Il lievito S cerevisiae è stato utilizzato in numerosissimi studi come sistema per studiare la biologia di base, la fisiologia e la patologia degli eucarioti superiori, in particolare dell’uomo.
L’utilizzo di S. cerevisiae come sistema modello dello studio della fisiopatologia umana pone diversi vantaggi.
1) S. cerevisiae possiede una struttura molto simile a quella delle cellule di eucarioti superiori; in particolare possiede tutte le strutture intracellulari presenti anche negli eucarioti superiori, fra cui i mitocondri (Botstein, 1991).
2) Sebbene l’organizzazione sia simile a quella delle cellule degli eucarioti superiori, il lievito possiede alcuni vantaggi tipici degli organismi unicellulari. In primo luogo è in grado di crescere velocemente su terreni semplici, cosa che rende più veloce e più economico lo studio in questo sistema. In secondo luogo, il lievito esiste sia allo stato aploide che allo stato diploide, con l’evidente vantaggio di studiare l’effetto di
mutazioni sia dominanti che recessive. Inoltre, mediante la costruzione di ceppi emizigoti, cioè diploidi distrutti in uno solo dei due alleli, trasformati con un allele mutato, è possibile determinare la natura della dominanza, in particolare se la dominanza è dovuta ad un’aploinsufficienza oppure ad una acquisizione di funzione negativa. In terzo luogo, sono stati sviluppati semplici tool di ingegneria genetica applicabili sul lievito, fra cui la trasformazione con plasmidi monocopia o multicopia ad alta efficienza, e metodi di distruzione genica. In particolare la distruzione genica è facilitata, in S. cerevisiae, dall’alta frequenza di ricombinazione omologa, che favorisce l’inserimento della cassetta di distruzione al corretto locus. In quarto luogo, possono essere applicati sul lievito semplici protocolli di biologia molecolare, quali l’estrazione di acidi nucleici e di proteine.
3) Il lievito è il primo organismo eucariotico il cui genoma è stato completamente sequenziato e pubblicato (Goffeau et al., 1996). Il cosiddetto “progetto genoma” ha portato alla identificazione di circa 6300 geni in lievito, un numero circa cinque volte più piccolo rispetto alla stima dei geni umani (Venter et al., 2001). Il genoma si è dimostrato molto compatto, con poche sequenze intergeniche e la presenza di pochi introni. L’analisi comparativa delle sequenze aminoacidiche ricavate dal sequenziamento del genoma di S. cerevisiae ha suggerito che molte funzioni biologiche di base della cellula eucariotiche siano svolte da un set di proteine ortologhe; questi studi quindi indicano che l’analisi delle proteine di lievito possa fornire conoscenze utili alla comprensione degli eucarioti superiori (Barrientos, 2003).
In particolare, è interessante notare che il 46% delle proteine umane note ha omologhi in lievito , fra cui principalmente proteine coinvolte nei meccanismi di base della vita cellulare, quali replicazione, ricombinazione e riparazione del DNA, trascrizione, traduzione, e enzimi del metabolismo basale, del traffico tra i compartimenti cellulari e della biogenesi mitocondriale (Venter et al., 2001). La conoscenza completa del genoma, insieme all’efficacia dei sistemi di ingegneria genetica, ha permesso di portate a termine efficacemente l’analisi su larga scala del genoma e del proteoma (Foury and Kucej, 2001). Questo ha reso possibile a un consorzio internazionale la costruzione di una collezione di 5943 ceppi deletanti di lievito, in ciascuno dei quali un gene, nel contesto aploide o diploide, è stato distrutto (Winzeler et al., 1999).
Inoltre il lievito è il solo organismo nel quale l’efficienza delle nuove tecnologie (in particolare two-hybrid, chip di DNA e proteine, delezione sistematica) sia stata testata a livello dell’intero genoma (Foury and Kucej, 2001). Questi studi su scala genomica sono invece estremamente difficoltosi nell’uomo, a causa della maggiore dimensione del genoma e della presenza di introni.
1.5.1 Il lievito S. cerevisiae come sistema modello per lo studio delle patologie mitocondriali
Il lievito è un ottimo modello anche per studiare la biologia di base e la patofisiologia dei mitocondri. La similarità tra i mitocondri di lievito e umani ha permesso prima di tutto di
utilizzare studi di genomica funzionale di S. cerevisiae per identificare geni umani coinvolti in patologie; per esempio sono state individuate mutazioni in cinque geni nucleari responsabili di miopatie mitocondriali caratterizzate da deficienza della citocromo c ossidasi, grazie a studi che ne hanno prima dimostrato in lievito la funzione essenziale nel processo di assemblaggio (Barrientos, 2003). L’identificazione di vari ortologhi umani di proteine mitocondriali di lievito, ad esempio i geni BCS1 e COX10 necessari all’assemblaggio delle componenti della catena respiratoria e responsabili di sindromi ereditarie, è stata possibile mediante l’approccio della complementazione funzionale, ottenuta quando il prodotto genico di un organismo è in grado di compensare la mancanza di un gene di un altro organismo (Valnot et al., 2000; De Lonlay et al., 2001).
Un consorzio internazionale di laboratori ha svolto una screening sistematico funzionale utilizzando la collezioni di deletanti di lievito di cui detto prima per identificare proteine mitocondriali. Questo ha permesso l’identificazione di 466 geni la cui delezioni abbatte la respirazione mitocondriale, dei quali 265 non ancora noti. Invece, 255 geni associati a difetti di crescita in substrati non fermentabili possiedono ortologhi nell’uomo e di questi 21 sono geni noti per essere coinvolti in malattie mitocondriali ereditate come tratti mendeliani (Steinmetz et al., 2002).
L’utilizzo di un modello per lo studio delle malattie mitocondriali ha diverse finalità. In primo luogo mediante l’utilizzo di un sistema modello è possibile “validare” una mutazione, cioè stabilire se una mutazione in un gene è responsabile effettivamente della patologia in questione. Il notevole incremento delle conoscenze relative a geni nucleari implicati in malattie classificate come patologie mitocondriali è il risultato dello sviluppo della tecnica del clonaggio posizionale, che prevede la mappatura della regione cromosomica contenente il gene associato alla malattia, mediante analisi di linkage condotte nelle famiglie dei pazienti (Collins, 1995). L’analisi di linkage è possibile solo se si hanno a disposizione famiglie numerose, con più membri affetti dalla malattia, e consiste nell’individuazione di polimorfismi vicini al locus patologico che pertanto vengano ereditati con il gene mutato.
L’affidabilità dell’analisi dipende da quanto è stretta l’associazione tra polimorfismo e locus della malattia. L’identificazione di geni nucleari associati a patologie mitocondriali attraverso il clonaggio posizionale è limitata da vari problemi. Innanzitutto la maggior parte delle famiglie sono piccole e spesso solo un membro è colpito dalla malattia, e inoltre il fenotipo clinico è solitamente complesso. Mutazioni nello stesso gene possono generare sintomi diversi e mutazioni in differenti geni possono portare al medesimo fenotipo patologico, quindi anche quando è possibile trovare diverse famiglie con componenti che presentano i medesimi sintomi, non ci sono garanzie che essi presentino lo stesso difetto genetico (Chinnery, 2003).
Secondariamente, il clonaggio posizionale identifica delle regioni cromosomiche che dovrebbero contenere il difetto genetico, le quali in generale contengono più geni. E’ possibile dunque che vi sia un solo gene candidato, ad esempio un gene codificante un componente della catena respiratoria, o una proteina necessaria al mantenimento del DNA mitocondriale, ma è possibile che via siano più geni, di cui magari nessuno è noto codificare proteine mitocondriali (Chinnery, 2003). Pertanto al clonaggio posizionale segue, in generale, il
sequenziamento di uno o più geni per identificare mutazioni potenzialmente patologiche.
L’identificazione di una mutazione patologia è complicato da due problemi. In primo luogo, fra diversi individui sono presenti polimorfismi, che rendono difficoltosa l’identificazione di una mutazione patologica. Anche qualora vi sia un solo polimorfismo, non è detto che questo sia effettivamente la mutazione patologica. In secondo luogo, anche qualora vi fosse una mutazione deleteria, quale la presenza di un codone di stop, non è detto che essa sia la vera causa della patologia, e non piuttosto una mutazione non correlata. Da qui nasce la necessità della validazione, definita come lo studio in un sistema modello degli effetti di una mutazione il cui ruolo patologico è ignoto. Se si dimostra che la mutazione, introdotta nel sistema modello, causa difetti del metabolismo mitocondriale, è possibile affermare che essa è una mutazione patologica. La validazione è inoltre ancora più necessaria nei casi sporadici, quando non è disponibile la storia familiare del paziente. Il lievito è un ottimo modello per studiare gli effetti di mutazioni recessive e per determinare la dominanza/recessività di una mutazione..
Un sistema modello è utile per la sola validazione ma può portare alla comprensione dei meccanismi molecolari attraverso cui la mutazione agisce. Anche in questo caso S. cerevisiae si dimostra un buon modello, grazie alla semplicità con cui possono essere effettuati esperimenti di biochimica e di biologia molecolare.
Infine, l’utilizzo di un sistema modello permette anche la ricerca e lo studio degli effetti di
“molecole” in grado di riportare parzialmente il fenotipo patologico al fenotipo wt. In primo luogo, è possibile testare l’effetto di sostanze. S. cerevisiae si dimostra un buon modello in quanto la sostanza da testare può essere direttamente aggiunta al terreno di coltura e, se possiede opportune proprietà, è in grado di entrare nella cellula per diffusione o trasporto facilitato, e svolgere così la sua attività In secondo luogo, è possibile cercare e valutare l’effetto di soppressori multicopia, mediante l’overespressione di un gene nel ceppo recante la mutazione patologica. Soppressori possono essere cercati mediante la trasformazione del ceppo con una banca multicopia, oppure mediante clonaggio in un plasmide multicopia di un gene che si pensi possa sopprimere il fenotipo attraverso meccanismi più o meno noti.
In particolare però, il grande vantaggio di S. cerevisiae nello studio delle patologie mitocondriali consiste nel fatto che fenotipi correlati alla disfunzione del metabolismo mitocondriale possono essere facilmente osservabili. Infatti, mutazioni che inibiscono la funzionalità mitocondriale possono determinare uno di questi semplici fenotipi:
- riduzione o inibizione della crescita su fonti ossidabili;
- alterazione dei degli spettri di assorbimento dei citocromi respiratori;
- alterazione dell’attività respiratoria.
In seconda istanza, indipendentemente dai fenotipi precedenti, è possibile determinare se ad una mutazione patologica è associata instabilità dell’mtDNA o un incremento della mutabilità puntiforme. Un eventuale incremento della mutabilità estesa dell’mtDNA, o mutabilità petite, può essere facilmente valutata grazie alla petite positività di S. cerevisiae di cui detto prima.
Mediante crescita per un certo numero di generazioni su fonti fermentabili, è possibile quantificare l’accumulo di mutanti petite. Inoltre, mediante incrocio, è possibile determinare
se le colonie petite sono rho- oppure rho0, dunque se alla mutazione patologica è associato un incremento della frequenza di delezioni e/o un aumento della perdita dell’mtDNA. Per quanto concerne la valutazione della mutabilità puntiforme dell’mtDNA, essa può essere determinata facilmente mediante la valutazione della frequenza di mutanti resistenti a antibiotici quali eritromicina.
Grazie all’utilizzo del lievito come sistema modello sono stati studiati gli effetti sul metabolismo mitocondriale di mutazioni in numerosi geni, sia mitocondriali che, soprattutto, nucleari. Un esempio, riportato in tabella 1.6, concerne lo studio di mutazioni in geni nucleari che determinano instabilità del DNA nucleare.
Gene umano
Gene ortologo di lievito
Funzione del prodotto genico Bibliografia
ANT1 AAC2 ADP/ATP carrier, trasporto di ATP e ADP attraverso la membrana mitocondriale interna
Fontanesi et al., 2004 Palmieri et al., 2005 Lodi et al., 2006 POLG MIP1 DNA polimerasi mitocondriale, replicazione
dell’mtDNA
Stuart et al., 2006 Baruffini et al., 2006 Baruffini et al., 2007
MPV17 SYM1 Incognita Spinazzola et al., 2006
EFG1 MEF1 Fattore di elongazione mitocondriale G1, traduzione degli mRNA mitocondriali
Valente et al., 2007
BCS1L BCS1 Proteina coinvolta nell’assemblaggio del complesso III
Fernandez-Vizarra et al., 2007
Tabella 1. 6: Geni umani e ortologhi di lievito che determinano instabilità dell’mtDNA. Mutazioni nei geni MEF1 e BCS1 causano una riduzione della stabilità dell’mtDNA solo in lievito.