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Il legame tra capitale economico e capitale regolamentare

REGOLAMENTARE

Una volta illustrata, seppur sinteticamente, la differenza tra capitale gestionale (capitale economico) e capitale regolamentare (patrimonio di vigilanza), assume rilevanza interrogarsi sulla relazione fra la capitalizzazione ottima dal punto di vista aziendale e quella minima imposta dai coefficienti patrimoniali. E’ indubbio, infatti, che tali disposizioni rappresentino un elemento ineludibile affinché si voglia determinare la dotazione ottima di capitale, la quale deve, perciò, essere adeguata non solo da un punto di vista economico ma anche da quello normativo.

E’ importante sottolineare che esiste un conflitto tra esigenze gestionali ed esigenze regolamentari, basti pensare all’incentivo del management a contenere l’ammontare dell’equity nella ricerca della massimizzazione degli indicatori di redditività per gli azionisti, potenzialmente in contrapposizione con l’interesse delle autorità di vigilanza

36 ad un’elevata patrimonializzazione delle banche che ne assicuri l’idoneità a fronteggiare i rischi e conseguentemente la solvibilità. Quindi, è necessario stabilire se sia opportuno, per l’istituto di credito, mantenere il capitale a un livello superiore al minimo obbligatorio.

Posto che, in genere, la quantità di capitale aziendalmente ottima è inferiore a quella ritenuta adeguata dalla vigilanza, si dovrebbe propendere per una gestione del capitale volta a tendere verso il livello minimo obbligatorio anche perché il mancato rispetto di tale disposizione può esporre la banca a pesanti sanzioni da parte delle autorità .

Il mantenimento di un eccesso di capitale rispetto al minimo è condizione imprescindibile affinché la banca possa perseguire obiettivi di crescita e di ampliamento delle sue modalità di impiego. Il surplus di capitale, pertanto, si giustifica in un’ottica dinamica di sviluppo. Tuttavia, non bisogna tralasciare il fatto che il capitale costa e che un eccesso, motivato da ipotesi di crescita vaghe o non funzionali al miglioramento effettivo delle condizioni produttive ed economiche della banca, penalizza la redditività corrente e la sua valutazione di mercato. Ovviamente, il surplus di capitale ha ragion d’essere per la necessità di rispettare il vincolo di vigilanza non solo nell’immediato ma anche nel futuro e per assorbire le perdite impreviste, nonché, fronteggiare i fabbisogni patrimoniali generati da variazioni non programmate dell’attivo17. La possibilità di mantenere il surplus di risorse patrimoniali dipende dalla capacità e abilità della banca di reperire fonti esterne di capitale. Sarà avvantaggiata la banca che sia in grado di ottenere nuove risorse dagli azionisti, nei modi e nei tempi desiderati. Ciò se si guarda ad una prospettiva dinamica e di crescita, ma da un punto di vista aziendale è razionale non superare il patrimonio minimo visto che ogni ammontare di capitale in più comporterebbe una riduzione della redditività dei mezzi propri non accompagnata da una sufficiente diminuzione del rischio. Vi sono, dunque, buoni motivi per ritenere che il capitale minimo imposto dalle norme di vigilanza superi quello ottimo.

Tale divergenza può spiegarsi, anche, con il fatto che i modelli interni potrebbero adottare un livello di confidenza meno elevato di quello utilizzato dalle autorità. Queste ultime, infatti, sono interessate a imporre una dotazione patrimoniale sufficiente a coprire anche le perdite estreme derivanti da situazioni di mercato particolarmente tese e suscettibili di condurre a crisi sistemiche. I modelli interni, invece, perseguono sovente una finalità diversa, cioè valutare le perdite potenziali in condizioni di normale

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37 operatività. Il patrimonio minimo di vigilanza può dunque essere considerato una misura del capitale necessario per sostenere anche condizioni di mercato estreme non considerate nel calcolo del capitale economico. Inoltre, il patrimonio regolamentare costituisce la dotazione minima necessaria per proseguire l'attività bancaria, pena il sostenimento di costi elevati sia sul piano della reputazione (perdita di credibilità, aumento del costo dei fondi sui mercati all'ingrosso) che su quello legale (sanzioni, nomina di amministratori straordinari e teoricamente anche la revoca della licenza bancaria). In questo senso, il costo del patrimonio di base, imposto dalle autorità, in eccesso rispetto al capitale economico (cioè il costo di T1* - EC) può essere considerato come il “prezzo” da pagare per conservare la licenza bancaria e stare sul mercato18. E’ dunque necessario considerare il capitale regolamentare come un ammontare minimo al di sotto del quale non è possibile, in condizioni normali, scendere. L'analisi dovrà dunque basarsi su tre diversi aggregati:

Il patrimonio base Tier 1 della banca (T1) Il relativo requisito minimo (T1*)

Il capitale economico (EC)

Un’istituzione bancaria che desidera minimizzare il rischio di trovarsi a operare con una dotazione patrimoniale inferiore al minimo obbligatorio, dovrebbe detenere una dotazione patrimoniale di Tier 1 pari al minimo (T1*) più l'ammontare (EC) che può essere ragionevolmente azzerato dai rischi in essere:

T1 = T1* + EC

In questo caso, se anche si manifestasse una perdita pari a EC, con abbattimento del capitale, l'ammontare di patrimonio di base disponibile resterebbe sufficiente a coprire il requisito minimo T1*. E’ ragionevole supporre che, in caso di perdite eccezionalmente elevate, la banca potrebbe operare transitoriamente anche con un livello di T1 inferiore a T1*, a patto che i suoi azionisti si impegnino con le autorità di vigilanza a riequilibrare rapidamente il rapporto tra capitale e rischi. E’ quindi possibile che una banca decida di detenere capitale di base per un ammontare pari al requisito minimo più una quota q (minore del 100 per cento) del capitale economico:

T1 = T1* + q · EC

Il valore di q dipende, in concreto, dall’atteggiamento (più o meno rigido) delle autorità di vigilanza e dalle preferenze degli azionisti. Se questi ultimi sono disposti ad affidare

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38 alla banca una dotazione di capitale più elevata pur di evitare i costi di un aumento di capitale inatteso, allora q sarà prossimo al 100 per cento e la seconda formula tenderà a coincidere con la prima. Se invece azionisti e autorità sono disposti ad affrontare i rischi di un ricorso imprevisto al mercato del capitale azionario, allora q assumerà valori più modesti.

Un riscontro empirico che contribuisce a validare quanto appena detto, è data da uno studio fatto sui bilanci delle banche italiane dall’istituto KPMG relativo al periodo 2012 nel quale emerge che gran parte degli istituti italiani, in linea con quelli europei, hanno mantenuto un livello di capitalizzazione superiore al requisito minimo previsto dall’Accordo di Basilea. Il campione selezionato si compone di 20 gruppi bancari italiani e rappresentano circa il 75% del totale attivo consolidato delle banche italiane. In media il Tier 1 Ratio del campione (misurato dal rapporto tra patrimonio di base Tier 1 e attivi ponderati per il rischio) si attesta al 10,5%, ben superiore al requisito minimo richiesto del 4%. Risultato analogo giunge anche dai dati relativi al capitale regolamentare complessivo misurato dal Total Capital Ratio (rapporto tra patrimonio di vigilanza e attività ponderate per il rischio) che si attesta al 13,5%, significativamente superiore al minimo richiesto dalla normativa (8%).

Comparando i dati con gli anni precedenti, notiamo che i coefficienti patrimoniali delle banche italiane si sono sempre attestati al di sopra dei requisiti richiesti dalla normativa, inoltre, di anno in anno, hanno registrato soglie più elevate, frutto di una riduzione più che proporzionale delle attività ponderate per il rischio rispetto al patrimonio.

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi KPMG Advisory sui dati di bilancio del campione.

8,1% 8,6% 11,5% 12,0% 9,4% 12,6% 10,5% 13,5% 0,0% 2,0% 4,0% 6,0% 8,0% 10,0% 12,0% 14,0% Tier 1 ratio

Coefficienti patrimoniali

( 20 gruppi bancari italiani)

2009 2010 2011 2012

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CAPITOLO SECONDO

LA GESTIONE DEL CAPITALE

2.1 PREMESSA

Nel corso degli anni i mercati finanziari sono stati sottoposti a notevoli cambiamenti che hanno contribuito a rafforzare sempre più il ruolo delle istituzioni finanziarie all'interno del sistema economico mondiale. In primo luogo, l'evoluzione dei mercati finanziari e l'apertura delle frontiere nazionali hanno garantito una maggior integrazione tra i mercati migliorandone l'efficienza. Inoltre, la liberalizzazione dei flussi internazionali di capitale ha condotto a una competizione sempre più accesa tra istituzioni finanziarie di Paesi diversi, spingendo molte banche a spostare la loro attenzione dalla tradizionale attività, basata su depositi e prestiti, a nuove forme d'intermediazione finanziaria dove, però, sussistono rischi diversi dal passato e che è necessario comprendere e saper fronteggiare. Tutto ciò, sorretto dall'evoluzione tecnologica e informatica, ha condotto verso un facile accesso a strumenti finanziari sempre più sofisticati che hanno, da una parte, contribuito ad attrarre clientela e investitori rendendo i mercati più efficienti, ma dall'altra, hanno reso più facile per gli shock economici propagarsi oltre le frontiere nazionali. Tale contesto ha reso i risparmiatori più attenti a forme innovative di investimento e gli azionisti bancari più sensibili al valore del loro investimento. Perciò i tradizionali mercati bancari protetti e locali hanno oggi lasciato il posto a una vera e propria arena competitiva internazionale e aperta, dove il capitale azionario deve essere adeguatamente remunerato creando valore per la proprietà.

Per queste ragioni, e anche per l'introduzione dei nuovi schemi di vigilanza basati sull'adeguatezza patrimoniale che richiedono a ogni banca di maturare una piena comprensione di tutti i rischi assunti, il management bancario ha avvertito la necessità di accrescere la redditività per non deludere le aspettative degli azionisti, di riuscire, nel contempo, ad identificare, misurare e controllare adeguatamente tutti i rischi cui la banca è esposta nonché disporre di un capitale sufficiente ad assorbire le eventuali perdite. Lo scopo è, quindi, sia di valutare la congruità dei rischi assunti a fronte della dotazione patrimoniale esistente per fronteggiare tali rischi, sia di ricercare le migliori combinazioni rendimento-rischio, offerte da ogni operazione e combinazione produttiva

40 della banca, al fine di garantire il miglior soddisfacimento delle attese degli azionisti. Da ciò deriva la notevole importanza del trinomio redditività - rischio - capitale proprio. Gli amministratori delle banche si trovano, perciò, a dover affrontare una sorta di "dilemma degli obiettivi" 19: accrescere la redditività del capitale investito comporta un aumento dei profitti, che a sua volta richiede di abbracciare nuovi settori di attività e nuovi rischi. Tuttavia, una simile espansione necessita di accrescere il capitale e, per questa via, produce ulteriori pressioni sugli obiettivi di redditività. Nel lungo periodo un simile dilemma può essere risolto valutando e ottimizzando la redditività corretta per il rischio delle diverse aree di attività in cui la banca opera.

Per raggiungere tale obiettivo è necessario, quindi, implementare:

un efficace sistema di identificazione, misurazione e gestione dei rischi. Come più volte ribadito, le banche sono esposte a svariate classi di rischi riconducibili a differenti fonti d'incertezza (fattori di rischio) che incidono sulla sua redditività e solvibilità, pertanto sono necessari strumenti e approcci sempre più sofisticati per giungere ad una corretta ed esauriente misurazione e gestione dei rischi assunti. Una banca correttamente gestita non è quella che evita i rischi o che li riduce al minimo ma, piuttosto, quella che riesce ad assumere rischi in modo equilibrato, premiando l’investimento degli azionisti e insieme evitando di mettere a repentaglio la propria stabilità e quella del sistema finanziario in cui opera. A tal fine, è necessario che le perdite eventualmente originate dai rischi, a cui la banca è esposta, trovino capienza nel capitale messo a disposizione dagli azionisti così che non vengano intaccati i diritti dei terzi finanziatori20. Affinché il capitale di una banca sia proporzionato ai rischi è, dunque, necessario censire e misurare i rischi in essere e, in un secondo momento, quantificare l'ammontare di capitale assorbito dai rischi, cioè il capitale adeguato alla copertura delle perdite generate dalle varie unità di business interne a una banca. Per definire, quindi, l'ammontare ottimale di patrimonio, la banca deve valutare tutte le possibili tipologie di rischio, nonché gli effetti prodotti dalle interrelazioni esistenti tra gli stessi rischi, specie se si considera che la loro concentrazione può amplificare gli effetti derivanti dalla manifestazione delle perdite e, viceversa, la loro diversificazione invece può attenuare la probabilità di insolvenza della banca;

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A.Resti, A. Sironi, Rischio e valore nelle banche, Egea, Milano, 2008.

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41 un efficace processo di allocazione del capitale, attraverso il quale il patrimonio fornito dagli azionisti è assegnato alle diverse unità operative all'interno della banca in proporzione al volume di rischi che ognuno di esse genera in base a quanto identificato nella fase precedente. In quest'ottica gestionale, il capitale verrà allocato adeguatamente nelle unità operative che sono capaci di massimizzare il rendimento. Affinché tale processo sia il più efficace possibile, infatti, le aree strategiche di affari dovranno idealmente competere per l'assegnazione di una maggior dotazione patrimoniale, al fine di accrescere la propria capacità di assumere rischi, impegnandosi in cambio a conseguire obiettivi di rendimento più elevati che consentano alla banca di raggiungere uno stile di gestione capace di creare valore e remunerare opportunamente gli azionisti;

un efficace processo di controllo. Congiuntamente con i due strumenti precedenti, un'efficace organizzazione permette di implementare un insieme di processi, misure e meccanismi che consentono alle diverse unità operative di condividere la stessa logica di creazione di valore. Le attività di risk

management e di capital allocation devono, perciò, sottendere a un processo di

controllo che garantisca l'utilizzo di regole trasparenti, chiare, coerenti e condivise con l'intera struttura organizzativa al fine di rendere possibile il raggiungimento dei risultati attesi.

Il secondo capitolo di questa tesi, nonostante sia un argomento molto interessante, tralascerà la prima parte del processo di risk management, cioè l'analisi delle diverse metodologie esistenti per l'individuazione, la misurazione e il controllo dei singoli rischi assunti dall’istituto, per concentrare, invece, maggiormente l'attenzione sul ruolo gestionale svolto dal capitale bancario, offrendo una cornice integrata della gestione del capitale e della creazione di valore.

In primo luogo, l'attenzione viene rivolta alla quantificazione del complessivo fabbisogno di capitale e ai meccanismi di integrazione dei rischi diversi, poi si introducono i principali passaggi da affrontare per realizzare un efficace processo di

allocazione del capitale che comprende l'assegnazione ideale del patrimonio alle diverse

unità di business attraverso sistemi di misurazione delle performance corrette per il rischio. A tal proposito, si illustrano alcune misure (Rapm) con cui il management può, appunto, stimare i margini di valore creati (o distrutti) dalla banca. Tali misure consentono sia di stimare la performance conseguita storicamente dalle business unit,

42 sia di prevedere anche la futura performance delle diverse aree per determinare quale siano quelle da abbandonare e quelle da espandere, decidendo così le future riallocazione interne di capitale.

In secondo luogo, occorre soffermarsi sul tema della creazione di valore e in particolare sui problemi connessi alla stima del "costo" del capitale, cioè il tasso di rendimento

equo che gli azionisti possono attendersi sul proprio capitale, illustrando tre

metodologie alternative. Diverrà così possibile completare l'analisi delle tecniche per misurare la creazione di valore riuscendo, pertanto, a raggiungere, in un'ottica di corretta gestione, l'obiettivo del perseguimento di condizioni di solvibilità e di un livello dei profitti compatibile con le esigenze dei soci e con le condizioni di mercato.