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IL COLLEGIO SINDACALE TRA OBBLIGHI, OPPORTUNITÀ E VANTAGGI

Tralasciando i tecnicismi giuridici e i problemi di rodaggio del meccanismo, da parte della società, e in particolar modo del collegio sindacale, sicuramente non banali, si evidenziano come ci siano più soggetti coinvolti e il legislatore prova, in qualche modo, a dare a tutti gli incentivi affinché la procedura di allerta diventi uno strumento diffuso, con la speranza di deflazionare il carico dei tribunali. Per quanto concerne il debitore, se egli attiverà le procedure tempestivamente, potrà, come si è già accennato, ottenere benefici sia patrimoniali sia in termini di responsabilità individuale (come la causa di non punibilità per il delitto di bancarotta semplice e per gli altri reati previsti dalla legge fallimentare, quando abbiano cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità, o attenuate a effetto speciale per gli altri reati). Non sono invece previsti meccanismi sanzionatori per la mancata allerta. Per quanto riguarda i soggetti principali della nostra analisi, gli organi di controllo, bisogna ricordare che, alla presenza di sentori di crisi saranno tenuti a informare immediatamente gli amministratori (obbligo già vigente) e, in caso di omessa o inadeguata risposta, dovranno informare l’Organismo di composizione della crisi. Comportandosi in tal modo non ricorrerà la responsabilità dei sindaci con gli amministratori per le conseguenze pregiudizievoli dei fatti o delle omissioni successivi alla predetta segnalazione. In ultimo i creditori pubblici qualificati, che in caso di mancate segnalazioni perderanno i privilegi accordati di cui sono titolari o per i quali procedono. Da quanto è previsto, sembrerebbe che le maggiori responsabilità ricadranno sull’organo di controllo, che potrà evitare di incorrervi solo avvisando prontamente gli amministratori e poi l’Organismo. Di contro, il debitore che dovesse decidere di adire l’Organismo, pur avendo degli incentivi premiali, correrebbe il rischio della notifica al pubblico ministero in caso di mancata risoluzione delle problematiche. Questo elemento oltre ad apparire in contraddizione con lo scopo e la confidenzialità della procedura, è un rischio che i molti imprenditori rifiutano dal punto di vista psicologico. L’organo di controllo, invece, non potrà esimersi dalle segnalazioni senza incorrere in rischi di responsabilità, il cui obbligo di nomina sarà esteso nelle S.r.l. attraverso l’abbattimento delle attuali soglie. Secondo le prime stime85 questo potrebbe interessare circa 175 mila società, il che appare una vera e propria forzatura, considerando che i collegi sindacali, hanno un costo, che si ammortizza facilmente al crescere delle dimensioni. Per un’impresa di piccole dimensioni, non sarebbe del tutto irrilevante, (attualmente le S.r.l. con meno di dieci dipendenti “microimprese” rappresentano già l’85% del totale.)86 E potendo portare a conseguenze sgradevoli, come un proliferare di azioni furbesche volte a mantenere il livello dei dipendenti sotto le 10 unità o la minimizzazione dei compensi dell’organo di controllo in cambio di consulenze garantite, ovviamente incrociate o fittizie per non incorrere nei divieti d’incompatibilità previsti dalla legge. Quest’ultimo è un problema che riguarda già la governance di società medio-grandi che adottano il modello tradizionale, nel quale lo stesso organo (l’assemblea dei soci) nomina sia l’organo amministrativo sia l’organo di controllo, ma assume e assumerebbe caratteri ancor più preoccupanti al diminuire delle dimensioni delle società, dov’è in sostanza assente la distinzione tra proprietari e management, figure che spesso coincidono in una

85 Stime calcolate con dati elaborati per il Sole 24 Ore da Infocamere sulla base di quanto rilevato per

ciascuno dei tre parametri previsti, che possono essere considerati alternativi, ma che possono anche essere congiunti.

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o poche persone (spesso familiari). Infatti, per quanto riguarda nello specifico le imprese di minori dimensioni, il tema della continuità aziendale è presente, ma non è facilmente governabile per via della struttura organizzativa sovente appiattita nella coincidenza fra proprietà e direzione dell’impresa. In molte circostanze la direzione può non aver predisposto una valutazione dettagliata circa la capacità dell’impresa di continuare a operare come un’entità in funzionamento, anche se vanta una profonda conoscenza dell’attività aziendale e delle sue concrete prospettive. In queste circostanze il revisore, è comunque tenuto a effettuare una valutazione in conformità a quanto espresso dalla direzione in merito alla capacità dell’impresa di continuare a operare come un’entità in funzionamento. Le Linee guida di ISA Italia 570 in precedenza riportate, propongono la discussione con la direzione in merito ai finanziamenti dell’impresa a medio e lungo termine, se supportate da elementi, documentali sufficienti, quindi affiancata a un’indagine o a un’ispezione della documentazione di supporto (a es: ordini ricevuti dai clienti valutati in relazione alla loro fattibilità). Inoltre, il sostegno permanente da parte della proprietà è spesso un fattore importante in quest’ambito, nel caso in cui la continuità dell’impresa dipende dal sostegno aggiuntivo della proprietà; il revisore può in queste situazioni valutare la capacità della proprietà di ottemperare agli impegni assunti e in questo contesto risulta di rilievo richiedere una conferma scritta dei termini e delle condizioni connesse a tale sostegno, nonché delle intenzioni della proprietà. In alcuni casi il ritardo significativo della direzione nella redazione del bilancio, porta il revisore (secondo quanto previsto da ISA 570 al paragrafo.26) a svolgere indagini sulle ragioni del ritardo e se ritiene che il ritardo possa essere collegato a eventi o circostanze relative alla valutazione della continuità aziendale, deve svolgere le ulteriori procedure di revisione necessarie, oltre a considerare gli effetti di tali eventi o circostanze sulle proprie conclusioni circa il ricorrere di un’incertezza significativa. Alla minacciata indipendenza dei controllori, si aggiunge la pratica molto diffusa del cumulo degli incarichi degli stessi, che fa insorgere il sospetto di controlli poco rigorosi. E tutto ciò potrà in futuro quindi incidere, nel momento in cui l’organo di controllo, dopo aver segnalato agli amministratori la necessità di porre rimedio a una potenziale crisi aziendale, dovrà decidere se ritenere adeguata la risposta degli stessi o informare l’Organismo. Si dovrà verificare se questi avranno l’indipendenza e la forza per decidere in piena liberta. Sarebbe stato, forse, più opportuno cercare di incentivare

la nomina spontanea dell’organo di controllo, magari attraverso l’implementazione di una

qualche nudge strategy87, non prevedendo dunque l’uso di mezzi di coercizione, e neanche incentivi di tipo economico, cioè costi aggiunti; ma finalizzate anche a evitare i costi connessi alla regolazione in senso proprio (implementazione, applicazione, controllo degli adempimenti ecc.). L’applicazione del nudge, inoltre, pur tendendo a indurre comportamenti che i decisori reputano i migliori per i singoli e la collettività, lascia comunque intatta la piena e assoluta libertà di ognuno di compiere scelte “cognitivamente limitate”: la discrezionalità personale resta, quindi, salvaguardata. Purtroppo in un contesto nazionale, e dunque culturale, come quello italiano, dove secondo un’indagine, “gli italiani appaiono poco inclini ad accettare certe spinte gentili loro indirizzate”.88 In assenza di trasparenza e di credibilità dei decisori, il rischio che la spintarella gentile possa essere percepita dai cittadini come una forma di raggiro nei loro riguardi la indebolisce in partenza. Questo per il fatto che in Italia resta opaco l’agire dei legislatori, i quali non assolvono gli obblighi previsti in tema di disclosure normativa: omettono di esporre con

87 Nel perseguimento di determinati obiettivi, si distingue dal tradizionale command and control, che ricorre

all’applicazione di strumenti coattivi fondati su obblighi e sanzioni.

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chiarezza i propri fini; non spiegano i motivi in base ai quali operano determinate scelte, tra le varie opzioni a disposizione; non fissano indicatori di risultato per vagliare (e consentire a chiunque di controllare) ex post se la scelta effettuata è stata davvero efficace. È pertanto evidente il motivo per cui i cittadini, mentre non possono sottrarsi all’osservanza di disposizioni normative assistite da mezzi di coercizione, scansano volentieri ogni spinta diversa e ulteriore, anche se gentile. Ci si conforma con difficoltà ai “desiderata” di coloro nei cui riguardi non si nutre fiducia: il dubbio che perseguano un tornaconto personale, anziché il bene collettivo, può inficiare anche le strategie di persuasione più raffinate. Bisogna analizzare dunque il ruolo del collegio sindacale –così come quello dei revisori- all’interno delle società che può certamente avere una sua utilità, andando a contemperare la circostanza che i soci o gli amministratori possono essere completamente privi di titoli e competenze e, quindi, bisognosi di un confronto periodico con professionisti qualificati su come gestire un’impresa. Spesso però nella realtà italiana, dove il sistema tradizionale di governance risulta maggiormente utilizzato, la figura del Collegio può quasi solo intervenire ex-post, a decisioni prese, diventando quindi una sorta di organo notarile, che certifica le decisioni del management, al più aggiungendo che sono formalmente corrette e non violano alcuna norma statutaria o contabile. Bisognerebbe dunque, in parte come prevede la Legge Delega n.155 del 2017 all’Art.4, fare in modo che quest’organo sia sempre più al vertice della governance aziendale, concedendogli la possibilità di opporsi esplicitamente a decisioni che, come sempre può accadere, potrebbero mettere a rischio alcuni aspetti della sana e prudente gestione. Sotto questo profilo, l’idea sarebbe dunque quella di avvicinarsi a quanto previsto dal più snello sistema monistico, ampiamente diffuso nel sistema anglosassone, dove il consiglio di amministrazione prevede al suo, interno un comitato di amministratori destinati al controllo, ovviamente in possesso dei requisiti di professionalità, indipendenza e di qualità morali89.

Le tabelle presentate successivamente avvalorano questa asserzione. Alcuni dati reperiti, si riferiscono ad un lungo periodo antecedente la riforma del diritto societario del 2003, mentre altre evidenze statistiche riguardano l’arco temporale post crisi e post riforma del diritto

fallimentare (2007) fino al 2017. Comparando le tabelle e facendo un’analisi dei fallimenti delle

imprese distinte per forma giuridica, si può arrivare alla conclusione che, in presenza del collegio

sindacale, i tassi di fallimento sono significativamente più bassi, nella realtà delle società di

capitali (numericamente inferiori alle altre forme giuridiche, ma che rappresentano indubbiamente la parte più interessante del sistema imprenditoriale italiano visto alla luce della riforma del diritto societario e di quella del diritto fallimentare). In particolare nelle S.r.l. dove l’istituzione di tale organo, se non superati determinati parametri precedentemente citati, non è obbligatoriamente prevista ma discrezionale.

89 Bisogna tenere comunque sempre in considerazione che nel sistema monistico il comitato dovrebbe

essere nominato dall’assemblea e non dal consiglio stesso, in modo da evitare conflitti e aspirazioni del diventare controllori per esercitare poteri di controllo una volta nominati.

97 1999 2000 2001 2002 2003 2004 Media Tasso crescita Ditte individuali 3.433.569 3.446.941 3.451.430 3.455.391 3.462.667 3.490.274 3.456.712 1,62% Soc. Capitali 826.243 878.193 941.144 972.156 1.022.943 1.074.686 952.561 23,12% S.r.l. 751.277 795.214 848.788 874.084 916.711 954.187 856.710 21,27% S.p.a. 58.786 60.586 62.440 60.347 60.736 56.356 59.875 -4,31% Soc. Persone 1.159.950 1.188.608 1.209.285 1.214.272 1.225.899 1.237.527 1.205.924 6,27% S.n.c. 646.287 652.301 655.037 649.694 648.260 647.092 649.779 0,12% Altre 175.601 184.820 190.739 189.035 193.374 195.262 188.139 10,07% Totale 5.595.363 5.698.562 5.792.598 5.830.854 5.904.893 5.997.749 5.803.337 6,71% Srl+Spa+Snc 1.456.350 1.508.101 1.566.265 1.584.125 1.625.707 1.657.635 1.566.364 12,14%

Tabella 5.1– Imprese registrate per forma giuridica90.

1999 2000 2001 2002 2003 2004 Media Var.% Ditte individuali 1.409 1.102 909 999 905 1.022 1.058 -27,5% S.n.c. 1.942 1.207 1.018 950 811 906 1.139 -53,3% S.r.l. 6.649 6.877 6.661 6.587 6.695 7.342 6.802 10,4% S.p.a. 323 192 201 206 196 246 227 -23,8% Altre 2.395 2.133 1.923 1.900 1.856 1.796 2.001 -25% Totale imprese 12.718 11.641 10.767 10.683 10.463 11.264 11.264 -11,1% Totale Snc, Srl, Spa 8.914 8.276 7.880 7.743 7.702 8.168 8.168 4,7%

Tabella 5.2 – Imprese fallite per forma giuridica91.

90 Dati Movimprese, 2007.

98 1999 2000 2001 2002 2003 2004 Media Tasso di crescita medio Ditte individuali 0,41 0,32 0,26 0,29 0,26 0,30 0,31 -28% S.n.c. 3,04 1,87 1,56 1,45 1,25 1.40 1,76 -54% S.r.l. 9,28 9,15 8,38 7,76 7,66 8,01 8,32 -14% S.p.a. 5,62 3,27 3,32, 3,30 3,25 4,05 3.78 -28% Altre 14,21 12,15 10,40 9,96 9,82 9,29 10,89 -35% Totale imprese 2,31 2,08 1,89 1,84 1,79 1,92 1,97 -17% Totale Snc, Srl, Spa 6,31 6,68 4,94 4,94 4,86 5,22 5,35 -17%

Tabella 5.3 – Tassi di fallimento per forma giuridica (valori espressi per mille.)92.

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Media S.r.l. CON Collegio Sindacale 4,75% 4,54% 4,31% 3,73% 3,57% 3,43% 3,31% 3,35% 3,83% S.r.l. SENZA Collegio Sindacale 95,25% 95,46% 95,69% 96,27% 96,43% 96,57% 96,69% 96,65% 96,17%

Tabella 5.4 – S.r.l. con collegio sindacale e senza collegio sindacale in % sul totale93

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Media Tasso fallimento S.r.l. CON Collegio Sindacale 3,88% 3,31% 4,31% 5,41% 4,29% 3,65% 3,70% 4,08% Tasso fallimento S.r.l. SENZA Collegio Sindacale 8,06% 7,54% 6,65% 7,01% 7,19% 5,74% 5,63% 6,83%

Tabella 5.5 – Tassi di fallimento 2000-2006 delle S.r.l94.

92 Dati Istat e Movimprese elaborati per la Fondazione Aristeia, 2007. 93 Dati Infocamere elaborati per la Fondazione Aristeia, 2007. 94 Dati Infocamere elaborati per la Fondazione Aristeia.

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Grafico 5.1 – Fallimenti per forma giuridica (valori assoluti, tasso di variazione 2017/2016.)95

Grafico 5.2 – S.r.l. con collegio sindacale e senza collegio sindacale in % sul totale 96.

95Fallimenti, procedure e chiusure di imprese”, Cerved – febbraio 2018.

96 Sulla base dei dati evidenziati dal Ministro della Giustizia, On. Andrea Orlando durante l’assemblea

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La tabella 5.2 mostra come tra il 1999 e il 2004 il numero d’imprese dichiarate fallite, è diminuito dell’11,1% (da 12.718 a 11.312). La diminuzione ha riguardato in misura maggiore le S.n.c. (- 53,3%), seguita a distanza dalle Ditte individuali (-27,5%) e dalle S.p.a. (-23,8%) mentre le S.r.l. sono in controtendenza (+10,4%). Nel complesso le società (S.n.c., S.r.l. e S.p.a.) hanno visto una diminuzione del 4,7%. Come già anticipato, il dato relativo alle S.r.l. deve essere letto con particolare attenzione. A fronte, infatti, di un incremento in valore assoluto del numero d’imprese dichiarate fallite (+10,4%), va osservato l’incremento delle S.r.l. registrate (+37%), come rappresentato nella tabella 5.1 cui corrisponde, come mostrato nella tabella 5.3, una diminuzione del tasso di fallimento (-14%).

Ponendo quindi particolare attenzione alle S.r.l., quelle che hanno nominato il collegio sindacale è molto basso, circa il 3,83% nella media 1999-2006 (Tabella 5.4).

Mettendo infine a confronto i dati delle S.r.l. fallite con quelli delle S.r.l. dotate di un collegio sindacale, si riscontra un’incidenza positiva del collegio sindacale nel fallimento. Infatti, il tasso medio di fallimento delle S.r.l. dotate di un collegio sindacale è del 4,08% contro il 6,83% delle S.r.l. non dotate di questo organo (Tabella 5.5).

Questo trend è proseguito fino ad oggi, dove secondo i dati evidenziati nel grafico 5.2 le S.r.l. dotate, di un collegio sindacale sono solamente il 2,14% del totale. I fallimenti invece, dai dati statistici aggiornati al 2017, sono nuovamente in evidente il calo dopo la crisi economica iniziata nel 2007, evidenziando miglioramenti diffusi in tutti i settori e proseguendo il trend migliorativo iniziato nel 2014. In particolare si sono registrati cali più significativi per le società di persone e per le società di capitale, mentre risultano più contenuti per le imprese organizzate in altre forme giuridiche. I trend di lungo periodo evidenziano che nel tempo è cresciuto il peso dei fallimenti di società di capitale, anche per effetto della riforma del 2007 che ha escluso dall’area di fallibilità le imprese di dimensione minore, frequentemente organizzate come società di persone o ditte individuali.

Da dati analizzati, si evince l’importanza di dotare l’impresa societaria di adeguati sistemi di controllo, in grado di esercitare la vigilanza non solo ex post, ma anche in via continuativa durante la gestione sociale al fine di tutelare, da un lato, l’integrità del patrimonio sociale e, dall’altro, la corretta gestione sociale, nell’ottica dell’interesse dei soci, dei terzi e della collettività considerata l’importanza che il buon andamento delle società assume nel quadro dell’economia generale. Le S.r.l. costituiscono non solo la tipologia societaria più diffusa, ma anche lo strumento giuridico maggiormente utilizzato per l’esercizio dell’attività imprenditoriale. Tali dati si giustificano essenzialmente in relazione al fatto che le S.r.l. consentono ai soci di esercitare l’attività d’impresa limitando la propria responsabilità al capitale apportato. Ma, come detto, se da un lato occorre valorizzare l’interesse dei soci e la crescita del tessuto imprenditoriale nazionale, dall’altro non bisogna dimenticare la necessità di assicurare forme di tutela per tutti quei soggetti che entrano in contatto con la società.

Dai dati emersi da una recente ricerca effettuata dalla Fondazione Aristeia97 è inoltre possibile notare come i fallimenti costituiscono la procedura concorsuale più diffusa nelle S.r.l. e oggi, a seguito della riforma del diritto societario, la riforma del diritto fallimentare non sembra più procrastinabile. La riforma così come recentemente indicato dalla Legge n.155 del 19 ottobre 2017 recante, la “delega al Governo per la riforma della disciplina della crisi d’impresa e

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dell’insolvenza”, consentirebbe di abbandonare il carattere repressivo del fallimento in favore di una nuova mentalità che consideri l’insolvenza dell’impresa come un’eventualità negativa, ma non irreparabile, e che veda l’imprenditore, parte attiva nel procedimento volto al risanamento della propria impresa, in cui ampio spazio sia lasciato agli accordi con i creditori, con giusto equilibrio fra autonomia privata e intervento giurisdizionale.

In particolare si prevede opportunamente di anticipare l’avvio della procedura concorsuale a un momento anteriore alla manifestazione dello stato d’insolvenza o anche soltanto della temporanea difficoltà ad adempiere, ancorando l’ingresso alla procedura di crisi al pericolo o rischio d’insolvenza, su domanda dell’imprenditore. La nuova disciplina per la “Regolamentazione della crisi d’impresa” prevedrebbe, altresì, misure premiali di natura civile, penale, tributaria e previdenziale a favore degli imprenditori che segnalino tempestivamente il pericolo d’insolvenza, e l’introduzione di meccanismi di allerta, volti a diagnosticare precocemente la crisi d’impresa, qualora l’imprenditore non chieda spontaneamente l’avvio della procedura di crisi.

Già nel testo predisposto dalla Commissione Trevisanato nel 2004 per la “Riforma della legge fallimentare”, trasmesso al Governo, ma di cui poi non se ne fece nulla, si prevedeva che tra i cosiddetti meccanismi di monitoraggio dei sintomi di squilibrio dell’impresa fosse inserita la “denuncia” degli organi di controllo interni della società; in altri termini il collegio sindacale sarebbe stato tenuto a segnalare i sintomi della crisi. Tramite denuncia direttamente all’autorità giudiziaria o tramite denuncia agli organi della società e, in caso di mancata attivazione degli stessi, denuncia all’autorità giudiziaria.

Pur ritenendo apprezzabile la previsione di un’esplicita denuncia che segnali lo stato di crisi dell’impresa, sembra doveroso evidenziare che ciò rappresenta solo una precisazione dei compiti assegnati al collegio sindacale, che come illustrato in precedenza è chiamato non solo a effettuare controlli di legalità, ma anche controlli sul rispetto dei principi di corretta amministrazione. Controlli che assumono una valenza ancor più importante laddove si consideri che siano svolti in concomitanza con lo svolgimento della gestione sociale. In effetti, nelle società ove è presente il collegio sindacale, siano S.p.a. o S.r.l., il controllo effettuato da quest’organo, costituisce un indubbio fattore per evitare la crisi d’impresa come dimostrano le basse percentuali di fallimento registrate in tali società.

L’istituto del collegio sindacale ha subito profonde modifiche dalla sua istituzione. Tale organo, vera e propria “esclusiva” dell’ordinamento societario italiano, è spesso sottovalutato per la sua

importanza e la funzione di prevenzione che è chiamato a svolgere. La più clamorosa modifica

che ha subito è stata sicuramente la possibilità di essere costituito non più esclusivamente in forma collegiale, ma anche unipersonale98.

In un primo momento per tutte le società di capitali, successivamente solo per le S.r.l. che ne presentassero i requisiti precedentemente esaminati. Ciò è da intendersi come un vero e proprio passo indietro nel processo di sviluppo del collegio sindacale: la presenza di un organo monocratico appare essere in contrasto con la ratio che sta alla base dell’esistenza dell’organo stesso, un controllo ampio di tutti gli aspetti che possono essere fonte d’inadempimenti normativi e irregolarità gestionali, e che in generale possano andare a minare l’equilibrio sociale e gli interessi dei vari stakeholder. Compito che risulta, per complessità e importanza, di più facile esecuzione tramite una pluralità di soggetti piuttosto che con un solo individuo.

98 Nuovo testo dell'art. 2477 c.c., come modificato dall'art. 14, comma 13, della legge 183/2011, in vigore

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La riduzione del numero di componenti del collegio sindacale non appare dunque una soluzione conveniente sia in termini pratici che economici. La suddivisione di un lavoro com’è quello del controllo sulla gestione e di merito sulle decisioni degli amministratori, le attività interne dell’impresa, nonché lo scambio di opinioni tra soggetti dotati di qualità professionali e personali proporzionali all’incarico rivestito, sono garanzie di una più corretta rilevazione e analisi della realtà aziendale, più di quanto possano esserlo quelle di un unico soggetto preposto alla stessa attività. Parlando in termini economici, il risparmio per le società è minimo, perché nessun professionista avrebbe convenienza nell’incaricarsi di un lavoro normalmente svolto da tre persone percependo una “unica” retribuzione, e va inoltre aggiunto il minore apporto quanti – qualitativo, in termini di approfondimento dei controlli di accuratezza delle rilevazioni, che può assicurare un singolo individuo piuttosto che un collettivo. Il che potrebbe senza dubbio condurre a situazioni spiacevoli, sia per la società, che potrebbe essersi dotata di un sistema di controlli inidoneo al tipo di attività svolto, con costi potenziali direttamente o meno collegabili a tali lacune, e che possono di gran lunga superare il già citato risparmio auspicato dalla riforma, che per il sindaco in prima persona, in termini di responsabilità.

E proprio il tema della responsabilità è di rilevanza notevole. I sindaci, infatti, sono sottoposti a un regime di responsabilità concorrente a quella degli amministratori, una volta accertato il nesso di causalità tra le due figure. Tale responsabilità è illimitata, mancando un qualsiasi riferimento

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