i propri modelli interni ai fini normativi, cioè per la determinazione del requisito patrimoniale obbligatorio raggiungendo così l’essenziale obiettivo di avvicinare la logica regolamentare dell’organo di vigilanza a quella gestionale dell’intermediario.

Il passaggio sperimentato con la nuova proposta di Accordo e con il riconoscimento dei modelli interni delle banche rappresenta una tappa importante del processo di ricerca di maggiore aderenza tra la struttura delle risorse patrimoniali (sempre più articolate, specializzate e complesse) e il sistema dei rischi dell’intermediazione finanziaria nella sua accezione più sofisticata, moderna e qualificata16. Si deve, quindi, a questa nuova normativa il merito dell’introduzione del fondamentale legame tra capitale e rischio attraverso l’imposizione del cosiddetto coefficiente di adeguatezza patrimoniale (pari all’8%) il quale mette in rapporto il capitale concepito dalla visione regolamentare (patrimonio di vigilanza) e le attività opportunamente ponderate per i rischi ad esse associate in base a particolari fattori di rischio.

La nozione di patrimonio utile a fini regolamentari non è stata ristretta a quella di patrimonio netto contabile ma si tratta di una nozione “allargata” di capitale in quanto comprende una serie di elementi ulteriori al capitale sociale e alle riserve che, pur avendo natura di debito, sono in grado di offrire una garanzia nei confronti dei diversi creditori della banca in quanto permettono di assorbire eventuali svalutazioni dell’attivo e perdite inattese.

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R.Masera, R.Maino, Capitale e rischio: recenti tendenze e prospettive nella patrimonializzazione delle banche italiane, working papers, quaderno n.196, Università Cattolica del sacro cuore, Milano, 2002.

35 L’obiettivo principale di Basilea 2 è stato quello di migliorare la cultura del rischio bancario e il suo grande pregio risulta essere il realismo delle analisi del rapporto rischio/redditività la cui necessità di aggiornarle di continuo porta le banche a seguire molto più da vicino le aziende e il mercato. Queste novità regolamentari risultano essere un’opportunità per perfezionare il sistema di controllo e di gestione dei rischi, un modo per legare in maniera meno rudimentale i rischi assunti con l’utilizzo del capitale, per prezzare in maniera più efficiente i propri prodotti e, quindi, tutto questo diventa uno stimolo per costruire relazioni forti di lungo periodo. Nonostante i pregi della nuova normativa, la grande crisi finanziaria del 2007-2011 ha messo in luce la rilevanza di alcuni aspetti non adeguatamente considerati come, primo fra tutti, l’attenzione alla “qualità” del capitale. Gli eventi accaduti hanno fatto si che il mercato e l’opinione pubblica perdessero la fiducia nella solvibilità bancaria. Ancora una volta, allora, il Comitato di Basilea ha ridefinito il quadro normativo con le nuove disposizioni identificate sotto il nome di Basilea 3 il cui obiettivo essenziale è quello di aumentare la stabilità del sistema bancario rafforzando il capitale dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo, riformando gli aspetti considerati “deboli” della precedente normativa e rivedendo il modello generale per la vigilanza internazionale.

La nuova normativa di Basilea 3 è il fulcro principale di questa tesi e se ne parlerà approfonditamente nel terzo e quarto capitolo a cui si rinviano i dettagli.