2. La ricerca di autenticità nel consumo di popular music Rassegna della letteratura
2.3. La ricerca di autenticità da parte dei consumatori di popular music
2.3.5. Il comportamento delle imprese del settore
Se si rivolge lo sguardo alle politiche delle imprese del settore, è possibile notare come esse prestino un certo interesse nei confronti dell’esigenza di autenticità da parte dei consumatori. È sempre più frequente, infatti, assistere alla presentazione di un artista che richiami il fatto che sia vero, genuino o che il suo nuovo disco venga
dal cuore (Dyer 1991). Negli Stati Uniti, ad esempio, nella musica rivolta agli
adolescenti maschi bianchi, l’autenticità è considerata una condicio sine qua non del successo artistico e, ormai, è sempre più raro trovare un autore (come ad esempio un cantante rock o un rapper) che non cerchi di restare vero per il pubblico o che non parli della differenza tra farcela e svendersi (Barker e Taylor 2009, p. VIII). In particolare, l’utilizzo della sincerità e di riferimenti autobiografici sono gli elementi che aiuterebbero maggiormente un artista a essere definito autentico dal punto di vista personale, mentre il ricorso a strumenti tradizionali e il recupero di canzoni
d’epoca sono spesso utilizzati al servizio dell’autenticità culturale (Barker e Taylor 2009).
Più in dettaglio, per quanto riguarda il primo aspetto, tra gli artisti è diventato sempre più comune inventare o esagerare il disordine esistenziale e il proprio essere
contro, di modo da apparire più interessanti e credibili e raccogliere maggiori
consensi, specie nei confronti dei più giovani (Frank 1997; Frith e Horne 1987; Halnon 2005; Moore 2005; Thornton 1998). Considerata l’ottica romantica e il conflitto intrinseco nel rapporto tra arte e commercio (Bradshaw e Holbrook 2007), alcuni musicisti, come ad esempio Willie Nelson (Holt e Thompson 2004), sarebbero posizionati come antagonisti al mercato, proprio per farli risultare ribelli, sembrare artisti veri e vendere più facilmente. Anche nel mercato discografico italiano, il piano previsto dai responsabili del marketing di Jovanotti, per il lancio del nuovo album Il
quinto mondo, uscito nel 2002 all’indomani dell’undici settembre, che prevedeva la
presenza dell’artista in tutte le reti della TV nazionale, con il suo inserimento in qualsiasi tipo di programma televisivo, non aveva solo lo scopo di presentare (suonando dal vivo) il primo singolo del CD (Salvami), ma soprattutto quello di trasformare il cantante in una sorta di portavoce del pensiero dei giovani (Sibilla 2006). Quello che è importante notare, quindi, è che i responsabili del marketing abbiano ritenuto che, per presentare il nuovo lavoro dell’artista, la sua presenza in TV, il suo impegno a proporre un modello sostanzialmente politico – e dunque il rafforzamento della sua identità – potesse essere più efficace della semplice presentazione della produzione musicale in sé (Scialò 2003, p. 157).
Per quanto concerne l’autenticità culturale, un caso singolare è quello dell’album
Buena Vista Social Club, premiato con un Grammy nel 1997 e diventato simbolo del son cubano in tutto il mondo (Barker e Taylor 2009). La cosa curiosa è che,
nonostante quest’album abbia dato vita ad un fenomeno musicale per aver portato la musica tipica cubana nel mondo, ad averlo realizzato sia stato Ry Cooder, un musicista della lontana Los Angeles. Il disco può essere senz’altro considerato perfettamente in linea con la world music di maggiore successo negli ultimi anni, ovvero di quel genere di musica che mette in risalto i suoni appartenenti a culture o territori remoti piuttosto che alle città in cui si è verificata una contaminazione. Questo caso, però, aiuta anche a capire quanto il termine world music possa essere considerato più che altro un concetto di marketing. In teoria, infatti, tale etichetta riunirebbe forme musicali specifiche di determinate culture, che appaiono non
snaturate nel tempo e che esprimono l’anima di popolazioni relativamente arretrate (Fariley 2001). Nel corso degli anni, tuttavia, questo modo di fare musica e di rappresentare al tempo stesso culture poco conosciute, ha avuto un successo crescente e quindi ha creato uno spazio per tutti quegli artisti in grado di dare un velo di autenticità culturale alle loro opere. A volte anche solo rendendo volutamente poco professionali i propri lavori e cercando di proporre un tipo di musica che risultasse esotica, non è stato difficile per molti artisti far passare i propri prodotti come tipici di una specifica cultura, e destare in questo modo maggior interesse (Hesmondhalgh 2007, p. 237). Il caso di Buena Vista Social Club è emblematico perché non esporta affatto la musica cubana dell’epoca (la maggior parte dei cubani non ha mai sentito il disco e probabilmente non lo gradirebbe). Piuttosto, Ry Cooder ha tentato di reinventare a tavolino qualcosa che sembri cubano e c’è riuscito molto bene, ma l’autenticità è solo di facciata, mentre l’album, fatto di musica ibrida e consapevolmente inautentica, può a ragione essere considerato uno degli esempi di
finzione tra i più riusciti negli ultimi dieci anni (Barker e Taylor 2009).
Un altro aspetto interessante è inoltre quello che riguarda i tentativi di soddisfare le esigenze dei consumatori più nostalgici, che sono particolarmente presenti in questo contesto. Hayes (2006), in proposito, ha analizzato l’abitudine di molti giovani ad utilizzare e collezionare vinili, in controtendenza con l’avvento della musica digitale, allo scopo di resistere alle regole imposte dal mercato, e di recuperare quel modo più autentico di ascoltare e considerare la musica tipico del passato. Holbrook e Schindler, nei loro studi sulla formazione dei gusti musicali (Holbrook e Schindler 1989, 1994, 1996; Schindler e Holbrook 2003), hanno sviluppato anche una scala di misurazione dell’“inclinazione all’essere nostalgici,” ed hanno osservato come la musica sia proprio uno degli ambiti dove la memoria ed i ricordi assumerebbero un ruolo particolarmente significativo. Le case discografiche, pertanto, continuano ad assegnare un’importanza centrale a tutti gli storici gruppi degli anni Sessanta/Settanta (come Beatles, Rolling Stones o Pink Floyd), che generalmente – anche per i contributi che hanno dato alla popular music – sono ritenuti più autentici rispetto a molti contemporanei (Shuker 2001). Da un lato, ad esempio, continuano a riproporli attraverso cofanetti riepilogativi, Greatest Hits, riedizioni di album famosi, e dall’altro, cercano di riportarli sul palco come è accaduto di recente con Genesis, Police, Led Zeppelin e Duran Duran. Oltre a questo, è interessante evidenziare anche come – sempre più spesso – esse promuovano band
che s’ispirano allo stile delle storiche degli anni Sessanta/Settanta, cercando di recuperare un po’ della loro autenticità: i casi di Oasis, Franz Ferdinand, Amy Winehouse, Michael Bublè all’estero, ma anche delle Vibrazioni e dei Baustelle in Italia, sono abbastanza esemplificativi. Si potrebbe segnalare, infine, anche la nascita di numerose emittenti radiofoniche specializzate, dedicate alla musica dei tempi passati: in Italia, Radio Deejay ha lanciato Radio Capital, Radio Italia Solo Musica
Italiana ha proposto Radio Italia Anni Sessanta, il gruppo Hazam, che controlla Radio Montecarlo e Radio 105, ha lanciato 105 Classics e, dal 1990, anche Radio Nostalgia ha raggiunto un discreto successo in alcune regioni (Mizzau 2006).