Credit Default Swap
2.1. IL CREDIT DEFAULT SWAP COME STRUMENTO DERIVATO
A seguito delle modifiche intervenute con il recepimento della direttiva MIFID, il novellato comma secondo dell’articolo 1 del TUF alla lettera h) espressamente include tra gli strumenti finanziari “gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito”. Questo intervento normativo ha risposto una volta per tutte al quesito circa la possibilità di considerare i
credit default swaps strumenti finanziari ai sensi dell’articolo 1 TUF. Il
problema si era posto perché, nella vigenza del testo pre MIFID, i derivati di credito non trovavano menzione espressa, andando in questo modo esenti da disciplina. Non includere i derivati creditizi nel novero degli strumenti finanziari significava escludere questi della «riserva di attività» che l’articolo 18 comma 1 individua a favore di imprese di investimento e
banche. L’esercizio di attività, aventi ad oggetto strumenti finanziari, è subordinato al rilascio dell’autorizzazione che la CONSOB, sentita la Banca d’Italia, concede ai soggetti in possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali. Tali requisiti vengono stabiliti dal Ministro dell’economia e delle finanze con regolamento, sentite la Banca d’Italia e la Consob, ai sensi dell’articolo 19 Testo Unico. E’ evidente quindi come l’esclusione dei derivati creditizi dalla categoria degli strumenti finanziari comportasse conseguenze notevoli in tema di affidamento della clientela, trasparenza e correttezza. Nella more dell’intervento normativo operato con la direttiva MIFID si è reso necessario, pertanto, un adeguamento interpretativo della norma. La dottrina maggioritaria, in vero, già in via interpretativa ricomprendeva i contratti in parola nell’alveo degli strumenti finanziari . 104
Una prima interpretazione, guardando alle similitudini strutturali, tecniche ed economiche tra i derivati di credito e gli strumenti derivati, considerava i derivati di credito alla stregua di «altri titoli di debito negoziabili su i mercati dei capitali», lettera b) articolo 1 TUF. Al fine di consentire l’applicazione della relativa disciplina qualificava, quindi, i derivati creditizi come strumenti finanziari attraverso la assimilazione ai titoli di debito. La definizione di titolo di debito non si rinviene espressamente nel testo normativo, ma può essere ricavata in via interpretativa dalla circolare di vigilanza di Banca d’Italia 229/1999. Dall’interpretazione della norma contenuta nell’appendice 3 si può considerare «titolo di debito» un negozio che implichi il pagamento di una somma di denaro ma non a titolo di
F. Caputo Nassetti- A. Fabbri ; I. Parrilla “Credit derivatives: profilo civilistici e
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partecipazione ad un’impresa . Secondo questa interpretazione della 105
norma in questione è possibile considerare titoli di debito sia il credit
derivative che prevede il trasferimento di un titolo obbligazionario o di un
prestito, sia il credit derivative che fosse valutato rispetto ad un prestito o ad un titolo. Se si accoglie questo primo iter interpretativo è possibile riconoscere nei derivati di credito dei titoli di debito che, in quanto tali, possono essere qualificati come strumenti finanziari. Una seconda interpretazione, non condividendo l’assunto per cui un prestito possa essere considerato titolo di debito, muove dalla definizione di contratto derivato presente nella medesima circolare 229/1999 di Banca d’Italia. Tale definizione considera strumenti derivati quelli che «insistono su elementi di altri schemi negoziali» il cui valore deriva da quello di «altri elementi di riferimento». Siffatta definizione di strumenti derivati pare ricomprendere pienamente anche i credit derivatives. Il valore di questi strumenti è determinato in base al merito creditizio di un Reference Entity che può essere considerato un «altro elemento di riferimento», senza che vi sia alcun collegamento a titoli o prestiti. Questa linea interpretativa evidenzia poi come la stessa circolare di Banca d’Italia includa gli strumenti derivati nella definizione di «operazioni fuori bilancio», le quali a loro volta rientrano nella definizione di «valore mobiliare» ai sensi della disciplina del Testo Unico.
Gli sforzi interpretativi spesi da dottrina e giurisprudenza cercavano di porre rimedio alla problematiche che comportava l’assenza di una qualificazione, da parte del legislatore speciale, dei derivati creditizi come strumenti finanziari. L’esigenza era emersa anche a livello comunitario: è infatti il legislatore Europeo che, nel paragrafo 8 Sezione C dell’Allegato 1
F. Caputo Nassetti- A. Fabbri, op. cit. p. 270.
della direttiva 2004/39/CE, indica come strumenti finanziari anche quelli stipulati «per il trasferimento del rischio di credito». La norma del Testo Unico riporta espressamente la definizione europea e si mantiene, come questa, volutamente ampia in modo che il catalogo degli strumenti finanziari rimanga il più aperto possibile per garantire che in via interpretativa si possano includere nuove fattispecie a quelle regolamentate. L’importanza di interpretazioni estensive e di un catalogo di fattispecie aperto vogliono porsi come delle prime soluzioni al fisiologico ritardo con cui il legislatore si trova a regolamentare la materia finanziaria. La prassi dei mercati crea nuovi strumenti e nuove operazioni in risposta ad esigenze contingenti e non è possibile una celere e puntuale regolamentazione legislativa di ciascuno di questi. A questo deficit il legislatore risponde con la previsione di un elenco aperto delle entità che possono costituire strumenti finanziari, in modo da favorire un’interpretazione estensiva delle fattispecie, e attraverso un un rinvio a principi di soft law. Il Testo Unico prevede infatti, al comma 5 dell’articolo 18, che il Ministero dell’Economia e della Finanzia, sentite la CONSOB e la Banca d’Italia, possa «al fine di tener conto dell'evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabilite dalle autorità comunitarie» individuare con apposito regolamento «nuove categorie di strumenti finanziari».