8. Il mastino: modello di ferocia
8.1 Il mastino-Rodomonte e la fisiognomica animale
Nell’elaborazione dell’ultima similitudine del Furioso, Ariosto sceglie, difatti, come emblema dei due guerrieri più valorosi, due specie di cani particolarmente forti e aggressivi. Appare però significativa la scelta di rappresentare Ruggiero nelle vesti di un alano, Rodomonte in quelle di un mastino. Si tratta, a nostro parere, di un’associazione non casuale ma conforme ad un certo ritratto del fiero pagano delineato in più luoghi del poema.
Dal testo dell’Innamorato viene una suggestiva descrizione del «brutto» cane, desunta da una comparazione con l’imperatore Argante: «E quando Astolfo viderno soletto,/Pur vergognando andârli tutti adosso;/ Argante imperator, senza rispetto,/ Fuor della schiera subito se è mosso./ Largo sei palmi è tra le spalle il petto:/ Mai non fo visto un capo tanto grosso;/ Schizzato il naso e l'occhio piccolino,/ E il mento acuto, quel brutto mastino» (I, 10, 29).328
l’ uso diffuso nelle fonti letterarie della parola cane come insulto rivolto ad una persona, cfr. infra, par. “L’ingiuria dei brutti cani”).
Nel Furioso le caratteristiche fisiche di questa bestia riecheggiano quelle del “possente” e
328
Cfr. M. M. Boiardo, Orl.inn…cit., p. 204. Riguardo la descrizione delle caratteristiche fisiche del mastino, suggestiva ci appare anche quella tratteggiata da Marco Polo ne Il Milione, cap. 149: «Dell'Isola d'Agama (Angaman). Angama è una isola; e non hanno re, e sono idoli. E sono come bestie salvatiche; e tutti quegli di questa isola hanno capo di cane, e denti e naso a simiglianza di gran mastino. Egli hanno molte ispezie. E sono mala gente, e mangiano tutti gli uomeni che possono pigliare, da quegli della contrada in fuori. Loro vivande sono latte e riso, e carne d' ogni fatta mangiano; hanno frutti diversi da' nostri […]» (Il libro di Marco Polo detto Milione nella
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“terribile” Rodomonte,329 il più crudele dei paladini saraceni, il personaggio più originale del Furioso, «che raccoglie su di sé il maggior numero di richiami infernali danteschi».330 Sotto questo profilo, ancor più suggestiva è l’associazione con il mastino, cane “infernale” per antonomasia, citato da Dante nella prima cantica della Commedia.331 Il particolare degli “occhi ardenti” del mastino- Rodomonte, descritto al verso quarto della similitudine oggetto della nostra analisi, ci appare desunto dalla descrizione del demonio Caronte («Caron dimonio, con occhi di bragia,/ […] batte col remo qualunque s’ adagia», Inf. III, 109-11),332 da cui lo stesso re d’Algieri, secondo Blasucci, prende in eredità specifici tratti.333 Lo stesso particolare, ritorna in un’altra significativa similitudine canina del canto secondo che descrive il duello tra Rinaldo e Sacripante combattuto per amore di Angelica e per aggiudicarsi il destriero Baiardo:
Come soglion talor duo can mordenti, o per invidia o per altro odio mossi, avicinarsi digrignando i denti, con occhi bieci e più che bracia rossi; indi a' morsi venir, di rabbia ardenti, con aspri ringhi e ribuffati dossi: così alle spade e dai gridi e da l'onte
venne il Circasso e quel di Chiaramonte
.
(II, 5)
Rispetto alla comparazione del canto quarantaseiesimo, il riferimento alla Commedia appare ancora più diretto. I can mordenti “con occhi bieci e più che bracia rossi”,334
329 Per questa descrizione del fiero pagano, si vedano, ad esempio, XIV,116; XVI,19,24; XXVII,
49,79.
gli iracondi Rinaldo e Sacripante, durante il duello si trasformano
330
Cfr. Luigi Blasucci, Ancora sulla Commedia come fonte linguistica e stilistica del Furioso, in «Giornale storico della letteratura italiana», vol. CXLV, 449-452, 1968, pp. 202-3; sull’ argomento si veda anche J. Mariani, Rassegna della presenza della «Commedia» nella poesia cavalleresca
dell’ Ariosto, in «Critica letteraria», IX, 3, 1981, pp.592-3.
331 Nell’Inferno la figura del cane e, nella fattispecie, quella del mastino, ricorre spesso come vero
e proprio termine di paragone per rappresentare atteggiamenti di ferocia e crudeltà. Ricordiamo, ad esempio, che i diavoli di Malebolge «si avventano sui peccatori come cani» (XXI, 44, 67-69); i «Malatesta sono mastini» (XXVII, 46-48); «Ugolino rode il teschio con denti canini» (XXXIII, 76-78); cfr. C. Spila, Cane, in Dizionario dei temi letterari…cit., p. 356.
332 Cfr. D. Alighieri, Inferno, in Commedia…cit., p.64. 333
«Concorrono alla sua raffigurazione, di volta in volta, tratti di Caronte […] di Pluto […] di Filippo Argenti […] forse di Bruto […] e in genere di tutti quei dannati danteschi violenti contro la divinità», cfr. L. Blasucci, Ancora sulla Commedia…cit., p. 203.
334 Anche l’ espressione “occhi bieci” proviene dal VI canto dell’ Inferno, v. 91: «Li diritti occhi
torse allora in biechi;» (cfr. ivi, p. 209; D. Alighieri, Inferno, in Commedia…cit.,p. 92); mentre per “can mordenti” cfr. Boccaccio, Teseida, V, 57, 5-6: «[…]e i can mordenti/ Atteon disbranaron lor signore» (cfr. G. Boccaccio, Teseida, in Tutte le opere, a cura di Vittore Branca, Milano, Mondadori, vol. II, 1964-, p. 400).
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in bestie efferate dai tratti demoniaci, secondo un paragone riproposto nelle ottave conclusive del poema.
Nella prima cantica della Commedia, vera e propria personificazione della ferocia è il demonio Cerbero, terribile can trifauce, posto già da Virgilio a guardia dell’Ade e, successivamente, da Dante a guardia del girone dei golosi.335 Ariosto menziona la mostruosa creatura nell’episodio “dantesco” del poema, quello del re Senapo e delle Arpie: 336
Astolfo si pensò d'entrarvi dentro, e veder quei c'hanno perduto il giorno, e penetrar la terra fin al centro, e le bolgie infernal cercare intorno. - Di che debbo temer (dicea) s'io v'entro, che mi posso aiutar sempre col corno? Farò fuggir Plutone e Satanasso e ’l can trifauce leverò dal passo
(XXXIV, 5)
Come Caronte, anche Cerbero, possiede «li occhi vermigli» (Inf. VI, 16-21): non si può escludere, pertanto, che il particolare degli occhi infuocati del mastino (XLI,138) e dei “can mordenti” (II, 5) rappresentato da Ariosto, possa venire, oltre che dalla figura del demone traghettatore delle anime, anche dalla descrizione del celebre diavolo con testa di cane. Nei Cinque Canti, sul modello di Cerbero, un «gran mastino» è custode dell’entrata di una torre in cui si rifugia un tiranno “sospettoso” di essere ucciso («[…] di quella entrata è un mastin custode,/ ch’altri mai che lor due non vede et ode», II 11, 7-8).337 Anche in questo caso, come nel canto XXXIV del Furioso, l’episodio narrato rimanda all’Inferno dantesco.338
Presi in prestito dalla Commedia sono sia i particolari fisici con cui il poeta descrive la belva e i significati simbolici assegnatagli, sia l’elaborazione delle similitudini. Dal ventunesimo canto dell’Inferno proviene la similitudine con cui Zerbino viene paragonato ad un mastino ammansito:
Come il mastin che con furor s'aventa adosso al ladro, ad achetarsi è presto, che quello o pane o cacio gli appresenta, o che fa incanto appropriato a questo; così tosto Zerbino umil diventa,
335 Cfr. Virgilio, En. VI, 417-425; Ovidio, Metam. IV, 450- 451; Dante, Inf. VI, 13-33.
336
Si vedano per questo episodio i canti XXXIII – XXXIV e infra, voce serpente , pp. 265- 272). Si ricordi che nel Cinquecento non mancarono rappresentazioni figurative della bestia (cfr.
supra,p.48). 337
Cfr. L. Ariosto, Cinque Canti, in Opere minori…cit., p 622.
338 Vi si narra della discesa agli inferi dell’anima del tiranno e della decisione dei saggi
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e vien bramoso di sapere il resto, che la vecchia gli accenna che di quella,
che morta piange, gli sa dir novella. (XX, 139)
L’eroe, mentre si trova in compagnia della perfida vecchia Gabrina, che veste ridicoli panni da damigella, «bramoso» di avere notizie dell’amata Isabella, come un mastino addomesticato desiste immediatamente dal motteggiare la vecchia e
inizia a rivolgersi a lei con toni gentili e amichevoli. Anche in questo caso, la comparazione è una chiara eco dantesca; Segre individua
il precedente letterario nei versi in cui il poeta descrive uno dei diavoli dei Malebranche che velocemente getta il dannato nella pece e corre a caricarne un altro («Là giù ᾽l buttò, e per lo scoglio duro/ si volse; e mai non fu mastino sciolto/ con tanta fretta a seguitar lo furo», Inf. XXI, vv. 43-45);339
Ma non vi
nello stesso canto dell’Inferno, compare “Cagnazzo” (grosso cane), incaricato da Maracoda, insieme ad altri nove demoni, di accompagnare Dante e Virgilio fino al ponte
della sesta bolgia (Inf. XXI,115-123).
Nel Furioso, “cagnazzo” è epiteto spregiativo rivolto a Orlando nel canto diciannovesimo, nel complesso delle ottave in cui Ariosto preannuncia l’episodio della pazzia e il conseguente imbestiamento dell’eroe, descritto poi nei canti successivi:
giunser prima, ch'un uom pazzo giacer trovaro in su l'estreme arene, che, come porco, di loto e di guazzo tutto era brutto e volto e petto e schene. Costui si scagliò lor come cagnazzo ch'assalir forestier subito viene; e diè lor noia, e fu per far lor scorno. Ma di Marfisa a ricontarvi torno.
(XIX, 42)
Angelica e Medoro, mentre attendono di imbarcarsi per l’Oriente s’imbattono in un pazzo che giace in riva al mare imbrattato di fango a “guisa” di un porco e, come un cagnaccio, prende ad assalirli.
Caretti nota come il termine “cagnàzz” sia tutt’oggi in uso nel dialetto ferrarese.340
339
Cfr. D. Alighieri, Inferno, in Commedia…cit., p.216. Si ricordi che questa similitudine dantesca del “mastin sciolto” è utilizzata da Ariosto anche nella comparazione venatoria del cane sciolto dal guinzaglio (cfr. supra,p.75).
E sebbene non possiamo affermare con certezza che, nell’elaborazione di questa similitudine, Ariosto pensasse al celebre demone della Commedia, tuttavia ‒ considerati gli indubbi punti di contatto tra le comparazioni canine del Furioso e le comparazioni elaborate da Dante in più luoghi dell’Inferno, in special modo, con quelle del canto ventunesimo, dove è inserita sia l’immagine del mastin sciolto, cara ad Ariosto, sia la citazione del demone Cagnazzo, ‒ l’ipotesi non è da
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considerarsi improbabile.341
È chiaro che, oltre a Dante, altri importanti modelli letterari possono aver suggerito al poeta l’idea di ferocia associata al mastino. Sotto questo profilo, emblematica è la celebre vicenda boccacciana di Nastagio degli Onesti (Dec.V, 8), certamente nota ad Ariosto, in cui si descrive una caccia infernale crudelmente perpetrata da due grandi e fieri mastini che affamatissimi divorano lo spirito di una donna, la quale in vita fu particolarmente crudele verso il suo innamorato.
Tale ipotesi, infatti, viene ad avvalorarsi se consideriamo lo stato demoniaco, di bestia feroce e brutale, in cui si trasformerà, di li a poco, il pazzo Orlando, e di cui il poeta vuole darci anticipazioni proprio attraverso l’immagine pittoresca del grosso cane.
342
L’episodio, di grande suggestione,343 non mancò di fissare un’immagine negativa della bestia che, accolta da molti autori, dovette impressionare anche il poeta ferrarese.344
9. La figura allegorica del cane nell’ episodio di Ruggiero, Alcina e Logistilla
Da una pluralità di fonti ha origine il primo episodio allegorico del poema, quello di Ruggiero, Alcina e Logistilla che costituisce, insieme alla vicenda lunare del canto trentacinquesimo, uno dei pochi luoghi del Furioso in cui l utilizzo retorico delle varie figure animali e, nella fattispecie, del cane, lascia il dominio della similitudine in favore di quello più complesso dell’ allegoria. Di fatti, come afferma Rajna, «tutta l’orditura della parte che ha per teatro l’isola di Alcina si fonda sull’allegoria» e, occupa lo spazio considerevole di tre canti.345
341 Per la rima guazzo/cagnazzo Emilio Bigi rimanda a Inf. XXXII, 70-72 «cagnazzi e guazzi», cfr.
Bigi, in L. Ariosto, Orl. fur…cit.,p. 647.
Anche in questo contesto viene assegnato al cane un rilievo maggiore rispetto a tutte le altre bestie menzionate all’interno dell’ episodio; di esso si registrano, tra la prima e la terza edizione del poema, tre significative occorrenze. Ma analizziamo nel
dettaglio i passaggi principali della suggestiva vicenda narrata da Ariosto. Mentre si dirige verso il regno virtuoso di Logistilla, il lascivo Ruggiero,
s’imbatte in una torma di mostri, metà uomini e metà animali, che ostacolano il suo cammino. Si tratta di una frotta spaventosa composta da satiri, centauri e strani esseri con viso di scimmia o di gatto e il corpo umano.
342 Segnaliamo che in Boccaccio la figura del mastino compare già nel Filocolo IV, 13.
343 Come abbiamo già ricordato all’ inizio del capitolo, la vicenda fu ritratta in diversi quadri anche
dal Botticelli ai primi del Quattrocento (cfr. supra,p.49).
344 Per l’ influenza della novella boccacciana in relazione al ruolo assegnato al cane nel contesto
della novella del giudice Anselmo (XLIII), cfr. infra, pp.132-34.
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Nella prima e nella seconda edizione del Furioso fanno parte di quest’ultima categoria di mostri ibridi anche i cinocefali, che vengono però eliminati nel poema del ʼ32. Riportiamo di seguito le varianti individuate:
Non fù veduta mai più strana torma piú mōstruosi volti, et peggio fatti alcū dal collo in giù d huoī han forma col viso poi di can, di simie o gatti stampano alcū co piè caprigni, l orma alcuni son centauri agili et atti son gioveni impudenti, et vecchi stolti chi nudi, et chi di strane pelli involti (VI, 61; ed. 1516) Non fu veduta mai piu strana torma piu mostruosi volti: e peggio fatti alcū dal collo ī giu d huomini hā forma colviso poi di can: di simie: o gatti stampano alcun cō pie caprigni lorma alcuni son centauri agili e atti son gioveni impudenti: e vecchi stolti chi nudi: e chi di strane pelli involti346 (VI, 61; ed. 1521)
Non fu veduta mai più strana torma, più monstruosi volti e peggio fatti: alcun'dal collo in giù d'uomini han forma, col viso altri di simie, altri di gatti; stampano alcun'con piè caprigni l'orma; alcuni son centauri agili et atti;
son gioveni impudenti e vecchi stolti,
chi nudi e chi di strane pelli involti. (VI, 61; ed. 1532)
Nell’ultima edizione dell’opera ariostesca la torma dei mostri risulta priva di un elemento: le creature con testa di cane scompaiono dal drappello degli esseri mostruosi che assale Ruggiero, mentre, viene mantenuta in tutte e tre le edizioni la figura di un cinocefalo ritratto, nei versi successivi, nell’ atto di abbaiare contro il guerriero:
Un ch'avea umana forma i piedi e 'l ventre, e collo avea di cane, orecchie e testa, contra Ruggiero abaia, acciò ch'egli entre
346 Cfr. Orlando furioso di Ludovico Ariosto secondo le stampe del 1516,1521,1532…cit., vol. I, p.
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ne la bella città ch'a dietro resta.347
Rispose il cavallier: - Nol farò, mentre avrà forza la man di regger questa! - e gli mostra la spada, di cui volta avea l'aguzza punta alla sua volta.
(VI, 74)
Notoriamente, i mostri rappresentano i vizi contro i quali l’ eroe deve battersi per liberarsi dalle passioni negative e giungere alla faticosa conquista della virtù. Come osserva Rajna, ancora in merito a questo episodio, Ruggiero «si mette bensì sulla buona via, e si accinge a superare gl’inevitabili ostacoli; combatte da forte i vizi, ed i malvagi e sozzi istinti; ma poi quando sopraggiungono le seduzioni della
bellezza, si lascia agevolmente attrarre».348 Riguardo la questione delle fonti, lo stesso Rajna notava come la vicenda
allegorica, messa in scena dal poeta, non sia «nuova davvero», ma trovi illustri precedenti letterari nell’opera di Omero, Virgilio, Dante, Boccaccio, Frezzi e altri autori.349 Allo stesso modo, secondo lo studioso, «l’idea prima dell’iniqua frotta che impedisce la via per dove si va a Logistilla, non costò certo un grande sforzo al poeta. Non si diventa virtuosi senza lottare contro le cattive tendenze; tutti lo sentono, tutti lo dicono. Però quanti composero prima dell’Ariosto allegorie del genere della sua, s’accordano nello sbarrare con esseri più o meno analoghi il retto cammino».350 Tra gli esempi più emblematici, Rajna ricorda l’opera Voie de Paradis di Rutebeuf e la Commedia dantesca, dove pure si narra di esseri mostruosi che si frappongono al cammino della virtù;351 mentre il Quadriregio di Frezzi, in cui si «parla di una certa generazione di mostri, che hanno sette teste e sette busti, piantati sopra un solo ventre ed un solo paio di gambe», servirono di certo a Ludovico per «lo palazzo di Alzina nella battaglia di Rug.» al suo sesto canto, secondo quanto afferma lo stesso Ariosto a margine di una copia dell’opera di Frezzi che fu in suo possesso.352
347
Tra le varie edizioni del poema, si registrano piccole varianti nella descrizione del cinocefalo, che segnaliamo qui di seguito: «Un chavea come noi da piedi al ventre/ et tutto l resto simile a un cane […]» (VI, 64, 1-2; ed. 1516); «Un chavea forma dhuomo i piedi e il vētre/ e collo havea di cane orecchie e testa» (VI, 64, 1-2; ed. 1521); cfr. ivi, p. 126.
348 Cfr ivi, p. 173. 349
Cfr. ivi, p. 175.
350
Cfr. ivi, p. 179.
351 «Così, per esempio, Raol de Houndec, autore e protagonista d’una Voie de Paradise, s’è appena
incamminato, che si vede venire contro Temptaction, postasi in agguato […] E costei, cacciata una prima volta grazie al soccorso di Esperance, ritorna più tardi alla testa di una turba numerosa, della quale fanno parte Vaine Gloire, Orguel, Envie, Haïne, Avarisce, Ire, Fornication , “Et tant d’ autres, n’en sai le conte”. E ci sarà mai bisogno di rammentare le belve che tolgono a Dante il
corto andare del bel monte?», cfr. ibidem. 352
Secondo la ricostruzione delle fonti dell’episodio elaborata da Rajna, Ariosto possedeva un «esemplare a penna» del Quadriregio che «postillò in molti luoghi» e, lì dove Frezzi descriveva una certa torma di esseri mostruosi, il ferrarese ne sottolineò l’importanza per la vicenda allegorica di Alcina ancora in fase di progettazione, sebbene «non [li] imitò poi niente affatto, dovendo, a
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I mostri con corpo umano e testa di cane citati nelle edizioni del ’16 e del ’21
rammentano ‒ «oltre certe divinità egiziane, quali Horo e Anubi», ‒ «i Cinocefali dei monti dell’India, che sull’autorità di Megastene son ricordati anche da Plinio»353 (St. Nat. VII, 23: «in multis autem montibus genus hominum capitibus caninis ferarum pellibus velari, pro voce latratum edere, unguisbus armatum
venatu et aucupio vesci»).354 Sul significato allegorico che Ariosto volle assegnare a questi esseri, Rajna non
esprime giudizi; secondo Casella il cinocefalo che abbaia contro Ruggiero è simbolo dei «maldicenti e maligni che han per uso d’abbaiare contro chi non fa a modo loro».355 Lo stesso simbolismo potrebbe, pertanto, attribuirsi anche ai cinocefali, menzionati nelle prime due edizioni accanto agli adulatori (mostri con viso di scimmia) e ai simulatori (mostri con viso di gatto) di cui sopra; non escludiamo, tuttavia, l’assegnazione di altre simbologie quali, ad esempio, quella dell’iracondia, secondo una delle varie rappresentazioni allegoriche di tali mostri di cui si legge nei Geroglifici orapolliani («[il cinocefalo] simboleggia inoltre l’ira perché è collerico e irascibile assai più di ogni altro animale»); che, probabilmente, ebbe una certa risonanza nel Cinquecento, in quanto fu riproposta ancheda Vasari nella sua opera.356
Su questo passo del Furioso, un’altra ipotesi interpretativa ci viene dallo stesso testo pliniano menzionato da Rajna come fonte cui Ariosto attinge per la descrizione dei suoi monstra. Nella Naturalis Historia “cinocefalo” è un nome che si applica alle scimmie la cui testa rassomiglia a quella del cane («Insulam Gagauden esse in medio eo tractu;[…]et ab altera, quae vocetur Artigula, animal sphingion, a Tergedo cynocephalos», VI, 184);
Non si esclude, ancora, che Ariosto intendesse fare dei cinocefali gli emblemi dell’irrazionalità o della dissolutezza dei costumi, significati diffusamente attribuiti a questi mostri, e che risultano essere, a nostro parere, perfettamente coerenti e conformi ai simbolismi cui rinvia il racconto di Alcina.
357
quel che pare, aver giudicato più tardi, che quei mostri non facessero al caso suo», cfr. ivi, pp. 175- 6.
nel libro VIII, 216 lo stesso animale è designato come specie di scimmia più feroce o selvaggia simile ai satiri,
353
Cfr. ivi, p. 181. Per l’importanza della figura del cinocefalo nella cultura egiziana, cfr. supra, n. 27.
354 «[…]Su molti altri monti si trovano invece uomini con la testa di cane, vestiti di pelli di fiere,
che emettono solo latrati e che vivono di caccia e uccellagione, procurandosi la preda con l’arma delle unghie», Plinio, St. Nat…cit., p. 21.
355 Cfr. L’Orlando furioso di Lodovico Ariosto…cit., p. 107. 356
Cfr. Orapollo, I Geroglifici…cit., pp.105-7. Ne Le Vite, Apparato per le nozze di Francesco de’
Medici, Carro sesto di Marte, il cinocefalo compare nella rappresentazione allegorica del vizio
dell’Ira: «Con la spumante bocca, e con un rinoceronte in testa, e con un cinocefalo in groppa, si vedeva la cieca Ira camminare» (cfr. Giorgio Vasari, Vite de’ piu᾽ eccellenti pittori, scultori e
architetti, Milano, Società Tipografica de’ Classici Italiani, vol. XV, 1811, p. 177).