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Incompatibilità della CEDU con il divieto di fecondazione

5. L’ IMPATTO DELLA CEDU SUL DIRITTO INTERNO

5.1. Incompatibilità della CEDU con il divieto di fecondazione

Il divieto di ricorrere alle tecniche di fecondazione eterologa, posto alla legge 19 Febbraio 2004 n. 40, è stato, sin dall’ inizio, messo in discussione, in quanto, in base alla situazione precedente, la suddetta tecnica procreativa, non trovava ostacoli, a causa della mancanza totale di una regolamentazione.

Altro aspetto da tenere a mente, è il panorama europeo, che, nella maggior parte dei paesi, ammette il trattamento in questione.

Inoltre, non è mancato in dottrina, il dubbio sulla conformità del divieto della fecondazione eterologa, con i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’ Uomo.

In particolare, si fa riferimento agli articoli 8 e 14 della CEDU: Articolo 8: “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione

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della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Articolo 14: “Divieto di discriminazione”

Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione.

Per quanto riguarda l’ articolo 8 CEDU, Il divieto di ricorrere alla fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo e la previsione correlativa di sanzioni, nei confronti delle strutture che dovessero praticarla sembrerebbe, non garantire alle coppie, cui viene diagnosticato un quadro clinico di sterilità o infertilità irreversibile, il proprio diritto alla vita privata e familiare, e il proprio diritto di identità e di autode- terminazione.

Non vi è dubbio, infatti, che le tecniche di procreazione medicalmente assistita siano da considerarsi come rimedi terapeutici, sia in relazione ai beni che ne risultano coinvolti, sia perché implicano un trattamento da eseguirsi sotto diretto controllo medico, coperto dal Servizio Sanitario Nazionale e diretto a superare una causa patologica che impedisce la procreazione. Il divieto posto dalla L. n. 40/2004, dunque, impedirebbe, irragionevolmente, la cura di una patologia di cui la coppia è affetta.

Se prendiamo la Carta costituzionale italiana possiamo notare che agli articoli 2, 3, e 31, è espresso implicitamente un

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principio fondamentale nell’ interesse dell’ individuo: ossia il diritto all’ autodeterminazione; e questo principio era già stato espresso in modo chiaro ed inequivoco dalla CEDU, nell’ ambito dell’ articolo 8, che assicura il rispetto della vita privata e familiare. È anche vero, che la nozione costituzionale di famiglia non configura un diritto assoluto ad avere figli, ma, allo stesso tempo altrettanto vero, è che, la nostra Costituzione agevola la formazione della famiglia e tutela il rapporto di filiazione, ovvero i presupposti cardine della società.

Posta l’impossibilità di configurare all’interno del nostro ordinamento, alla luce delle disposizioni Convenzionali e Costituzionali vigenti, l’esistenza di un diritto assoluto alla procreazione, appare chiaro che nel regolamentare la delicata materia dell’inizio della vita, il legislatore prima, e gli interpreti poi, siano chiamati ad operare un equilibrato bilanciamento tra i diversi valori in gioco.

Il principio espresso all’ articolo 8 CEDU costituisce una delle fattispecie sulle quali più di frequente si è registrato l’ intervento della Corte Europea. La Corte, ha inoltre tentato di offrire un concetto chiaro di “vita privata”: definendola come una nozione ampia e tale da racchiudere manifestazioni tra loro differenti, quali, il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri essere umani e quello a pretendere il rispetto delle proprie volontà, in ordine alla scelta se avere o meno un bambino.

Da lungo tempo, la Corte ritiene inoltre, che la nozione di “vita familiare”contempli anche la famiglia di fatto e tale orientamento è stato confermato anche nella successiva giurisprudenza della Corte, che ha riconosciuto rilevanza alla convivenza non fondata sul matrimonio.

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In seguito, si sono indicati i presupposti idonei a configurare la vita familiare, individuandoli nella durata della relazione, nella convivenza, e nella presenza di figli.

E’ comunque opportuno precisare che, il diritto dell’ individuo di autodeterminarsi nelle scelte personali e familiari, incontra il limite del rispetto della dignità umana e quello della libertà nella manifestazione delle proprie volontà , in ordine all’ accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita29 .

Per quanto riguarda invece, l’ articolo 14 CEDU, relativo al divieto di discriminazione, esprime coerentemente, che il “godimento dei diritti espressi nella Convenzione deve essere assicurato a tutti senza discriminazioni”.

L’ articolo, non ha un’ esistenza indipendente, essendo correlato strettamente, al godimento dei diritti e delle libertà (tutelati dalle disposizioni CEDU) che deve essere assicurato a tutti i soggetti senza discriminazione alcuna.

Nei casi che andremo ad analizzare, vedremo l’ applicazione del suddetto articolo proprio in ragione di una disparità di trattamento tra soggetti.

L’ approccio iniziale al tema, riguarda esclusivamente problematiche processuali, si fa un primo riferimento al caso S.H

and others , in merito al rapporto tra il giudicato della

Convenzione Europea Dei Diritti Dell’ Uomo, del 1 Aprile 2010

29 Corte Europea Diritti dell’ Uomo 27.4.2010, così la Grande Chambre

ha ritenuto che la legislazione del Regno Unito non fosse in contrasto con l’ articolo 8 CEDU in un caso di revoca del consenso all’ utilizzo dei gameti donati da parte del ricorrente, in seguito alla cessazione della convivenza con la donna che aveva richiesto l’ impianto.

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Sezione prima e quello, nello stesso procedimento, del 3 Novembre 2011 Grande Chambre.

5.2. La Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo in materia di