• Non ci sono risultati.

Le università italiane

2 Secondo capitolo

3.5 Politiche per la ricerca e l‟innovazione in Italia

3.5.1 Le università italiane

Ma qual'è il ruolo dell'università italiana nelle azioni a favore della RITT? Anche in questo caso Muscio e Orsenigo (2010) scelgono di basare la propria analisi sul rapporto del MISE pubblicato nel 2007 e relativo al periodo 2001-2006. Il primo dato che si ricava è che la maggior parte delle entrate degli istituti accademici proviene dallo Stato mentre un ruolo marginale è attribuito ai finanziamenti mirati a specifiche attività (circa il 15,8%) provenienti da soggetti privati, la cui quota evidenzia però una tendenza alla crescita. Quest'ultimo dato potrebbe però essere letto superficialmente come sintomo di una intensificazione dei rapporti fra università e imprese. Esso è in realtà attribuibile all'aumento del numero di docenti universitari ed è quindi legato ad una maggiore disponibilità di personale qualificato per svolgere determinate ricerche. Inoltre in questo stesso periodo vengono progressivamente ridotti i conferimenti del MIUR. Si tratta di tagli che hanno inevitabilmente intaccato la qualità della ricerca accademica perché hanno interessato tutti i finanziamenti finalizzati previsti da questo dicastero come i fondi PRIN, FIRB, gli stanziamenti per l'edilizia, le borse di studio e gli assegni di ricerca.

Per quanto riguarda nello specifico le attività di trasferimento tecnologico, numerosi segnali inducono a pensare che tali compiti sono divenuti parte integrante delle funzioni accademiche. Uno studio di Muscio (2008) documenta l'effettivo aumento della frequenza (+18,4%) e del numero di collaborazioni (+84%) fra singoli dipartimenti universitari e imprese nel biennio 2005-2007. Ma “non è tutto oro quel che luccica”: i dipartimenti hanno spesso incontrato degli ostacoli nell'instaurare rapporti con le imprese dovuti anche all'assenza di un piano organico ed esaustivo a livello nazionale o di procedure a livello di singolo ateneo ancora poco sistematizzate. L'azione del dipartimento al di fuori del contesto di formazione o ricerca tout cour avrebbe piuttosto richiesto una cornice chiara entro la quale inserire uno o più percorsi di collaborazione con aziende esterne. Per quanto riguarda i centri di TT costituiti all'interno delle Università, nel corso della loro brevissima vita (iniziata intorno al 2005) essi non sono mai divenuti punti nevralgici di reti innovative locali o nazionali. Muscio dimostra che la mancata definizione

128 dei ruoli e delle funzioni all'interno di questi nuovi organismi intermedi e nei loro rapporti con altre istituzioni ha finito per minimizzarne l‟impatto e condannarli a una situazione di incertezza operativa.

Il decreto legge n. 180/2008 ha modificato i meccanismi di attribuzione del Fondo per il Finanziamento Ordinario (FFO) a favore degli atenei. Nelle intenzioni del legislatore, si doveva trattare di un'importante riforma per spingere le università a sfruttare una volta per tutte gli spazi di autonomia che sono stati loro concessi per rendere più attraente la loro ricerca agli occhi degli investitori e aumentare la propria accountability nei confronti dei vari organi di valutazione interni ed esterni alla propria struttura. La realtà del FFO non ha però prodotto effetti di questi tipo e l'auspicato accoglimento delle istanze meritocratiche non si è verificato (infatti più del 90% del fondo è oggi assegnato su base “storica”). Si può invece facilmente parlare di un peggioramento delle condizioni dovuto essenzialmente ad una riduzione delle risorse destinate in bilancio per il FFO (si ricordi che questo fondo rappresenta l'entrata più importante per gli atenei italiani).

Un ultimo aspetto da considerare per avere un'idea chiara sulle condizioni della RITT in Italia riguarda la normativa sulla proprietà intellettuale. A partire dall'approvazione della legge 383/2001 (legge “Tremonti bis”) viene introdotto nel sistema italiano il principio secondo il quale il diritto di sfruttare le invenzioni e scoperte fatte all'interno di centri di ricerca e laboratori pubblici spetta al singolo ricercatore e non più al centro di ricerca presso il quale egli ha svolto attività di sperimentazione. Certamente questa novità ha attirato molte critiche anche perché conduce il sistema italiano della proprietà intellettuale ad allontanarsi progressivamente dai sistemi europei e internazionali. Se un risvolto positivo c'è stato successivamente all'introduzione di tale principio, quello ha riguardato la nascita dei primi regolamenti accademici sulla gestione dei diritti di sfruttamento delle scoperte compiute all'interno delle rispettive strutture. Infine non sono mancate le critiche anche in relazione al provvedimento che cancella le tasse di registrazione, pubblicazione e rinnovo dei brevetti contenuto all'interno della finanziaria 2006. A beneficiarne infatti sono stati i grandi gruppi industriali internazionali, non le PMI italiane, poiché i primi detengono il maggior numero di brevetti in Italia e quasi sempre si tratta di estensioni di brevetti già registrati all'estero.

129 3.6. Politiche per la ricerca e l’innovazione nelle regioni italiane

Le attuali politiche italiane per l'innovazione hanno ricevuto un impulso iniziale fra la fine degli anni novanta e i duemila. Nelle realtà regionali in particolare, il punto di svolta si è avuto con la riforma del Titolo V della Costituzione (2001) che operando il decentramento di alcune funzioni a favore dei governi periferici, ha certamente contribuito al fiorire di diverse strategie regionali per la promozione dell'innovazione e in particolare per indurre il cambiamento tecnologico nei contesti industriali locali.

Il trasferimento di alcune funzioni e poteri dallo Stato ai governi regionali non è stato associato a un aumento delle risorse né ad un ampliamento dei poteri di gestione autonoma delle politiche per l‟innovazione in capo alle regioni. Secondo un documento del MISE (2007) nel periodo 2000-2006 gli interventi a favore dell'innovazione (nel senso più ampio del termine) sono stati finanziati dal governo centrale per una quota pari all'81,8%. Analoghe agevolazioni decise a livello regionale ricevono finanziamenti statali per una porzione pari al 36% del totale mentre gli stanziamenti gestiti dalle regioni per lo stesso tipo di intervento ammontano al 10,8% del totale.

La politica economica delle regioni italiane si è arricchita di strumenti ulteriori provenienti dai Programmi Operativi Regionali (POR) e dai Documenti Unici di programmazione (Docup) e si è concentrata principalmente sul rafforzamento del sistema produttivo già esistente. Solo nella seconda metà del periodo considerato si rinviene un finanziamento più consistente destinato ad azioni per la R&S ma anche per l'innovazione tecnologica. Una sorta di frattura nord-sud emerge dal confronto fra le risorse destinate a RITT nelle regioni settentrionali e in quelle meridionali (fra cui esiste un rapporto di tre a uno). Questo divario inizia a ridursi intorno al 2006 quando alcune forme di politica dell'innovazione fanno la loro comparsa anche nelle regioni del sud. Campania, Calabria, Sicilia, Basilicata e Sardegna sono entrate a far parte dell'obiettivo “Convergenza” dei Fondi strutturali europei. Da questa inclusione è derivato l'impegno a predisporre i Regional Innovation Strategy (RIS) per ciascuna regione, un impegno che paradossalmente ha finito per rallentare la concreta applicazione delle misure per l'innovazione. Queste regioni dispongono inoltre di strumenti come i Programmi Operativi Regionali (POR) per perseguire gli obiettivi fissati nel Quadro strategico nazionale (QSN) a partire dal 2005. I Fondi strutturali comunitari destinati alle regioni a obiettivo “Convergenza” sono gestiti dal MISE anche attraverso i Programmi Operativi Nazionali (PON). Risultano

130 particolarmente interessanti il PON “Ricerca e Competitività”, finalizzato ad aumentare le attività di trasferimento della conoscenza nella dimensione regionale, e il PON “sviluppo imprenditoriale locale”, all'interno del quale sono previsti i Pacchetti integrati di agevolazione (PIA) che assolvono anche la funzione di incentivare l'instaurazione di relazioni sistematiche fra due o più imprese e fra queste ed enti di ricerca.

Quasi tutte le regioni italiane si sono dotate di piani regionali di sviluppo, contenenti specifiche misure destinate a stimolare le attività innovative, e di corpus normativi per regolamentarne l'attuazione. Solo alcune di esse (e solo di recente) hanno sentito l'esigenza di “spingere il pedale” sul trasferimento tecnologico e sulla ricerca applicata affidando a organismi pubblici indipendenti la gestione di queste attività a livello locale come è avvenuto in Campania (Centri di Competenza) e in Emilia Romagna dove il PRRIITT rappresenta un vero e proprio programma di promozione della ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico (si veda più avanti). In quest'ultima regione, come anche in Piemonte e Lombardia, è inoltre in atto una riorganizzazione delle misure attraverso le leggi quadro regionali specifiche da cui si evince il riconoscimento da parte delle autorità pubbliche delle attività di trasferimento della conoscenza come imprescindibili per la costituzione di vantaggi competitivi anche a livello regionale.

Il giudizio di Muscio e Orsenigo sul panorama delle politiche regionali per l'innovazione si focalizza sui risvolti di una ripartizione dei compiti fra centro e periferia che appare ancora incompleta. L'inevitabile confusione esistente allontana la percezione di una politica nazionale unitaria e ben organizzata e si identifica con i numerosi episodi di inefficienza (duplicazione, sovrapposizione). Ciò che notano gli autori è fondamentalmente una mancanza di coordinamento fra i diversi livelli di governo che hanno facoltà di implementare proprie politiche di RITT. Particolarmente colpite da questa situazione appaiono le regioni economicamente meno sviluppate. Si è osservato infatti che le regioni più avanzate in questo senso tendono ad adottare formule gestionali migliori rispetto alle altre. Sembra quindi che la maggiore esperienza maturata nell'individuazione e promozione delle specificità locali influisca in maniera determinante sulla messa a punto (e sul successo finale) di nuove politiche di sviluppo. Inoltre la proliferazione di soluzioni adottate per innescare lo sviluppo (in particolare quello tecnologico) non mette al riparo da rischi di distorsione nei meccanismi di selezione degli interlocutori più adatti.

131 La regione Emilia Romagna si è distinta dalle altre per la prontezza e la lungimiranza delle scelte compiute lungo il decennio appena concluso in ambito di ricerca e in innovazione. Il policy-maker di questa regione è riuscito ad combinare in maniera ottimale politiche europee, nazionali, regionali e locali. Grazie all'approvazione di un moderno corpus di leggi dedicate alle attività di RITT e all'istituzione di originali strumenti e strutture, sono stati raggiunti risultati apprezzabili in termini di networking virtuoso fra enti impegnati nella ricerca e fra questi e le imprese.

Desta particolare attenzione l'esperienza del Programma Regionale per la Ricerca Industriale, l'Innovazione e il Trasferimento Tecnologico (PRRIITT). Si tratta di un piano approvato nel 2003 e finalizzato a dare attuazione alla legge regionale n. 7/2002. L'obiettivo generale è quello di stimolare lo sviluppo economico puntando sull'innovazione. Fra gli attori coinvolti figurano la Regione, le imprese locali più importanti e i dipartimenti universitari. L‟amministrazione regionale ha preliminarmente individuato i problemi e le opportunità (in termini di strutture e competenze) presenti sul suo territorio limitatamente all'ambito tecnologico per poi procedere all'istituzione di nuovi centri specializzati in vari aspetti della promozione della ricerca e dell'innovazione. Questi ultimi assolvono la funzione di riunire tutte le migliori competenze intorno a singoli programmi per creare nuovi centri di eccellenza e/o valorizzare quelli già presenti. Il PRITT ha patrocinato la nascita di laboratori industriali e di spin-off universitari. Un'ulteriore linea direttrice del programma ha agito in modo da interconnettere tutte le istituzioni create. Si è cercato di valorizzare attori che dimostravano di potere contribuire all'avanzamento delle tecnologie maggiormente presenti nella regione o maggiormente promettenti basando le valutazioni anche sulle più probabili evoluzioni delle tecnologie nel contesto internazionale. Sono stati altresì creati degli organismi con funzioni di coordinamento e assistenza per lo svolgimento dei programmi approvati, in particolare del PRRIITT.

Infine, sempre in Emilia Romagna è presente dal 2005 una rete per l'alta tecnologia in cui un ruolo di prim'ordine è stato giustamente affidato ad un centro per l'innovazione industriale e il TT (Aster-Scienza Tecnologia). Tale consorzio contiene un modello esemplare di accumulazione della conoscenza per il superamento della soglia critica e l'apertura al mercato e inoltre prevede il coordinamento efficiente fra diversi enti di ricerca.

132 In sintesi, i principali punti deboli del sistema innovativo italiano e, in particolare, del sistema del trasferimento della conoscenza consistono in una governance dai tratti ancora poco chiari, un insieme di strumenti adottati i quali risultano il più delle volte inefficaci perché a carattere occasionale, dove il trasferimento tecnologico appare un‟attività accessoria o comunque subordinata ad altre attività. Addirittura in certi programmi le stesse finalità da perseguire non sono chiarite a sufficienza.

Per Muscio e Orsenigo (2010) anche se le politiche per il trasferimento tecnologico assumono sempre più di frequente un carattere locale, alcune volte con esiti soddisfacenti, il governo centrale non dovrebbe dimenticare il ruolo di coordinatore delle numerose azioni che è chiamato a svolgere. Solo così è possibile restituire un quadro di misure coerenti e un livello di sviluppo omogeneo. La mancanza di una visione unitaria, di lungo periodo e non miope si manifesta anche nella perdurante immobilità delle riforme volte a promuovere lo strumento del venture capital, o in generale dei capitali di rischio, e neppure di ciò che appare più importante ovvero lo sviluppo di una massa critica di conoscenza che si collochi ai più alti livelli internazionali.

Infine le politiche italiane di trasferimento della tecnologia costruite intorno alle realtà accademiche rischiano di far perdere di vista l‟obiettivo finale della promozione delle third stream activities: l‟accesso a risorse aggiuntive da investire nella formazione. Solo così è possibile raggiungere uno degli obiettivi della società della conoscenza proclamato nella Strategia di Lisbona: la creazione di un capitale umano dotato di competenze all‟avanguardia e facilmente applicabili alla realtà industriale. Sono queste le chiavi per migliorare l‟intero sistema innovativo e in particolare i processi di trasferimento tecnologico.

133 CONCLUSIONI

I diversi approcci adottati per affrontare l'argomento della Strategia di Lisbona hanno permesso di individuare i suoi principali punti di forza e di debolezza. Non si può certo tacere dei suoi contributi positivi, peraltro già evidenziati dalla stessa Commissione, quali l'accoglimento delle sue principali tematiche (conoscenza, sostenibilità, sviluppo del potenziale delle imprese, in particolare delle PMI) all'interno delle agende dei governi nazionali e locali in Europa. Inoltre la Strategia ha saputo imprimere una maggiore consapevolezza nel processo di integrazione delle comunità scientifiche e in generale delle attività di sperimentazione, restituendo un insieme di piani di cooperazione e promozione delle eccellenze, fra cui spiccano i Programmi Quadro poliennali e l'Istituto Europeo di Tecnologia, in grado di offrire un avanzato sistema di opportunità di scambio e collaborazione per tutti gli attori impegnati in R&S. Il rovescio della medaglia è però costituito da una sorta di immobilismo, evidenziato nella predisposizione di programmi a carattere nazionale finalizzati a stimolare l'aumento della spesa in R&S in particolare nelle imprese. Si tratta di una circostanza che ha finito per influire pesantemente sul deludente risultato finale delle politiche europee per la realizzazione della società della conoscenza.

Se la Strategia non ha saputo reggere ai contraccolpi della crisi, i quali hanno di fatto cancellato i progressi compiuti, ciò è da imputare in ultima analisi alla mancanza di elasticità dell'intero programma e in particolare dei meccanismi di governance messi a punto. Il Metodo di coordinamento aperto non ha mantenuto le promesse in termini di coinvolgimento di un ampio spettro di soggetti, situazione da cui è derivata l'assenza di una spinta dal basso in termini di nuovi metodi per raggiungere gli obiettivi di Lisbona e di selezione spontanea delle migliori pratiche.

Come è stato mostrato, le condizioni di sviluppo delle innovazioni sono numerose e molto complesse. Si può affermare che la Strategia di Lisbona ha rappresentato un primo tentativo europeo di adottare una visione generale per gettare le basi di una nuova stagione di interventi economici, in cui le politiche per l'innovazione occupano una posizione di rilievo. Molto ancora però resta da fare a cominciare dalla predisposizione di migliori strutture di coordinamento delle politiche implementate a tutti i livelli di governo (europeo, nazionale, regionale/locale) per cogliere le sfide che una economia sempre più globalizzata ci porrà nel futuro.

134 BIBLIOGRAFIA

Amable B., Demmou L. e Ledezma I., (2009), The Lisbon Strategy and Structural Reforms in Europe, Transfer, vol.15, n.1, pp.33-52.

Arora A, Gambardella A. (1997), Public Policy Towards Science: Picking Stars or Spreading the Wealth?, in Revue d’Economie Industrielle, 79, pp.63-75.

Arora A. (1995), Licensing Tacit Knowledge: Intellectual Property Rights and the Market of Know-how, in Economics of Innovation and New Technology, 4, pp. 41-59.

Arrow K.J. (1962), Economic Welfare and the Allocation of Resources for Invention, in R.R. Nelson (ed.), The rate and Direction of Inventive Activity. Economic and Social Factors, Princeton, Princeton University Press, pp.609-25.

Arthur W. (1989), Competing Technologies, Increasing Returns and Lock-in by Historical Events, in Economic Journal, 99, pp.116-146,

Barbier J.C. (2009), Per un rilancio critico della Strategia di Lisbona, in La Rivista delle Politiche sociali, 4/2009, Roma, Ediesse, pp.55-91.

Bianchi P., Labory S. (2009), Le nuove politiche industriali dell’Unione europea, Bologna, Il Mulino.

Bianchi P., Pozzi C. (2010), Le politiche industriali alla prova del futuro, Bologna, Il Mulino.

Bresnahan T., Gambardella A. (1998), The Division of Inventive Labor and the Extent of the Market, in E. Helpman (ed.), General-Purpose Technologies and Economic Growth, Cambridge (MA), MIT Press.

Callon M. (1994), Is Science a Public Good?, in Science, Technology and Human Values, 19, 4, pp. 395-424.

Cohen W.M., Levinthal D.A. (1989), Innovation and Learning. The Two Faces of R-S, in Economic Journal, 99, 397, pp.569-96.

Commissione europea (1995), Green Paper on Innovation, COM (1995) 688, dicembre, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

135 Commissione europea (2000), Strategie per l’occupazione della società dell’informazione, COM (2000) 48 definitivo, 4 febbraio, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea (2003), Some Key Issues on Europe's Competitiveness - Towards an Integrated Approach, COM (2003) 704, 21 novembre, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea (2004), Fostering Structural Change: an Industrial Policy for an Enlarged Europe, COM (2004) 274 final, 20 aprile, Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea (2005), Lavorare insieme per la crescita e l'occupazione. Il rilancio della Strategia di Lisbona, COM (2005) 24 definitivo, 2 febbraio, Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea (2006a), È ora di cambiare marcia. Il nuovo partenariato per la crescita e l’occupazione, COM (2006) 30 definitivo, 30 gennaio, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea (2006b), Mettere in pratica la conoscenza: un'ampia strategia dell'innovazione per l'Unione, COM (2006) 502 definitivo, 13 settembre, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea (2007a), Implementing the renewed Lisbon strategy for growth and jobs, A year of delivery, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea, Directorate-General for Economic and Financial Affairs (2007b), Quarterly report on the Euro Area, Volume 6 N° 1, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea (2007c), The European Research Area: New Perspective, COM (2007)161 final, 4 aprile Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea (2008), Strategic report on the renewed Lisbon strategy for growth and jobs: launching the new cycle (2008-2010) – Keeping up the pace of change, COM

136 (2007) 803 final, 11 dicembre, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea (2009), A European Economic Recovery Plan – Detailed overview of the progress across the EU in the specific macro- and micro-economic as well as the employment areas – Lisbon strategy for growth and jobs, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Commissione europea (2010), Lisbon Strategy Evaluation Document, SEC (2010) 114 final, 2 febbraio, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Consiglio europeo (1998), Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Cardiff, 15 e 16 giugno.

Consiglio europeo (1999), Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Colonia, 3 e 4 giugno.

Consiglio europeo (2000), Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Lisbona, 23 e 24 marzo.

Dasgupta P., David P.A. (1994), Toward a New Economics of Science, in Research Policy, 23, 5, pp.487-532.

David P. A. (1986), Understanding the Economics of QWERTY: The Necessity of History, in W. N. Parker (ed.), Economic History and the Modern Economist, Basil Blackwell, pp. 30-49.

De Blasio G., Lotti F. (2008), La valutazione degli aiuti alle imprese, Bologna, Il Mulino.

Eurostat (2004), Innovation in Europe. Results for the EU, Iceland and Norway, Bruxelles.

Evenson e Kislev (1975) Agricultural Research and Productivity, New Haven, Yale University Press.

European Trade Union Institute, ETUI e European Trade Union Confederation, ETUC (2009), Benchmarking Working Europe 2009, Etui/Etuc, Bruxelles.

Helpman E. (ed.) (1998), General-Purpose Technologies and Economic Growth, Cambridge (MA), MIT Press.

137 Ibm Global Business Services (2006), Expanding the Innovation Horizon: The Global Ceo Study 2006, Usa.

Istituto per la Promozione industriale , Ipi (2005), Indagine sui Centri per l'Innovazione e il Trasferimento Tecnologico in Italia, a cura di Dipartimento Centri e Reti Italia, Direzione Trasferimento di Conoscenza e Innovazione, Roma.

Kline R., Rosenberg N. (1986), An Overview of Innovation in R.Landau, N.Rosenberg (ed.), The Positive Sum Strategy, Washington, National Academy Press.

Kok W. (2004), Facing the Challenge: The Lisbon Strategy for Growth and Employment. Report from the High Level Group, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali