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Il «marchio UNESCO» per prodotti e servizi?

Nicola Bottero

Avvocato in Torino

4.1 Premessa; 4.2 L’UNESCO, il Comitato Patrimonio Mondiale e i diritti di proprietà intellettuale; 4.3 Li- nee guida per l’uso dell’emblema «Patrimonio Mondiale»; 4.4 Alcune considerazioni sulla policy relativa all’uso dell’emblema «Patrimonio Mondiale»; 4.5 L’emblema su prodotti e servizi in Italia: alcune consi- derazioni; 4.6 Altre modalità di valorizzazione delle produzioni provenienti dai siti UNESCO per mezzo di segni distintivi

60 Capitolo 4 ~ Il «marchio UNESCO» per prodotti e servizi? razione tra le nazioni attraverso l’educazione, la scienza e la cultura onde garantire il rispetto universale della giustizia, della legge, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione» (art. 1 Trattato di Londra). L’Italia ha aderito al Trattato di Londra con decreto legge 29 ottobre 1947 n. 1558 e lo ha reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1949 n. 970; ha poi adempiuto ai propri obblighi internazionali istituendo, con decreto interministeriale 11 febbraio 1950, la Commissione Nazionale per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, la cui finalità è quella di favorire la promozione, il collegamento, l’informazione, la consultazione e l’esecuzione dei programmi UNESCO in Italia.

Il 16 settembre 1972 la 16aConferenza generale UNESCO ha adottato il testo di una nuova

Convenzione per la protezione sul piano mondiale del patrimonio culturale e naturale. Sot- toposto alla ratifica da parte degli Stati, il testo è entrato in vigore il 17 dicembre 1975 ed è stato recepito nell’ordinamento italiano mediante legge 6 aprile 1977 n. 184. La Convenzione ha istituito il Comitato Patrimonio Mondiale, formato dai rappresentanti di 21 Stati membri e incaricato principalmente di selezionare nuovi siti per l’elenco del Patrimonio Mondiale e di distribuire le risorse necessarie per la conservazione dei siti stessi. In altre parole, a tale Comitato è demandata in concreto la gestione delle politiche relative ai siti c.d. «patrimonio dell’umanità».

Nel corso della 2a sessione di lavori del Comitato (5-8 settembre 1978) è stato sottoposto all’attenzione dei 21 rappresentanti degli Stati membri il nuovo logo «Patrimonio Mondiale», che è stato adottato proprio in quella sede come emblema ufficiale e che da quel momento contraddistingue l’attività del Comitato stesso2. Il logo, come è noto, è composto da un qua-

drato centrale, collegato a un cerchio che lo comprende; il cerchio, a sua volta, è circondato dalle denominazioni «World Heritage», «Patrimoine Mondial» e «Patrimonio Mundial»; lo spazio 2In realtà la vicenda è assai più complessa e merita qualche cenno. Il logo è stato disegnato su incarico del se- gretariato dell’UNESCO da Michel Olyff. È dunque l’UNESCO che, in forza del rapporto contrattuale, detiene tutti i diritti di proprietà intellettuale sul segno. E invero il problema di individuare il soggetto titolare dei diritti sul logo si è presentato per la prima volta nel 1996, quando fu siglato un accordo fra la Norvegia e l’UNESCO per decentralizzare un ufficio del Comitato Patrimonio Mondiale a Oslo (Nordic World Heritage Office, NWHO). In tale accordo l’UNESCO aveva autorizzato il nuovo ufficio a servirsi non soltanto dell’emblema dell’UNESCO, ma anche del logo «Patrimonio Mondiale». Il Comitato Patrimonio Mondiale richiese allora un parere legale ai propri uffici circa la titolarità dei diritti sul logo. Esso fu sottoposto all’attenzione dei 21 rappresentanti degli Stati membri durante la 20a sessione dei lavori (2-7 dicembre 1996). Il testo della risoluzione approvata dal Comitato è ambiguo: «The determination from above is that although Unesco is the owner of the design, nevetheless, it was the World Heritage Committee which adopted the artwork as the emblem of the Convention. Contrary, for example, to the Convention for the Protection of Cultural Heritage in the Event of Armed Conflict (The Hague Convention 1954), the Convention for the Protection of World Heritage does not have an emblem or any distinctive sign. Therefore, it is perfectly natural for the Committee which, other than the specific functions assigned to it by the Convention, has in general terms the responsibility to further and administer the guidelines for its implementation […] Consequently, if Unesco as the assignee of all intellectual property rights of the work of Mr Olyff, is legally the owner of the design and can, on these grounds, dispose of it, the decision to make the design the emblem of the Convention could only be taken by the Committee, and Unesco can only dispose of it through the Committee». E in effetti, dall’esame dei successivi atti del Comitato, sembra emergere che la titolarità del segno spetti all’Unesco, mentre l’amministrazione sia demandata al Comitato. Nella 22 a sessione (30 novembre-5 dicembre 1998) il Comitato ha approvato le prime linee guida per l’utilizzo del logo «Patrimonio Mon- diale», al fine di prevenirne possibili usi impropri; nel corso della 26 a sessione (24-29 giugno 2002) ha dato mandato al proprio segretariato di procedere alla notificazione del logo al WIPO ai sensi dell’art. 6 ter della Convenzione Unione di Parigi (divieto di utilizzare emblemi di Stato, segni ufficiali di controllo ed emblemi di organizzazioni intergoverna- tive), sebbene in nome e per conto dell’UNESCO; infine, nel 2005 e nel 2008, il Comitato si è fatto carico di rivedere le linee guida per l’utilizzo del logo.

occupato dall’espressione «Patrimonio Mundial» può essere utilizzato per la traduzione nella lingua nazionale del Paese in cui l’emblema è utilizzato (in Italia, naturalmente, «Patrimonio Mondiale»).

Il logo «Patrimonio Mondiale» è stato notificato al WIPO ai sensi dell’art. 6 ter della Convenzione Unione di Parigi3 e il suo utilizzo è regolato da una serie di linee guida (Operational Guidelines

for the Implementation of World Heritage Convention) via via aggiornate dal segretariato del Comitato Patrimonio Mondiale. L’ultima versione risale al gennaio 2008 e non ha modificato quella precedente del febbraio 2005 nella parte che interessa ai fini del nostro discorso4.

Oltre al Comitato Patrimonio Mondiale, anche l’UNESCO è titolare di segni distintivi: e in parti- colare, nell’8a sessione di lavori della Conferenza Generale (1954), gli Stati membri adottarono l’emblema ufficiale, che consiste in un tempietto dorico sorretto da sei colonne formate dalle sei lettere della parola «UNESCO». L’organizzazione internazionale è poi titolare di numerosi altri segni distintivi (nomi a dominio o altri segni ideati anche in occasione di singole iniziative, come ad esempio, per il «Decennio dell’educazione allo sviluppo sostenibile», l’UNESCO risulta titolare di emblemi figurativi e denominativi nonché di nomi a dominio associati a tale iniziativa). Il nostro contributo, tuttavia, si occupa solo dell’utilizzabilità del segno «Patrimonio Mondiale», la cui titolarità spetta all’omonimo comitato per contraddistinguere beni e servizi, tralasciando le questioni relative a tutti gli altri segni distintivi di cui è titolare l’UNESCO.

4.3 Linee guida per l’uso dell’emblema «Patrimonio Mondiale»

L’emblema «Patrimonio Mondiale» è dotato di un forte valore attrattivo e ciò – come ammette lo stesso Comitato5– lo rende appetibile per un utilizzo in ambito commerciale, posto che

questo conferirebbe ai beni e servizi contrassegnati un cospicuo valore aggiunto. Proprio per questi motivi vi è il rischio di un uso improprio del segno, che potrebbe essere associato a iniziative commerciali o di altro tipo non conformi ai principi che ispirano l’azione dell’UNESCO. Non a torto, dunque, il Comitato persegue nelle proprie Guidelines un tentativo di bilanciamento fra la possibilità di valorizzare il potenziale attrattivo del segno, da un lato, e la necessità di prevenirne l’utilizzo abusivo, improprio e comunque non autorizzato dall’altro.

L’applicazione delle Guidelines è stata demandata fin dal 1998 alle singole Commissioni na- zionali UNESCO. La Commissione italiana ha recepito fedelmente tali linee guida in un docu- mento del 2007 («Linee guida concernenti l’uso del nome, dell’acronimo, dei loghi e dei nomi a dominio internet e la concessione dei patrocini dell’UNESCO e della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO»). Vediamo dunque quali sono le condizioni alle quali la Commissione Nazionale rilascia il permesso di utilizzare il logo «Patrimonio Mondiale» per scopi commerciali. Occorre in prima battuta prendere atto di una serie di direttive generali in materia di autoriz- zazione all’utilizzo del logo che, a onor del vero, sono formulate in maniera piuttosto ampia quando non, addirittura, ambigua.

Un primo principio è ovvio: la decisione di concedere l’utilizzo del logo è strettamente collegata alla qualità e al contenuto dei prodotti a cui esso è associato e non rileva il loro valore com- merciale o economico6. I principali criteri di giudizio che la Commissione Nazionale pone alla

base della concessione del logo sono il valore scientifico, culturale, educativo o artistico del 3Cfr. nota precedente e più diffusamente infra.

4Trattano dell’utilizzo dell’emblema «Patrimonio Mondiale» i parr. 258 e ss. 5Cfr. par. 264 delle Guidelines del 2008.

62 Capitolo 4 ~ Il «marchio UNESCO» per prodotti e servizi? prodotto proposto, collegato ai valori e ai principi del Patrimonio Mondiale7. Su questo punto

le Guidelines del Comitato sono assai chiare: l’autorizzazione non deve essere «di norma» concessa per prodotti che hanno valore educativo nullo o prossimo allo zero, come tazzine, magliette, spille e altri souvenir turistici8: le Linee Guida, in altre parole, sembrerebbero sug-

gerire che alla Commissione Nazionale è interdetto lo sfruttamento del valore pubblicitario dell’emblema per operazioni di puro merchandising9. A chiusura, le Linee Guida sanciscono

che ogni decisione è presa in maniera esplicita e in stretta relazione con gli scopi e i valori espliciti e impliciti della Convenzione sul Patrimonio Mondiale10.

Dopo l’enunciazione dei principi generali, le Linee Guida si soffermano più in dettaglio sul tema dell’uso commerciale del logo. Anche qui, però, la lettura non appare affatto scevra di difficoltà. Il par. 275 lett. d delle Guidelines del 2008 e il corrispondente art. 33 delle Linee Guida nazionali vietano l’uso del logo per prodotti e materiali di soggetti commerciali «al fine di mostrare che essi sostengono il Patrimonio Mondiale». Tale disposto sembrerebbe applicarsi a tutte quelle attività imprenditoriali che hanno intenzione di mettere in mostra il proprio sostegno alla valorizzazione del patrimonio mondiale, come il piccolo artigiano che abbia contribuito al restauro di uno dei mosaici tutelati dall’UNESCO e voglia fare bella mostra dell’emblema «Patrimonio Mondiale» al di fuori della propria bottega.

Ancor più manicheo è il disposto del par. 275 lett. g delle Guidelines (art. 33 co. 4 delle Linee Guida) secondo cui l’autorizzazione a usare il logo non può essere concessa ad agenzie di viaggio, a compagnie aeree e finanche «a ogni altra attività avente scopo essenzialmente commerciale», salvo che non si dimostri che l’uso apporta «benefici manifesti» al Patrimonio Mondiale in generale o a specifici beni di esso. Le Linee Guida proseguono specificando che una congrua frazione dei profitti commerciali ricavati dall’uso del logo a scopo commerciale deve essere destinata al fondo del Patrimonio Mondiale11.

Con riguardo alla procedura, la richiesta deve essere formulata per iscritto al Direttore del Centro Patrimonio Mondiale e deve indicare l’obiettivo dell’uso del logo, la durata e la validità territoriale. Il Direttore concede l’uso del logo conformemente alle Linee Guida.

Per i casi non previsti o non sufficientemente disciplinati dalle Linee Guida, il Direttore rinvia la questione al Presidente del Comitato Patrimonio Mondiale che, per i casi più complessi, può, a sua volta, rinviare la questione al Comitato per la decisione finale. La Commissione Nazionale – che è incaricata anche del successivo controllo di qualità dei prodotti – una volta ricevuta la proposta sottoscritta dal Direttore del Centro Patrimonio Mondiale ha trenta giorni di tempo per approvare l’accordo. Trascorso tale termine, l’accordo si ritiene tacitamente approvato a meno che, nei trenta giorni dalla data della ricezione, l’autorità nazionale non si sia esplicitamente riservata un diverso ragionevole termine. Se il Direttore del Centro del Patrimonio Mondiale ritiene che una proposta d’uso del logo sia inaccettabile, il Segretariato

7Cfr. par. 275 delle lett. b Guidelines del 2008 e art. 32 co. 2 delle Linee guida nazionali. 8Cfr. par. 275 lett. b delle Guidelines del 2008.

9V. tuttavia il marchio «Sistema siti Unesco Veneto» depositato dal Comune di Verona il 10 novembre 2010 e registrato il 10 marzo 2011 (marchio n. 000143217) il quale, pur avendo a oggetto la sola denominazione «UNESCO» e non il logo «Patrimonio Mondiale», dovrebbe essere soggetto alle Guidelines dettate dalla Commissione; a quanto risulta dai prodotti per il quale è stato registrato, invece, il Comune di Verona sembra intenzionato a servirsene anche per operazioni di merchandising.

10Cfr. par. 275 lett. c delle Guidelines del 2008 e art. 32 co. 4 delle Linee Guida nazionali. 11Cfr. par. 275 lett. h delle Guidelines del 2008 e art. 33 co. 6 delle Linee guida nazionali.

informa per iscritto la parte richiedente del parere negativo. I costi per l’espletamento di tale procedura sono completamente a carico del richiedente.

4.4 Alcune considerazioni sulla policy relativa all’uso dell’emblema «Patrimonio Mondiale» Va rilevato che l’interpretazione delle Guidelines in punto autorizzazione sull’uso commerciale dei segni UNESCO lascia aperti molti interrogativi.

Le Guidelines disciplinano infatti nel dettaglio le modalità di utilizzo del segno da parte degli enti coinvolti nella valorizzazione del patrimonio UNESCO – Comuni in primis, ma anche altri soggetti pubblici e privati – e si occupano in maniera compiuta del patrocinio di manifestazioni da parte dell’UNESCO e del Comitato Patrimonio Mondiale. Più carenti e fumose sono invece le disposizioni in materia di un possibile sfruttamento del segno distintivo in ambito commerciale. A tal proposito, invero, le Linee Guida sembrano tese tutt’al più a evitare la svalutazione o il degrado del prestigio UNESCO che si potrebbero verificare a seguito di un utilizzo improprio dei suoi simboli in ambito commerciale. D’altro canto, l’inadeguatezza delle Linee Guida sul punto è probabilmente da imputarsi al fatto che i suoi iniziali compilatori non avevano preso in sufficiente considerazione le enormi potenzialità commerciali dei segni distintivi dell’UNESCO ed erano piuttosto preoccupati di salvaguardare la reputazione dell’organizzazione internazionale. In ogni caso – posto che il prestigio dell’UNESCO e del Comitato Patrimonio Mondiale non può essere seriamente messo in discussione – pare che anche all’interno dell’organizzazione si cominci a parlare di un possibile utilizzo dei «marchi UNESCO» in ambito commerciale, tanto che il Comitato Patrimonio Mondiale, nella 32a sessione di lavori (2-10 luglio 2008), ha incaricato un gruppo informale di formulare proposte di revisione delle Guidelines anche con riferimento alle questioni oggetto della presente trattazione.

Una prima bozza di riforma è stata presentata nel corso della sessione di lavori del Comitato dell’anno successivo (22-30 giugno 2009)12, mentre nell’ultima sessione del 2010 il punto

non era all’ordine del giorno. La bozza del nuovo testo di Guidelines porterebbe con sé alcuni pregi sostanziali, in quanto (i) chiarirebbe la distinzione fra diritto di usare l’emblema da parte dei siti c.d. «patrimonio dell’umanità» e diritto di autorizzare all’uso dell’emblema anche in con- testi diversi da quelli sinora immaginati: attualmente, le Linee Guida disciplinano unitamente entrambe le ipotesi e sono del tutto inadeguate in un contesto di valorizzazione del segno in ambito commerciale; (ii) consentirebbe di autorizzare l’uso dell’emblema per scopi commerciali in maniera meno restrittiva di quanto accade oggi, aprendo la strada ad accordi contrattuali con il settore privato per lo sfruttamento del segno anche in una prospettiva di fund-raising. E in effetti, a ben vedere, l’uso a fini commerciali dell’emblema «Patrimonio Mondiale» è stato fino a oggi precluso non soltanto sulla carta, ma anche e soprattutto nella realtà dei fatti. L’ul- timo report sull’utilizzo del logo «Patrimonio Mondiale» – che si riferisce all’anno 2003 – rivela infatti che tutte e cinque le domande presentate per l’utilizzo a fini commerciali dell’emblema «Patrimonio Mondiale» sono state respinte dal Direttore del Centro Patrimonio Mondiale13. Non

sono però disponibili i report più recenti per verificare se eventualmente qualcosa sia cambiato nell’orientamento del Centro Patrimonio Mondiale.

Pare tuttavia potersi affermare che l’istituzione di una commissione informale per la redazione di nuove Linee Guida per l’utilizzo dell’emblema rappresenti il segno tangibile di un mutamento 12La bozza è reperibile all’indirizzo internet http://whc.unesco.org/en/sessions/33COM/documents; doc. WHC.09/33. COM/INF.13.

64 Capitolo 4 ~ Il «marchio UNESCO» per prodotti e servizi? della policy del Comitato Patrimonio Mondiale: (i) in una prima fase (post 1998) il Comitato si è occupato principalmente di impedire la contraffazione del «brand UNESCO», dettando regole assai rigide per preservarne il valore e la suggestione e una regolamentazione ferrea soprat- tutto in tema di uso commerciale del logo; (ii) nella seconda fase – che è quella che stiamo attraversando – il Comitato ha intuito l’enorme possibilità di monetizzazione dell’emblema UNESCO e pare disposto ad apprestare una disciplina per licenziare l’utilizzo dell’emblema «Patrimonio Mondiale» a fini commerciali; (iii) in una prospettiva possibile, il Centro Patrimonio Mondiale potrebbe mettere a punto nuove Guidelines più elastiche in tema di uso commerciale dell’emblema.

4.5 L’emblema su prodotti e servizi in Italia: alcune considerazioni

Non è facile orientarsi in questo quadro mobile e tutto sommato piuttosto fluido di regolamenti e consuetudini internazionali. Non si può dire con certezza se e in quale misura il Comitato Patrimonio Mondiale possa autorizzare un utilizzo dell’emblema UNESCO per contraddistin- guere prodotti o servizi provenienti da imprese che hanno sede nei siti italiani c.d. «patrimoni dell’umanità». È però possibile immaginare qualche scenario, nonché i contorni di una eventuale esperienza pilota, tutta nazionale, da estendere in futuro a livello comunitario o internazionale. Lo scenario principale potrebbe essere rappresentato dalla vera e propria attribuzione a un soggetto giuridico rappresentativo degli interessi coinvolti del diritto all’uso (e alla registrazione come marchio?) del segno in questione. In questa prospettiva, occorre analizzare funditus, e non solo sotto il profilo giuridico, le chances di negoziabilità del consenso del Comitato Patri- monio Mondiale che indiscutibilmente amministra l’emblema.

Iniziamo dunque con l’affrontare il tema dell’utilizzabilità del logo «Patrimonio Mondiale» o di un segno che lo incorpori per contraddistinguere beni o servizi commerciali.

In primo luogo, come già in realtà accennato, non pare immaginabile che ogni singolo impren- ditore che abbia la propria sede nei siti c.d. «patrimoni dell’umanità» si possa far carico della procedura di richiesta di autorizzazione per l’utilizzo dell’emblema presso gli organi UNESCO. D’altro canto, sembrerebbe opportuno che ogni azione relativa allo sfruttamento commerciale dei simboli UNESCO sia coordinata, in modo che ne possano trarre vantaggio la totalità delle categorie di imprenditori interessati, da un lato, e anche l’UNESCO e il Comitato Patrimonio Mondiale in termini di visibilità dall’altro. Si può dunque affermare che una valorizzazione del segno a scopi commerciali non potrebbe che passare attraverso la costituzione di una organizzazione che si occupi di inoltrare la domanda al Centro Patrimonio Mondiale e della successiva fase di amministrazione dell’utilizzo del segno. D’altro canto, nulla vieta che sia una pubblica amministrazione in senso stretto a procedere alla registrazione del segno, e nel caso di specie, ad esempio, un Ministero: sotto questo profilo, è bene ricordare che non è mai stato messo in discussione il principio secondo il quale una pubblica amministrazione può procedere alla registrazione di un marchio, e tale convinzione è oggi rafforzata dall’e- spressa previsione dell’ipotesi di registrazione da parte di una amministrazione dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni di elementi grafici tratti dal patrimonio culturale, storico, architettonico, ambientale del relativo territorio disciplinata (per vero in maniera non chiarissima) dall’art. 19 co. 3 c.p.i.

Riguardo alla domanda di autorizzazione, si è già ampiamente detto supra delle difficoltà che si potrebbero incontrare nell’interfacciarsi con il Centro Patrimonio Mondiale e con le difficoltose procedure previste nelle Guidelines.

Immaginando, per ipotesi, che sia stata ottenuta l’autorizzazione, l’organizzazione si dovrebbe far carico di richiedere la registrazione di un marchio nazionale, consistente nell’emblema intero o parziale «Patrimonio Mondiale», solo o unito ad altri elementi figurativi o denominativi. Sotto questo profilo è innanzitutto necessario chiedersi se esso sia registrabile a termini di legge. A tal proposito occorre rilevare che il segno in questione è stato notificato e comunicato central- mente al WIPO, nonché messo a disposizione del pubblico dei Paesi unionisti ai sensi dell’art.