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3. LE RAGIONI DEL DIVIETO DI FECONDAZIONE

3.4. Il padre, il problema del disconoscimento di paternità

Come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, la questione del disconoscimento, in relazione alle tecniche di procreazione assistita eterologa, crea una serie di dubbi e perplessità, che si sono risolti in ambito giurisprudenziale negando fermamente la possibilità del disconoscimento, in ragione degli interessi e diritti del minore. L’ articolo cui facciamo riferimento è il 23518 del

codice civile.

La disciplina in esame è stata profondamente modificata dalla riforma del 1975 in cui vennero ampliati i casi di disconoscimento19 , pur mantenendoli tassativi, e dunque non

ammettendosi l’ azione in tutti i casi. In sostanza si privilegia il

favor veritatis rispetto a quello legittimatis, nella convinzione che

, con la tendenziale equiparazione tra prole legittima e naturale , non sia sempre e comunque interesse del nato mantenere lo

18 All’ articolo 235 del c.c. si ammette il disconoscimento nei suddetti casi:

1)mancata coabitazione dei coniugi nel periodo compreso tra il trecentesimo e il centoottantesimo giorno prima della nascita ,2) impotenza del marito nel predetto periodo, 3) adulterio della moglie in tale periodo, 4) celamento della gravidanza o della nascita)

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stato di legittimità. Come sappiamo, l’ azione di disconoscimento è diretta contro la presunzione di paternità dei figli concepiti nel matrimonio, in assenza di separazione legale (dunque solo nei confronti dei figli legittimi, non sarebbe ammissibile con riguardo ai figli naturali riconosciuti); parzialmente differente l’ azione per i figli nati prima dei centoottanta giorni dalla celebrazione.

Legittimati attivi, sono esclusivamente il marito, la moglie, il figlio. Come si è già detto, è ammessa solo in casi tassativi.

A prescindere dai vivaci contrasti di opinione, circa l’ ammissibilità della procreazione eterologa, si pone dunque il problema di stabilire quali siano le conseguenze sullo status di chi sia nato mediante queste tecniche procreative. Ovviamente non sembra ragionevole ammettere una doppia paternità: sia quella del donatore del seme, sia quella del soggetto che ha dato il consenso all’ inseminazione, né sarebbe accettabile la soluzione di far correre il rischio al concepito di essere “figlio di nessuno”. In sintonia con quanto già sostenuto in dottrina, la legge 40/2004, ha stabilito all’ articolo 9 comma 1 che : “qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, in violazione del divieto di cui all’ articolo 4 comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso sia ricavabile da atti concludenti non possa esercitare azione di disconoscimento di paternità nei casi previsti all’ articolo 235 c.c. primo comma numeri 1), 2) né l’ impugnazione di cui all’ articolo 263 dello stesso codice; ha poi escluso, allo stesso articolo 9, che il donatore di gameti non possa acquisire una relazione parentale con il nato, né possa far valere nei suoi confronti alcun diritto o essere titolare di obblighi20.”

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A.Trabucchi, La procreazione cit. pag. 263: osservava tra l’ altro che: “un datore di seme può dar vita anche a centinaia di concepimenti e troviamo

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La chiave per risolvere i problemi in materia è quella di privilegiare gli interessi del minore.

Indubbiamente, anche l’ elemento della responsabilità genitoriale costituisce un importante faro, grazie al quale si afferma come regola: la paternità del marito della donna qualificabile come unica madre del bambino nato a seguito di fecondazione eterologa, nonché vietando che, detto marito, eserciti l’ azione di disconoscimento, quando abbia dato per iscritto il consenso alla fecondazione.

In riferimento ai casi di procreazione eterologa, la normativa ha, da una parte escluso le azioni di disconoscimento previste all’ art 235 c.c. numeri 1 e 2 (mancata coabitazione e per impossibilità di generare), e dall’ altra, ha confermato l’ ammissibilità di tale azione nell’ ipotesi contemplata al numero 3 (adulterio della moglie e celamento della gravidanza e della nascita).

La norma dunque, tiene ferma l’ ammissibilità del disconoscimento nei casi di adulterio e di celamento della gravidanza21, ciò per l’ ovvio motivo che questo comportamento

della moglie, può aver frustrato l’ operazione voluta dai coniugi, nel senso che la procreazione sia dovuta, non grazie alle tecniche

insuperabile la difficoltà di configurare una paternità che si allarghi ad altrettanti nati . l’ aspetto biologico è bensì necessario , ma non è sufficiente a creare il rapporto umano. Non è quindi la provetta che da sola può distribuire la paternità , ed è qui la differenza tra il concetto giuridico legato alla vita in società ed un tipo puramente di rapporto.”

21È ammessa l'azione di disconoscimento della paternità nel caso in cui la

fecondazione eterologa sia avvenuta all'insaputa del marito, purché, però, avvenga nel termine di un anno dal momento in cui si è venuti a conoscenza del ricorso a tale metodo di procreazione. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 11644/2012 di Francesco Machina Grifeo - Il Sole 24 ore.

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artificiali, ma all’ immissione naturale del seme appartenente ad un uomo diverso dal marito o dal convivente.

In questi casi l’ azione, una volta ammessa, si esercita provando che il figlio presenta caratteristiche genetiche incompatibili con quelle del presunto padre o provando ogni altro fatto idoneo ad escludere la paternità.

3.5. La madre: il divieto dell’ anonimato

Il noto brocardo “mater semper certa est” ,nell’ ambito della procreazione medicalmente assistita, non rappresenta verità assoluta. Si impongono infatti, delle scelte giuridiche per stabilire quale sia l’ unica madre riconosciuta dalla legge.

Le moderne tecniche procreative hanno determinato una serie di complicazioni non solo biologiche, ma anche morali e giuridiche e non soltanto con riguardo alla paternità del figlio nato con procedimenti diversi da quelli naturali, ma pure riguardo alla maternità che difficilmente in natura viene messa in discussione.

Potrebbero, in sostanza, distinguersi tre tipi di maternità: 1)quella volontaria (ossia il desiderio di diventare madre) che in materia di PMA ha spesso la figura della committente;

2)quella genetica ovvero la donna che ha fornito l’ ovulo fecondato;

3)e quella surrogata o partoriente, ovvero la donna che ha portato avanti la gravidanza;

Tutti questi fattori sarebbero ciascuno giustificativi del riconoscimento di maternità:

1) Di grande rilievo è il collegamento volitivo, in quanto la procreazione umana non può confondersi con la riproduzione , essendo essa caratterizzata dalla coscienza e dalla

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responsabilità ; cui si aggiungono fattori sociali necessari come il mantenimento, l’ educazione e l’ istruzione e soprattutto l’ amore, dei quali rispondono i genitori, specialmente se uniti dal vincolo matrimoniale.

2) L’ appartenenza dell’ ovulo, da parte della madre, costituisce il collegamento più profondo con il figlio, in quanto quest’ ultimo riceve il patrimonio genetico e le stesse cellule mitocondri della genitrice.

3) Altrettanto importante il contributo della portatrice, la quale fornisce non solo una culla, o solo un alimento, ma trasmette all’ embrione , giorno per giorno, (attraverso l’ utero, il cordone ombelicale e la placenta) fattori che contribuiscono a plasmare le caratteristiche vitali compreso l’ apprendimento istintivo nella fase prenatale.

Le difficoltà in materia di procreazione medicalmente assistita, vengono a realizzarsi nel momento in cui queste ipotesi, vengono scisse tra due o tre donne.

Possono infatti verificarsi gravi conflitti tra donne che si contendono il diritto di madre.

A questo punto è necessario chiedersi come si sia orientato il legislatore in materia. Sappiamo che la legge 40/2004, vietava entrambe le tecniche : fecondazione eterologa e affitto dell’ utero; su questo particolare problema però, sembra che la legge in esame sia stata un po’ troppo laconica, non risultano infatti, chiari elementi espressi per ritenere che questa legge abbia innovato il punto modificando il criterio base desumibile dall’ articolo 269 del c.c., secondo cui la maternità legale è riconosciuta alla donna partoriente.

Si ha conferma della permanenza di questo criterio per due ragioni:per il fatto che la normativa esclude l’ acquisizione di un rapporto parentale con il donatore di gameti, sia per il divieto di

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anonimato per la madre del nato (articolo 9 comma 2 legge 40/2004) entrambe espressioni che sembrano correlare la maternità all’ atto del parto.

Ma vediamo l’ articolo 9 comma 2: “ la madre del nato, a seguito dell’ applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita, non può dichiarare la volontà di non essere nominata ai sensi dell’ articolo 30 comma 1 , del regolamento di cui al decreto del PdR 3 novembre 2000 n 396.”

Si dichiara dunque, un divieto esplicito per la madre alla dichiarazione di anonimato. Ma, allo stesso tempo, costringere la madre ad essere nominata, può convertirsi in uno svantaggio notevole per il figlio, che potrebbe veder posticipati i tempi di un eventuale abbandono, dichiarabile invece, già al momento della nascita.

Eppure, l’ anonimato costituisce una precisa facoltà della madre (ai sensi dell’ art 30 dpr 3 novembre 2000), per cui la dichiarazione di nascita è resa indistintamente da uno dei genitori, rispettando l’ eventuale volontà della madre di non essere nominata.

Ma ovviamente questo non può che essere il risultato derivante dall’ immissione, nella vita dell’ uomo, di queste tecniche artificiali, che consentono all’ individuo una volontà ed una potenzialità superiori rispetto al volere della natura.

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CAPITOLO 4