2 Secondo capitolo
2.3 Politiche per l’innovazione
2.3.5 Recenti sviluppi delle politiche per l‟innovazione
Gli anni '80 inaugurano una nuova fase di pratiche governative dominate dalla volontà di intervenire con riforme strutturate, articolate e multidimensionali che vadano oltre i singoli interventi o le politiche di tipo orizzontale. Avvertendo l'economia e la
91 società come elementi rilevanti per determinare l'efficacia di un provvedimento a favore dell'innovazione, i policy-maker sono stati spinti a implementare strategie globali che restituissero un insieme coerente e coeso di interventi i quali andassero a investire anche il sistema finanziario, la struttura di mercato, la struttura industriale, il sistema della formazione, e i rapporti con le economie estere. Accanto alle politiche finalizzate alla diffusione e alle politiche strutturali sono quindi sorte le politiche di progetto.
Le politiche di progetto si articolano in due diverse direzioni: l'una punta a sostenere la ricerca in quegli ambiti che costituiscono l'eccellenza o la nuova frontiera (sia che si tratti di ricerca di base sia di ricerca applicata) attraverso aiuti di natura finanziaria verso imprese ed enti votati alla ricerca. La seconda direzione mira a facilitare i rapporti di collaborazione fra imprese ed EPR (Enti Pubblici di Ricerca) e a sviluppare tecnologie generiche. Un ambiente di contatto e scambio è infatti veicolo degli effetti di cui poco sopra si è parlato. Rispetto agli altri, i piani di collaborazione hanno dato i risultati migliori e sono stati utilizzati anche con finalità più ampie quali la costruzione di industrie competitive e l'allineamento delle regioni economicamente più deboli a quelle più dinamiche. Questo è stato il caso delle politiche europee che a partire dalla metà degli anni „80 hanno assunto la forma di Programmi Quadro (si ricordano anche ESPRIT, Brite- Euram, Race). L'esperienza europea ha però mostrato l'inadeguatezza di tali misure per fini di coesione: a beneficiarne maggiormente sono stati infatti le regioni già sviluppate mentre nei contesti che erano rimasti indietro solo le istituzioni di ricerca hanno tratto vantaggio da tali attività. Inoltre gli effetti di addizionalità attesi non si sono verificati se non in pochi casi (cfr. a questo riguardo i risultati di un'indagine su misure analoghe nel sistema italiano in Bianchi e Pozzi, 2010).
Se non altro, questa esperienza ha il merito di aver portato alla luce il progressivo spostamento dei centri decisionali rilevanti per le politiche dell'innovazione da contesti nazionali a sedi sovranazionali o internazionali da un lato e a istituzioni e governi regionali, dall'altro. Il confronto e la cooperazione internazionale su questi temi hanno fatto emergere anche resistenze da parte di soggetti (in prevalenza imprese) che vedevano nello scambio di pratiche un alto rischio di perdere asset intangibili come talvolta è avvenuto all'interno dei programmi di collaborazione fra Europa e Giappone promossi dal MITI.
Infine, grazie alla diffusione di un principio di matrice europea, ovvero la sussidiarietà, anche il livello regionale ha potuto sperimentare l'elaborazione di piani volti a rafforzare o
92 sviluppare realtà di eccellenza scientifica e tecnologica locali, esperienze queste non immuni da rischi di incoerenza e spreco di risorse.
Un incentivo al trasferimento tecnologico attuato con misure che sollecitavano l'acquisto di nuovi e più efficienti macchinari da parte delle imprese è ormai stato superato. Al suo posto oggi troviamo un trasferimento della conoscenza che prescinde dagli oggetti o processi in cui essa può trovarsi inscritta. Questo può avvenire solo se si stabiliscono dei punti di contatto fra sedi di produzione della conoscenza e imprese. Perché possa avvenire uno scambio è necessario innanzitutto un uguale livello di competenze tra i due attori coinvolti. Di conseguenza l'impresa deve essere aiutata a colmare questo “technological divide” dotandosi ad esempio di personale precedentemente impegnato in attività di ricerca presso un EPR e/o formando dei gruppi di lavoro misti. Il vantaggio meno visibile che si trae dall'assunzione di un ricercatore consiste nell'acquisizione di conoscenza codificata unita alla tacit knowledge, un tipo di conoscenza che può essere trasferita solo insieme alla persone.
Su questo fronte l'Unione Europea si è adoperata soprattutto con i programmi ESPRIT e Value all'interno del III Programma Quadro e li ha riproposti come parte dell'iniziativa comunitaria “Innovazione” dedicata al trasferimento tecnologico ma anche allo sviluppo di vocazioni innovative e allo stimolo di proposte simili anche presso altre organizzazioni come le istituzioni finanziarie e governative di rango regionale o locale. In quest'ultimo caso si è sollecitata l'iniziativa costruita sulle specificità proprie di ciascuna realtà territoriale attraverso progetti quali Regional Technology Plans (RTP) e Regional Innovation and Technology Transfer Strategies (RITTS). Questi programmi hanno inoltre stimolato la formazione di figure professionali esperte nel gestire processi innovativi.
Nell'approccio strutturalista le politiche infrastrutturali svolgono la funzione di formare capacità tecnologiche da cui tutte le imprese possono in vario modo trarre beneficio. Non si tratta quindi delle classiche infrastrutture adibite alla creazione di conoscenza quali istituzioni di formazione, ricerca, oppure reti di comunicazione. Si devono invece considerare infrastrutture le cosiddette “strutture miste di ricerca” che fanno sì che istituzioni aprano le porte a risorse e capacità provenienti dalle industrie. Rientrano in questa categoria anche i parchi scientifici e tecnologici, sorti nelle regioni europee più svantaggiate su impulso del programma “Innovazione”. Si tratta di strutture che integrano trasferimento tecnologico con la creazione di nuove idee e iniziative imprenditoriali. Due
93 esempi italiani in questo senso, entrambi situati nella Provincia di Pisa, sono costituiti dal PONT-TECH di Pontedera e dal Polo Tecnologico di Navacchio. Quest‟ultimo raggruppa in un‟unica struttura una serie di piccole imprese innovative operanti nei settori della microelettronica, della robotica, dell‟energia, dell‟ambiente, biomedicali, delle tecnologie informatiche e della comunicazione; offrendo loro sia una sede operativa, sia servizi di assistenza utili per le fasi di start-up. Il Polo comprende anche un laboratorio per le nuove tecnologie e un incubatore di imprese. La struttura organizzativa è in grado di favorire lo scambio e la cooperazione fra imprese, università con l‟assistenza di figure esperte nella tecnologia, nella finanza e nella gestione d‟impresa.
Alla domanda di servizi di consulenza e assistenza nel trasferimento tecnologico è corrisposta un'offerta da parte sia di istituzioni già esistenti come università e associazioni di categoria economica, sia di nuovi soggetti specializzati nell'intermediazione in oggetto. La proliferazione di centri di trasferimento tecnologico è stata regolata fra i primi dall'Unione europea con la costituzione di una rete per ciascun ambito disciplinare (Relay Center Network), esempio seguito successivamente dai governi nazionali e regionali dei paesi europei. Fra gli altri ricordiamo il programma tedesco Bioregio che ha di fatto creato una rete di centri specializzati in biotecnologie. Esso d'altra parte costituisce un caso esemplare in cui la complementarietà virtuosa stabilita fra obiettivi nazionali e locali ha dato luogo ad una realizzazione concreta del principio di sussidiarietà.
94 TERZO CAPITOLO
Il periodo previsto per l‟attuazione della Strategia di Lisbona (decennio 2000-2010) è stato scandito dall‟avvicendarsi di importanti avvenimenti sia di natura economica che politica: fra tutti, gli attacchi dell‟11 settembre 2001, le guerre in Afghanistan e Iraq, la crisi del 2008. Quest‟ultimo evento è stato determinato da uno sviluppo incontrollato di prodotti derivati all‟interno dei mercati finanziari con effetti negativi anche sull‟economia reale. Secondo Bianchi e Labory (2009) questa occasione ha fatto emergere la crescente debolezza dell‟economia statunitense, che da circa un ventennio soffre di una costante perdita di competitività e di debito pubblico in forte aumento.
Per quanto riguarda le tendenze di politica economica, il decennio è stato dominato da una corrente di pensiero cui ci si riferisce spesso con Washington consensus. I suoi maggiori sostenitori sono, in effetti, due istituzioni internazionali con sede a Washington e cioè il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM). Si tratta di una dottrina liberista che non ammette deroghe e professa l‟astensione degli Stati, o in questo caso delle organizzazioni internazionali, da qualsiasi forma di intervento nei mercati. Questo atteggiamento assunto da parte di due enti che erano chiamati a svolgere una funzione di controllo dei processi di integrazione dei mercati ha determinato lo sviluppo di una globalizzazione sciolta da qualsiasi vincolo di natura regolativa o normativa in cui a farne le spese è stata soprattutto l‟economia reale e in particolare l‟industria (Bianchi e Labory, 2009).
Un analogo approccio neoliberista ha caratterizzato i due governi di G.W.Bush (2001-2009): in questo periodo l‟amministrazione americana rifuggiva l‟idea stessa di politica industriale intendendo con questa un insieme di strumenti di tipo “verticale” (come sussidi a un‟impresa o a un settore) che avrebbero intaccato il meccanismo del libero scambio e della selezione efficiente operata naturalmente dai mercati. Si trattava dunque di una concezione tradizionale della politica industriale che qui assumeva i contorni di un' “invasione statale” dell'economia.
Nel frattempo in Europa si stava diffondendo una visione più ampia di politica industriale che comprendeva anche le politiche per la competitività e lo sviluppo e si serviva di interventi di tipo orizzontale ma anche strutturale (cfr. Lotti, in de Blasio e Lotti,
95 2008). In questa prospettiva misure tradizionalmente adottate dai governi americani come la destinazione di ingenti risorse in ricerca scientifica e tecnologica, la predisposizione di contesti favorevoli alla nascita di nuove imprese e di cluster innovativi rientravano pienamente nella definizione di politica industriale. Se a questa circostanza si aggiungono i massicci investimenti pubblici nell‟industria bellica condotti dal governo americano per sostenere le due operazioni militari (nell‟insieme una vera e propria politica di sostegno che ha agito sulla domanda), si dimostra facilmente che le azioni realmente implementate dai due esecutivi Bush sono andate in realtà in direzione opposta rispetto ai principi liberisti cui le stesse amministrazioni statunitensi dichiaravano di ispirarsi.