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5. L’ IMPATTO DELLA CEDU SUL DIRITTO INTERNO

5.2. La Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo in materia d

5.2.1. Il caso S.H AND OTHERS, AUSTRIA e le due sentenze:

Con la sentenza S.H. c. Austria, la Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo, pone un importante tassello all’ interno del dibattito relativo alla legittimità degli interventi legislativi volti a limitare e vietare la libertà per i cittadini di rivolgersi a tecniche di fecondazione assistita di tipo eterologo.

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Nel caso in esame, all’ origine della causa vi è un ricorso (n.57813/00) proposto contro la Repubblica d’ Austria, in cui, due coppie di cittadini austriaci lamentavano la violazione dei diritti ad essi riconosciuti dall’ articolo 8 CEDU (in combinato disposto con l’ articolo 14), da parte della legge austriaca sulla procreazione assistita, che vieta la donazione di ovuli e di sperma per la fecondazione in vitro (unica tecnica medica mediante la quale, i ricorrenti avrebbero potuto concepire un bambino).

Nella prima coppia di ricorrenti, la moglie è affetta da sterilità dovuta all’ ostruzione delle tube di Falloppio e il marito è parimenti sterile; per cui solo la fecondazione in vitro con seme di donatore permetterebbe a questa coppia di avere un figlio.

Nella seconda coppia, la moglie soffre di una malattia che impedisce la produzione di ovuli, mentre il marito dispone di seme per la procreazione; in questo caso solo la fecondazione in vitro con uso di ovuli da parte di una donatrice permetterebbe a questa coppia di avere un figlio.

Tuttavia la normativa austriaca sulla procreazione assistita (Legge 1 luglio 1992 n 293) proibisce l’ uso del seme di un donatore per la fecondazione in vitro e la donazione di ovuli in generale.

Così, nel 1998, i ricorrenti hanno adito la Corte Costituzionale austriaca affinché questa esaminasse la costituzionalità della legge sulla procreazione artificiale.

L’ anno seguente, precisamente, l’ 8 Novembre del 1999, la Corte si pronuncia sulla questione, e pur ammettendo che la scelta della coppia sposata o convivente di avere un figlio, facendo uso della riproduzione assistita, ricadesse nella sfera di protezione dell’ articolo 8 della CEDU , aveva ritenuto giustificata la disciplina limitativa della fecondazione eterologa, disposta dalla legge interna, in quanto frutto di un bilanciamento tra la

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dignità umana, il diritto alla procreazione ed il benessere del bambino.

La Corte Costituzionale austriaca dunque riconosce che la questione rientri nell’ ambito di applicazione dell’ articolo 8 CEDU ma allo stesso tempo afferma che, vietando la donazione di ovuli e del seme maschile per la fecondazione in vitro, non si sia posto alcun contrasto con il diritto alla vita privata e familiare.

Dinanzi alla Corte di Strasburgo, entrambe le coppie hanno invocato così, la violazione del combinato disposto dell’ articolo 14 (divieto di discriminazione) e dell’ articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare), la cui Prima Sezione si è pronunciata in data 1 Aprile 2010, confermandone la violazione.

I ricorrenti, lamentano di essere vittime di una disparità di trattamento, priva di una giustificazione degna e ragionevole, in quanto pretendono di essere in situazioni simili o analoghe a quelle di altre coppie che vogliono fare uso della procreazione medicalmente assistita, ma che, grazie alla loro favorevole situazione medica, non necessitano della donazione di seme o di ovuli per la fecondazione in vitro.

La Corte EDU ricorda, che ai fini dell’ articolo 14, una disparità di trattamento è discriminatoria se non ha una giustificazione oggettiva e ragionevole e se non persegue uno scopo legittimo. I ricorrenti hanno, a loro volta, argomentato che, a causa della fondamentale importanza del diritto di formare una famiglia e del diritto di procreare, gli stati non godono di alcun margine di apprezzamento quando legiferano su tali temi .

Secondo il governo invece, il legislatore austriaco aveva un margine di apprezzamento molto ampio nell’ approntare una regolamentazione sulla procreazione medicalmente assistita e per decidere quali tecniche autorizzare. In sostanza, al fine di

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giustificare il divieto di tali tecniche, il Governo austriaco avrebbe dovuto dare delle spiegazioni altamente convincenti . Vediamo, se pur sommariamente, le giustificazioni poste dal Governo austriaco alla legittimità del divieto;

In primis, il divieto di donazione di ovociti, veniva a realizzare, secondo i giudici costituzionali, l’ intento di evitare relazioni insussistenti in natura, facendo venire meno l’ univocità del rapporto di maternità, e di ridurre il rischio di sfruttamento di donne donatrici di ovociti.

In secondo luogo, Il divieto di fecondazione eterologa in vitro, veniva anch’ esso giustificato, in ragione della tutela del bambino e del timore che si affermassero pratiche di commercializzazione di gameti e di selezione di embrioni.

Ebbene, in un ordinamento come quello austriaco, in cui si ammette la procreazione artificiale, la Corte EDU ritiene che le motivazioni di carattere morale o di consenso sociale non siano sufficienti a giustificare il divieto di una determinata tecnica o l’ accesso a determinate categorie di soggetti; per cui, una volta ricondotto il diritto alla procreazione assistita al rispetto della vita privata e familiare, pur essendo consentita un ampia discrezionalità degli Stati membri, i limiti che non siano giustificati da finalità obbiettive e ragionevoli e dal rispetto del principio di proporzionalità, devono essere considerati discriminatori ai sensi dell’ articolo 14 CEDU.

Impostata la questione nei suddetti termini, la Corte EDU, al fine di verificare la disciplina austriaca in conformità con il principio di discriminazione, procede ad analizzare separatamente i due casi: da una parte la donazione di ovuli, dall’ altra la donazione di seme.

In entrambi i casi, vengono respinti dalla Corte, tutti gli argomenti addotti dal governo austriaco, a sostegno del divieto

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di fecondazione eterologa in vitro. Non vengono accolte neanche le ulteriori argomentazioni portate a sostegno della scelta normativa austriaca, fondate sull’ esigenza di mantenere ferma la regola tradizionale dell’ attribuzione di maternità e sulla tutela del diritto del minore a conoscere le proprie origini (riguardanti l’ ovodonazione).

La Corte EDU, fornisce motivazioni articolate ed esaustive, con riguardo alla discriminazione della coppia che richiede l’ ovodonazione, mentre, per il caso della donazione di gameti tramite fecondazione in vitro, rende una giustificazione più breve e coincisa ; nella sentenza, ci si limita infatti a rilevare che, gli argomenti a sostegno del divieto sarebbero scarsamente rilevanti, ovvero sarebbero preclusivi anche della tecnica eterologa permessa.

In seguito a tali considerazioni, ed alla decisione della prima camera favorevole alle coppie ricorrenti, l’ Austria, chiede di rinviare il caso dinanzi alla Grande Chambre in data 3

Novembre 2011.

La pronuncia si segnala per il ribaltamento della decisione della prima Camera e per l’ affermazione secondo cui: “deve

riconoscersi a ciascuno stato un margine di apprezzamento non ristretto quando non esista un consenso nell’ ambito degli Stati contraenti” Si deve peraltro segnalare, la situazione attuale ed il

periodo al quale risale la decisione della Corte Costituzionale austriaca, sia rispetto all’ evoluzione scientifica, che all’ evoluzione giuridica dei singoli stati. Infatti, la scelta da parte dello stato austriaco, di ammettere solo la fecondazione omologa e, solo in casi eccezionali, la fecondazione con donazione di sperma, si giustifica, in quanto riflette lo stato della scienza medica ed il grado di consenso esistente nella società all’ epoca dei fatti.

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In sostanza, la Grande Chambre è tenuta a decidere se il ricorso alle tecniche di fecondazione eterologa debba ritenersi giustificato con riferimento al momento in cui la Corte Costituzionale austriaca aveva adottato la decisione inerente al caso di specie.

Ebbene, dopo aver riconosciuto che la materia trattata rientra nel campo dell’ articolo 8 CEDU, bisognerà valutare se, nel caso sottoposto alla questione della Corte, gravi sullo Stato, esclusivamente l’ obbligo di non ingerenza nelle questioni familiari, oppure se riguardi anche l’ azione al fine di consentire alle coppie che ne manifestino il desiderio, la possibilità di accedere a tutte le tecniche effettivamente esistenti. La controversia, non verte quindi sulle finalità della normativa statale austriaca, ma riguarda, in special modo, l’ an e il quantum dell’ ingerenza statale in quelle che sono le manifestazioni della vita privata (secondo la Corte, deve riconoscersi in capo agli stati un margine di apprezzamento piuttosto ampio dato che non esiste uniformità in materia tra gli stati membri).

5.2.2. La rilevanza della sentenza per l’ordinamento italiano

Per apprezzare la rilevanza dell’interpretazione contenuta in questa sentenza per l’ ordinamento italiano, il riferimento principale è rappresentato dall’art. 117, 1 comma della Costituzione30 (nonché agli articoli 10 e 11).

Volendo interpretare la disposizione, possiamo ammettere che la legislazione statale, può considerarsi conforme alla

30Articolo 117 Costituzione: La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e

dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali

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Costituzione, soltanto se non contrasta con la disciplina internazionale.

E’ ormai frequente, che le sentenze della Corte Costituzionale, prendono in considerazione le disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’ Uomo, come norme interposte; si arriva pertanto al dubbio se la sentenza de qua, pur riguardando la disciplina austriaca sulla procreazione assistita, possa condurre ad una pronuncia di incostituzionalità del corrispondente divieto di fecondazione eterologa vigente nella disciplina italiana.

Anzitutto, il divieto di fecondazione eterologa in vitro con donazione di gameti maschili, posto dalla disciplina austriaca, è stato considerato in contrasto con il divieto di discriminazione, in quanto paragonato con la disciplina che consente la donazione di gameti maschili per la donazione in vivo; nell’ ordinamento italiano, è ovvio che tale valutazione non sarebbe possibile, dato che vige un divieto assoluto in tema di fecondazione eterologa.

Possiamo comunque rilevare, che la stessa sentenza della Corte di Strasburgo, nella parte in cui prende in considerazione il divieto di fecondazione eterologa con donazione di ovociti, mette in rilievo degli aspetti che non sembrano compatibili col divieto di fecondazione eterologa posto dalla normativa italiana.

Infatti, la coppia lesa dal divieto di fecondazione con donazione di ovociti, viene paragonata ad una coppia ipotetica che si avvalga di fecondazione omologa , dunque in questo senso, sembra esservi uno spazio ridotto e piuttosto limitato, per ulteriori argomenti di portata oggettiva, che possono giustificare il divieto assoluto di fecondazione eterologa in Italia.

Possiamo dire che, l’ unico argomento realmente fondato, in cui sorge il dubbio, che non sia stato preso in esame dalla Corte di Strasburgo, concerne il timore, che l’ utilizzo di questa tecnica

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possa nuocere sull’ equilibrio personale e familiare, in ragione degli scompensi psichici derivanti dalla mancanza di un rapporto biologico tra il figlio e almeno uno dei genitori. E’ utile, a questo punto, fare una distinzione tra gli argomenti indicati rispettivamente dall’ ordinamento austriaco e da quello italiano: il governo austriaco infatti, manifesta l’ opportunità di vietare la fecondazione eterologa in ragione del mantenimento di univocità dei principi tra procreazione naturale ed artificiale, univocità che costituirebbe un valore di sistema nel quadro logico della normativa austriaca. Secondo la prospettiva italiana invece, il divieto di fecondazione eterologa sarebbe funzionale all’ interesse e al benessere del minore.

Se, a questo punto, si reputa che il timore per il benessere del bambino nato a seguito di fecondazione eterologa, non sia stato preso in considerazione dalla Corte di Strasburgo nella valutazione della disciplina austriaca, ne deriverebbe automaticamente, che il valore della sentenza de qua potrebbe essere circoscritto e assumerebbe quindi rilievo, solo in presenza di peculiari modelli di regolamentazione (ovvero da un lato nel caso di divieto di fecondazione eterologa in vitro, in quegli ordinamenti dove è permessa la fecondazione eterologa in vivo- come in Austria e in Germania – dall’ altro lato, nel caso di donazione di ovociti, in quegli ordinamenti dove è consentita la donazione di gameti maschili –oltre che Austria e Germania, anche Norvegia e Svizzera-).

La sentenza CEDU, non avrebbe invece, nessuna rilevanza in quegli ordinamenti che vietano senza eccezione la fecondazione eterologa, come l’ Italia.

Non si preclude, comunque, all’ interprete, di rilevare che il timore per gli squilibri familiari e personali, non sia sufficiente a giustificare un divieto assoluto di accesso a questa tecnica,

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soprattutto perché il divieto espresso dalla Legge 40/2004 all’ art 4 comma 3 “è vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo” deve essere inteso in maniera restrittiva, dato che, una volta che gli embrioni siano già stati fecondati in un altro paese, non ne è vietato l’ impianto.

Dunque, il nostro ordinamento non vieta l’ impianto degli embrioni fecondati, e consente allo stesso tempo la costituzione del rapporto di filiazione tra la coppia ed il nato da fecondazione eterologa, escludendo semplicemente, ogni rapporto con il donatore.

Per cui, appare ragionevole ammettere che vi siano ragioni a sostegno della valutazione negativa del divieto di fecondazione eterologa da parte della Corte Costituzionale Italiana.

Appare plausibile a questo punto, ritenere che possa ammettersi una possibilità di accogliere la fecondazione eterologa nell’ ordinamento italiano, e che la Corte Costituzionale italiana possa concludere, nel senso che, l’ interesse della coppia sterile alla procreazione non sia limitabile dalla comparazione con altro interesse (ovvero il timore degli scompensi psicologici) in relazione al quale è incerto il valore attribuito dallo stesso legislatore.

Quantomeno, si potrebbe ipotizzare l’ ammissibilità della fecondazione eterologa, operando un bilanciamento degli interessi in gioco, consentendo ad esempio, la deroga al divieto, soltanto alle coppie sterili che non siano in grado di concepire tramite fecondazione omologa.

Tuttavia, le questioni etiche non finiscono qui; infatti alcune questioni a sostegno del divieto, già superate dalla Corte di Strasburgo, potrebbero riproporsi di fronte alla nostra Corte, se si reputa che siano dotati di copertura costituzionale.

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In sostanza, si fa riferimento agli articoli 2, 29 e 30 della nostra Costituzione: ossia, rispettivamente, il diritto alla personalità, il diritto alla famiglia come società naturale, e infine l’ importanza del legame biologico genitori figli. Siffatte interpretazioni non possono comunque apparire insuperabili e categoriche, in questo senso si potrebbe infatti aggirare l’ interpretazione letterale della normativa.

Ulteriori osservazioni, sottolineano che, a scapito della dichiarazione di illegittimità del divieto di fecondazione eterologa in Italia, vi sarebbe il rischio di incorrere in una carenza legislativa ed in un consistente vuoto normativo dato che nel nostro ordinamento manca una regolamentazione compiuta sulla donazione di gameti.

Terminata l’ analisi in questione, ci apprestiamo ad analizzare approfonditamente, gli argomenti ed i fatti, che hanno, in concreto, condotto la Legge 40 ed il corrispondente divieto di fecondazione eterologa, ad un progressivo sgretolamento e ad un cedimento delle convinzioni maturate e radicate da tempo, nel nostro ordinamento.

5.3. I primi cedimenti della legge 40/2004: le valutazioni della Corte Costituzionale

Arrivati a questo punto, occorre prendere atto che, la disciplina dettata dalla Legge 40/2004 non risponde più per intero, al modello fortemente voluto dal legislatore, ed è sulla via di un progressivo sgretolamento.

Uno dei maggiori interventi demolitori, è rappresentato indubbiamente, dal caso S.H. and others Austria, che ha ravvisato, in un primo momento, una palese violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’ Uomo,

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da parte dell’ ordinamento austriaco che, a differenza della nostra legge, contiene una disciplina sulla fecondazione eterologa, limitandone la legittimità, alle ipotesi di donazione del seme da parte di un terzo, da utilizzare esclusivamente per inseminazione in vivo, vietando quindi, l’ inseminazione in vitro. La sentenza di primo grado, viene poi successivamente annullata da quella della Grande Chambre.

La problematica allora, si sposta verso un’ interpretazione diretta da parte della Corte Costituzionale italiana degli articoli 8 e 14 CEDU evocati dai giudici rimettenti. Così, a questo punto, si apre, tutta un’ altra prospettiva di problemi, di rapporti tra le fonti e di competenza a stabilire l’ interpretazione definitiva.

Possiamo inoltre segnalare il caso Costa et Pavan del 28

Agosto 201231 relativo al divieto di diagnosi pre-impianto, che è

stato, in un momento successivo, recepito, dal Tribunale di Roma. Nella questione, si constata l’esistenza di una ingerenza dello Stato nel diritto dei ricorrenti, al rispetto della loro vita privata e familiare ai sensi dell’ articolo 8 CEDU.

31All’origine di tale pronuncia vi è un ricorso (n. 54270/10) proposto

contro la Repubblica italiana da due cittadini, portatori di una malattia genetica, la fibrosi cistica, che lamentavano una violazione degli art. 8 e 14 della CEDU, in quanto la legislazione italiana in materia di fecondazione medicalmente assistita non consente di poter accedere alla diagnosi genetica pre - impianto, al fine di selezionare un embrione che non sia affetto dalla patologia. Con la suddetta tecnica, si consente infatti alle coppie affette da malattie genetiche di una certa gravità, di conoscere lo stato di salute dell’ embrione prima dell’ impianto, per far in modo che il figlio concepito sia, a tutti gli effetti, sano. Anche in questo caso, i giudici di Strasburgo, al fine di verificare la fondatezza, valutano preliminarmente se il desiderio dei ricorrenti di mettere al mondo un figlio non affetto dallamalattia genetica, di cui sono portatori sani, e di ricorrere, per tali ragioni, alla procreazione medicalmente assistita e alla diagnosi pre - impianto rientri nel campo della tutela offerta dall’articolo 8. L’esito positivo di tale valutazione viene motivato dalla Corte, sulla base della considerazione che “una tale scelta costituisce una forma di espressione della vita privata e familiare dei ricorrenti”.

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La Corte, procede così ad effettuare una valutazione della legittimità dell’ingerenza.

Nel merito, accoglie poi, le valutazioni dei ricorrenti . Le ragioni che stanno alla base dell’ accoglimento e del recepimento di questo caso, trovano giustificazione nel fatto che, la normativa italiana consente alla coppia di procedere ad interruzione medica della gravidanza, qualora il feto sia affetto da gravi patologie. Ebbene, rileva indubbiamente, l’ incoerenza del legislatore italiano, che così facendo, discrimina due situazioni senza un’apparente valida motivazione, trascurando il fatto e la questione più importanti in materia: ovvero il diritto alla salute del figlio ed il diritto ad avere un figlio sano.

Occorre poi domandarsi, quali siano i limiti entro cui la CEDU sia in grado di determinare l’ illegittimità costituzionale di una legge italiana.

In Italia, in un primo momento, sono state emanate una serie di ordinanze che escludono, da una parte, la disapplicazione immediata del divieto di fecondazione eterologa sulla base del contrasto con le disposizioni CEDU, dall’ altra, si è riproposto invece, con rinnovato fondamento, la questione di legittimità dell’ art 4 comma 3 legge 40/2004.

Ovviamente in questa situazione, nascono, sin dall’ inizio, svariate perplessità, nonché timori, relativi soprattutto al rischio del “vuoto normativo e della carenza legislativa” che verrebbe a crearsi nel caso della caduta imminente del divieto.

Ragionando in via ipotetica, si passerebbe da un divieto intransigente ad un modello liberale, in cui la famiglia tenderebbe ad assumere le sembianze di una semplice modalità della vita privata. Allo stesso tempo, la genitorialità assumerebbe una fisionomia in cui i desideri prevalgono nettamente sulle responsabilità.

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Anche in dottrina, si è posto da subito il problema, ovvero se il divieto di fecondazione eterologa sia conforme al dato costituzionale: problema particolarmente sentito, in quanto il divieto ha precluso l’ accesso alla procreazione, proprio a quelle coppie che soffrono delle più gravi forme di infertilità, sollevando il dubbio della lesione del loro diritto alla salute (ai sensi dell’ Articolo 32 Costituzione). La procreazione assistita, è infatti definita dalla legge stessa come metodo terapeutico, volto a superare la condizione di sterilità.

Come osservato in precedenza, l’ orientamento prevalente, ha individuato diversi argomenti a sostegno del divieto, come:

-il timore di squilibri psichici derivanti dalla mancanza del rapporto biologico tra il figlio e almeno uno dei genitori;

-la lesione del diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche;

-il rischio eugenetico derivante da abusi nella scelta del donatore;

Permangono ovviamente una serie di dubbi, che pesano, sia dal punto di vista etico che giuridico, ma nessuno di questi argomenti, è apparso poi, così insuperabile.

5.4. La sentenza n. 151/2009 della Corte Costituzionale ed il suo significato

Di grande importanza, anche per meglio inquadrare le ragioni dell’ incostituzionalità del divieto della c.d. fecondazione eterologa,è la decisione della Corte n 151/2009, la quale, pur riferendosi ad altre disposizioni della legge 40, esprime alcuni