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Le similitudini del lupo e dell’agnello nel Furioso

Nel documento Per un bestiario dell'Orlando Furioso (pagine 165-170)

precedenti, contemporanee e successive al Furioso, ad essere esaltata è sempre la sua natura di animale rapace, predatore del gregge inerme. Ecco qualche esempio più significativo: Pulci: «Rinaldo torna e riponsi a sedere, /e rimangiò come un

lupo rapace» (Morg. 3,48,5-6), «È Maganzesi innanzi si cacciavano/ come il lupo

suol far le pecorelle/ e questo e quello e quell’altro tagliavano/ e braccia in terra balzano e cervelle» (Morg. 11,106,1-4), e «lupo affamato, perfido, rapace» (Morg.14,8,8); Boiardo: «Via ne 'l portava e stimavalo tanto/ Quanto fa il lupo la vil pecorella» (Orl. Inn. I,23,12); «Che fu quel traditor lupo rapace» (Orl. Inn. II, 7,53);72 Machiavelli: «ne la terza, [stanza] se ben mi rammenta,/ voraci lupi e affamati stanno,/tal che cibo nessun non gli contenta» (L’asino 6,64-65). 73

5. Le similitudini del lupo e dell’agnello nel Furioso

Il vaglio delle fonti è sempre una condizione preliminare necessaria allo studio del bestiario ariostesco. Così, nel Furioso, sulla falsariga di una tradizione antica e ben radicata, i paragoni con il lupo più suggestivi e numerosi, chiamano in causa l’inimicizia con il gregge e la sua spietata ingordigia. La prima similitudine del canto IV descrive una scena di caccia in cui vittima del lupo, che attende «reposto» alla «macchia» il suo pasto, è il capriolo.74 Ma l’ antagonismo con gli animali da cacciagione è limitato a questa comparazione inziale. Preda favorita del crudele canide, secondo un motivo topico che abbiamo già visto nella letteratura precedente, è l’agnello. Alla coppia antinomica lupus et agnus Ariosto dedica ben undici similitudini.75

72 Cfr. M. M. Boiardo, Orl. inn…cit., pp. 428, 674.

La prima della serie compare nel canto ottavo:

73 Cfr. N. Machiavelli, L’Asino, in Opere, a cura di Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 2005, vol.

III, p. 69. Ricordiamo come emblematici della ferocia del lupo anche alcuni versi della Gerusalemme liberata di Tasso: «E sol cerca Raimondo, e in lui sol vòlto/ ha il ferro e l’ ira impetuosa e pazza,/ e quasi avido lupo ei par che brame/ ne le viscere sue pascer la fame […]» (VII, 104-107); « […] chiuso ovil cacciato viene/lupo talor che fugge e si nasconde/ che, se ben del gran ventre omai ripiene/ ha l’ingorde voragini profonde,/ avido pur di sangue anco fuor tiene/ la lingua e ‘l sugge da le labra immonde,/ tale ei se ‘n gìa dopo il sanguigno strazio,/ de la sua cupa fame anco non sazio» (X, 2; cfr. Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, prefazione e note di

Lanfranco Caretti, Torino, Einaudi, 1971, p. )

74

Cfr. supra, p. 145.

75 E’ opportuno precisare che si inseriscono nella categoria di queste similitudini, anche quelle che

chiamano in causa, oltre l’agnello, le altre specie di ovini: capra, montone, e il generico gregge. La

pecora non è menzionata in riferimento al lupo e compare negli episodi di matrice mitologica

come, ad esempio, nella vicenda di re Norandino, ispirata al celebre episodio omerico di Ulisse e Polifemo (cfr. canto XVII). In totale, gli ovini nel Furioso contano trentacinque occorrenze (agnello 11; capra 10; montone 9; pecora 5) mentre il termine “gregge” ne registra trentuno (tuttavia, il riferimento non è solo al gregge di ovini, ma anche al “marin gregge” di Proteo, all’ “equino gregge” guidato da Astolfo in Etiopia, e in alcuni casi il termine è utilizzato in senso metaforico, come nell’espressione “gregge bianco” riferita all’infrangersi delle onde del mare; cfr. XLI,9 e il repertorio delle occorrenze zoonime, infra). Questa classe di animali presenta caratteristiche comuni riguardo le funzioni e i significati attribuitagli da Ariosto: oltre ad essere

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Deh, dove senza me, dolce mia vita, rimasa sei sì giovane e sì bella? come, poi che la luce è dipartita, riman tra' boschi la smarrita agnella,

che dal pastor sperando essere udita, si va lagnando in questa parte e in quella; tanto che 'l lupo l'ode da lontano, e 'l misero pastor ne piagne invano.

Dove, speranza mia, dove ora sei? vai tu soletta forse ancor errando? o pur t'hanno trovata i lupi rei senza la guardia del tuo fido Orlando? e il fior ch'in ciel potea pormi fra i dèi, il fior ch'intatto io mi venìa serbando per non turbarti, ohimè! l'animo casto, ohimè! per forza avranno colto e guasto.

(VIII, 76-77)

Orlando, giunto a Parigi in cerca di Angelica, trascorre una notte insonne pensando all’amata. Il paladino teme che senza la sua protezione la donna possa incorrere in gravi pericoli. Ma il tarlo che rode maggiormente Orlando è il sospetto che qualcuno possa aver violato la castità della donna da lui, per lungo tempo, difesa con ogni mezzo. Per esprimere l’afflizione dell’eroe, Ariosto introduce la duplice immagine dell’agnella smarrita nei boschi vittima dei lupi. Ma se, nella prima ottava, la similitudine si riferisce alla situazione di estremo pericolo in cui Angelica potrebbe trovarsi priva della protezione di Orlando, nel secondo caso, i lupi rei rappresentano metaforicamente i predatori della sua

verginità, nonché gli antagonisti del paladino. Nel passaggio dalla prima alla terza edizione del Furioso, la suggestiva

comparazione resta invariata. Al di là dell’ originale rielaborazione ariostesca, l’immagine dell’«agnella trepidante», preda di «lupi feroci» si trova già espressa tra gli autori latini. Orazio nell’Epodo dodicesimo pronuncia così la propria sofferenza d’ amore: «O ego non felix, quam tu fugis, ut pavet acris/ agna lupos capraeque leones!»76

vittime del lupo, gli ovini figurano negli episodi di ascendenza classica e, rappresentano i pagani (XVI,51; XXXIX,21), la plebe (XII,78; XVI,23; XXXIX,71)e le donne. In particolare l’agnello, ricorre in quasi tutti i luoghi del poema al femminile singolare e plurale, ed è posto in relazione ad Angelica, Bradamante, Isabella, Fiordispina e Marfisa.(VIII,76; XI,20; XVII,45; XXIV,16; XXV,35).

. Agli infausti pensieri del prode cavaliere segue la visione in sogno di Angelica, durante la quale Orlando sente «la donna sua» chiedergli

76«Misera, e tu mi schivi, qual fugge la pecora e i lupi,/ come i cerbiatti fuggono i leoni!», cfr.

Orazio, Epodi, in Le odi…cit., pp. 432-3. La fortunata similitudine verrà riproposta anche da Tasso nel poemetto Rinaldo, nei versi in cui l’eroe si duole di non poter soccorrere l’amata, rappresentata però da una «timidetta damma» (IV, 60,1-4), invece che da una «smarrita agnella» come nel Furioso.

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aiuto. La vicenda del sogno di Orlando e il precedente riferimento ai lupi rinvia, a nostro avviso, alla novella boccacciana di Talano d’Imole, cui più volte abbiamo fatto riferimento, dove la «valenza terrificante» del lupo appare «accresciuta dal presagio onirico»: «Talano d’Imole sogna che un lupo squarcia tutta la gola e ʼl viso alla moglie; dicele che se ne guardi; ella nol fa, e avvien» (IX,7).77 Ma già nella precedente vicenda di Nastagio degli Onesti (V,8) il tema della visione chiama in causa i cani feroci. L’associazione «sogno - cani feroci - lupi», che «è conseguenza dell’appartenenza del lupo al mundus immaginalis […] al confine tra natura e immaginazione, tra zoologia e onirico»,78

e se l'

trova un suo fondamento nella letteratura proprio a partire da Boccaccio. Secondo la nostra analisi, seppur in maniera indiretta, tale associazione ritorna nel Furioso: Orlando, prima di sognare Angelica in pericolo, la immagina come un’agnella in preda ai lupi. La scena non rientra nella visione onirica del paladino ma viene pensata ad occhi aperti. Nelle ottave immediatamente successive Ariosto ci narra del sogno di Orlando. Benché la vicenda del Furioso non riproduca esattamente quella boccacciana, i due episodi presentano nondimeno un certo parallelismo. Alla similitudine dell’ agnella -Angelica smarrita nei boschi, appetibile preda dei lupi, ne seguono numerose altre. Nel canto undicesimo, il mago Atlante rapisce Bradamante per condurla nel palazzo incantato, dove spera possa arrivare a salvarla l’amato Ruggiero. Assunte le sembianze di un gigante, il mago vince in duello la valorosa guerriera, «se l’ arreca in spalla» e fugge, come suole fare il lupo con l’agnello:

arreca in spalla, e via la porta,

come lupo talor piccolo agnello,79

aquila

o l' portar ne l'ugna torta

suole o colombo o simile altro augello. Vede Ruggier quanto il suo aiuto importa, e vien correndo a più poter; ma quello con tanta fretta i lunghi passi mena,

che con gli occhi Ruggier lo segue a pena.

(XI, 20)

L’associazione del lupo al ladro Atlante avviene in virtù della sua natura di animale predatorio – ben atta a descrivere le rapine del mago – e, sulla base del principio della fellonia. Al pari del perfido canide anche il negromante ha fama di essere cattivo. Nel canto dodicesimo, dove si sviluppa l’emblematico episodio del

77 Abbiamo più volte accennato alla celebre novella boccacciana (cfr. supra, pp.149,159) la quale,

ponendo al centro la figura spaventosa del lupo, presenta, sotto diversi aspetti, affinità con la descrizione ariostesca di questo animale.

78 Cfr. G.M. Anselmi – G. Ruozzi, Animali della letteratura it…cit., p.155.

79 Una similitudine analoga si trova nei Cinque Canti, a riprova del successo del motivo del lupus et agnus, non solo nel Furioso ma nell’intera opera ariostesca: «Come la volpe che gallina od

oca,/o lupo che ne porti via l'agnello/per macchie o luoghi ove in perpetuo adugge/ l'ombra le

pallide erbe, ascoso fugge;/ ella così da le città si scosta/quanto più può, né dentro mura alloggia

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palazzo magico, Atlante è detto «fellon» per ben due volte, a distanza di poche ottave: «Non resta quel fellon, né gli risponde,/ all’ alta preda, al gran guadagno intento […]» (XII, 7,1-2); «[Ruggiero] Di su e di giú va molte volte e riede; /né gli succede mai quel che desira:/ né si sa imaginar dove sí tosto/ con la donna il fellon si sia nascosto» (XII, 18,5-8). In virtù dello stesso principio, Ariosto introdurrà nell’ultima edizione del poema, una nuova similitudine con il lupo e l’agnello, nella vicenda del crudele e sanguinario tiranno Marganorre:

Marganor il fellon (così si chiama

il signore, il tiran di quel castello), del qual Nerone, o s'altri è ch'abbia fama di crudeltà, non fu più iniquo e fello, il sangue uman, ma 'l feminil più brama, che 'l lupo non lo brama de l'agnello. Fa con onta scacciar le donne tutte da lor ria sorte a quel castel condutte. –

(XXXVII, 43, ed.1532)

Emblematico l’incipit dell’ottava: Marganorre, detto il fellon, è un despota di crudeltà pari a Nerone. Sanguinario persecutore delle donne, brama fare carneficina dei loro corpi, come il lupo brama dilaniare la carne dell’agnello. Questi versi sono tra i più significativi della ferocia sanguinaria del canide chiamata in causa per rappresentare uno tra i personaggi più spietati e cattivi di tutto il poema. Non meno infido è Odorico di Biscaglia il quale tenta violenza sulla casta Isabella, lasciatagli in custodia dall’amico Zerbino:

Zerbin questo prigion conobbe tosto che gli fu appresso, e così fe' Issabella:

era Odorico il Biscaglin, che posto fu come lupo a guardia de l'agnella.80

amici

L'avea a tutti gli suoi preposto Zerbino in confidargli la donzella, sperando che la fede che nel resto

sempre avea avuta, avesse ancora in questo.

(XXIV,16)

Ma il paragone con il lupo “fello” è riservato anche agli eroi del Furioso. All’intrepido coraggio di Orlando, alla sua natura aggressiva e sanguinaria, sono dedicate due similitudini del canto dodicesimo:

Con qual rumor la setolosa frotta correr da monti suole o da campagne, se 'l lupo uscito di nascosa grotta,

80 A proposito dell’antica nonché celebre locuzione “porre il lupo a guardia dell’ agnello”, cfr. supra, p. 156.

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o l'orso sceso alle minor montagne, un tener porco preso abbia talotta, che con grugnito e gran stridor si lagne; con tal lo stuol barbarico era mosso

verso il conte, gridando: - Adosso, adosso! -

Lance, saette e spade ebbe l'usbergo a un tempo mille, e lo scudo altretante: chi gli percuote con la mazza il tergo, chi minaccia da lato, e chi davante.

Ma quel, ch'al timor mai non diede albergo, estima la vil turba e l'arme tante,

quel che dentro alla mandra, all'aer cupo,81

numer

il de l'agnelle estimi il lupo.

(XII,77-78)

Durante l’amorosa inchiesta, Orlando giunge nei pressi di Parigi dove s’imbatte in due schiere nemiche. L’una è capitanata dal vecchio comandante Manilardo di Gorizia, l’altra dal giovane re di Tremisena, Alzirdo. Quest’ultimo, stupito dall’aspetto fiero e furioso del conte, lo sfida a duello ma, viene subito trafitto con un colpo al cuore. Vinto dal dolore, Alzirdo emette un forte grido. La «turba» accorre in soccorso del giovane condottiero e a guisa di un «branco di porci selvatici»,82 s’avventa contro il lupo - Orlando. Tuttavia, l’intrepido principe d’Anglante «ch’ al timor mai non diede albergo», affronta la «vil» torma come il lupo si lancia sulle pecore. Sotto i colpi micidiali di Durindana compie carneficina dei nemici.83

E gli

La notizia della strage compiuta da Orlando giunge in campo pagano. Uno scudiero di Alzirdo comunica a re Agramante che l’eroe cristiano ha distrutto le sue schiere con la stessa ferocia con cui un lupo suole straziare il gregge:

narrò ch'Alzirdo e Manilardo con molti altri de' suoi giaceano al campo. - Signor (diss'egli), il cavallier gagliardo ch'ucciso ha i nostri, ucciso avria il tuo campo, se fosse stato a tôrsi via più tardo

81

Si noti come, ancora una volta, il riferimento all’aer cupo, all’oscurità della notte, continui ad avvalorare l’ipotesi iniziale di questo lavoro, secondo la quale, Ariosto, ha riconosciuto al lupo una natura profondamente ctonia (cfr. supra, pp.145-50).

82 Con questa espressione, Caretti parafrasa il sintagma ariostesco «setolosa frotta» che si trova al

verso primo dell’ottava settantasette (cfr. supra e Caretti, in L. Ariosto, Orl. fur…cit., p.308).

83 Emblematiche dell’efferatezza crudele di Orlando sono le ottave successive del canto, nelle

quali Ariosto descrive la crudele strage compiuta dal paladino: «Nuda avea in man quella fulminea spada/ che posti ha tanti Saracini a morte:/ dunque chi vuol di quanta turba cada/ tenere il conto, ha impresa dura e forte./ Rossa di sangue già correa la strada,/ capace a pena a tante genti morte;/ perché né targa né capel difende,/ la fatal Durindana, ove discende,// né vesta piena di cotone, o tele/ che circondino il capo in mille vòlti. /Non pur per l’ aria gemiti e querele,/ ma volan braccia e spalle e capi sciolti» (XII, 79-80,1-4).

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di me, ch'a pena ancor così ne scampo.

Fa quel de' cavallieri e de' pedoni, che 'l lupo fa di capre e di montoni. –

(XIV, 29)

A distanza di qualche canto, nell’ambito dello stesso episodio, per esprimere icasticamente la crudeltà dell’eroe, Ariosto ricorre nuovamente al paragone con la ferocia del lupo.

Nel documento Per un bestiario dell'Orlando Furioso (pagine 165-170)