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Saint-Loup, l’immaginario razzista del Narratore!

4.3 Il giudizio del Narratore sull’atteggiamento antirazzista di Saint-Loup!

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In questa prospettiva, diventa facile interpretare l’unico episodio in cui il Narratore sembri esprimere un giudizio di valore sull’antirazzismo di Saint- Loup.!

Abbiamo visto che in generale, a fronte del sistematico silenzio di Saint- Loup di fronte alle questioni di razza, al suo comportarsi come se non esistessero, il Narratore non commenta e non rileva, e oppone, come abbiamo visto, forme striscianti di razzismo. C’è però uno — e un solo — episodio dove Saint-Loup, con un gesto, prende posizione contro il razzismo dominate: il momento in cui, in piena prima guerra mondiale e delirio sciovinista, Saint-Loup, soldato in licenza che morirà poco dopo in guerra, va in visita al Narratore, e sulle scale, in pubblico, come segno di ammirazione, malgrado le circostanze, per la grandezza della cultura tedesca, canticchia in tedesco un lied di Schumann.!

Il giudizio del Narratore è apparentemente encomiastico e di pura ammirazione, ma una lettura più accorta ci rivelerà le insidie retoriche dietro il suo discorso.!

Nell’epitaffio di Saint-Loup, quando ormai è morto eroicamente in guerra, il Narratore descrive l’episodio con queste parole:!

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Jamais homme n'avait eu moins que lui la haine d'un peuple […]. Pas de haine du Germanisme non plus; les derniers mots que j'avais entendus sortir de sa bouche, il y avait six jours, c'étaient ceux qui commencent un lied de Schumann et que sur mon escalier il me fredonnait, en allemand […]134!

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Queste parole sembrerebbero contenere l’elogio più convinto e sentito, se la conclusione della frase non fosse la seguente:!

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Cfr. M. PROUST, À la recherche du temps perdu, cit., IV, p. 425.

[…] si bien qu'à cause des voisins je l'avais fait taire.135!

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È interessante notare che il Narratore racconta lo stesso episodio due volte, e la prima avviene è in un momento, nel tempo del racconto, in cui Saint-Loup è ancora vivo. Il tono è piuttosto diverso:!

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Bien entendu, le «fléau» n’avait pas élevé l’intelligence de Saint-Loup au dessous d’elle-même. […] il me citait certains tableaux que nous aimions l’un et l’autre et ne craignait pas de faire allusion à une page de Romain Rolland, voire Nietzsche, avec cette indépendance des gens du front qui n’avait pas la même peur de prononcer un nom allemand de ceux de l’arrière,

et même avec cette pointe de coquetterie à citer un ennemi que

mettait par exemple le colonel du Paty de Clam, dans la salle des témoins de l’affaire Zola, à réciter en passant devant Pierre Quilliard, poète dreyfusard de la plus extrême violence et que d’ailleurs il ne connaissait pas, des vers de son drame symboliste: La Fille aux mains coupées. Saint-Loup me parlait-il d’une mélodie de Schumann, il n’en donnait le titre qu’en allemand […]136!

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Prima della morte di Saint-Loup, dunque, il gesto apertamente contro l’antigermanismo che questi compie nel citare e cantare Schumann viene etichettato dal Narratore come civetteria, e la reazione del Narratore è quella di censurare il gesto e far tacere Saint-Loup. È soltanto dopo la sua morte, o meglio con la sua morte, che questo gesto potrà finalmente essere risemantizzato e apprezzato dal Narratore, e rientrare nell’epitaffio encomiastico che questi pronuncia per Saint-Loup: e non perché il Narratore abbia cambiato idea in proposito, ma perché la morte eroica di Saint-Loup lo ha elevato al di sopra di ogni sospetto, in maniera tale che un gesto che prima poteva apparire in qualche modo come ribelle e anticonvenzionale può essere accolto nel quadro dell’ideologia dominante. Infatti, se non odiare i tedeschi non è legittimo (o comunque non è

Ibidem.

135

Ivi, IV, pp. 333-334.

encomiabile) per una persona in vita, lo diventa per un morto in quanto ulteriore maniera di celebrare l’ideale che nel paragrafo precedente abbiamo identificato come l’ideale della misura: è la sua morte che rende encomiabile il non odio per i tedeschi di Saint-Loup, ma soltanto nella misura in cui uccidere il nemico senza odiarlo è un ulteriore motivo di celebrazione dell’ideale del meden agan.!

Anche qui, dunque, il Narratore si mostra completamente radicato nella propria mentalità borghese, e del tutto incapace di comprendere davvero le istanze di Saint-Loup.!

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5. Conclusioni!

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In questo lavoro, utilizzando come cartina di tornasole il personaggio di Robert de Saint-Loup, abbiamo mostrato che il discorso del Narratore è classista (Cap. 2), eteronormato (Cap. 3) e razzista (Cap. 4), e finisce inevitabilmente per riconoscere come meno umani tutti i soggetti che, in qualche misura, si fanno portatori di istanze devianti rispetto al modello normativo dell’uomo bianco, eterosessuale e borghese.!

Questa visione emerge in maniera eclatante in un passo in cui il Narratore, confrontando il barone di Charlus e suo nipote Saint-Loup, arriva a dire che, all’interno della famiglia Guermantes, il duca Basin è l’unico membro normale all’interno di una famiglia tarata. Leggiamolo insieme:!

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Dans cette dernière hypothèse, qui confine à l’histoire naturelle, ce ne serait pas M. de Charlus qu’on pourrait appeler un Guermantes affecté d’une tare et l’exprimant en partie à l’aide des traits de la race Guermantes, mais le duc de Guermantes

qui serait dans une famille pervertie l’être d’exception, que le

mal héréditaire a si bien épargné […]137!

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Ora, Basin de Guermantes è l’incarnazione dell’egemonia: maschio, bianco, eterosessuale (e marito felicemente fedifrago all’interno della più normativa delle unioni), del tutto e aproblematicamente aderente, come abbiamo visto nel Capitolo 2 e nel Capitolo 4, al pensiero dominante, presenta soltanto una caratteristica che potenzialmente lo discosta dal tipo che il Narratore identifica come la norma, e cioè la sua appartenenza all’aristocrazia: ed è interessante che, altrove nel romanzo, per poter

Cfr. M. PROUST, À la recherche du temps perdu, cit., IV, p. 265.

costruire così il personaggio e poterne giustificare la perfetta aderenza alla norma, il Narratore abbia sentito l’esigenza di specificare che, se la classe sociale d’appartenenza per nascita di Basin de Guermantes è l’aristocrazia, la sua classe mentale è la borghesia:!

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[…] on s'exprime comme les gens de sa classe mentale et non

de sa caste d'origine. Par là M. de Guermantes pouvait être dans ses expressions, même quand il voulait parler de la noblesse, tributaire de très petits bourgeois qui auraient dit :

«Quand on s'appelle le duc de Guermantes», tandis qu'un homme lettré, un Swann, un Legrandin, ne l'eussent pas dit.138!

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L’idea che l’Uomo, come legittimo soggetto di diritto, sia il maschio bianco, eterosessuale e borghese, e che tutti coloro che si discostano dalla norma abbiano meno titolo ai diritti e, in generale, all’appartenenza alla comunità umana, è un prodotto dell’Illuminismo e una caratteristica della

Weltanschauung borghese139: è uno dei cosiddetti “grandi universali”, l’idea di “umano” così come i filosofi illuministi l’hanno concepita, definita, e di conseguenza circoscritta.!

Potrebbe dunque, a questo punto, porsi la questione seguente: come si spiega una tale aderenza a questo universale illuminista nel quadro del sistema filosofico difeso dal Narratore, considerando che, se è vero che la nozione illuminista di “individuo” è altrettanto persistente nel suo pensiero e anzi portata alle estreme conseguenze — fino a sfociare nel solipsismo più estremo —, d’altra parte la critica alle nozioni illuministe di “ragione” e “tempo lineare” è apparentemente altrettanto forte?!

Per rispondere a questa domanda, bisogna tenere conto del fatto che il Narratore, nel suo sistema, distingue chiaramente due piani di verità, tra i quali stabilisce un ordine di importanza: il piano delle cosiddette “verità

Ivi, II, pp. 532-533.

138

Cfr. il fondamentale saggio di M. Horkheimer, T.W. Adorno

esteriori”, che sono le verità della scienza140 e sono secondarie perché attingibili da tutti, e il piano delle cosiddette “verità interiori”, che corrispondono al modo in cui ciascun individuo percepisce il mondo, che sono comunicabili soltanto attraverso l’arte (che è un linguaggio) e che il Narratore individua come più preziose perché, se una persona non vi si concentra, “resterebbero per sempre il segreto di ciascuno”.!

I grandi universali illuministi, all’interno di questa prospettiva, sono messi in dubbio sempre e soltanto per quanto riguarda le “verità interiori”: mai per quello che riguarda le “verità esteriori”. Quando il Narratore critica l’inefficacia della ragione, lo fa dicendo che per le verità interiori è utile solo come strumento a posteriori, ma ribadendo che, per quanto riguarda le verità esteriori, è lo strumento unico e indispensabile. Allo stesso modo, se la nozione di tempo lineare è profondamente criticata nella sfera individuale ed emotiva delle intermittenze del cuore, nel discorso del Narratore sulla storia naturale, sullo sviluppo degli uomini, sull’ereditarietà, questa nozione è presupposta e rinforzata. Così si spiega l’episodio in cui il Narratore dà dello “stregone” al medico brasiliano che pratica una medicina diversa da quella occidentale, perché per tutto quello che nel pensiero occidentale ricade nella sfera delle “scienze dure”, la critica del Narratore agli universali illuministi è inesistente.!

Stabilire un ordine di importanza tra le due forme di verità, e cioè negare l’interesse delle “verità esteriori” rispetto alle “verità interiori”, significa anzi precisamente affermare che per tutto quello che riguarda le “verità esteriori” i principi e le categorie fondanti sono dati, aproblematici e indiscutibili, che l’unico tipo di ricerca che si può fare è quello di far derivare da tali principi i risultati conseguenti: e questo tipo di rivolgimento è quintessenzialmente l’accettazione e la celebrazione degli universali

Chiaramente storicizzando questa nozione, e interpretandola nel senso che aveva

140

all’epoca del Narratore, e dunque includendovi tutta una serie di discipline e problemi che oggi non sono più considerate come spiegabili allo stesso modo. Si veda anzitutto, sulle trappole della scienza ottocentesca, M. FOUCAULT, La volontà di sapere. Storia della sessualità I, Milano, Feltrinelli, 2009.

illuministi, che sono critici rispetto a tutto fuorché rispetto a se stessi. L’idea che le “verità esteriori” si possano derivare da un procedimento dato (e quindi siano, di fatto, già note), è una delle più grandi trappole dell’illuminismo, così descritta da Horkheimer e Adorno:!

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Poiché l’illuminismo è totalitario piú di qualunque sistema. Non in ciò che gli hanno sempre rimproverato i suoi nemici romantici – metodo analitico, riduzione agli elementi, riflessione dissolvente – è la sua falsità, ma in ciò che per esso il processo

è deciso in anticipo. Quando, nell’operare matematico, l’ignoto diventa l’incognita di un’equazione, è già bollato come arcinoto prima ancora che ne venga determinato il valore.141!

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Il disinteresse del Narratore di fronte alle verità esteriori a causa dell’argomento che egli ne fornisce, dunque, non nasconde altro che il più completo inserimento nelle logiche di questo sistema di pensiero; e il suo interesse per le “verità individuali” diventa, per contro, una sorta di “ripiegamento intimista” di fronte a un sistema totalitario dal quale sembra impossibile riuscire a emanciparsi. Il sistema filosofico del Narratore, dunque, risulta profondamente coerente con i sottintesi che ho cercato di rendere evidenti nel corso di questa tesi.!

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Cfr. M. HORKHEIMER, T. ADORNO, Dialettica dell’Illuminismo, cit., p. 33. I corsivi

141

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Indice!

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1. Introduzione

! ! ! ! ! ! ! p. 1!

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! 1.1 Un Narratore sempre meno convincente!! ! p. 1!

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! 1.2 Il problema della volontà autoriale!! ! ! p. 6!

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