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2 Secondo capitolo

2.3 Politiche per l’innovazione

2.3.4 Il modello evolutivo

Il paradigma del market failure non ha mai perso vigore né credito ma è stato affiancato nel frattempo da nuovi contributi provenienti da vari campi dell'economia. Per seguire Rolfo (2001) tre principali filoni hanno contribuito ad rinnovare e arricchire il dibattito con nuovi concetti e chiavi di lettura, nella fattispecie teorie dello sviluppo, istituzionaliste e teorie evoluzioniste. Si è visto ad esempio come l'investimento in capitale umano e tecnologie dia luogo ad accumulazione di conoscenze con ritorni crescenti e come questa accumulazione sia path dependent, non lineare e richieda una gestione accentrata con funzioni di coordinamento e disponibilità di vari mezzi. In più vi è una maggiore attenzione per le cluster economies, effetti di aggregazione e concentrazione spaziale emerse da studi empirici.

Il modello evolutivo, in particolare, partendo da una visione sistemica, si concentra sulla complessità dei processi di produzione e diffusione di conoscenza e dei cambiamenti tecnologici; in più il policy maker non dispone di una completa informazione e non è più chiamato a intervenire per correggere “il” fallimento del mercato ma “i” singoli fallimenti presenti sia in fase di apprendimento che in fase di sviluppo e diffusione di nuove tecnologie; infine vengono osservati i comportamenti delle organizzazioni che intervengono nel processo innovativo.

Le organizzazioni pubbliche sono le sedi preposte all'elaborazione e i centri da cui promanano direttive che insieme formano le politiche per l'innovazione. Gli studiosi evoluzionisti prestano particolare attenzione al background informativo e di competenze dei policy maker, così come alla valutazione del loro operato. Per giudicare con cognizione quest'ultimo punto essi possono affidarsi all'osservazione di singoli aspetti: in primo luogo, l'adattabilità dell'intero assetto istituzionale al cambiamento tecnologico; in secondo luogo, la conoscenza delle caratteristiche di ciascun settore (oltre a meccanismi e ritmi tipici delle relative tecnologie), indispensabile per intuire le opportunità specifiche più promettenti; inoltre, l'adozione di una visione obiettiva delle esigenze più urgenti e i provvedimenti più

88 appropriati può essere ostacolata da un cronico deficit informativo (fenomeno spesso etichettato come “miopia”); infine, data la centralità assunta da funzioni di coordinamento all'interno delle politiche tecnologiche, le qualità di un policy-maker vengono misurate anche sulla base della capacità di coinvolgere gli attori di volta in volta pertinenti a ciascun paradigma tecnologico considerato. Anche in quest'ultimo caso si tratta di capacità dinamiche e di adattamento a un assetto in continua evoluzione. Fra gli esempi di politiche virtuose si segnalano i programmi attuati dal MITI (Ministero del Commercio Internazionale e dell'Industria giapponese) sia per la scelta vincente dei settori da sostenere sia per l'utilizzo strategico delle collaborazioni internazionali.

Ciò che più di frequente si riscontra in un sistema innovativo è una sorta di forza inerziale, responsabile dell'effetto di “imprigionamento” all'interno di una tecnologia, il quale impedisce di intravedere soluzioni alternative come l'adozione di una nuova e più efficiente tecnologia (probabilmente perché non viene intravisto il potenziale dell'innovazione più recente o perché il passaggio a un nuovo assetto comporterebbe alti costi). Lo stesso attore pubblico può ritrovarsi imprigionato all'interno di una tecnologia “satura” e compiere delle scelte sbagliate che, a lungo andare, possono costare caro all'intero sistema di innovazione nazionale. Per rendere tale sistema sensibile ai cambiamenti tecnologici bisogna agire sulla formazione del capitale umano. La sfida consiste nel captare segnali dai mercato per individuare le esigenze presenti ma soprattutto future dei mercati. Giacché non è possibile prevedere con precisione quali saranno le future tecnologie prevalenti in uno o più settori ma si è certi che ogni ciclo tecnologico si caratterizza per un inizio e una fine, è necessario primariamente “formare i lavoratori alla formazione continua stessa” (in sede di definizione di politiche si parla spesso di formazione permanente) in modo da non lasciare dei vuoti nel passaggio da un regime a un altro. La lezione statunitense, d'altra parte, ha mostrato la forte correlazione fra la scelta di formare esperti in nuove discipline e una spiccata reattività del sistema industriale e il conseguente mantenimento del primato innovativo. Per quel che riguarda la funzione pubblica di sostegno alla ricerca di base, l'approccio evolutivo ne evidenzia un vantaggio ulteriore rispetto a quello di arricchire la base scientifica del sistema nazionale: quello di far sì che le conquiste che avvengono all'interno di laboratori pubblici possano irradiare vari settori industriali. Va da sé come misure volte ad aumentare gli sforzi nella ricerca di base debbano essere associate a politiche di trasferimento tecnologico (attraverso ad esempio le “istituzioni ponte”) e diffusione soprattutto a favore delle PMI. Infine alle

89 autorità pubbliche viene demandato un uso lungimirante dello strumento della commessa pubblica accanto alla predisposizione di grandi progetti ad alto rischio e a valenza strategica non solo economica (si pensi ad esempio agli ormai classici programmi a scopo militare o alle politiche energetiche e nucleari).

Questi ultimi provvedimenti sono adatti anche a facilitare la nascita di complementarità dinamiche fra imprese o all'interno di una stessa impresa, anch'esse indispensabili per mantenere il sistema industriale pronto a ripensare la propria organizzazione in funzione delle mutevoli condizioni economiche. In effetti, attraverso le stesse “istituzioni ponte” o “interfacce” si punta a facilitare l'instaurarsi di rapporti di collaborazione fra soggetti che altrimenti rimarrebbero isolati: ad esempio, le imprese che stabiliscono dei sistematici scambi informativi o di personale tecnico e specializzato con le università fungono da soggetti attivi nella diffusione delle conoscenze tecnologiche ma sono anche più propensi a una divisione del lavoro basata sulla reciproca complementarità. Come si vede, la diffusione delle tecnologie è condizione indispensabile per la creazione di complementarità ed è qui che lo Stato deve agire attraverso commesse pubbliche che privilegino strumenti tecnologicamente all'avanguardia sollecitandone l‟adozione.

Come si è già accennato, la definizione delle azioni da intraprendere costituisce un momento successivo alla scelta del “macro-obiettivo” da raggiungere fra due alternative possibili: innovazione (nel senso di un aumento della varietà dell'innovazione) e diffusione di una o poche tecnologie che si sono distinte per performance migliori delle altre. Questa sorta di “dilemma” viene descritto come un tipico esempio di trade-off il quale normalmente non ammette una terza via. Date queste premesse, la strada migliore sembra quella di una combinazione che permetta di usufruire sia dei vantaggi dell'esplorazione sia di quelli derivanti dalla sperimentazione all'interno di un singolo paradigma tecnologico. La corrente evolutiva rifiuta l'idea di un solo equilibrio che rappresenti l'optimum cui tutti aspirano ma accoglie l'ipotesi sull'esistenza di una pluralità di equilibri in corrispondenza delle varie fasi del ciclo di una tecnologia. Secondo tale impostazione, la combinazione di esplorazione e selezione dovrebbe subire delle revisioni lungo il percorso di sviluppo di un prodotto o procedimento all'interno di un settore industriale. Tenere sotto controllo queste due tendenze divergenti risulta indispensabile quando si è in presenza di tecnologie con rendimenti crescenti da adozione, terreno fertile per effetti quali path dependence o addirittura lock in. In quest‟ultimo caso, lo spazio di manovra che rimane allo Stato risulta inevitabilmente ridotto. La tecnologia risultata inferiore ha comunque beneficiato di

90 vantaggi iniziali (di natura per lo più casuale) e si è imposta come standard dominante. Qualora lo Stato voglia spingere dall'alto il passaggio alla tecnologia risultata superiore, esso si ritroverebbe a dover impiegare notevoli risorse (anche carattere organizzativo e di expertise) oltreché a dover rendere conto di questo repentino cambio di rotta ai cosiddetti “orfani tecnologici”, coloro i quali hanno investito nella tecnologia ritenuta ormai obsoleta e incontrano notevoli difficoltà nell'accogliere quella nuova. Il policy maker viene incaricato di un'ulteriore onere: dotarsi di studi dettagliati e affidabili al fine di compiere scelte più consapevoli sugli effetti di lungo periodo delle sue scelte.

Una periodizzazione dello sviluppo di una determinata tecnologia distingue tra una fase iniziale ed una avanzata. Di solito sono consigliabili azioni a favore della varietà innovativa in coincidenza con il primo periodo ma in alcuni casi è possibile protrarle oltre la fase avanzata, se si tratta di mercati dove tendenzialmente sorgono posizioni monopolistiche. Misure utili in questo senso sono quelle a favore di istituzioni votate alla sperimentazione e all'esplorazione scientifica quali università ed enti pubblici di ricerca oppure interventi finalizzati alla creazione di mercati concorrenziali e competitivi come quelli indirizzati all'introduzione di nuove imprese innovative. In fase avanzata sarebbe sufficiente lasciare agire liberamente le forze di mercato perché si diano effetti di selezione ed emergano spontaneamente le tecnologie più efficienti. In realtà la recente esperienza del mercato dei calcolatori (o dei mercati ad esso collegati) ha mostrato la necessità di un costante monitoraggio da parte di agenzie o altri attori pubblici. Per evitare il consolidarsi di posizioni dominanti essi infatti intervengono direttamente utilizzando strumenti classici quali norme antitrust unite all'imposizione di standard generalmente compatibili sia a livello hardware che software.

Altro “dilemma” di cui si è già diffusamente trattato riguarda il grado di protezione da inscrivere nel titolo del brevetto e il suo carattere di strumento alternativo nei confronti di nuovi e vecchi espedienti di natura strettamente aziendale.